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Il criterio misericordia
Giovanni Ferretti

Il criterio misericordia

Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa

Prezzo di copertina: Euro 13,50 Prezzo scontato: Euro 12,80
Collana: Giornale di teologia 402
ISBN: 978-88-399-3402-4
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 192
© 2017

In breve

Un saggio ai confini tra filosofia e teologia, che mette in evidenza la portata ermeneutica del tema “misericordia” e le grandi sfide che ne derivano per la teologia e la prassi cristiana nel tempo presente.

Descrizione

Riscoprire nell’amore misericordioso di Dio il “cuore del vangelo” implica anche – e forse soprattutto – considerare la misericordia come il criterio per bene interpretare la Legge di Dio nel suo aspetto “oggettivo”. Il libro propone all’attenzione del lettore in primo luogo questo compito, nonostante tutto poco rilevato nei recenti studi sulla misericordia.
Ferretti mostra, al tempo stesso, come tale compito comporti rilevanti problemi teorici e pratici – vere e proprie sfide alla teologia e alla prassi della chiesa. È necessario, per esempio, superare del tutto il fondamentalismo biblico e la concezione arcaico-sacrale di Dio, ripensare il rapporto tra rivelazione e morale, evidenziare l’intimo intreccio di misericordia, giustizia e verità. Ma occorre anche approfondire la natura dell’ermeneutica teologica e impegnarsi a una lettura con misericordia dei “segni dei tempi” odierni: la secolarizzazione, la postmodernità, la povertà nel mondo globalizzato dell’economia finanziaria.

Commento

Misericordia: la categoria capace di generare una nuova forma di chiesa

La misericordia è non solo criterio centrale per reinterpretare il messaggio del Dio cristiano, ma chiave paradigmatica per affrontare e risolvere rilevanti problemi sia teorici sia pratici.

Recensioni

La parola misericordia ha un posto centrale nel magistero di papa Francesco. Molti sono i lavori che approfondiscono l'argomento e il suo impatto sulla vita della Chiesa e del mondo. «Non ci pare però che tra i vari risvolti che il tema presenta si sia sufficientemente evidenziato che essa deve essere considerata un criterio ermeneutico fondamentale per ben interpretare la parola di Dio, e in particolare la sua legge o i suoi comandamenti» (p. 5). L'obiettivo del libro è esattamente questo: dimostrare che la misericordia può essere un/il criterio per interpretare unitariamente tutta la rivelazione cristiana e la vita di Gesù di Nazaret, in particolare. Infatti, «nel Vangelo si trovano delle chiare indicazioni per fare della misericordia non solo il criterio per valutare e rispettare le persone nella loro situazione "soggettiva", quale il loro giudizio di coscienza, il grado della propria maturazione etica, la loro fragilità, o simili; ma anche il criterio per rilevare la portata "oggettiva" della legge divina, come formulata nella lettera della Scrittura o nella tradizione ecclesiale» (p. 6). A mio modesto avviso, l'obiettivo è affascinante; e il nostro autore mantiene le promesse espresse nell'introduzione, anche se le tematiche sono complesse.

La prima sfida è comprendere cosa sia davvero la rivelazione di Dio, superando ogni fondamentalismo, le concezioni arcaico-sacrali di Dio, evidenziando come la volontà dell'uomo e quella di Dio convergono in una comune ricerca della felicità, della pienezza (la morale cristiana, cioè, non è eteronoma), e mostrando l'intimo intreccio tra misericordia, giustizia e verità. Le pagine del vangelo al centro di questo primo passo sono le citazioni evangeliche di Osea 6,6 («misericordia io voglio e non sacrificio») e le controversie tra Gesù e i suoi oppositori, dove si evidenzia la centralità della vita della persona, come criterio di interpretazione della volontà di Dio. «Il criterio della misericordia è quindi il criterio della assoluta dignità dell'essere umano, che ci appella a un dovere incondizionato nei confronti della sua salvezza, soprattutto nel momento del bisogno o del pericolo, cioè in quanto "misero"» (p. 24). Giovanni Ferretti, a questo punto, sente la necessità che questa sfida teologica (potremmo dire come l'unico Dio può essere sia oggettivamente che soggettivamente misericordioso con tutti) sia supportata da un'adeguata ermeneutica che sappia valorizzare il radicamento storico del vangelo, il legittimo pluralismo della verità, la creatività dell'interprete (cf. p. 56). Ci viene proposto un filosofo italiano come pensatore in particolare sintonia con queste esigenze e con alcuni spunti presenti in papa Francesco: «Luigi Pareyson (1918-1991), che riteniamo rimanga tra i migliori riferimenti filosofici attuali per l'elaborazione di una corretta teoria ermeneutica della verità teologica» (p. 57). Questo prezioso alleato consente di affrontare molteplici sfide anche e soprattutto nella Chiesa: vivere le differenze, sentire la necessità di un paradigma ermeneutico della ragione (rimanendo nell'ortodossia, oggi, rischiamo di proporre un Dio falso), comprendere l'inoggettivabilità della verità, valorizzare la piena libertà dell'uomo (nel fenomeno dell'interpretazione la verità si dà solo nell'interpretazione personale), contemplare l'inesauribilità del mistero di Dio da cui deriva il nesso tra unità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni, stupirsi davanti al positivo pluralismo religioso e alle molteplici visioni dell'uomo presenti negli umanismi contemporanei, pazientare davanti alle incertezze e discutibilità. «Gli atteggiamenti che si richiedono perché vi sia autentica interpretazione della verità sono, quindi, per un verso l'umiltà del silenzioso ascolto dell'essere e per altro verso l'audacia con cui se ne arrischia liberamente una formulazione personale. Due atteggiamenti che mi pare caratterizzino in profondità lo stile pastorale di papa Francesco nel promuovere quella evangelizzazione nuova che comporta, a ben vedere, una nuova interpretazione del nucleo stesso del messaggio cristiano nell'oggi della chiesa e del mondo» (p. 83).

