Sullo sfondo di una prospettiva storico-salvifica, in cui non si può non tener conto delle peculiarità dell'epoca post-moderna, Giovanni Ancona, che da tempo si interessa di tematiche sia di carattere antropologico che escatologico, ha realizzato un piccolo saggio sulla speranza, intitolato Sperare. Una scommessa di libertà, partendo proprio dalla considerazione che il sostantivo "speranza" e il verbo "sperare" nel tempo attuale possono essere fraintesi o equivocati, soprattutto nel loro significato squisitamente cristiano. L'itinerario teologico così sviluppato, con forti risvolti antropologico-culturali e religiosi, offre notevoli spunti di riflessione per comprendere la ricchezza di significato e il valore, quanto mai attuali, della speranza e dello sperare.
L'opera è strutturata in dieci capitoli, ciascuno dei quali corredato da una bibliografia essenziale di approfondimento. Si parte dallo sperare umano (capitolo I), tratto che accomuna tutti gli esseri umani di qualsiasi luogo e tempo, poi specificato quale sperare dell'uomo nell'epoca della post-modernità (capitolo II), dell'uomo religioso (capitolo III), dell'uomo credente (capitolo IV), del cristiano che non può prescindere dallo sperare in Gesù Cristo (capitolo V); lo sperare cristiano è poi declinato nei capitoli successivi mediante alcuni "luoghi di apprendimento" (p. 55) colti dal soggetto nel suo orizzonte storico-esistenziale, come, ad esempio, la preghiera (capitolo VI), la sofferenza (capitolo VII), l'agire (capitolo VIII) e il giudizio (capitolo IX). Il saggio di Ancona culmina nell'ultimo capitolo in cui si sottolinea come l'orizzonte escatologico cristiano incominci a realizzarsi nel "già" dell'esistenza umana attraverso l'esercizio dello sperare (capitolo X).
Entrando nello specifico dei singoli capitoli, si sottolinea già dal primo capitolo che sperare implica l'essere in tensione creativa verso qualcosa che non è ancora; sperare, dunque, è questione di un'attesa carica di desiderio che il soggetto ha fatto già sua come esperienza di un futuro non ancora realizzato. In questo senso la speranza non riguarderebbe solo il singolo soggetto, ma una comunità con la quale il soggetto stesso entra in relazione, ricordando che l'essere umano che spera «è sempre disponibile a consegnarsi all'altro, per combinare ulteriori legami, accoglienti e affidabili, che garantiscono amore, realizzazioni umane e che aprono orizzonti sul futuro» (pp. 13-14). In quanto possibilità di affidamento, la speranza è già umanamente e "naturalmente" associata alla fede e all'amore.
Nonostante gli enormi vantaggi acquisiti grazie alla globalizzazione e allo sviluppo di nuove tecnologie, l'autore pone in risalto l'uomo post-moderno, caratterizzato dalla solitudine e da un senso di precarietà, che segnano il suo vivere e il suo non sentirsi accolto e amato, con la conseguente difficoltà di relazionarsi in maniera autentica e di costruire legami stabili e duraturi con gli altri. Questi pericoli possono degenerare in uno "squarcio antropologico", in "deriva individualistica" . A causa di ciò, l'essere umano rischia di non riuscire più a orientarsi coerentemente verso gli altri, verso il mondo, verso il futuro, smarrendo se stesso nel reticolo dell'autoreferenzialità, riducendo la speranza a un mero miraggio intriso di rassegnazione e, infine, appiattendo la propria progettualità di vita a esperienze circoscritte nel presente.
Non solo nello sperare umano, ma soprattutto nello sperare propriamente religioso occupano un ruolo di primaria importanza i significati della vita e della morte che pongono in questione l'aspirazione umana a una pienezza del vivere umano, quest'ultimo inteso come «processo carico di speranza, reso possibile da ciò che lo fonda e che costituisce il suo traguardo: Dio» (p. 33). Nelle religioni monoteiste, in particolare nell'ebraismo e nell'islamismo, lo sperare ha sempre molto in comune con l'aver fede cristiano, sia per l'individuo che per la comunità. Lo sperare implica un fidarsi di Dio che entrando nella storia resta fedele alle sue promesse.
«La condensazione dello sperare dell'ebreo credente è ben visibile nell'esperienza paradigmatica di Abramo» (p. 38), emblema di chi cerca di conquistare una compiutezza della vita fidandosi delle promesse di Dio anche "contro ogni speranza". Analogamente, si ritrova una simile modalità di sperare nel popolo dell'esodo e nei profeti che lo rincuorano durante i periodi di esilio. Anche per il credente in Allah, lo sperare trova il suo fondamento nella fiducia riposta in Dio (la disperazione, invece, sarebbe l'atteggiamento proprio del miscredente). In particolare, lo sperare del credente musulmano è orientato all'incontro con Allah e a ottenere il perdono dei peccati per entrare nel paradiso. «L'oggetto dello sperare, in altre parole, è Dio stesso con i suoi doni che saziano per l'eternità e che sono desiderati da ogni pio musulmano» (p. 43).
Dopo aver parlato dello sperare ebraico e di quello musulmano, soffermandosi sui tratti comuni alle religioni monoteistiche, Ancona si sofferma sullo sperare del credente in Gesù Cristo, connesso con il suo aver fede in lui, ricordando Eb 11,1, in cui si afferma che la fede è il fondamento delle cose che si sperano. Lo sperare cristiano è orientato esplicitamente alla persona di Gesù Cristo, che ha percorso nella sua esistenza terrena «un itinerario di relazione affidabile e sperante con il Padre» (p. 46). Il mistero della morte e risurrezione di Cristo è punto di riferimento imprescindibile dello sperare umano: nella morte, Gesù si è consegnato volontariamente e liberamente al Padre e nel risorgere ha manifestato la risposta del Padre al suo amore incondizionato. Anticipatamente, così, Gesù Cristo avrebbe già realizzato il futuro dell'umanità che l'essere umano spera tutt'ora.
