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Fermezza e resistenza
Eberhard Schockenhoff

Fermezza e resistenza

La testimonianza di vita dei martiri

Prezzo di copertina: Euro 24,00 Prezzo scontato: Euro 22,80
Collana: Giornale di teologia 401
ISBN: 978-88-399-3401-7
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 264
Titolo originale: Entschiedenheit und Widerstand. Das Lebenszeugnis der Märtyrer
© 2017

In breve

Il significato della “testimonianza” nella vita della chiesa viene qui rielaborato delineando un concetto nuovo di martirio, svincolato dalla cornice puramente edificante e leggendaria in cui i martiri sono presentati di solito.

Descrizione

I martiri sono più un fenomeno di oggi che un ricordo di ieri. O meglio: in tutti i tempi, incluso il presente, vi sono stati ovunque cristiani che hanno affrontato liberamente la morte per la loro fede o per il loro impegno per la giustizia.
Dall’estrema fermezza di questi testimoni della fede – che disprezzano il dolore e ambiscono alla vita eterna – arriva un segnale inquietante, provocatorio, scomodo per i cristiani “normali”. Che cosa significano i martiri per la vita di una chiesa mondiale e per la testimonianza da rendere al vangelo? È sufficiente porre la propria vita al servizio di una causa per la quale morire? E se uno decide di votarsi al sacrificio volontario, ciò deve per forza avere un senso anche per altri, per la fede e la vita di tutti i cristiani? E, infine: che cosa distingue un martire da un fanatico attentatore kamikaze?
Riandando all’originaria teologia del martirio e prendendo posizione contro un utilizzo inflazionato del concetto, il libro approfondisce questi temi e li mette in relazione con la testimonianza dei tanti martiri contemporanei.

Commento

Che cosa distingue un martire da un fanatico attentatore kamikaze?

Recensioni

Il fenomeno del martirio ha segnato da sempre la storia della chiesa. Anche questi nostri tempi così intensamente globalizzati ormai su tutti i versanti del vivere e così frementi anche se incerti, ambigui, a volte contrastanti e discordanti, sul versante del vissuto «religioso», elencano un nutrito numero di «martiri» tanto che, a ragione, A. Riccardi ha potuto parlare di «secolo dei martiri» per il Novecento e, da come si sono messe le cose all'alba di questo XXI secolo, pare che i «martiri» siano in aumento. I recenti episodi di chiese bruciate, esecuzioni, sequestri, rilanciano la domanda: perché un credente è disposto a morire? Il suo destino ha un senso per noi? E per gli altri? Perché altre volte la notizia scivola nell'indifferenza? Come ne esce il concetto di martire dopo l'appropriazione che ne ha fatto la politica, ad esempio, nelle vicende del terrorismo islamico? Eppure c'è una differenza sostanziale tra il kamikaze e il testimone... Le questioni sono molte e decisamente ingarbugliate, si direbbe, sin dalla rivoluzione francese in poi. Non che manchino approfondimenti e riflessioni adeguate, infatti la bibliografia sul «martirio» è consistente. Ma è l'esperienza stessa che ogni volta pone in crisi. Infatti, l'esperienza del martirio (degli altri!) aggredisce il (nostro!) senso della morte e quindi della vita. Non solo, ma scopre e denuncia l'evanescenza della fede di noi sopravvissuti; non interessa che sia «scarsa» la nostra, perché pur «debole» ugualmente la fede se verace regge, ma è quella formalista e insulsa, frivola e futile che scordiamo quando appella responsabilità e che ci fa intruppare quando temiamo imboscate inventandoci nemici (il martire non ha nemici).

Il titolo del libro di Schockenhoff ne riecheggia un altro famoso e influente dell'autorevolezza del testimone: quello di D. Bonhoeffer, Resistenza e resa... dove la «resistenza» è «resa» nel senso della «riconsegna» (cf il Padre «consegna» il Figlio alla croce; Gesù «consegna» se stesso alla morte), mentre qui la «resistenza» si associa alla «fermezza» che sta per coerenza, perseveranza, coraggio e determinazione. Il testimone (martire) non chiacchiera né disquisisce sul martirio, cerca solo di seguire «davvero» cioè realmente, concretamente, tangibilmente il suo maestro Gesù Cristo. Punto. Non fa l'eroe, ma come il suo maestro non si fa intimidire e permane radicato sul Vangelo.

Schockenhoff scrive questo testo per noi, per la chiesa, per ricomprendere oggi il significato del martirio, almeno per uscire da quella plurivocità a volte inquietante che oggi va assumendo (pp. 11-31). Inevitabili quindi le pagine dedicate a spiegare l'origine della concezione del martirio nel primo cristianesimo (concetto biblico di testimone, la morte dei martiri a imitazione di Cristo e guadagno per la chiesa) (pp. 32-43), ma anche quelle dedicate all'analisi delle molteplici trasformazioni e ampliamenti dell'immagine del martire lungo i secoli evidenziando continuità e mutamenti del concetto stesso di martirio (pp. 44-152). Fino ad arrivare al XX e XXI secolo (pp. 153-208): il nostro tempo, dove pur vivendo rimirando noi stessi cercando celebrità a buon prezzo, distribuiamo a destra e manca il titolo di «martire» ed «eroe».