Il terzo capitolo presenta la sfida più appassionante: ma tutto questo è solo una riflessione o ha conseguenze sulla vita delle persone? Cioè: possiamo arrivare a una teologia utile? Il passaggio che il nostro autore ci propone è quello dei segni dei tempi come occasioni cariche di provocazione affinché la fede si ripensi, sappia ridirsi e sappia portare la misericordia di Dio all'uomo di oggi. I segni dei tempi ci aiutano a capire che davvero la misericordia può essere il criterio centrale per la teologia e la prassi della Chiesa; il libro ci mostra questo attraverso i complessi fenomeni della secolarizzazione, della postmodernità e della globalizzazione economica. «Nella misura in cui riusciamo, come comunità cristiana, a essere sollecitati in vista di una conversione non solo "morale" ma anche propriamente "teologica", ci pare che possano essere riconosciuti quali veri e propri "segni dei tempi", nel senso teologico sopra ricordato. Interpretati con il criterio della misericordia, essi ci aprono, infatti, a una migliore comprensione della verità salvifica di Dio quale si è manifestata nella forma Christi. Di conseguenza, a una migliore interpretazione del messaggio e della testimonianza di salvezza che la chiesa ha il compito di portare nel mondo» (p. 147).

L'ultimo capitolo del libro propone l'esigenza più alta: ripensare lo statuto ermeneutico-critico della fede. E lo fa perché, se abbiamo trovato il criterio unificante per interpretare la rivelazione cristiana, e lo abbiamo sperimentato nelle sfide dell'oggi, dobbiamo ripensare anche al nostro credere, al nostro affidarci a Dio. Se davvero la Chiesa cresce per attrazione (EG 14), deve nascere una «nuova coscienza, indicando che ciò che conta, nella trasmissione del messaggio cristiano, non è il moltiplicare le formule di comunicazione persuasiva, come nella propaganda politica, economica o ideologica, quanto il prospettare e testimoniare un orizzonte bello, desiderabile: un cristianesimo "amabile"» (p. 146). Bisogna, quindi, ripensare alle tre componenti che aiutano a pensare a come la rivelazione si sposi con un atto di fede: il dono, cioè la grazia; l'intelligenza; la libertà. E occorre soprattutto ripensare alla relazione tra queste tre componenti, «superando il paradigma della scissione, che le vedeva in contrapposizione o tensione tra loro» (p. 150). Questa è la via affinché la proposta cristiana porti davvero alla fioritura delle persone.

Il libro che abbiamo dinanzi è davvero prezioso perché desidera mostrare come il vangelo, portato dalla Chiesa, ha in mente la pienezza dell'umano; e questo è certamente il desiderio di papa Francesco. Rendere la misericordia il vero criterio per la teologia e la prassi della Chiesa è urgentissimo. Il lavoro è solo all'inizio; occorre proseguire nello studio della rivelazione, nella comprensione del vangelo, nella conversione pastorale della Chiesa e nell'ascolto di papa Francesco, per capire come sta guidandoci alla riscoperta della misericordia.


M. Prodi, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 1/2019, 237-239

Questo libro presenta una tesi chiara, più volte esplicitata: «Assumere seriamente la misericordia quale criterio ermeneutico, come ci invita esplicitamente il vangelo, risulta strettamente intrecciato con il vasto ripensamento della teologia e della prassi ecclesiale provocato dalle sfide del contesto culturale attuale» (175). E questa tesi non è pensata astrattamente, ma in connessione stretta (anch’essa più volte esplicitata) alla ricezione incompiuta di Vaticano II da un lato, e al Magistero di papa Francesco dall’altro, come una precisa ermeneutica storica della tesi stessa.

Il percorso che viene offerto, in quattro passi, può a prima vista sembrare non immediatamente lineare, mentre invece (come ben mostrano le segnalazioni esplicite in nota) rappresenta quasi un punto di convergenza del lungo percorso di riflessione dell’A. intorno a temi per lui «classici» (rapporto filosofia-teologia, dinamica della fede, filosofia della religione, contemporaneità...), che sembra aver trovato nel criterio misericordia un punto di concentrazione e rilancio decisivo.

Anche rilancio, appunto: non si tratta infatti di assumere un facile slogan, quanto piuttosto di verificare una plausibilità e una pertinenza della categoria misericordia che, mentre incornicia efficacemente molte delle questioni che ci attraversano, mostra anche con altrettanta chiarezza gli snodi problematici che aprono a nuove necessità di ricerca e di studio.

Il primo passo, offerto nel primo capitolo, mostra come la categoria misericordia vada presa sul serio innanzitutto come criterio fondamentale di comprensione della legge e della Parola di Dio in Gesù. Questa operazione è tutt’altro che banale, e l’A. ci indica almeno quattro delle sfide che ne discendono (superamento del modello miracolistico/sacrale/fondamentalista della comprensione della rivelazione, superamento del modello sacrale di Dio, ripensamento della relazione rivelazione-morale, ripensamento della relazione misericordia-giustizia-verità).

Se questo diventa dunque un appello ad una revisione ermeneutica dell’intera teologia, il secondo capitolo prova a offrire uno strumento efficace per questa revisione con la filosofia ermeneutica di Luigi Pareyson. Nel terzo capitolo si privilegia una (non casuale) categoria chiave della teologia conciliare (quella di «segni dei tempi») per verificare se il criterio misericordia, che ci fa meglio comprendere la stessa Parola di Dio e ci consente una più limpida immagine di Dio stesso, arricchito degli strumenti critici della filosofia ermeneutica, sia altrettanto efficace nella lettura di quella particolare parola di Dio che parla nella storia (e qui sono esaminati come «segni» la secolarizzazione, la postmodernità e la povertà globale).

Il quarto e ultimo capitolo prova ad indicare le questioni chiave da ripensare in una teologia (fondamentale) della fede a partire da quanto individuato in precedenza e lo fa attraverso un’operazione assai stimolante: provare a indicare come riarticolare tre dimensioni della definizione stessa della fede cristiana (dono/grazia, intelligenza, libertà) superando quello che viene definito il «paradigma della scissione» (150) che ne evidenziava invece le tensioni (fino quasi a contrapporle). Il percorso e la sua argomentazione si presentano con una forza di pacato convincimento, senza mai cadere nella tentazione di una certa ideologizzazione o di un eccesso di esaltazione/discredito, pur attraversando temi ed esempi che si presterebbero a queste derive.

