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Ebrei e cristiani
Walter Kasper

Ebrei e cristiani

L’unico popolo di Dio

Prezzo di copertina: Euro 22,00 Prezzo scontato: Euro 20,90
Collana: Giornale di teologia 448
ISBN: 978-88-399-3448-2
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 192
Titolo originale: Juden und Christen – das eine Volk Gottes
© 2023

In breve

«Mi auguro che questa pubblicazione possa stimolare a opporsi, con tutte le forze, all’antisemitismo che purtroppo ancora divampa. Ho il piacere di dedicare il libro agli amici ebrei che ho potuto incontrare e con i quali ho avuto l’onore di collaborare» (Walter Kasper).

Descrizione

Dinanzi all’antisemitismo che periodicamente divampa, il presente saggio del cardinal Kasper è di grande rilevanza per alimentare stima e attenzione reciproche fra ebrei e cristiani. In questo libro il teologo e pastore sviluppa idee nuove per l’ulteriore intensificazione del dialogo, dopo la catastrofe della shoah, affinché ebrei e cristiani assieme possano rendere testimonianza di un Dio che cammina con gli esseri umani.
Ne risulta un contributo appassionato a favore del dialogo ebraico-cristiano: qui la confessione dell’unità di ebrei e cristiani risuona come un’affermazione dogmatica di altissimo livello.

«Sollecitato a ripensare agli anni nei quali sono stato responsabile del dialogo internazionale tra ebrei e cristiani, ho raccolto i contributi più importanti di quel periodo e li ho integrati con ricerche e considerazioni che mi si sono delineate nel frattempo» (Walter Kasper).

Recensioni

Dio si è scelto un popolo per rivelarsi e per renderlo segno di speranza nel mondo: questa è l'originale e irrevocabile chiamata di Israele. I cristiani sono nel solco di questa stessa chiamata, per il dono di aver conosciuto e riconosciuto in Gesù il compimento delle promesse fatte da Dio «ad Abramo e alla sua discendenza».

Il saggio del cardinale Walter Kasper vuole essere la rilettura e la sintesi del suo lungo percorso di studi e riflessione teologica, in particolare nel periodo in cui è stato presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani e delle relazioni con l'ebraismo (1999-2010). Teologo di grande spessore, autore di testi importanti sia dal punto di vista della teologia sistematica sia circa il dialogo interreligioso, il cardinal Kasper delinea in questo testo gli assi portanti per un dialogo fra ebrei e cristiani fecondo e fondato. Egli stesso dirà: «Sono stato sollecitato a ripensare agli anni nei quali sono stato responsabile del dialogo internazionale tra ebrei e cristiani, ho raccolto i contributi più importanti di quel periodo e li ho integrati con ricerche e considerazioni che mi si sono delineate nel frattempo».

L'Autore ripercorre gli aspetti storici e teologici di un dialogo e di una stima reciproca che vanno sempre più approfonditi e rinsaldati, anche alla luce del disastro della Shoà e delle ideologie antisemite, a volte purtroppo ammantate da motivazioni religiose.

È un volume importante, per chi desidera approfondire scientificamente questo argomento, sia in vista della Giornata per il dialogo fra ebrei e cattolici (17 gennaio)sia per difendersi dai rigurgiti antisemiti sempre più violenti a causa delle tensioni attuali in Medio Oriente, in cui l'aspetto politico e quello religioso si fondono pericolosamente.


A. Passiatore, in La Vita in Cristo e nella Chiesa 1/2024, 64

In quest’opera, il cardinale Walter Kasper raccoglie le riflessioni elaborate durante il suo incarico di presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. L’A. guida il lettore verso una conoscenza puntuale degli eventi storici che hanno influito su un difficile rapporto tra ebrei e cristiani, ma sottolinea la differenza tra le conflittualità scaturite da interpretazioni teologiche e l’antisemitismo razzista, fondato su pseudo-affermazioni biologiche sostenute dal nazionalsocialismo nel XX secolo.

Kasper afferma infatti che è da giudicare come vera follia la ricerca del dominio mondiale della razza ariana. In questa delirante ricerca da parte del nazionalsocialismo l’A. vede anche un grave errore di carattere escatologico, in quanto, con la persecuzione degli ebrei, «il nazionalsocialismo negò in definitiva il piano di salvezza di Dio e, con la ristrutturazione e la riorganizzazione pianificata di un’Europa senza ebrei, mise al posto di Dio e del suo piano di salvezza la razza compresa come biologicamente primitiva» (p. 70). In pratica, lo sterminio degli ebrei portava all’annientamento del cristianesimo, che vedeva distruggere le sue radici.