A parte queste banalità linguistiche massmediatiche, nella figura e nell'esempio del martire fa capolino l'esperienza e la testimonianza evangelica nella sfera socio-politica. Qual è quindi il concetto del martirio nella teologia attuale (pp. 209-236)? Le risposte dell'autore sono in linea con le note riflessioni di K. Rahner e di altri importanti teologi. Infine, una segnalazione che ritengo possa interessare al lettore: questi argomenti sono riassunti con grande perizia, abbreviati e magistralmente espressi nel recente libro dell'ex direttore di «CredereOggi» U. Sartorio, Martirio (EMP, Padova 2019, pp. 222, € 17,50). È un saggio che al pregio della chiarezza (interessante la riflessione sul «caso Kolbe») unisce un linguaggio comprensibile a tutti, mai banale. Chi è quindi il martire oggi? Dopo queste letture ciascuno potrà farsi un'idea un po' più perspicace.


D. Passarin, in CredereOggi 233 (5/2019) 146-148

Il volume, già nel titolo, fa eco alla famosa opera di D. Bonhoeffer, Resistenza e resa (Wiederstand und Ergebung, uscita in prima edizione nel 1951), realizzata grazie alla mano dell'amico e biografo E. Bethge, il quale raccolse e pubblicò gli appunti del teologo tedesco che fu prigioniero della Gestapo. Non a caso questo titolo, perché la materia trattata dall'A. intende dare dignità di riflessione teologica alla testimonianza dei martiri, cercando di abbracciare idealmente tutta la lunga storia della chiesa dai suoi primordi fino ai nostri giorni. L'intento del volume è di voler ridisegnare gli elementi essenziali di una teologia del martirio che «vada oltre il dibattito specialistico ristretto agli storici della chiesa e riesca a evidenziare il senso della testimonianza di vita dei martiri» (p. 29).

Paradossalmente - osserva l'A. - la ricerca sui martiri è oggetto di studio più di storici e antropologi che non della predicazione ecclesiastica o delle accademie teologiche, luoghi della formazione dell'identità dei singoli cristiani e delle comunità. Alla pertinente osservazione l'A. cerca di rispondere affrontando, con metodo e misura, le fonti antiche riguardanti i martiri, affrontandole in modo costante con le esperienze martiriali del XX secolo, durante il quale generazioni intere rimasero segnate dalle guerre mondiali e dall'olocausto provocato dal nazionalsocialismo. L'accostamento puntuale e sistematico di questi due periodi storici, pur rimanendo rispettoso delle fonti, può generare nel lettore preparato due tipi di reazione: una di entusiasmo perché l'esperienza cristiana, di ieri e di oggi, si trova unita nella memoria grata di coloro che sono stati i semi di nuovi cristiani, secondo la celebre frase di Tertulliano, secondo la quale sanguis (martyrum) semen christianorum (Apolog. 50,13); l'altra reazione è quasi di perplessità inquieta per l'accostamento tra i martiri dei primi secoli e le esperienze martiriali del XX secolo che non sono sovrapponibili o assimilabili alle prime. Lo storico della chiesa, insomma, pur vedendo rispettate le fonti nella loro natura, rimane suggestionato dall'accostamento tra i testi di due così diversi periodi storici. […].

Superato il primo impatto che chiede una certa duttilità metodologica, il tentativo di cercare di disegnare una teologia del martirio, che abbracci i venti secoli cristiani, risulta piena di fascino, perché cerca di intravvederne lo sviluppo e un certo cammino progressivo. Ben consapevole anche dell'abuso, specialmente negli ultimi decenni, che si fa di questa parola 'martire', l’A. tuttavia cerca di mettere in luce alcuni tratti comuni, dinamici e progressivi, dell'esperienza martiriale.

Il libro è diviso in sei capitoli di diversa lunghezza. Nel primo l'A. cerca di contestualizzare il suo lavoro cercando di mettere in luce, in modo particolare, la scarsa rilevanza che il tema del martirio ha oggi nella vita e nella coscienza della riflessione teologica. Nel secondo capitolo, molto - forse troppo - breve, l'A. delinea per sommi capi l'eredità biblica e patristica del concetto di martire, dando spazio nel terzo capitolo alla descrizione di alcuni elementi caratteristici del martirio nella chiesa antica. Per ogni nucleo tematico l'A. accosta testi dei primi secoli con esperienze desunte dal XX secolo, in modo particolare dai campi di concentramento nazisti. Il quarto capitolo è tutto dedicato alla presentazione di una nuova immagine del martire nel XX e XXI secolo, soprattutto alla luce dei grandi testimoni tedeschi come F. Jägerstätter, D. Bonhoeffer, H.J. von Moltke, M.J. Metzger. Questo è il capitolo più interessante e provocatorio perché, trattandosi di persone di diverse confessioni cristiane, l'A. non teme di affermare che proprio la testimonianza di questi credenti in Cristo, pur formati in confessioni in conflitto tra loro, hanno potuto vivere, nella vocazione al martirio, un momento di comunione per l'unica chiesa di Cristo. Al quinto capitolo è affidato il compito di tratteggiare le linee portanti di una teologia del martirio: la confessione dell'unico Dio, creatore del mondo, un impegno per il regno di Dio e la sua giustizia, un costante sforzo di vivere l'amore a Dio e al prossimo, cercando anche di far vedere come questi tratti non appartengano solo ai testimoni della chiesa cattolica e protestante, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà. Questo allargamento a un più vasto orizzonte dell'umano è più affermato e auspicato che non avvalorato da testimonianze puntuali alle quali l'A. aveva abituato il lettore.