L’approccio privilegiato (come è normale attendersi da questo autore) è quello di una filosofia della religione fortemente coinvolta e animata teologicamente, e in questo sta anche uno dei suoi pregi: mostrare una feconda (e non così diffusa con questo rigore) forma di scambio tra filosofia e teologia (ma anche questo non stupisce visto l’A.).

Sarebbe forse risultato utile e avrebbe reso il tutto più completo, una tematizzazione più esplicita di elementi di ecclesiologia fondamentale (tema pur accennato in diversi luoghi del testo) nei termini della sua soggettività collettiva (di popolo), indispensabile quanto a questa revisione ermeneutica necessaria. Ma comunque si tratta di un testo utile e fecondo, che, a dispetto di un linguaggio intenso ma non iniziatico, raccoglie molti più elementi e suscita molte più domande di quante ci si potrebbe aspettare ad una prima lettura veloce.


S. Morra, in Gregorianum 2/2019, 419-420

«Per un ripensamento dello statuto della fede »: il titolo dell’ultimo capitolo di questo saggio consente di intuire come le sfide per la teologia e la prassi della chiesa qui delineate siano piuttosto ardite. La riflessione si sviluppa intorno al tema della misericordia, posta da papa Francesco al centro della missione della chiesa e qui considerata come «criterio ermeneutico della portata ‘oggettiva’ della parola di Dio» (p. 7). Su questa base l’A. tenta un’operazione teologico-pastorale complessa, tesa a individuare alcune coordinate utili per «una teoria ermeneutico-critica della fede cristiana, che sia all’altezza della sfida che il moderno mondo secolarizzato, e in particolare lo spirito critico moderno, rivolge oggi ai cristiani» (pp. 8-9): un contributo alla necessaria inculturazione del vangelo, una sfida che oggi si gioca al cuore della società occidentale, nella quale la nuova evangelizzazione è possibile solo nella forma di una evangelizzazione nuova, piú fedele al vangelo e alla storia.

Il percorso scelto si snoda lungo quattro capitoli: nel primo, La misericordia come criterio ermeneutico della Parola – Una sfida per il presente, l’A. considera le implicazioni di tale opzione radicale. In una brevissima ripresa dei significati in cui papa Francesco impiega questa categoria, viene sottolineato un cambio di paradigma: il papa sposta «la coscienza ecclesiale nei riguardi delle sfide fondamentali che il mondo moderno rivolge alla fede cristiana: non piú tanto la sfida della ragione critica illuminista […] quanto piuttosto la sfida delle povertà e delle miserie umane, che interpellano la fede cristiana nella sua capacità di salvare integralmente l’uomo» (p. 13).

[…] Il secondo capitolo, Per una teologia ermeneutica all’altezza della misericordia – Papa Francesco e la filosofia ermeneutica di Luigi Pareyson, è in un certo senso speculare al primo: ora è la teologia a essere provocata a imboccare con decisione l’approccio ermeneutico. L’A. vuole dischiudere la strada verso tale paradigma, capace di cogliere il reale in uno sguardo olistico, e in cui il dialogo tra le differenze è attitudine essenziale. Anche in questa dimensione speculativa la misericordia è protagonista. […]

Nel terzo capitolo, Discernere con misericordia i “segni dei tempi” – Criteri ed esempi attuali, l’A. propone una lettura dei ‘segni dei tempi’ alla luce della misericordia, criterio fondamentale per il discernimento. Il testo, in un primo passaggio, avvicina la categoria cosí come è stata delineata durante il Concilio, rilevando come, nonostante la vaghezza e imprecisione del suo utilizzo, essa ne sia divenuta «“cifra” della fondamentale “svolta teologico-pastorale”» (p. 100). Se l’approccio conciliare alla categoria, e in senso piú ampio alla storia, era ancora immaturo, è possibile oggi avvicinare tale riflessione con uno sguardo piú ampio, e individuare alcuni criteri per un adeguato discernimento, che non possono mai essere estrinseci, ossia sganciati dall’atto di fede con il quale il credente si apre all’incontro con Cristo. È Cristo infatti il segno messianico per eccellenza, cosí come la chiesa, la comunità di coloro che lo hanno accolto, è segno secondo. Per analogia, quindi, la categoria di ‘segni dei tempi’ può «essere utilizzata teologicamente anche per indicare quegli eventi storici che in qualche modo, per la loro valenza messianica, prefigurano, anticipano o concorrono allo sviluppo del regno di Dio» (p. 107) e che quindi interpellano la fede a rivedere se stessa e le sue forme di comunicazione. L’A. ne individua tre: il fenomeno della secolarizzazione; della postmodernità; della povertà nel mondo globalizzato. Attraverso il discernimento intorno a questi tre segni si apre la provocazione a «pensare in forme nuove la trascendenza dell’essere infinito, assoluto e onnipotente di Dio» (p. 135) in una radicale rilettura dell’ontologia in direzione cristocentrica e trinitaria. Viene anche a tema il connesso, necessario ripensamento ecclesiologico, con l’urgenza di una conversione pastorale e missionaria.

Nel quarto e ultimo capitolo, Per un ripensamento dello statuto della fede, viene sinteticamente ripreso quanto emerso e si intensifica il dialogo, che ha percorso tutto il testo, con il magistero di papa Francesco, in particolare con Evangelii gaudium. Tre sono le coordinate che vengono sviluppate: 1. la dimensione del dono di Grazia, all’origine della fede, da intendersi come dono pubblico, accessibile a tutti coloro che “hanno occhi per vedere” e consistente nell’«evento stesso della rivelazione che si attua nella storia e come storia» (p. 152); 2. La componente intellettiva, ossia l’intelligenza spirituale di tipo ermeneutico e specificamente religiosa, che abilita a leggere nel mondo e nella storia personale l’azione amorevole di Dio e alla cui promozione dovrebbe essere orientata l’educazione alla fede; 3. L’appello alla libertà, senza la quale nessun atto di fede è possibile.