Purtroppo però un antecedente antigiudaismo teologico aveva in qualche modo contribuito a «seccare le radici ebraiche del cristianesimo» (p. 72), e di conseguenza i cristiani non furono forti nel ribellarsi e resistere al crimine della Shoah. Risulta pertanto oggi necessaria una rielaborazione dei rapporti tra ebrei e cristiani, per saper rispondere alle scelte e alle azioni mancate o limitate fatte dai cristiani durante gli eventi della Seconda guerra mondiale: tutto questo in vista di una nuova relazione che qualifichi in meglio il presente e il futuro.

Il primo passo che la Chiesa ha compiuto verso tale fine è stato quello di un cambiamento teologico fondamentale nel rapporto tra ebrei e cristiani. Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi per questo nuovo inizio mediante la dichiarazione Nostra aetate (1965), che è stata accompagnata anche da un atteggiamento di riconciliazione da parte dei Papi del dopo Concilio, i quali hanno tutti promosso un consolidamento dell’amicizia con gli ebrei.

Kasper si sofferma più volte sul ruolo centrale che ha ricoperto san Giovanni Paolo II per tale cammino di riconciliazione, e in un passaggio scrive: «Giovanni Paolo II ripeté continuamente che il popolo ebraico è il popolo eletto e amato da Dio, il popolo dell’alleanza (Rm 11,28-29) che Dio non ha mai ritirato per la sua fedeltà e che quindi è ancora valida» (p. 144).

L’insegnamento di Paolo: «I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili» (Rm 11,29) è determinante per il dialogo ebraico-cristiano ed è entrato a far parte dell’insegnamento cristiano mediante il riferimento a esso nel Catechismo della Chiesa cattolica (cfr n. 839). La dottrina della fedeltà di Dio nei confronti del popolo dell’alleanza può essere compresa pienamente, secondo Kasper, se la collochiamo nel contesto più ampio dell’unica storia dell’alleanza di Dio con l’umanità (cfr p. 74). La Nuova Alleanza non cancella i patti precedenti, bensì li porta a compimento.

Riguardo a questo cammino di dialogo, l’A. espone diverse considerazioni personali e propone modelli di studio, come quello della «rappresentanza», che riconosce l’ebraismo contemporaneo e il cristianesimo quali segni reciproci del giudizio e della grazia divini. Inoltre suggerisce la conoscenza di modelli classici della Patristica e della prima Scolastica, con l’intento di recuperare formule adeguate, come, ad esempio, quella di Agostino, per la quale Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus in Novo patet («nell’Antico Testamento è nascosto il Nuovo e nel Nuovo è manifesto l’Antico») (p. 102).


V. Pelliccia, in La Civiltà Cattolica 4161 (4/18 novembre 2023) 303-304

Un libro, definito dalla critica must read, proprio perché attinge alle fonti primarie in cui lo stesso cardinale W. Kasper fu attore, quindi frutto di esperienza diretta e personale. Occhio aperto sulla realtà del dialogo ebraico-cristiano che l'autore motiva nettamente: «Vorrei affrontare alcune questioni che mi si pongono dinanzi quasi dieci anni dopo aver lasciato il dialogo ufficiale. Vorrei solo limitarmi a individuare dei singoli punti, senza presentare nuove ricerche».

Lo sguardo però di chi è stato punto di riferimento autorevole risulta essenziale: «La discussione sul corso quasi sempre drammatico della storia delle relazioni tra ebrei e cristiani e sul dialogo che è stato ripreso recentemente dopo il disastro della shoah hanno avuto un nuovo e felice impulso negli ultimi anni. Questo mi ha sollecitato a ripensare agli anni tra il 1999 e il 2010, nei quali sono stato responsabile del dialogo internazionale tra ebrei e cristiani, e a raccogliere i contributi più importanti di questo periodo e a integrarli con ricerche e considerazioni che mi si sono delineate nel frattempo».

li filtro dell'opzione per gli otto interventi prescelti, è stato così espresso e chiarisce la loro successione: 1. Ebrei e cristiani. Un nuovo inizio dopo la catastrofe della shoah; 2. Ebrei e cristiani. L'unico popolo di Dio; 3. Note sul questionario per il progetto "Ebraismo nell'insegnamento cattolico della religione"; 4. La notte del pogrom del Reich e l'indifferenza; 5. Ebrei e cristiani, fianco a fianco; 6. Discorso per la "Settimana della fraternità" di Monaco del 2007; 7. Nostra Aetate e il futuro del dialogo tra ebrei e cristiani; 8. Punti teologici chiave nel dialogo tra ebrei e cristiani.