Il volume è suggestivo e merita tutta l'attenzione del teologo e dello storico perché, oltre a essere ben documentato, chiede di aprire la mente a ripensare l'immagine del martire alla luce della recente storia che ci ha preceduto, in modo particolare l'ultimo secolo, detto breve, ma che continua, nelle molte edizioni di guerre e dittature in tante parti della terra, a spargere il sangue di molte persone. Se il martirio è inquadrabile come conseguenza diretta della verità dell'incarnazione di Cristo, contro ogni tipo di intimismo spirituale e religioso, è vero che il martire non muore da solo ma coinvolge anche le persone legate a lui in questa testimonianza suprema a Cristo e al suo regno (cf. pp. 159-165). Provocante dal punto di vista ecumenico è l'affermazione secondo la quale «nei martiri comuni è presente la cristianità indivisa e la divisione della chiesa è superata fin da principio» (p. 188). Poiché le chiese cristiane, senza differenza di sorta, hanno i loro martiri, forse il cammino ecumenico dovrebbe ripartire da questa testimonianza suprema dell'amore a Cristo per ritornare a essere quell'unica chiesa che prolunga nella storia la presenza del Verbo incarnato.

Nel sesto e ultimo capitolo vengono enumerati i motivi di gratitudine che si devono avere verso i testimoni della fede, i quali non solo hanno il potere di guarire le comunità cristiane dalle loro divisioni e lentezze (p. 242), ma anche di nutrire la concreta speranza che Dio è ancora immerso nella nostra storia e la libera dalla prepotenza e dalla violenza con la fermezza di chi sa essere resistente nel bene.


M. Girolami, in Studia Patavina 1/2019, 159-161

Al termine del suo percorso sul senso della testimonianza di vita dei martiri, E. Schockenhoff – uno dei teologi morali più noti, anche grazie a diverse opere divulgative – riassume in quattro punti il “guadagno spirituale” che si può ricavare dalla memoria dei martiri. Anzitutto nel sacrificio della loro vita è contenuto il richiamo al realismo nei confronti del mondo, nel senso che il regno di Dio si trova continuamente confrontato con le potenze del male, con strutture inique, con un mondo dominato da logiche di potere e di violenza. In secondo luogo la memoria dei martiri è fonte di guarigione per la comunità, che si sente provocata a una testimonianza elevata ed esigente, da scegliere in modo coerente senza farsi tentare dalla via comoda del compromesso. In terzo luogo la testimonianza dei martiri mostra che la speranza cristiana non è semplicemente quella del miglioramento delle situazioni e delle istituzioni di questo mondo, ma è orientata verso Dio: rende presente la forza di Dio nella debolezza umana. Infine la memoria dei martiri è espressione del fatto che ancor oggi è necessario continuare la causa per la quale i martiri morirono, senza desistere (cf 241-246).

Dinanzi alla bruciante attualità della questione del martirio – spesso erroneamente inserita nel quadro della violenza religiosa e dell’intolleranza in nome di una fede concepita in modo fondamentalista – è necessario ripercorrere le ragioni teologiche che stanno alla base della concezione cristiana del martirio. Il testo di Schockenhoff si muove entro due coordinate storiche essenziali: la testimonianza delle origini cristiane di quelle che provengono dal Novecento, a ragione definito il “secolo del martirio” (A. Riccardi). Sono queste le due epoche in cui il fenomeno del martirio ha conosciuto la sua più ampia estensione e in cui ovviamente maggiori sono le testimonianze. Nella consapevolezza che molto diversi sono le forme e i contenuti in cui la testimonianza dei martiri si è espressa in questi due momenti della storia, Schockenhoff cerca tuttavia di istituire un confronto fra di essi, individuando alcuni tratti comuni, alcuni “motivi” che emergono dalla testimonianza dei martiri. Questi motivi, ampiamente accettati nella teologia del martirio, sono così elencati: il disprezzo dei dolori corporali; il disprezzo della morte; la speranza della vita eterna; la serenità, la tranquillità interiore e la calma del martire; la conformità fra convinzione e vita; il coraggioso comportamento del martire a sostegno della propria causa come segno di suprema libertà; il martirio come espressione di amore perfetto; la via della virtù e dell’ascesi come martirio incruento (cf 44-152).