Il testo è breve, di agevole lettura, con una struttura chiara e corredato da un utile indice dei nomi. Questo suo pregio potrebbe essere inteso come un limite qualora si consideri l’ampiezza e la profondità delle tematiche proposte, che certo meriterebbero ulteriori approfondimenti. Rimane però la positività nell’aver comunque posto le questioni, affidandole, anche grazie alla facilità di lettura, all’agone del confronto teologico ecclesiale.


A. Steccanella, in Studia Patavina 65 (2018/2) 371-373

Desde el momento en que el papa Francisco ha puesto la misericordia en el centro de la misión de la Iglesia, no todos los trabajos teológicos que se han presentado hasta ahora consideran a la misericordia con suficiente evidencia de que esta debe ser considerada el criterio hermenéutico fundamental para interpretar la palabra de Dios. El presente trabajo del profesor emérito sobre filosofía teorética Giovanni Ferretti de la Universidad de Macerata, pretende superar esta laguna con el gran reto de llevar la misericordia a la práctica cristiana de nuestros días. Tomar conciencia de que el amor misericordioso de Dios es el "corazón del evangelio" implica también considerar la misericordia como el criterio para interpretar bien la ley de Dios en su aspecto "objetivo". El libro tiene cuatro capítulos. En el primero, La misericordia como criterio hermenéutico de la Palabra. Un reto para el presente, donde situa el criterio de la misericordia como "el criterio de la absoluta dignidad del ser humano como un deber incondicionado en relación a su salvación, sobre todo cuando este está necesitado, está en peligro, es decir, en cuanto es 'pobre'" (pag. 24). Romper la idea sagrada de un Dios potencialmente violento, no solo es un imperativo de la conciencia moderna, sino especialmente un imperativo evangélico. Biblicamente y especialmente evangélicamente, "la justicia" se entiende de un modo diverso, "pues es una ‘justicia más grande' anunciada por Jesús en el Sermón de la montaña (Mt 5,20). La justicia del amor que llega hasta los enemigos, porque tiene siempre en cuenta la dignidad infinita de todo ser humano, hijo de Dios y hermano nuestro" (pag. 53). En el capítulo segundo, Por una teologia hermenéutica a la altura de la misericordia - Papa Francisco y l afilosofía hermenéutica de Luigi Pareyson (1918-1991), que es la mejor referencia filosofica actual para la elaboración de una correcta teoria hermenéutica de la verdad teológica, como se puede ver cuando "el papa Francisco afirma que el núcleo del evangelio no es una idea ni una ideología, sino que consiste en un 'encuentro' personal con el amor de Dios, en una 'experiencia personal' del amor de Dios" (pag. 67), ya que "la misericordia es más aquello que une que lo que eventualmente divide”. […]

Finalmente, en el capítulo cuarto, Por un replanteamiento del estatuto de la fe, el autor señala "la feliz fórmula retomada por el papa Francisco de que 'La Iglesia no crece por proselitismo sino por atracción'" (pag. 149), ya que "la revelación que hace nacer la fe no debe entenderse como un don que Dios hace a algunos y niega a otros… sino que es un don público, accesible a todos los que tienen 'ojos para ver'" (pags. 153-154), pues la libertad que entre en juego en el acto de fe "no debemos considerarla en contraposición al don de Dios" (pag. 163). Termina su recomendable trabajo el presbitero de la diócesis de Torino, Don Giovanni Ferretti, recordando que "se debe asumir seriamente la misericordia como criterio hermenéutico, como invita explícitamente el evangelio, en el contexto cultural actual" (pag. 175).


J.L. Vázquez Borau, in Actualidad Bibliográfica 1/2018, 65-66

«L'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Os 6,6): per una teologia che vada al "cuore del Vangelo", cioè alla misericordia di Dio. Giovanni Ferretti percorre la strada tracciata da papa Francesco, in cui la misericordia è la chiave ermeneutica per interpretare la legge di Dio nel suo aspetto "oggettivo".
Lo studio evidenzia le grandi sfide per la teologia e per la prassi cristiana: «perché l'impegno missionario ad una "nuova evangelizzazione" sia veramente quello che deve essere: l'impegno a una "evangelizzazione nuova", più fedele al Vangelo e all'uomo d'oggi».
In Jesus 7/2018, 91

Riscoprire nell’amore misericordioso di Dio il “cuore del vangelo” implica anche – e forse soprattutto – considerare la misericordia come il criterio per bene interpretare la Legge di Dio nel suo aspetto “oggettivo”. Il libro propone all’attenzione del lettore in primo luogo questo compito, nonostante tutto poco rilevato nei recenti studi sulla misericordia.

Ferretti mostra, al tempo stesso, come tale compito comporti rilevanti problemi teorici e pratici – vere e proprie sfide alla teologia e alla prassi della chiesa. È necessario, per esempio, superare del tutto il fondamentalismo biblico e la concezione arcaico-sacrale di Dio, ripensare il rapporto tra rivelazione e morale, evidenziare l’intimo intreccio di misericordia, giustizia e verità. Ma occorre anche approfondire la natura dell’ermeneutica teologica e impegnarsi a una lettura con misericordia dei “segni dei tempi” odierni: la secolarizzazione, la postmodernità, la povertà nel mondo globalizzato dell’economia finanziaria.


In Il Posto delle Parole 12 maggio 2018

La tesi sostenuta da Ferretti in questo saggio si fonda su di un passo delle scritture molto noto: Osea 6,6: «Misericordia io voglio e non sacrificio». Il teologo torinese sostiene che la misericordia «deve essere considerata un criterio ermeneutico fondamentale» e quindi prevalente in ogni occasione interpretativa. La giustizia di Dio coincide con la misericordia, non ne è limitata.

I due capitoli centrali del volume sono dedicati alla rilettura dei testi sacri, superando quella che viene definita la concezione arcaico-sacrale che ne ha condizionato la redazione, per aprirsi a un’interpretazione che si appropri delle modalità di pensiero proprie della modernità.

Molto interessante lo sviluppo di questi concetti quando l’autore li riferisce ai “segni dei tempi”, dimostrando come essi possano essere utilmente letti sulla base della misericordia. Propone l’applicazione di questa tecnica ermeneutica a secolarizzazione, postmoderno e povertà, per scoprire le nuove prospettive teologiche che ciò comporta.