Oggigiorno serpeggiano iniziative antisemite che costringono a riflettere, questi otto interventi potranno offrire una chiave di interpretazione e di superamento.

Il periodo storico che ci siamo lasciati alle spalle, segnato dalla II guerra mondiale, presenta una sorta di contraddizione o aporia nei termini di distruzione e di creazione: «Il XX secolo è stato il secolo della shoah, che voleva sradicare l'ebraismo. È stato anche il secolo in cui, del tutto inaspettatamente, è accaduto qualcosa di contrario alla shoah, ossia l'ambientazione di Gesù nell'ebraismo». Lo sguardo dal passato, in retrospettiva personale, si proietta sul futuro; ridefinisce i problemi emersi e si posa su Gesù come ebreo, Luce per le genti e gloria d'Israele. Egli, ebreo, fu circonciso all'ottavo giorno, per secoli la Chiesa ha festeggiato questo giorno, non solo rilevando la sua origine etnica ma per coglierne la rilevanza teologica "come segno di perenne legame dei cristiani con il popolo dell'antica alleanza".

li tracciato storico dell'iter del rapporto fra cristianesimo nascente ed ebraismo si presenta, nel corso delle pagine, in linearità ed evita omissioni che facciano incappare in carenza di obiettività storica, mentre annunciano una coscienza coraggiosa, per quanto grava sui cristiani: «La distinzione fra cristianesimo ed ebraismo è emersa solo dopo il Nuovo Testamento in un processo che si protrae nel III-IV secolo». Costantemente affiora il processo di mutua demarcazione nella «questione controversa se Gesù fosse il Messia profetizzato dall'Antico Testamento, cioè il Cristo e il Figlio di Dio».

Serenità e calma non caratterizzarono questo periodo, anzi si acuirono i dissensi: «L'ebraismo e il cristianesimo, per così dire, la volontà di demarcazione e il conflitto ce l'avevano nel sangue, e li accompagnarono lungo tutto il loro cammino nel corso della storia». Furono gettati quindi i semi che, nello scorrere del tempo, avrebbero comportato «molte conseguenze tristi e fatali nella successiva storia ebraico-cristiana».

Nel percorso W. Kasper sosta sulla Lettera di Barnaba in cui «la continuità di promessa e di adempimento, che è fondamentale solitamente per il Nuovo Testamento, è sostituita dalla rottura nella storia della salvezza. Prende piede cosl la teoria della sostituzione. Secondo essa il cristianesimo ha diseredato l'ebraismo e il suo posto è stato preso dalla Chiesa come il nuovo popolo di Dio».

L'esegesi di Mt 26,28, nella riflessione di W. Kasper, acquista una portata esegetica e dinamica per cristiani ed ebrei e sul loro dialogo attuale. Si legge nel Vangelo che il sangue di Gesù è stato versato "per molti" cioè per tutti, compresi gli ebrei quindi.

La concatenazione del pensiero conduce alla corretta interpretazione a partire dalle parole della Cena di Gesù: "Questo è il sangue dell'alleanza, che è versato per molti". Quale la tonalità e l'asserzione di queste parole? Kasper non esita: «Quell'esclamazione non accusa gli ebrei, ma accusa noi come cristiani perché, invece di interpretarla come un messaggio di salvezza, l'abbiamo interpretata per secoli come una maledizione per il popolo ebraico». Si impone un interrogativo che non si può eludere: è possibile uscire dall'intrico delle vicende storiche che segnano la vita della Chiesa?

La strada indicata, con lucida serenità, è proprio lo stesso Gesù Cristo, considerato concretum universale e quindi fondante un modello di rapporto fra ebraismo e cristianesimo, nel lessico di Kasper detto della rappresentanza: «Questo modello include anche ciò che è comune (solidarietà) e ciò che distingue (l'uno e l'unico che agisce per gli altri). In questo 'modello della rappresentanza' può essere determinato benissimo, collegandosi a Rm 1, il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo contemporaneo. L'ebraismo contemporaneo e il cristianesimo sono segni reciprocamente del giudizio e della grazia divini».