L’originalità del testo di Schockenhoff consiste però nel tentativo di mostrare un’immagine nuova dei martiri a noi contemporanei (la più consapevole ricerca della pace e della giustizia, un ambiente familiare diverso rispetto a quello delle origini, l’apertura ecumenica, cf 153-208) e soprattutto nel proporre un “allargamento” del concetto di martirio nel senso già proposto da K. Rahner nel suo articolo del 1983 «Dimensioni del martirio. Per una dilatazione del concetto classico» (cf 209-236). Si tratta di un tentativo molto interessante che si può compendiare in tre dimensioni che dilatano il concetto tradizionale del martirio in odium fidei: l’impegno per il regno di Dio; la confessione dell’unico Dio creatore del mondo; l’unità dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo.

Mi pare che il testo di Schockenhoff appaia più interessante nella parte dell’analisi della testimonianza dei martiri (soprattutto quelli da noi poco conosciuti del Novecento tedesco) che nella sintesi teologica, non sempre persuasiva fino in fondo, anche se sempre molto stimolante. L’allargamento del concetto di martirio non solo è possibile, ma auspicabile, tenendo però presente che – come scrivevo nel mio testo sul martirio – si può parlare di martirio “inclusivo” «solo nel senso in cui al centro assoluto sta la Croce gloriosa del Figlio, la quale illumina ogni autentico dono di sé e giunge a estendere i suoi raggi anche su chi, pur ignorando la Croce di Cristo, muore per ogni giusto diritto dell’uomo» (Chiamati a seguire l’Agnello. Il martirio compimento della vita morale, EDB, Bologna 2007, 338n).


S. Zamboni, in Rassegna di Teologia 4/2018, 687-689

Enseignant à l’Univ. de Freiburg im Brisgau et rédacteur de nombreux ouvrages en théologie morale, l’A. aborde ici la question posée aujourd’hui par la théologie du martyre. En effet, la commission vaticane sur les «Nouveaux martyrs» a enregistré pas moins de 12.692 témoignages pour le xxe s. (cf. p. 7). Surtout, loin d’être uniformément favorables, les fidèles éprouvent une ambivalence pour ce sujet : les kamikazes djihadistes n’osent-ils pas s’autoproclamer martyrs ? Le martyr ne seraitil pas un utopiste ? Ne révèle-t-il pas notre tiédeur ? Ne valorise-t-il pas trop la mort ? Notre récente histoire n’invite-telle pas plutôt à la modestie ? (chap. 1).

Pour répondre à ces questions, l’A. interroge les débuts du christianisme où s’est formée la conception du martyre comme imitation du Christ et fécondité pour l’Église (chap. 2). Parcourant ensuite l’histoire subséquente de l’Église, il systématise sept fonctions éthiques du martyre (chap. 3) : certaines sont communes aux païens et aux chrétiens (la dépréciation de la douleur physique, celle de la mort, la sérénité, la conformité conviction-vie, le signe de la liberté suprême), d’autres propres aux chrétiens (l’amour parfait et la pratique héroïque de l’ascèse dans le martyre sans effusion de sang). Enfin, il analyse la nouvelle image du martyre aux xxe et xxie s. Elle présente trois particularités (chap. 4) : la motivation (outre les martyrs par haine de la foi, se rencontrent les martyrs de la paix et de la justice), la décision (l’implication du conjoint) et la «forme» ecclésiale (rapprochant les chrétiens, le martyre atteste l’Una Sancta in vinculis). Ces faits inédits invitent à interroger un possible élargissement de la notion de martyre, quant à la finalité (martyre de l’amour du prochain, de la justice et de la paix) et quant à l’extension (à tous les chrétiens, aux croyants, voire aux non-croyants), tout en la limitant au martyre pour le seul «bien humain ordonné à Dieu» (p. 232).

Tout en saluant l’importance, la concrétude (des temoignages actuels émaillent le texte) et la grande clarté du propos, nous nous accordons le droit de donner du martyre une définition moins floue – celle de l’A. n’est pas sans accointance avec la théorie rahnérienne du «chrétien anonyme» – et plus christologique, donc plus ecclésiologique – comme celle développée par Balthasar notamment dans Cordula (p. 210-212).


P. Ide, in Nouvelle Revue Theologique 140/4 (2018) 692-693

Los mártires son más un fenómeno de hoy que un recuerdo de ayer. O mejor: en todos los tiempos, incluso en el presente, siempre ha habido cristianos que han afrontado libremente la muerte por su fe y por su empeño por la justicia. De estos testigos de la fe nos llega una pregunta inquietante: Quésignificado tiene el martirio para la vida de una iglesia mundial y para el testimonio del evangelio? Es suficiente poner la propia vida al servicio de una causa por la que morir? Y si uno decide darse en sacrificio voluntario, esto tiene que tener un sentido para los demás, para la fe y la vida de todos los cristianos? Finalmente: Qué es lo que distingue a un mártir de un fanático kamikaze? Con estas preguntas de fondo el autor Eberhard Schockenhoff, doctor y profesor de teología moral en la Universidad de Friburgo (Alemania) pretende, y lo consigue admirablemente, elaborar una teología del martirio.