S. Valzania, in Radio InBlu 7 aprile 2018

La misericordia, che papa Francesco definisce nella Evangelii gaudium (n. 36) il “cuore del vangelo”, è presentata in questo bel libro di Giovanni Ferretti, ordinario emerito di filosofia teoretica presso l’Università di Macerata, come un criterio ermeneutico fondamentale per cogliere il senso e la portata di tutte le verità e le norme di vita cristiane, e assume, di conseguenza, i connotati di “una sfida per la teologia e per la prassi della chiesa”.

Il volume, suddiviso in quattro capitoli, introduce il tema mediante una accurata analisi dei testi neotestamentari, che pongono al centro del messaggio evangelico l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio. Tra questi un ruolo di primo piano occupano le pericopi relative alla controversia sul sabato, nelle quali emerge uno stretto collegamento tra la misericordia e la interpretazione della legge. Le trasgressioni della legge del sabato compiute da Gesù non manifestano soltanto il suo essere “Signore del sabato”; sono il chiaro riconoscimento che l’uomo è il fine di ogni legge e istituzione: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (Mt 2, 27).   

Immediate sono, secondo Ferretti, le ricadute di questa centralità sul terreno della riflessione e della prassi ecclesiale. L’esigenza di fondo che emerge è quella di un profondo ripensamento di diversi aspetti della proposta cristiana: dal modello di rivelazione alla concezione di Dio; dal rapporto tra rivelazione e morale all’intreccio tra misericordia, giustizia e verità. Nei primi due casi si tratta di abbandonare una visione arcaica e “sacrale” per mettere in luce l’attualità del messaggio biblico e l’autentico volto del Dio della rivelazione, che ha in Gesù di Nazaret – la misericordia divina fattasi persona umana – il momento più alto. Nei secondi un significato importante rivestono le sollecitazioni a reinterpretare la misericordia come espressione della giustizia e della verità divine che convergono nell’amore.

L’intento di Ferretti è tuttavia soprattutto quello di rendere conto – a questo è dedicato in particolare il secondo capitolo – della rilevanza della misericordia a livello teologico. L’adesione al paradigma della ragione ermeneutica trova nella filosofia di Pareyson il terreno adatto per un serio approfondimento. La considerazione che la verità di Dio non può essere fissata una volta per tutte in una formula “oggettiva” apre la via ad un processo interpretativo, la cui attuazione suppone il riconoscimento che nella parola umana la verità si dà sempre in modo incompiuto, e che l’accesso ad essa implica un atto di libertà. Se questo è motivato in campo filosofico dalla considerazione dell’inesauribile ricchezza dell’essere, ha nel cristianesimo la propria ragione nel suo essere “fatto eterno” – così lo definisce Pareyson – che, proprio per questo, ha la possibilità di calarsi nelle diverse culture senza mai risolversi totalmente in nessuna di esse.

Questa visione è in piena sintonia con il magistero di papa Francesco, il quale, muovendo dalla constatazione che il Vangelo non è un’idea ma una Persona e che da ciò trae il suo carattere di inesauribilità – si tratta dell’inesauribilità dello stesso mistero di Dio – si interroga su come sia possibile incarnare la verità cristiana immutabile nell’odierno contesto culturale. La via che viene dal papa suggerita è la valorizzazione delle differenze e l’impegno a mantenerle in relazione. Il che comporta attenzione ad evitare tanto il rischio del dogmatismo quanto quello del relativismo e rende, nello stesso tempo, necessaria una visione dell’unità, non come uniformità, bensì come multiforme armonia che si ottiene mettendo in rapporto tra loro i doni suscitati dallo Spirito. L’immagine del poliedro, che il papa utilizza per illustrare uno dei principi ai quali fa riferimento nella Evangelii gaudium – il tutto è superiore alle parti – rende trasparente come ogni interpretazione coincida con la verità, sia pure relativa a quel contesto culturale, e dunque aperta ad ulteriori (necessarie) interpretazioni.

Aderendo a questa prospettiva, Ferretti introduce, nel terzo capitolo, la questione del discernimento dei “segni dei tempi”. Il dovere della chiesa di scrutarli e di interpretarli alla luce del Vangelo (Gaudium et spes, n. 4) esige che ci si accosti ad essi con un approccio non solo sociologico, ma anche (e soprattutto) teologico. Il criterio interpretativo adottato è quello della misericordia; esso viene applicato, a titolo di esempio, ad alcuni fenomeni propri della cultura odierna, che, pur nella loro ambivalenza, contengono spinte positive da assecondare: dalla secolarizzazione, che costringe il credente a liberarsi dall’ambiguità del “sacro” per ricuperare una immagine più autentica di Dio e una concezione più evangelica di chiesa; alla postmodernità, che sollecita una maggiore attenzione nell’annuncio del messaggio evangelico alla alterità e alla pluralità, nonché alla vita affettivo-sentimentale; fino alla povertà, che si propone come sfida a una autenticaa conversione teologica.

L’insieme delle riflessioni esposte converge – è questo il tema dell’ultimo capitolo – nella proposta di un ripensamento dello statuto della fede, la cui messa in atto implica, accanto a una profonda modifica del linguaggio – si tratta di fare il passaggio da un linguaggio assertivo e autoritario a un linguaggio propositivo e dialogico –, una revisione dell’atto di fede che consenta di superare il rischio sia del soprannaturalismo fideistico che del razionalismo intellettualistico e del volontarismo irrazionalistico. Implica inoltre una visione della fede come dono che ha come oggetto una verità la quale ha bisogno di mediazioni simboliche – è questo il compito della teologia – per proporsi alla libertà dell’uomo e sollecitarne l’accoglienza.

Il carattere esperienziale del cristianesimo, che è – come già si è detto – incontro con una Persona, conferisce alla fede non solo il significato di luce che fa vedere, ma anche (e soprattutto) di luce dell’amore. Alla radice di essa vi è infatti l’esperienza di essere amati e accolti fin dal principio; esperienza da cui deve scaturire la disponibilità a cogliere la presenza di Dio nel prossimo, in particolare nei poveri e nei sofferenti, ricambiando l’amore ricevuto, con l’impegno al servizio ai fratelli.