Si può affermare, riprendendo il pensiero di Ancona, che il contenuto dello sperare cristiano coincide con la stessa persona di Gesù Cristo. In questo senso, lo sperare si traduce nella possibilità di affrontare in maniera autentica qualsiasi vicissitudine della vita, confidando nella condiscendenza di Dio che ci sostiene con il dono dello Spirito Santo. Inoltre, lo sperare «s'accompagna continuamente con l'aver fede e con l'amare e ciò non può avvenire nella solitudine del proprio io, ma solo nel contesto del noi» (p. 52), nel contesto di una speranza di forte sapore ecclesiale. Per tale motivo, lo sperare, si traduce anche nel dovere della testimonianza e nella comunicazione della fede in Gesù Cristo, che ha vissuto in pienezza e in coerenza la sua esistenza terrena.
A questo punto, nel suo itinerario, Ancona fa riferimento ad alcuni luoghi o tratti tipici del contesto storico-culturale attuale, in cui si può comprendere meglio e declinare esistenzialmente lo sperare cristiano. Ad esempio, lo sperare cristiano trova un suo luogo privilegiato di espressione nel pregare, il cui modello di riferimento è la preghiera intima che lega Padre e Figlio. «In questo legame come tra Padre e Figlio, l'uomo impara a rinunciare a quanto non è importante per la sua vita, a rinnegare il male, a purificare la coscienza, a riconoscere gli inganni e le illusioni, e a sperare nel Bene più grande» (p. 59). Nella preghiera può concretizzarsi il desiderio umano di un incontro totale e beatificante, mentre lo Spirito, "caparra" di quanto si spera, sollecita «il credente a domandare il dono della presenza reale di Colui che ha "vinto il mondo"» (p. 61). Inoltre, la preghiera, traducendosi in vita che spera, diviene anche uno sperare per gli altri, affinché tutti possano assimilarsi a Cristo.
Un altro luogo di apprendimento dello sperare cristiano è costituito dalla sofferenza, che «intreccia l'uomo nella profondità del suo essere, della sua identità di soggetto; essa coinvolge sempre la totalità della vita umana e non solo il suo dato biologico oggettivo. Pertanto, è necessario scoprire nell'esperienza del soffrire ciò che vale la pena vivere, nonostante il dramma che essa comporta» (p. 65). La sofferenza può motivare lo sperare e lo sperare specialmente in Gesù Cristo, morto e risorto. Emerge con forza una rilettura della sofferenza in chiave evangelica, ricordando che le sofferenze del momento vanno reinterpretate per un cristiano nella prospettiva della gloria futura, come insegna san Paolo in Rm 8,18. Nell'atto stesso del soffrire l'essere umano può imparare veramente a sperare, manifestando la sua fede in Gesù Cristo.
A partire da un orizzonte esistenziale cristiano, l'essere umano può ritrovare nel proprio conoscere e nel proprio agire un ulteriore luogo essenziale di speranza, come possibilità di orientare se stesso alla ricerca e alla realizzazione del bene per sé e per gli altri. «Lo sperare dell'uomo, colto nella prospettiva del giudizio, si traduce in responsabilità per il presente e per il futuro. La compagnia del giudizio allo sperare, infatti, qualifica le scelte degli umani, le anima dal di dentro, dà valore al quotidiano, aiuta a disporsi verso il futuro, orienta l'umana coscienza ad accogliere il vero e il bene, produce vie di realizzazione personale e collettiva. Il giudizio insegna realmente a sperare, perché valuta le decisioni degli umani e le traduce nella pratica del bene, che conduce alla pienezza» (p, 84). Secondo Ancona, nell'ottica credente cristiana, il giudizio è una realtà storico-salvifica che coinvolge Dio e l'essere umano (cf. p. 86, in cui si cita in particolare Benedetto XVI, Spe salvi, nn. 41-48), in quanto il cristiano autentico è colui che consegna se stesso alla parola giudicante di Dio, rivelata pienamente in Gesù Cristo. «Il giudizio, in altri termini, si risolve in una valutazione della responsabilità di fede del cristiano nei confronti di Gesù Cristo e dei fratelli» (p. 87).
Infine, lo sperare umano, che «prende consistenza solo quando si trasforma in esercizio concreto nella storia di tutti i giorni» (p. 91), non può non essere a favore della salvaguardia del creato, in particolare della vita che rimanda a valori squisitamente umani, come felicità, pace, bellezza, affetti e anche dolori. Per questo, l'esercizio della speranza deve opporsi a ogni forma di ingiustizia, violenza, disuguaglianza, allo scopo di «porre semi di pace nella storia, sino a quando la pace escatologica di Dio prenderà possesso del mondo e della comunità umana» (p. 99).
In ultima analisi, in prospettiva teologica, viene posto in risalto che l'esercizio della speranza da parte dell'essere umano, calato nella storicità della sua esperienza, rientra nella realizzazione di quell'orizzonte di senso che si realizzerà pienamente alla fine dei tempi.
Lo stile, molto scorrevole e ricco di spunti teologici, opportunamente presentati e filtrati nella realtà esistenziale dell'essere umano, rende quest'opera molto fruibile e alla portata di qualsiasi lettore, invitato a vivere alla sequela Christi, a incarnare la pasqua del Signore morto e risorto per la nostra salvezza, come totale dono di amore a Dio e agli esseri umani.
E. Cibelli, in
Asprenas 3-4/2018, 399-402