J.L. Vázquez Borau, in Actualidad Bibliográfica 1/2018, 104-105

L’opera di Schockenhoff sul sacrificio dei martiri è una ricerca volta a rilevare i caratteri essenziali del martirio; per questo presta attenzione alla ricostruzione storica di quegli eventi nei quali i cristiani hanno risposto alle persecuzioni della loro fede con il dono della vita. L’A. afferma di voler capire se la scelta volontaria di morire, da parte del martire, «abbia un senso per gli altri, per la fede e la vita di tutti i cristiani e della chiesa intera» (p. 7). Così parte dalle origini dell’idea di martire cristiano per giungere fino ai nostri tempi ed esaminarne gli elementi nuovi.

La ricerca inizia con una domanda fondamentale, che l’A. considera fortemente provocatoria per l’odierna visione della fede e per il pensiero teologico: «Perché in tutti i tempi ci furono cristiani che accettarono volontariamente la morte per la loro fede?» (p. 9). La risposta richiede un excursus storico dai primi secoli del cristianesimo ad oggi e, sotto questo aspetto, l’opera si presenta generosa sia nel saper indicare le situazioni e il pensiero dominante delle diverse epoche, sia nel voler raccontare vicende particolari di ognuna di esse.

Da questo sguardo storico si passa a riflessioni teoretiche riguardanti le caratteristiche umane del martire e la sua personale convinzione che esiste qualcosa di più alto della propria vita. Questi elementi costituiscono l’oggetto principale della teologia del martirio, che deve essere in grado di dare una risposta anche alle eventuali obiezioni che le possano essere rivolte. Una fra queste consiste nel voler attribuire al martire, e alla stessa teologia del martirio, un’errata valutazione della vita e della morte, in quanto risulterebbe più saggio conservare la propria vita per continuare a impegnarsi per il Regno dei cieli e la sua giustizia, al servizio delle persone bisognose. Ma è proprio la disponibilità del martire a subire la morte per la propria fede ad assegnare alla sua testimonianza una credibilità distintiva. Risulta altrettanto chiaro che «l’essere uccisi come tale non basta per poter parlare di martirio, poiché la morte come avvenimento esterno può essere cercata o accettata per ragioni molto diverse. Di per sé la morte non è qualcosa di meritorio, ma un male che solamente nel contesto di una situazione di persecuzione acquista la dimensione di dimostrazione della propria convinzione di fede» (pp. 121 s). Così il martire si distingue per l’amore che vuole testimoniare nell’accettare volontariamente la morte.

Non si possono conoscere i motivi ultimi che spingono i martiri a morire: essi restano un mistero, in quanto sono racchiusi nei loro cuori, ma non si può prescindere dalle parole di Gesù per avvicinarsi al senso di questa scelta. Infatti, quando egli dice: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13), indica come debba manifestarsi pienamente l’amore. E il martire è condannato a morte per l’amore verso il Padre e la confessione del suo Figlio. Egli sente una forza speciale dentro di sé, e la sa ricondurre alla presenza in lui di Cristo stesso, in quanto, come Cristo, egli viene accusato e attende la propria morte.

In riferimento ai martiri del XX e XXI secolo, Schockenhoff rileva come elemento storico caratteristico il fatto che, per la maggior parte di loro, la condanna sia stata decretata a motivo delle conseguenze che la loro identità cristiana aveva prodotto nella sfera pubblica. In nome dell’amore che nutrivano per Cristo, queste persone sono entrate in conflitto con i potenti, perché hanno perseguito sul piano sociale la pace, la giustizia e la solidarietà verso i poveri e gli oppressi. «Siccome non limitavano la loro fede al ristretto ambito della vita religiosa, ma la confessavano pubblicamente e ne facevano il principio della loro azione politica, entrarono in un conflitto mortale con le ideologie totalitarie e i sistemi di governo del loro tempo» (p. 157). Questa caratteristica delle recenti cause del martirio cristiano era stata giustificata teologicamente già nel XIII secolo da Tommaso d’Aquino, il quale ha scritto nella Summa Theologiae: «Il bene dell’uomo può diventare bene di Dio, se viene riferito a Dio. Perciò ogni bene umano, se riferito a Dio, può essere ragione del martirio» (II-II, q. 124, a. 5, ad 3). Pertanto, i testimoni della fede di ogni epoca dimostrano di accettare liberamente la volontà di Dio, nonostante i pericoli per la propria vita, in virtù dell’amore di Cristo e per Cristo.


V. Pelliccia, in La Civiltà Cattolica 4031 (2 giugno 2018), 505-507

Numerose pubblicazioni hanno documentato quanto il Novecento sia stato un secolo contrassegnato dal sangue dei martiri. Giovanni Paolo II, nel 1994, stupendo anche il mondo cattolico, parlò di una nuova «chiesa di martiri» che riportava ai primi secoli del cristianesimo. La denuncia si trova nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente. Oggi non passa mese senza che arrivino informazioni su credenti uccisi per la loro fede. Eppure, un fenomeno così cruento e ricorrente scivola nell'indifferenza. Perché? Papa Francesco leva la sua condanna, ma c'è un silenzio tra i credenti, soprattutto in Occidente, condizionato da un cambiamento culturale profondo. Sembrano dimenticate o non si comprendono più le ragioni esistenziali del martirio: il "bene assoluto" non è la propria vita, ma l'amore di Cristo «via, verità e vita». Una fede così inaugura e modella uno stile di vita nuova fatto di moralità, condivisione dei drammi umani, esercizio della giustizia, costruzione di una società libera. La modernità ha scardinato l'unità del cristianesimo scavando una separazione profonda tra orizzonti fondativi della persona e progetti soggettivi, tra appartenenza e individualità. Da qui lo scetticismo e la frammentazione cui si è aggiunto l'edonismo.