Se considerati attentamente, uno per uno ma, simultaneamente, legati in un unicum, gli otto interventi scanditi negli anni, palesano la loro realtà di pietre miliari. Chi è sensibile al dialogo ebraico cristiano, o forse lo vive in prima persona, non potrà non prenderli in soppesata considerazione; si tratta però di interventi inclusivi perché ogni credente che ascolti la Parola e valuti la storia della Chiesa, dovrà lasciarsene illuminare per rendere trasparente la propria coscienza. Si tratta di costruire un rapporto con Israele inedito e aderente alla realtà storica ed evangelica.

In una tonalità tuttavia che ci riporta alla nostra realtà umana: «Se anche la comunità ebraica, come la Chiesa cristiana, nella fede alla parola di Dio che ascolta, dice 'si' nei fatti e nelle parole, dobbiamo rimettere a Dio il modo in cui egli condurrà Israele alla salvezza, senza 'dover mettere in gioco la nostra cristiana speranza di salvezza per Israele».


C. Dobner, in Studi Ecumenici n. 1-2/2023, 448-451

Esce per la collana «Giornale di teologia» della Queriniana questa raccolta di contributi che il cardinale Walter Kasper ha dedicato alle relazioni ebraico-cristiane nel periodo in cui è stato responsabile del relativo dialogo internazionale, in quanto presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani. Testi, quindi, che risalgono al periodo 1999-2010, ma che non per questo hanno perso la loro attualità, in una fase in cui in Europa risuonano spesso preoccupanti voci dal tono antisemita. Certo, il genere letterario della raccolta di saggi – diversi per ampiezza, approfondimento e occasione di composizione – domanda una lettura attenta alle forme diverse in cui alcuni temi vengono ripresi più e più volte, con differenti livelli di approfondimento.

Ad accomunare i vari testi che compongono il volume, la sottolineatura che l'attuale positivo stato delle relazioni ebraico-cristiane abbia il suo punto d'avvio negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando le diverse chiese hanno intrapreso percorsi di ripensamento dopo la tragedia della shoah. Se molte sono state le voci del mondo ebraico che hanno chiesto un tale passaggio, altrettanto numerosi sono stati i pensatori cristiani che hanno orientato in tal senso una riflessione che ha trovato maturazione nel Consiglio ecumenico delle chiese e nel concilio Vaticano II.

Kasper si sofferma, in particolare, su quel nuovo inizio che per la chiesa cattolica è stata la Dichiarazione conciliare Nostra aetate (28 ottobre 1965). Nel n. 4 (La religione ebraica)– ispirato, tra l'altro, dal memoriale consegnato dallo storico ebreo Jules Isaac (1877-1963), sopravvissuto alla shoah, a papa Giovanni XXIII – essa disegna una svolta radicale, un passaggio dall'«insegnamento del disprezzo» a una qualificata attenzione per le relazioni che legano la chiesa e il popolo ebraico. Alla condanna per le manifestazioni di odio e di antisemitismo si accompagna, infatti, in tale testo l'avvio di un profondo ripensamento delle relazioni tra le due realtà, in una vera e propria conversione, che coinvolge a un tempo il cuore e la mente.

Numerosi documenti hanno segnato tale percorso, ancora peraltro in via di compimento. Si tratta, infatti – sottolinea Kasper –, di superare quella «teologia della sostituzione» che per troppi secoli ha motivato una prassi cristiana violenta e discriminatoria nei confronti degli ebrei. Essa si basa su una comprensione del tutto inadeguata di alcuni passi neotestamentari, per disegnare un paradigma teologico in cui Israele viene collocato sotto lo stigma di popolo maledetto, deicida, portatore di un'alleanza ormai superata e destinato – se non alla conversione forzata – a rendere testimonianza al nuovo patto donato in Gesù Cristo: già Tertulliano (230 ca.) affermava che «il più anziano popolo degli ebrei deve servire il più giovane e sottomettersi ad esso» (p. 43).

La contrapposizione diffusa «della chiesa trionfante con la sinagoga abbattuta e con gli occhi bendati» (p. 38) offre un'icona eloquente di tale prospettiva. Il testo esplora le diverse fasi che essa ha attraversato nei primi due millenni della cristianità, in una singolare quanto drammatica convergenza tra le diverse confessioni, per giungere – nel secolo appena concluso – a ispirare l'antisemitismo nazista e la shoah stessa: Auschwitz è «l'orrore dell'uccisione di milioni di ebrei semplicemente perché erano ebrei, un assassinio basato su una folle ideologia della razza, deliberato e pianificato intenzionalmente e a sangue freddo dallo Stato e condotto in modo burocratico e industriale» (p. 70).

