L’autobiografia del cardinale Walter Kasper, sobria e intensa, ripercorre con lucidità e profondità spirituale le tappe fondamentali della sua vita, intrecciate indissolubilmente con la storia della Chiesa cattolica del Novecento e dei primi decenni degli anni 2000. Non si tratta di un semplice memoriale o di una cronaca personale, bensì di un vero e proprio esercizio teologico in forma narrativa, dove ogni passaggio biografico diventa occasione di riflessione sulla fede, sulla Chiesa e sul ministero.
Fin dalle prime pagine, l’autore adotta uno stile diretto e riflessivo, lontano da ogni autocelebrazione. Particolarmente interessante – forse la parte più riuscita del volume – è la sezione iniziale dedicata alla sua formazione teologica. Kasper non si limita a ricordare luoghi e tappe accademiche, ma si sofferma con precisione e rispetto sul debito contratto verso alcuni «maestri» decisivi.
Fondamentale è il legame con la Scuola cattolica di Tubinga del XIX secolo (J.S. Drey, J.A. Möhler, F.A. Hirscher), che gli fornirà una visione storica e dinamica della tradizione, molto distante da ogni irrigidimento neoscolastico. Di particolare rilievo è l’influenza di Josef R. Geiselmann, dogmatico e storico del dogma, il cui metodo storico-critico ha lasciato un’impronta duratura sull’approccio di Kasper alla teologia. Parimenti, viene ricordato con gratitudine Karl Hermann Schelkle, neotestamentarista, che gli trasmise una sensibilità profonda per l’esegesi come fondamento della teologia sistematica.
Non mancano i riferimenti critici. L’autore prende le distanze – in modo rispettoso ma deciso – dalla teologia rahneriana, per aver privilegiato l’antropologia a scapito del primato della rivelazione storica. Il dissenso è teoretico ma anche metodologico: laddove Rahner assume una struttura filosofica predefinita (il trascendentale), Kasper si muove nella direzione di una teologia della Parola, fondata sulla storia della salvezza. Dolorosa, invece, è la vicenda dell’amicizia interrotta (poi riconciliata) con Hans Küng. Pur condividendo l’impegno per una riforma conciliare della teologia, Kasper prende le distanze dalle posizioni più radicali dell’ex collega, soprattutto quando il dibattito sfocia nella messa in discussione dell’autorità magisteriale e del dogma.
La narrazione lascia poi spazio ai maggiori testi kasperiani. Tre sono i nuclei fondamentali che emergono in filigrana lungo l’opera: la cristologia, la teologia trinitaria e l’ecclesiologia.
L’autore si sofferma spesso sul saggio Gesù il Cristo (1974), in cui cerca di coniugare rigore storico-critico ed esperienza di fede ecclesiale. L’obiettivo è mostrare come la figura di Gesù non possa essere separata dal Cristo della fede, senza ricadere in uno storicismo incapace di fondare la speranza cristiana.
Altro snodo centrale e la riflessione su Il Dio di Gesù Cristo (1982), dove Kasper insiste sul fatto che il Dio cristiano non è un Dio generico, filosofico o «monoteista astratto», ma il Dio che si è rivelato in Gesù crocifisso e risorto, e che è comunione vivente di amore tra Padre, Figlio e Spirito Santo. La Trinità non è un’appendice speculativa, ma il cuore pulsante della fede cristiana.
Infine, grande rilievo assume l’ecclesiologia, intesa non solo come disciplina accademica, ma come orizzonte vivo dell’esperienza di Kasper vescovo e pastore. Già nel volume La Chiesa cattolica (2001) l’autore difende una visione della Chiesa come mysterium e sacramentum, attenta alla sinodalità, alla collegialità episcopale e al radicamento locale delle comunità cristiane.
Il cuore dell’opera si concentra sul lungo servizio episcopale a Rottenburg-Stoccarda (1989-2001). In tale contesto si sofferma in particolare sul significato pastorale dell’episcopato, sulla sfida dell’inculturazione della fede in una società secolarizzata e sul dialogo ecumenico, che diventerà uno dei Leitmotiv della sua vita. In queste pagine, si coglie la tensione tra la fedeltà alla dottrina e l’urgenza dell’ascolto del sensus fidelium: un equilibrio che Kasper cerca di mantenere con fermezza e apertura, rifiutando tanto i rigori ideologici quanto le derive relativistiche.
La parte finale è dedicata all’esperienza romana, specialmente agli anni in cui ricoprì il ruolo di presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (2001-2010). Sono anni cruciali, vissuti al fianco di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, nei quali Kasper si afferma come uno dei protagonisti del dialogo ecumenico e interreligioso. Il suo impegno con le Chiese ortodosse, con il mondo protestante e con l’ebraismo è descritto con passione e lucidità, senza nascondere difficoltà e incomprensioni. Colpisce, in particolare, il modo in cui Kasper narra l’evoluzione dei rapporti tra cattolici e luterani dopo la firma della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999), e del tentativo di far maturare un «ecumenismo della verità nella carità».
Lo stile dell’opera è essenziale e mai retorico, capace di coniugare rigore teologico e profondità spirituale, presentandosi come invito alla riconciliazione tra pensiero e pastorale, tra verità e misericordia. Non mancano aneddoti personali, ritratti vividi di colleghi e pontefici, riflessioni sull’attualità ecclesiale e sul futuro della teologia che la attraversa. Kasper – con senso di responsabilità ecclesiale – scrive non per difendere se stesso, né per regolare conti, ma per testimoniare una vita spesa al servizio del Vangelo in un tempo di grandi trasformazioni; si percepisce, allora, la tensione tra un amore profondo per la tradizione e l’urgenza di un rinnovamento evangelico.
Tuttavia, accanto a questo affresco ricco e articolato, colpisce una certa reticenza su temi e passaggi decisivi del percorso ecclesiale recente. In particolare, Kasper evita un confronto diretto con il lungo e a tratti teso rapporto teologico con Joseph Ratzinger, soprattutto su ecclesiologia, ecumenismo e rapporto tra teologia e magistero. Così come non emergono chiaramente le sue perplessità – espresse in taluni casi – su alcuni aspetti dell’azione di Giovanni Paolo II, in particolare: la centralizzazione del potere curiale; l’appoggio ai movimenti ecclesiali, spesso caratterizzati da un’impostazione carismatica poco compatibile con l’ecclesiologia conciliare; la mancata apertura al ruolo delle donne nella Chiesa; la sottovalutazione della piaga degli abusi praticati da diversi membri del clero.
Ancora più sorprendente è l’assenza di qualsiasi riferimento ad Amoris laetitia, l’esortazione apostolica di papa Francesco che reca chiaramente l’impronta del pensiero kasperiano, soprattutto nel modo di concepire la misericordia come principio ermeneutico della prassi pastorale sui temi scottanti delle unioni irregolari.
Infine, il pregio dell’opera è d’illuminare il cammino di un protagonista del pensiero teologico contemporaneo, offrendo un esempio di fedeltà critica, d’intelligenza pastorale e d’amore per la Chiesa. Ma è anche un testo che si legge «in controluce», dove le parole dette convivono con quelle taciute. Forse per discrezione, forse per prudenza ecclesiale, Kasper sembra aver scelto di raccontare non tutto, ma soltanto ciò che può edificare. Al lettore resta il compito di colmare i silenzi, e riconoscere, anche nelle omissioni, la complessità di una figura che ha attraversato – e in parte plasmato – la storia recente della teologia cattolica.
M. Vergottini, in
Il Regno Attualità 18/2025, 534