Non solo, un ulteriore e più recente fenomeno incrementa la rimozione del martirio: si tratta dell'usurpazione politica del concetto di martire da parte del terrorismo islamico. Il kamikaze, che uccide in nome di una presunta vendetta divina, oscura il testimone che per affermare Dio e non abiurare si consegna alla morte. L'immagine di seminatore di morte si sostituisce a quella di palma di giustizia e pace.

Eberhard Schockenhoff, professore di teologia morale alla Albert-Ludwigs-Universit 0228t di Friburgo, nel saggio Fermezza e resistenza, edito da Queriniana scrive: «L'alta stima della vita e il rifiuto a subordinarla a qualche altro valore è il risultato dell'esperienza epocale di come si possa fare cattivo uso di parole come nazione e comunità, autorità e fedeltà, persino democrazia e libertà». Se tra il popolo dei fedeli si perdono le coordinate dell'essenza cristiana, forse è giunto il momento di riscoprire la «teologia del martirio» che porti a riflettere sulla natura della testimonianza che ha come suo vertice l'imitazione di Cristo. I Padri della Chiesa hanno molto ragionato su questi aspetti. Cosa si offre oggi all'uomo moderno? Fermezza e resistenza avvia questo lavoro di riflessione con un approfondito recupero della storia dei primi secoli dove spiccano le ragioni del disprezzo della morte, la serenità, la tranquillità interiore, il coraggio, la vita virtuosa.

I recenti episodi di chiese bruciate, esecuzioni, sequestri, rilanciano la domanda: perché un credente è disposto a morire? Il suo destino ha un senso per me? E per gli altri? Il saggio entra in questi provocatori interrogativi e si divide in due parti: una ripercorre i primi secoli, l'altra la contemporaneità dove alla riflessione sul significato del martirio concorrono esperienze da tutta la cristianità e da altri credi religiosi. Il martire diventa spesso l'uomo della pace e della giustizia.

Hans Urs von Balthasar ha cercato di definire lo specifico della morte volontaria per Cristo arrivando a scrivere che il martirio rappresenta il caso estremo della disponibilità richiesta a ogni cristiano, per mezzo della quale egli lascia avvenire in sé il miracolo dell'amore di Dio. Il grande teologo svizzero differenzia il martirio cristiano da tutti gli altri atti di eroico sacrificio di sé. Schockenhoff prosegue nella ricerca aprendo nuove domande e fissa quattro "guadagni" che si traggono dalla memoria dei martiri: un sobrio realismo nei confronti del mondo; una forza di guarigione per la comunità; una speranza combattiva ma sempre orientata a Dio massimo compimento dell'uomo; una testimonianza che non desiste nella "dedizione" proprio in nome di chi ha donato la vita.


G. Santambrogio, in Il Sole 24 Ore 6 maggio 2018

Perché in tutti i tempi ci furono cristiani che accettarono volontariamente la morte per la fede? Questa domanda può e deve veramente inquietare. Eberhard Schockenhoff non lascia questa domanda senza risposta ma vi dedica una riflessione sensibile e attenta nel volume Fermezza e resistenza. La testimonianza di vita dei martiri.

Secondo l'a., «il fatto che esistano delle persone che preferiscono sacrificare la loro vita per poter restare fedeli alle loro convinzioni ha in sé qualcosa di consolante, ma al tempo stesso anche di profondamente irritante» (24).

Due accorgimenti sono necessari per fare una riflessione più precisa sul martirio:

- sottrarre i martiri «dalla sfera puramente edificante e leggendaria e vederli per quello che essi volevano essere nella loro vita, alla quale furono attaccati, come ogni essere umano, con tutte le fibre della loro esistenza» (9);

- ripulire l'idea di martirio dall'inquinamento avvenuto a causa di un terrorismo che chiama martirio il procurarsi la morte procurandola agli altri.

Superati questi due modelli elusivi del vero senso del martirio, ci troviamo davanti a figure impegnative, persone che «agiscono come ammonitori scomodi, perché si pongono di traverso a tutte le tendenze di minimizzazione che svuotano e svalorizzano lo scandalo della croce su cui si fonda il cristianesimo» (21).

I martiri, amando la loro vita e considerandola come un grande valore, si trovano dinanzi alla grande scelta di misurarsi con la coscienza, eco della voce di Dio. Uno dei tanti esempi riportati dall'a. è quello di Nikolaus Gross, uno dei partecipanti all'attentato del 20 luglio 1944. Padre di sette figli, confessò la sera prima della progettata congiura: «Se oggi noi non mettiamo a repentaglio la nostra vita, come possiamo poi presentarci a Dio e al nostro popolo?».