Certo, l’autore evidenzia pure come nella storia delle relazioni tra cristiani ed ebrei vi siano tempi e luoghi di comprensione e tolleranza; anche nel tempo della shoah vi fu chi rischiò la vita per difendere i propri fratelli ebrei. Tali elementi non possono, però, in alcun modo bilanciare il dramma di una negatività così diffusa e pervasiva. È dunque un imperativo etico, oltre che teologico, quello che domanda alla riflessione cristiana di lasciarsi ispirare dal dialogo con l'ebraismo vivente per ricollocare in modo diverso Gesù all'interno della realtà d'Israele, riscoprendone l'ebraicità.

Certo, sottolinea Kasper, lo stesso Gesù la cui fede unisce cristiani ed ebrei, segna anche l'elemento che differenzia chiesa e Israele, quanto alla fede in lui. La riscoperta della prossimità tra di essi non implica, infatti, la cancellazione delle differenze, sul piano della realtà storica, così come su quello della vocazione; la stessa differenza strutturale tra i canoni della Scrittura – che pure hanno gran parte dei testi in comune – disegna prospettive ermeneutiche profondamente diverse.

Tuttavia, «l'essere ebreo di Gesù non solo dice qualcosa sulla sua origine etnica, ma è anche di rilevanza teologica, come segno di perenne legame dei cristiani con il popolo dell'antica alleanza» (p. 19). La sua prassi di guarigione e di annuncio si pone come adempimento delle promesse; e non rottura con esse. La sua stessa crocifissione – tante volte imputata a Israele, ignorando la responsabilità dell'occupante romano – può essere letta in una prospettiva che la colloca entro la storia del popolo, come testimonia un capolavoro come La crocifissione bianca di un artista ebreo come Marc Chagall (1887-1985) (cf. p. 29).

Nel dialogo Kasper vede Israele e chiesa imparare a stare «fianco a fianco» (p. 76), a partire da una profonda conversione da parte delle chiese cristiane, nel riconoscimento del perdurante valore – teologico, non solo storico – dell'esistenza del popolo ebraico, primo destinatario delle promesse di Dio, in un'alleanza mai revocata.

I capitoli 9-11 della Lettera ai Romani hanno offerto punti di riferimento importanti per rileggere il rapporto della chiesa e Israele, e permettono di cogliere meglio anche gli elementi accomunanti le due tradizioni, a partire dalla struttura anamnetica fino alla prospettiva messianica (pp. 120-123). In tale orizzonte le due comunità possono assumere un impegno comune per la cura del mondo e per la dignità umana, nel riconoscimento dell'immagine di Dio che in essa risplende.

Un testo, questo del card. Kasper, che offre un contributo importante al dialogo ebraico-cristiano, non tanto per l'indicazione di inedite prospettive teologiche, quanto piuttosto per la messa in prospettiva di un buon quadro di riferimento, che raccoglie e rimedita alcune traiettorie storiche e alcuni snodi concettuali. Una lettura, dunque, accessibile anche al lettore non specialista, desideroso di una buona introduzione alle tematiche trattate.


S. Morandini, in CredereOggi 256 (4/2023), 163-166

Un libro dedicato "agli amici ebrei" e scritto per opporsi all'antisemitismo «che purtroppo ancora divampa»: il cardinale Walter Kasper raccoglie i contributi più significativi scritti quando era presidente della Commissione vaticana per il dialogo con il mondo ebraico, integrandoli con nuove riflessioni.

Nasce così una raccolta feconda che ripropone otto suoi interventi: passo dopo passo Kasper traccia con chiarezza la via per un nuovo inizio dopo la catastrofe della Shoah, per un cammino da compiere insieme a testimonianza di Dio.


In Jesus 6/2023, 92

Il cardinale Walter Kasper presenta il suo recente Ebrei e cristiani così: «Vorrei affrontare alcune questioni che mi si pongono dinanzi quasi dieci anni dopo aver lasciato il dialogo ufficiale. Vorrei solo limitarmi a individuare dei singoli punti, senza presentare nuove ricerche». Infatti egli è stato, e lo è ancora, un punto di riferimento autorevole e competente nel dialogo ebraico cristiano. Per motivare la raccolta dei singoli contributi, presentati in occasioni e circostanze diverse, prende le mosse dal serpeggiare attuale dell’antisemitismo e dalla necessità di indicare alcuni punti chiari che, negli otto interventi selezionati, vengono via via colti e portati a chiarezza: "Ebrei e cristiani. Un nuovo inizio dopo la catastrofe della shoah"; "Ebrei e cristiani. L’unico popolo di Dio"; "Note sul questionario per il progetto ‘Ebraismo nell’insegnamento cattolico della religione’”; "La notte del pogrom del Reich e l'indifferenza"; "Ebrei e cristiani, fianco a fianco"; "Discorso per la Settimana della fraternità di Monaco del 2007"; "Nostra Aetate e il futuro del dialogo tra ebrei e cristiani"; "Punti teologici chiave nel dialogo tra ebrei e cristiani''.