Il libro di Ferretti è, in definitiva, un importante contributo all’approfondimento teologico della misericordia, che è il leit motiv degli interventi di papa Francesco. Il rigore con cui l’indagine è condotta e la chiarezza espositiva e del linguaggio (nonostante la oggettiva complessità dei temi trattati) fanno di questa opera un prezioso strumento per la comprensione di un pensiero – quello del papa – che risulta pertanto (a dispetto dei molti detrattori) solidamente fondato sul piano dottrinale e capace di stimolare un serio rinnovamento dell’azione pastorale della chiesa.


G. Piana, in Appunti 1/2018

Voglio «l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Os 6,6). Questo versetto, più volte citato nel testo, riassume il senso del «criterio misericordia». Nelle Scritture si può riscontrare una mentalità religiosa sacrificale, ma si può anche trovare una teologia della misericordia. Per l’a. si tratta di superare la religione arcaica del sacrificio, dell’anatema e della condanna. Ora, papa Francesco offre la sua pastorale che sa andare oltre questa concezione: l’amore e la grazia sono le chiavi che permettono di leggere i «segni del nostro tempo». L’assunzione di questo paradigma teologico e pastorale diventa oggi essenziale per non arenare la Chiesa entro moduli interpretativi autoreferenziali, nella consapevolezza che la pluralità di significati dei simboli biblici rappresenta l’inesauribile mistero di Dio.
G. Azzano, in Il Regno Attualità 22/2017

Un testo che tanto leggero non è, anzi, diciamo pure che è una lettura impegnativa ma che ripaga lo sforzo. Con il libro Il criterio misericordia. Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa (Queriniana, pp.192, 13,50 euro) don Giovanni Ferretti, sacerdote della nostra diocesi, ritorna su un tema molto caro a Papa Francesco, al punto di poterlo considerare quasi un criterio ermeneutico della sua teologia. Muovendosi con destrezza tra Evangelii Gaudium e il pensiero di Luigi Pareyson, Ferretti ci invita a ripensare il volto di Dio alla luce dell'amore che ci ha manifestato nell'invio del suo Figlio e ancor più nel ministero che ha svolto in mezzo agli uomini.


G.L. Carrega, in La Voce e Il Tempo 10 dicembre 2017

[…] Un libro davvero fondamentale in cui il docente di Filosofia teoretica all'Università di Macerata pone la misericordia al centro non solo del pontificato di Bergoglio, ma di tutto l'annuncio cristiano: una sfida per la teologia che non è ancora stata colta appieno.

Venendo a Pareyson, Ferretti vede accomunati il filosofo piemontese e il pontefice nel tentativo «di superare il dogmatismo razionalistico che racchiude la verità in un'unica formulazione oggettuale e astorica e, per altro, di evitare il relativismo storicistico per il quale la verità è semplicemente l'espressione del particolare momento storico».

L'inesauribilità del mistero di Dio, la necessità di declinare il Vangelo nei vari contesti senza legarlo a una cultura particolare, la molteplicità delle posizioni teologiche come arricchimento della fede, l'unità e la totalità come approdo non grazie alla dialettica marxiana, ma al modello delle opposizioni polari tracciato da Guardini: ecco alcuni dei punti in comune tra Bergoglio e Pareyson rintracciati da Ferretti, che vuole così delineare la possibilità di un'armonia della «diversità riconciliata».


R. Righetto, in Avvenire 26 novembre 2017

Il saggio di Giovanni Ferretti Il criterio misericordia. Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa (Queriniana, pag. 192, euro 13.50) si muove tra filosofia e teologia ribadendo che la misericordia è la categoria capace di generare una nuova forma di Chiesa ed è chiave per affrontare e risolvere rilevanti problemi sia teorici sia pratici. Il libro studia la misericordia come criterio per bene interpretare la legge di Dio nel suo aspetto “oggettivo”, e aiuta a ripensare il rapporto tra Rivelazione e morale, evidenziando l’intimo intreccio di misericordia, giustizia e verità. Non manca una lettura dei segni dei tempi: la secolarizzazione, la postmodernità, la povertà nel mondo globalizzato dell’economia finanziaria.


F. Mariucci, in La Voce 40 (9 novembre 2017)

«La misericordia non è una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, e rende tangibile il Vangelo». Così twittava il 28 novembre 2016 papa Francesco che, nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia – Misericordiae vultus – dell’11 aprile 2016 aveva definito la misericordia come la manifestazione per antonomasia dell’onnipotenza di Dio (MV n. 6), la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi (MV n. 9), l’architrave che sorregge la vita della Chiesa la cui credibilità passa attraverso l’amore misericordioso e compassionevole (MV n. 10) professato e vissuto come il centro della rivelazione di Gesù Cristo (MV n. 25), il cuore pulsante del Vangelo che esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale (MV n. 12).

Il criterio misericordia è il titolo del nuovo coinvolgente saggio di Giovanni Ferretti, professore emerito di filosofia teoretica presso l’università di Macerata e di teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Milano e Torino), presbitero della Chiesa torinese.

 

Dire oggi il messaggio cristiano in modo convincente l’impresa continua

Un libro che, in stretta e coerente continuazione con i precedenti, risponde ad un’esigenza di straordinaria rilevanza avvertita oggi nelle comunità cristiane: tradurre il messaggio evangelico nel linguaggio e nella sensibilità che ci caratterizzano quali persone che vivono nella cultura secolarizzata contemporanea e non accontentarsi di una semplice riproposizione della forma storica di cristianesimo entrata irrimediabilmente in crisi, che utilizza formule stereotipe incapaci di nutrire la mente e far ardere il cuore.