Giovanni Paolo Il ci ha ricordato che il XX secolo è stato il secolo dei martiri, un secolo in cui sono morti più cristiani per la loro fede di quanto ne siano stati martirizzati in 19 secoli. La chiesa in generale, e la chiesa cattolica in particolare, si conferma come «chiesa di martiri».

Chi è il martire allora?

«Un martire non è un virtuoso che eroicamente disprezza la morte, ma una persona debole nella quale si manifesta l'azione della grazia di Dio» (33). ln Cristo si manifesta il volto del primo martire. Prima di Stefano lui è il protomartire. Il martirio, allora, diventa un'imitazione di Cristo. I martiri - per usare termini paolini - sono «imitatori di Dio e imitatori di Cristo». I martiri imitano Cristo non solo nella testimonianza dell'amore, ma anche nello sperimentare la debolezza e l'eclissi di Dio nella storia. Un esempio è quello di padre Alfred Delp. Testimonia così un'agonia simile a quella di Cristo: «Una notte, era poco dopo il 15 agosto, ero quasi disperato. Venni riportato in cella la sera tardi, dopo essere stato brutalmente bastonato. Gli uomini delle SS che mi accompagnarono mi lasciarono dicendo: "Così questa notte non riuscirà a dormire. Pregherà e nessun Dio e nessun angelo verrà a liberarlo. Noi invece dormiamo bene e domani presto riprenderemo a bastonare"». Delp scriverà: «Penso a come ho combattuto tutta la notte col Signore Dio e nel pianto gli ho presentato semplicemente la mia pena. E solo verso la mattina sono stato preso da una grande tranquillità, da un senso beatificante di calore e luce e forza al tempo stesso, accompagnato dalla conoscenza che dovevo resistere, e benedetto dalla certezza che avrei resistito».

Cosa fa la grandezza di un martire?

La morte in sé non ha niente di meritorio. La grandezza del martire viene da altro: «Fin dall'inizio la teologia cristiana del martirio si attenne al fatto che non la morte come tale rende martire il martire, ma solamente la testimonianza dell'amore che si mostra nella disponibilità ad accettare volontariamente la morte» (122).

La convinzione che è l'amore e non la morte o il dolore a qualificare il martirio è ben espressa da Agostino: Christi martyrem non facit pena, sed causa. Un vero martire è colui nel quale è premiata la carità. Non è la sofferenza che conta, ma il perché e il come si soffre. Padre Alfred Delp maturerà questa convinzione che qualificherà il suo martirio: «Una persona è grande quanto il suo amore».

Considerando i martiri del XX secolo, specie quelli morti sotto il nazismo, l'a. mostrerà lo spostamento del baricentro del martirio. Esso si muove sempre più dall'ambito religioso verso quello etico-sociale dell'impegno per la pace e la giustizia. Questo trend prosegue nel XXI secolo.

L’ecumenismo dei martiri

Schockenhoff vede nel martirio un vincolo ecumenico: l'una sancta in vinculis, un'unità ecumenica nell'impegno per l'uomo. In questo si trova d'accordo con Giovanni Paolo II che ha invitato a stilare un «martirologio comune» delle chiese cristiane, scrivendo nella Lettera enciclica Ut unum sint: «La testimonianza coraggiosa di tanti martiri del nostro secolo, appartenenti anche ad altre Chiese e Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica, infonde nuova forza all'appello conciliare e ci richiama l'obbligo di accogliere e mettere in pratica la sua esortazione. Questi nostri fratelli e sorelle, accomunati nell'offerta generosa della loro vita per il Regno di Dio, sono la prova più signincativa che ogni elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla causa del Vangelo».


R. Cheaib, in Theologhia.com 12/2017

Che si muoia uccidendo o che si affronti la morte per salvare altri, oggi purtroppo non fa più differenza: sempre «martiri» si è detti, allargandone in modo equivoco il significato originario. È una delle più evidenti difficoltà - ma non l'unica, come ben spiega il primo capitolo di questo libro - da superare per affrontare la questione del martirio senza cadere in semplificazioni strumentali.

«Le riflessioni di questo libro provano a mettere in relazione le testimonianze di fede del cristianesimo delle origini, quando per la prima volta la Chiesa cerca di rendersi conto del senso del sacrificio della vita dei suoi martiri, con le testimonianze di riconosciuti testimoni della fede nel presente». Nel secondo capitolo, pertanto, l'autore mostra come nel primo cristianesimo l'elemento caratteristico della morte non era accentuato in sé ma in funzione dell'imitazione di Cristo e del «guadagno» per la Chiesa, elementi passati paradossalmente in secondo piano.

Nel terzo capitolo si analizzano quindi alcuni elementi filosofici che hanno influenzato la narrazione cristiana del martirio, ad esempio il disprezzo dei dolori corporali o il coraggio come espressione di libertà; l'autore ricostruisce le origini di queste caratteristiche, ne mostra l'assunzione critica nelle agiografie dei primi secoli e le mette a confronto con i diari, le lettere e le testimonianze dei martiri cristiani del XX secolo.