Oggi percepiamo e siamo notevolmente documentati per poter affermare che «il XX secolo è stato il secolo della shoah, che voleva sradicare l’ebraismo. È stato anche il secolo in cui, del tutto inaspettatamente, è accaduto qualcosa di contrario alla shoah, ossia l’ambientazione di Gesù nell’ebraismo».

Egli, ebreo, fu circonciso all’ottavo giorno, per secoli la chiesa ha festeggiato questo giorno, non solo rilevando la sua origine etnica ma per coglierne la rilevanza teologica «come segno di perenne legame dei cristiani con il popolo dell’antica alleanza».

Il tracciato storico dell’iter del rapporto fra cristianesimo nascente ed ebraismo scorre lineare e nitido, senza nulla tacere, con obiettività storica e coscienza coraggiosa, di quanto pesa a carico dei cristiani: «La distinzione fra cristianesimo ed ebraismo è emersa solo dopo il Nuovo Testamento in un processo che si protrae nel III-IV secolo». Passo dopo passo, in un processo di mutua demarcazione nella «questione controversa se Gesù fosse il Messia profetizzato dall’Antico Testamento, cioè il Cristo e il Figlio di Dio». Non fu un periodo sereno e calmo di confronto, tutt’altro: «L’ebraismo e il cristianesimo, per così dire, la volontà di demarcazione e il conflitto ce l’avevano nel sangue, e li accompagnarono lungo tutto il loro cammino nel corso della storia. Questo dovette comportare molte conseguenze tristi e fatali nella successiva storia ebraico-cristiana».

Si giunge così alla Lettera di Barnaba in cui «la continuità di promessa e di adempimento, che è fondamentale solitamente per il Nuovo Testamento, è sostituita dalla rottura nella storia della salvezza. Prende piede così la teoria della sostituzione. Secondo essa il cristianesimo ha diseredato l’ebraismo e il suo posto è stato preso dalla chiesa come il nuovo popolo di Dio».

Chiarificatore è il pensiero di Walter Kasper nell’esegesi di Matteo 26,28 sul sangue di Gesù versato «per molti» cioè per tutti, compresi gli ebrei, parole che acquistano per noi, oggi, il loro significato corretto «a partire dalle parole della Cena di Gesù: “Questo è il sangue dell’alleanza, che è versato per molti”». Il cardinale è netto nella sua asserzione: «Quell’esclamazione non accusa gli ebrei, ma accusa noi come cristiani perché, invece di interpretarla come un messaggio di salvezza, l’abbiamo interpretata per secoli come una maledizione per il popolo ebraico».

Come uscire da questo baratro storico che grava sulla chiesa? Kasper è sereno nella sua disamina e sa indicare Gesù Cristo quale concretum universale e condurre a un modello di rapporto fra ebraismo e cristianesimo che denomina di rappresentanza. «Questo modello include anche ciò che è comune (solidarietà) e ciò che distingue (l’uno e l’unico che agisce per gli altri). In questo “modello della rappresentanza” può essere determinato benissimo, collegandosi a Rm 11, il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo contemporaneo. L’ebraismo contemporaneo e il cristianesimo sono segni reciprocamente del giudizio e della grazia divini».

Questi interventi, susseguitisi negli anni, vengono a costituire delle pietre miliari, non solo per chi partecipa concretamente al dialogo ebraico-cristiano, ma anche per ogni credente che, posto in ascolto dell’annuncio evangelico e della storia della chiesa, desideri togliere dalla propria coscienza ogni ombra lasciata dai tempi passati e voglia interrogarsi su come, attualmente e personalmente, relazionarsi con Israele.

La sollecitazione è impellente: «Se anche la comunità ebraica, come la chiesa cristiana, nella fede alla parola di Dio che ascolta, dice “sì” nei fatti e nelle parole, dobbiamo rimettere a Dio il modo in cui egli condurrà Israele alla salvezza, senza “dover mettere in gioco la nostra cristiana speranza di salvezza per Israele”».


C. Dobner, in Avvenire 17 febbraio 2023