Un libro che, come i precedenti, si fa apprezzare non solo per i contenuti, ma anche per il linguaggio utilizzato: meno intellettualistico e più di tipo fenomenologico ed esistenziale; meno assertivo e autoritario e più propositivo e dialogico; meno magisteriale e dogmatico e più critico-riflessivo e maieutico. Un linguaggio ai confini tra teologia e filosofia che l’autore, appartenente a quella schiera di studiosi capaci di ravvivare la questione di Dio nel nostro tempo e di rendere desiderabile la proposta cristiana di vita, ha avuto modo di affinare nel corso dell’intera sua vita trascorsa nella comunità cristiana ecclesiale e nella cultura laica universitaria.

 

Un testo unitario e coerente

Il criterio misericordia – Sfide per la teologia e la prassi della Chiesa raccoglie in quattro capitoli altrettanti saggi di Giovanni Ferretti – già editi, ma di difficile reperibilità –, che sono stati così sapientemente rimaneggiati e organicamente collegati, da risultare un testo unitario e coerente, assolutamente leggibile anche da parte di chi frequenta solo occasionalmente testi filosofici o teologici, pur richiedendo, com’è ovvio, una lettura attenta e non sbrigativa.

Obiettivo della pubblicazione dichiarato dall’autore: dare un contributo a quel «grande compito» di nuova interpretazione del messaggio evangelico («evangelizzazione nuova») che la Chiesa ha la missione di portare al mondo, presentandolo come comprensibile, desiderabile e amabile alle donne e agli uomini di oggi, cioè come effettivo lieto annuncio nel contesto attuale della storia umana. Intento perseguito riportando, come sollecita a fare il magistero di papa Francesco, al centro dell’annuncio cristiano l’amore misericordioso del Dio rivelatoci da Gesù di Nazaret, che è il «cuore del Vangelo» e «la più grande di tutte le virtù», elevandolo a criterio ermeneutico non solo della Parola di Dio presente nelle Scritture ma anche del senso di tutte le verità e norme di vita cristiane.

Un’operazione teologico-pastorale, questa, che risponde ad una sentita esigenza della contemporaneità e ha un preciso radicamento nella lettera e nello spirito del Vangelo, ma che non è né semplice né esente da aspetti problematici. Essa, infatti, da un lato, comporta l’esame e la soluzione, alla luce del principio della gerarchia delle verità della fede, di rilevanti problemi teorici e pratici che ne condizionano l’effettiva riuscita, dall’altro, implica il confronto serrato con tutta una serie di sfide che la cultura moderna e postmoderna pone alla fede cristiana.

 

Alcune sfide rivolte alla fede cristiana

Quattro di queste sfide di particolare rilievo sono prese in esame nel primo capitolo. La prima consiste nel liberare, alla luce del criterio della misericordia, la concezione della rivelazione e della Bibbia da ogni residuo di fondamentalismo. «Non la lettera fisica della Bibbia è quindi propriamente parola di Dio, ma è parola di Dio quella che, mediata o echeggiata simbolicamente dal testo biblico, risuona nell’accoglienza di fede che l’uomo vi presta, interpretandola o traducendola in linguaggio umano a lui rivolto, secondo le categorie culturali e la coscienza etico-critica che storicamente gli sono proprie» (p. 32).

La seconda nel ripensare, nel senso di superare, la concezione arcaico-sacrale di Dio potenzialmente violento ben presente non solo nell’Antico Testamento e di cui non poche tracce si trovano nello stesso Nuovo Testamento e ancor più nella storia del cristianesimo nonché nella sua teologia e nella sua prassi. «Gesù ha inteso disambiguare la figura arcaico-sacrale di Dio, eliminandone la faccia numinosa tremenda e violenta e mettendone in piena luce l’esclusiva faccia di amore, di benevolenza e di misericordia» (p. 36).

La terza nel ripensare il rapporto tra rivelazione e morale, al fine di superare la visione esclusivamente eteronoma della morale cristiana e poter valutare con misericordia la congruenza delle norme presenti di fatto nella lettera della Scrittura e della Tradizione ecclesiale, in ordine al fiorire effettivo dell’essere umano nella concretezza della sua esperienza di vita. «Accogliendo la provocazione moderna, possiamo prendere maggiormente sul serio che Dio detta all’uomo le sue leggi non dall’esterno ma dall’interno della sua coscienza morale, così come questa va formandosi nel lavorio della ragione tesa ad interpretare il dinamismo dei propri desideri più profondi, l’appello al Bene, l’intero orizzonte del dover-essere etico della giustizia e della fraternità; in dialogo con gli altri e in autenticità verso se stessi» (p. 42).

La quarta sfida consiste nel ripensare il rapporto tra misericordia, giustizia e verità, al fine di non contrapporle tra di loro, ma di intenderle nel loro intimo intreccio, fino all’identificazione. «Intendendole in questo senso, nel loro reciproco intrecciarsi e interpretarsi, possiamo in qualche modo comprendere come amore di misericordia, giustizia e verità siano in Dio la stessa cosa, e sentirci sollecitati a coglierne e viverne la logica comune» (p. 54).

 

Unità della verità e molteplicità delle sue interpretazioni

Nel secondo capitolo, Giovanni Ferretti si sofferma su alcuni elementi di ermeneutica teologica rinvenibili nel magistero di papa Francesco e cerca di verificare come essi possano, a livello teoretico, essere sistematizzati, chiarificati e unificati nella filosofia ermeneutica di Luigi Pareyson (1918-1991), il filosofo italiano che ha elaborato la migliore teoria ermeneutica d’ispirazione cristiana.

Nella Evangelii gaudium papa Francesco scrive che una formulazione perfettamente ortodossa può, a motivo dei cambiamenti culturali attuali, trasmettere una falsa idea di Dio e un ideale umano che non è veramente cristiano. Con questa affermazione, che Ferretti ritiene inedita a livello di magistero ecclesiastico, Francesco dimostra di avere piena coscienza che «la verità di Dio con cui il cristiano è in rapporto non può essere fissata una volta per tutte in una formula oggettiva universalmente valida, dovendo tener conto, per la sua effettiva comunicabilità, della recettività storicamente ed esistenzialmente condizionata e variabile delle persone» (p. 63). Le quali non vanno giudicate a partire esclusivamente dal riferimento a leggi morali oggettive universali – pur in se stesse valide – senza tener conto, con misericordia, della coscienza e della situazione concreta in cui si trovano, nonché del bene che è loro concretamente possibile operare.

