Uno degli esempi più clamorosi è quanto avviene in alcune scuole in occasione del Natale: nelle recite e nei canti insegnati ai bambini invano troverete il nome del festeggiato, Gesù Cristo. Ma del resto sono gli stessi contesti in cui da tempo la nascita del bimbo di Betlemme è stata rimossa con la più "accettabile" e generica "festa della luce". E verrà magari il giorno in cui sarà bandito anche lo stesso termine inglese "Christmas", che ha in sé il riferimento al Cristo. Sono soltanto alcuni segnali di una cultura che tende a relegare ormai la fede in un ambito soltanto privato in nome dell’ideologia oggi più diffusa, quel politicamente corretto che contagia anche i credenti.
Al punto che diventa controcorrente anche solo per il titolo il saggio Uscire allo scoperto. Perché non bisogna nascondere la propria fede (Queriniana, pagine 240, euro 25) a firma di Mauritius Wilde, teologo e monaco benedettino, attualmente priore di Sant’Anselmo a Roma. «Spesso come cristiani facciamo di tutto per non dare nell’occhio - osserva l’autore - e ci mimetizziamo». Ci guardiamo bene dal manifestare all’esterno il nostro credo perché «abbiamo una certa paura, e forse ci vergogniamo addirittura un po’. È come se avere una fede, o forse addirittura "aver bisogno" della fede, fosse una sorta di debolezza».
Eppure le Scritture dovrebbero infondere una buona dose di coraggio, se è vero, come annota padre Wilde, che la Bibbia contiene 365 volte l’espressione: «Non avere paura!», cioè una per ogni giorno dell’anno. Scrive il monaco: «Il messaggio centrale dell’Antico Testamento è infatti: Tu, Israele, hai un Dio che ha stretto un’alleanza con te. E quello del Nuovo Testamento: Tu, uomo, hai un Dio che puoi chiamare "Abbà", Padre buono, e che ha perdonato tutte le tue mancanze per mezzo di Cristo».
Abbiamo insomma le spalle ben coperte, ma ciò nonostante la nostra testimonianza è spesso pavida e impallidisce di fronte a quei cristiani che invece anche oggi sono disposti a farsi crocifiggere pur di non rinnegare l’amicizia con Cristo. Dalla Cina alla Turchia, per non parlare della Corea del Nord comunista, sono tanti i luoghi di martirio ancora attuali. Perché sono disposti a rinunciare alla propria vita pur di annunciare Gesù?
È la domanda che dovrebbe spronare anche noi in una società in cui la fede cristiana «sta evaporando del tutto» asserisce l’autore. Quando invece testimoniare la resurrezione di Cristo, di uno cioè che ha vinto la morte, ha a che fare con la vita e il destino di ogni uomo. La stessa ragione per cui nella storia si è intravista una "differenza" cristiana. Se perfino uno mai tenero con la Chiesa come lo scrittore Heinrich Böll - fa notare padre Wilde - ha scritto: «Preferirei persino il peggiore dei mondi cristiani al miglior mondo pagano, perché in un mondo cristiano c’è posto per coloro ai quali nessun mondo pagano ha mai lasciato posto: per storpi e malati (…). Io credo in Cristo e credo che milioni di cristiani su questa terra potrebbero cambiare il volto del mondo. Suggerisco alla riflessione e all’immaginazione dei nostri contemporanei di figurarsi in un mondo in cui non ci fosse stato Cristo».
A. Giuliano, in
Avvenire 2 gennaio 2020, 20