L'ultimo capitolo è dedicato proprio alla nuova immagine di martire emersa dalle persecuzioni messe in atto da parte dei totalitarismi e dei sistemi di potere basati sull'ingiustizia strutturale, tipici dell'ultimo secolo (Massimiliano Kolbe, Oscar Romero, i martiri coreani...).

Tra i tanti spunti interessanti che rendono la lettura di questo volume molto preziosa, mi permetto di segnalarne uno. Il martirio nasce come segno che mostra l'unione del discepolo a Cristo: il gesto è di una tale portata, che la comunità cristiana lo considera pari al Battesimo; il martire è cristiano. Da un certo punto in avanti, la logica si è spostata fino a rovesciarsi: si è martiri «legittimi» solo se appartenenti alla comunità che professa la vera fede, con tutta la diatriba confessionale a distorcere il punto di vista.

Il XX secolo ha riportato l'ottica verso il regno di Dio. Esistenze come quelle del protestante Dietrich Bonhoeffer o del cattolico Max losef Metzger hanno cioè anticipato ciò che papa Francesco ha sintetizzato così: «I martiri di oggi danno testimonianza di Gesù Cristo e vengono perseguitati e uccisi perché cristiani, senza fare distinzione, da parte dei persecutori, tra le confessioni a cui appartengono. Sono cristiani e per questo perseguitati. Questo è, fratelli e sorelle, l'ecumenismo del sangue».


M. Ronconi, in Jesus 11/2017, 90-91

«Perché in tutti i tempi ci furono cristiani che accettarono volontariamente la morte per la loro fede?»: è la drammatica domanda che si legge nella Premessa del bel libro Fermezza e resistenza. La testimonianza di vita dei martiri (Queriniana, pp. 258, euro 24,00) che fa subito comprendere il significato di questo lavoro, opera del prete tedesco Eberhard Schokenhoff, docente di teologia morale presso l’Università di Friburgo. In esso il lettore troverà infatti un’attenta analisi del fenomeno del martirio che ha costantemente caratterizzato la storia della Chiesa.
Dopo un capitolo introduttivo, nel quale l’autore si sofferma a delucidare i motivi per cui la figura del martire ci interroga e ci inquieta, troviamo alcune dense pagine dedicate a spiegare l’origine della concezione del martirio nel primo cristianesimo, a partire dal concetto biblico di testimone e dal valore della morte dei martiri come imitazione di Cristo e come guadagno per la Chiesa.
Nella parte centrale del volume l’attenzione del lettore è richiamata su vari aspetti che concorrono a delineare la funzione etica del modello dei martiri: il disprezzo dei dolori corporali e della morte, la serenità interiore, la piena coerenza tra le proprie convinzioni e la vita vissuta, il comportamento coraggioso, la consapevolezza d’immolarsi per amore.
Particolarmente illuminanti risultano alcune riflessioni sul tema della via della virtù come martirio incruento. Molto interessante è il quarto capitolo, nel quale Schokenhoff tratteggia la nuova immagine del martire affermatasi nel XX e XXI secolo, sottolineando in particolare il fatto che nell’epoca contemporanea si ha un importante spostamento del baricentro che comporta l’inclusione, nella figura e nell’esempio del martire, dell’azione nella sfera pubblico-politica, nella quale deve irradiarsi la sua testimonianza.
L’autore dedica il quinto capitolo a delucidare il concetto allargato del martirio nella teologia attuale, mentre nell’ultima parte del volume viene posto l’accento sulla rilevanza della riconoscenza che deve essere nutrita nei confronti del martire. Fra i numerosi motivi che ci spingono a questo, Schokenhoff annovera la chiarezza dell’esempio con il quale i martiri «testimoniano che la speranza cristiana, per quanto essa ispiri la lotta per un mondo migliore, alla fine non si esaurisce nel miglioramento delle situazioni esterne, in questo o quel cambiamento del mondo, ma è orientata a Dio stesso come il massimo compimento dell’uomo».
M. Schoepflin, in Toscana Oggi 15 ottobre 2017

La nostra epoca assiste a un ritorno dei martiri: 12.692 nella Chiesa mondiale durante il XX sec., più di 10.000 in Corea dall’Ottocento a oggi. Serve una nuova teologia del martirio cristiano che lo distingua dalle forme improprie di martirio oggi presenti e ne ricomprenda il senso e le specificità alla luce delle tante nuove autentiche testimonianze. Il libro affronta questo compito prima attraverso una fenomenologia dei principali aspetti del martirio delle origini del cristianesimo, che ritornano in alcune testimonianze di martiri del XX sec., poi con un breve excursus sulla loro evoluzione nel Medioevo e nell’età barocca, infine con un’estesa disamina delle specificità che ha il martirio oggi: lo spostarsi della causa dal piano della fede a quello delle azioni nel campo della sfera pubblica, il coinvolgimento dei famigliari nella sua sofferta scelta, il suo carattere ecumenico. È necessario, si conclude, allargare il concetto di martirio cristiano a quei casi che, anche al di fuori delle Chiese cristiane, hanno queste caratteristiche.


L. Bosi, in Il Regno Attualità 18/2017