L’espressione della verità teologica è multiforme. Rinnovarne le forme di espressione è necessario per trasmettere agli uomini e alle donne della contemporaneità il messaggio evangelico nel suo immutabile significato. La misericordia è necessaria non solo per interpretare correttamente in favore dell’umano il senso oggettivo della parola di Dio, ma anche per bene interpretare le molteplici e diverse letture della parola di Dio che si hanno in un contesto sociale ed ecclesiale caratterizzato dall’espandersi del pluralismo. Contesto nel quale la misericordia – che è più attenta a ciò che unisce che a ciò che divide – contribuisce a creare e a consolidare l’armonia della «diversità riconciliata».

Questa teoria operante in papa Francesco e teorizzata da Luigi Pareyson è in grado di liberare dal dogmatismo e dal relativismo. Libera dal dogmatismo il quale, in forza del principio dell’unità e della perennità della verità, ritiene che anche la sua formulazione debba essere unica e perenne. Libera dal relativismo il quale, in considerazione del fatto che le formulazioni della verità sono molte e mutevoli nel tempo, ritiene che anche la verità sia molteplice e storicamente mutevole. Da un lato, dunque, la teoria riconosce la legittimità di diverse interpretazioni della verità cristiana, dall’altro, non fa perdere la fiducia nella possibilità di rapportarsi, sia pure in termini plurali, con la verità eterna di Dio rivelatasi in Cristo.

 

Discernimento misericordioso dei «segni dei tempi»

Il criterio della misericordia va utilizzato anche per interpretare la cultura in cui viviamo, ovvero il mondo in cui essa vuole incarnarsi come fermento di vita per gli uomini e le donne della nostra generazione. L’amore misericordioso, infatti, è in grado di aiutarci «a leggere più a fondo e con maggiore verità il mondo contemporaneo, non limitandoci a rilevare e condannare gli aspetti negativi in esso presenti, ma anche e soprattutto a scorgere e ad apprezzare gli aspetti o germi positivi, di maturazione e promozione umana, che lo fermentano» (p. 96).

Nel capitolo terzo detto criterio è proposto tramite il discernimento di tre «segni dei tempi» rilevabili nel mondo d’oggi: il fenomeno della secolarizzazione; il fenomeno della post-modernità; il fenomeno della povertà nel mondo globalizzato. La secolarizzazione sfida a ripensare l’idea di Dio svincolandola da incrostazioni culturali pre-moderne e mettendone in luce il volto che Gesù di Nazaret ci ha manifestato con le sue parole e la sua prassi di vita. Nella consapevolezza che oggi la fede «non si trasmette più semplicemente per tradizione, famigliare o sociale, quasi per osmosi ambientale di qualcosa di ovvio per tutti, ma è sempre più oggetto di scelta consapevole e criticamente avvertita, di fronte ad un pluralismo crescente di credenze e non credenze» (pp. 120-121).

La post-modernità sfida a confrontarsi con l’inesauribilità dell’amore di Dio, amante della vita (Sap 11,26), capace di inventare sempre nuove forme per comunicarsi a tutti. «La molteplicità delle culture e anche le diverse interpretazioni del divino che offrono le varie religioni, non dovrebbero, di conseguenza, essere viste soltanto come qualcosa di negativo, ma come espressione dell’amore universale di Dio in Cristo, che a tutti parla in vari modi, secondo le loro capacità di comprensione, e che ama tutte le creature umane, comprese le loro espressioni religiose» (pp. 128-129).

La presa di coscienza del fenomeno della povertà nel mondo globalizzato dell’economia finanziaria costituisce forse la sfida più importante e decisiva con la quale chi annuncia il Vangelo deve confrontarsi. Questa sfida ci invita «a riflettere in forma nuova sulla natura dell’apporto del Vangelo alla salvezza integrale dell’uomo – di tutto l’uomo e di tutti gli uomini – fin da questa vita terrena e ad operare di conseguenza» (p. 143).

 

Grazia, intelligenza e libertà: ripensare con misericordia lo statuto dell’atto di fede

Nel quarto e ultimo capitolo Ferretti motiva l’esigenza di ripensare lo statuto dell’atto di fede, con le sue tre componenti di dono/grazia, intelligenza e libertà. Provocati dallo spirito critico moderno, oggi i cristiani devono cercare di svincolare la fede da almeno tre equivoci: dall’idea che essa sia autoritaria e dogmatica per natura; dalla convinzione che essa possa riguardare solo chi l’ha ricevuta per grazia o per destino ovvero per tradizione; dall’opinione secondo cui la fede sarebbe una questione di «gusto» non argomentabile con ragioni oggettivamente convincenti o non accessibile a tutti.

La prassi ecclesiale concreta e la riflessione teologica hanno il compito impegnativo e urgente di mettere in luce come la fede cristiana, se ben intesa secondo lo spirito del Vangelo, sia in realtà una libera e amorosa accoglienza della verità salvifico-messianica di Gesù Cristo che l’intelligenza spirituale del credente vede trasparire nella sua persona e nella sua vita, sullo sfondo delle Scritture e in intima consonanza con quei desideri profondi dell’essere umano che l’accoglienza dell’annuncio evangelico può suscitare e risvegliare.

La fede cristiana, messa sotto il segno della misericordia quale attributo fondamentale del Dio di Gesù Cristo, è un’esperienza di vita – che ha un indubbio primato rispetto ai dogmi e alle appartenenze religiose – offerta alla libertà di tutti e pienamente rispettosa della dignità di ogni persona.

Al termine di una riuscita educazione alla fede – il cui obiettivo è quello di affascinare piuttosto che di indottrinare – ogni cristiano dovrebbe poter dire: io credo non perché me lo hai detto tu o perché me l’ha detto l’autorità della Chiesa, ma perché sono in grado di vedere con i miei stessi occhi – gli occhi del cuore e dell’esperienza personale – la verità di Dio che si riflette nel volto di Cristo, illuminando e dando senso alla mia stessa esperienza di vita (p. 160).


A. Lebra, in SettimanaNews.it 29 ottobre 2017