L’intento che guida la settantatreenne Anne-Marie Pelletier, esegeta docente di Sacra Scrittura ed Ermeneutica allo Studio della Facoltà “Notre Dame” del seminario di Parigi, è quello di guardare, da una parte, con empatia il mondo odierno nel quale i cristiani vivono insieme ai loro compagni di viaggio, nella condivisione delle gioie e dei drammi creati dalla fragilità umana e dalla malsana hybris di onnipotenza, e, dall’altra, quella di proporre a tutti un percorso sapienziale che nasce dalle Scritture come proposta di mantenimento dell’umanità dentro i confini corretti di una corretta dignità che non indulge al mortale e disumano delirio di onnipotenza.
L’autrice, madre di tre figli, è convinta che la sapienza biblica non sia solo l’anima della teologia ma anche dell’antropologia. Le Scritture propongono una visione dell’uomo e del cosmo in cui la vita umana sgorga da una realtà amante che la precede, la accompagna e l’attende al suo compimento, che passa attraverso le strettoie naturali della fragilità, del decadimento di salute, della morte quale comune sorte di tutti gli uomini. Dio è la realtà amante che nulla toglie alla dignità dell’uomo che si scopre essere nato da un progetto di amore testimoniato nella rivelazione biblica. Questa rivelazione gli fa conoscere di essere essenzialmente relazione: con Dio, con il creato e con l’altro essere umano diversificato per sesso e qualità proprie. Maschio e femmina costituiscono insieme l’immagine di Dio. L’incarnazione di Gesù porta al massimo la dignità della carne come luogo della presenza di Dio, da onorare con la massima cura in tutti i suoi passaggi, dall’inizio alla fine del cammino.
La Bibbia rivela che l’uomo è relazione e che la sua realizzazione si ha nell’accoglienza e nel rispetto dell’alterità. Il peccato “originale” – ma di ogni tempo – compiuto dall’uomo è quello di voler divorare voracemente lo spazio del mistero che unisce e separa l’uomo e la donna, un essere umano dal suo simile. L’uomo, invece, è mistero da rispettare, come è mistero il Deus absconditus (il “Dio nascosto” o, meglio tradotto, “che si nasconde”: nistatter). «La relazione con l’altro è l’assenza dell’altro»; l’amore è «una relazione con ciò che si sottrae per sempre»; «la relazione non neutralizza ipso facto l’alterità, ma la conserva». Le tre espressioni di E. Lévinas ricordano il mistero che sorregge la relazione e il rispetto dello spazio in cui l’altro possa essere se stesso, crescere nella propria identità e comunione sessuale, sociale, ecclesiale. Certamente il riconoscimento dell’alterità infligge la ferita primigenia nell’animo narcisista dell’uomo e lo costringe a scoprire alla lunga il partner come diverso dal momento dell’innamoramento iniziale. La delusione può portare alla rottura del rapporto, ma anche alla sua maturazione nell’amore (e nella relazione coniugale indissolubile secondo la visione cristiana).
La Scrittura rivela Dio e l’uomo, Dio nell’uomo. Rivela Dio che sceglie mezzi deboli per rivelare e portare avanti il suo disegno di salvezza. Un Dio onnipotentemente debole, non olimpico nella sua solitudine asettica e impassibile, ostile all’uomo e alla sua crescita. Lo rivela invece amante della vita, del dialogo, della dignità della sua creatura. Lo rivela quando si manifesta onnipotente nell’amore, e quando mostra la condizione della sua forza proprio nella debolezza della croce. L’uomo costituisce l’eccezione umana rispetto a ciò che lo circonda. Una vita sorpresa – quella che cresce nel grembo della madre –, che apre all’accettazione dell’imprevisto e del non calcolato.
La Bibbia aiuta l’uomo a guarire dal senso di onnipotenza che gli fa eguagliare le proprie capacità tecnico-scientifiche con ciò che è eticamente possibile in quanto realizza il vero bene dell’uomo. All’uomo di oggi che cresce lontano da Dio e senza Dio, ma paradossalmente pieno di idoli a cui sacrifica la propria umanità, la Bibbia ricorda l’indisponibilità della vita umana, che contraddice ogni volontà di potenza tirannica che trova nei sogni di transumanesimo una delle sue espressioni più tragiche.
Interrogati dall’etnologo Maurice Leonhardt su ciò che i missionari cristiani avevano portato loro, alcuni Kanak hanno risposto: «Ci hanno internato che abbiamo un corpo». La carne non è nemica del cristiano, ma è la sede e l’espressione della sua massima dignità. Ogni disegno di onnipotenza salutista che voglia sfregiarla nel nome di un desiderio di immortalità propria dei cyborg o che porta a vederla come sede di sostituzioni di pezzi o possibilità commerciale di maternità surrogata – schiavitù tirannica ammantata da falsa carità “buonista” e “altruista” – si infrange contro il riconoscimento della propria grande dignità di uomo creato poco meno di un Dio, ma non Dio… L’uomo ha creato molto, ha “profanato” il mondo nel senso che l’intelligenza scientifica ha rimpatriato nel suo campo alcune realtà che fino ad allora gli sfuggivano. L’uomo però non ha ancora «comandato al mattino» né, ancor meno, «assegnato il posto all’aurora perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi» (cf. Gb 38,12-13). Può aver costruito a Dubai la torre Burj Khalifa alta 828 metri, ma resta uomo e non Dio (cf. Gen 11 e il destino della torre di Babele su cui Dio scende e confonde [enbabelant – bel neologismo di Pelletier] provvidenzialmente nelle varie lingue l’egemonia culturale massificante di Babilonia).
Spalla a spalla con tutti gli uomini che nel nascondimento vivono il dettato di Mt 25 nelle semplici realtà quotidiane, il cristiano non è solo nel mondo. Da parte sua egli testimonia la verità di Dio e dell’uomo proposta dalle sacre Scritture senza farne un’arma da guerra, ma una proposta sapienziale di vita che vuole salvare tutti i compagni di viaggio e l’arca di Noè che tutti li ospita.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 21 novembre 2019