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Sperare
Giovanni Ancona

Sperare

Una scommessa di libertà

Prezzo di copertina: Euro 10,00 Prezzo scontato: Euro 9,50
Collana: Giornale di teologia 407
ISBN: 978-88-399-3407-9
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 112
© 2018

In breve

Un breve saggio teologico sulla speranza che, con i suoi forti risvolti antropologici e religiosi, offre notevoli spunti di riflessione per comprendere la ricchezza di significato e il valore – attualissimo – dello sperare, sul piano sia umano che religioso. Un’opera facilmente fruibile, per continuare a scommettere sulla speranza e per dischiudere orizzonti di senso.

Descrizione

Sperare è operazione veramente difficile, soprattutto oggi: richiede di spingersi oltre ciò che contrasta la pienezza della vita. Proprio per questo è importante riscoprire il senso della speranza, sul piano umano e religioso. E questo è l’intento del presente saggio.
Ancona sviluppa il suo percorso toccando in successione queste tappe: lo sperare umano, quale azione fondamentale nell’esperienza di ogni persona; lo sperare specifico dell’uomo religioso, e del cristiano in particolare; la preghiera, la sofferenza, l’agire e il giudizio come luoghi qualificanti di apprendimento dello sperare; l’esercizio concreto dello sperare nella storia.
Viene reso disponibile al lettore, così, un itinerario che motiva a scommettere ancora sulla speranza. Perché sperare – non solo per se stessi, ma anche per gli altri e per l’intera creazione – è bello e rende liberi: prospetta una totalità che dischiude ulteriori orizzonti di senso.

Recensioni

Il docente di Antropologia teologica ed Escatologica presso la Facoltà di teologia della Pontificia Università Urbaniana ripresenta, nel contesto dell’anno giubilare, un sussidio che può favorire una riflessione profonda sul tema della speranza. Nella sua argomentazione l’autore compie un percorso in dieci tappe.

Lo sperare umano

Ancona parte dallo sperare umano, che è un tentativo di spingersi oltre ciò che contrasta la pienezza della vita. Lo sperare è un’azione fondamentale nell’esperienza di ogni persona. Senza speranza l’uomo non può affrontare la durezza della vita. Egli desidera quanto manca a una vita felice e carica di senso per l’oggi e per il domani.

«La speranza è così una tensione creativa – scrive –, stimolo intellettuale, movimento affettivo; essa non è illusione o proiezione utopica, ma ciò che qualifica la totalità del tempo e fa sì che il desiderio atteso metta in azione il volere umano; essa si trasforma in progetto contestatore del negativo, comporta creatività e, con sano realismo, fa accettare il rischio e l’imprevedibilità del futuro. La speranza persuade l’uomo a vivere – prosegue lo studioso –, nonostante le incertezze dell’esistenza, perché essa si coniuga con la forza intensa della fiducia. Quest’ultima è strettamente legata all’azione dello sperare umano. Protendersi nel futuro, infatti, è avere fiducia nella prospettiva del bene» (p. 119).

La speranza indica un’attesa e un esser in tensione verso qualcosa che non è ancora. Si tratta di un’attesa carica di desiderio per ciò che non è ancora.

Non si spera mai da soli. La speranza è a struttura relazionale/comunitaria; è un legame che de-centra verso un tu in cui riporre fiducia. L’uomo che spera è disponibile a consegnarsi all’altro, per combinare ulteriori legami, accoglienti e affidabili, che garantiscono amore, realizzazioni umane che aprono orizzonti verso il futuro.

La speranza è sempre collocata in prospettiva universale e desidera il bene della vita per tutti e per tutto. «Sperare è un’azione vitale, esistenzialmente forte e, pertanto – afferma l’autore – fa guardare anche oltre la morte» (p. 14).

La speranza dell’uomo, in relazione a una pienezza di vita trova qui il suo incentivo più forte. «Sperare oltre la morte, infatti, è come esercitare al massimo le potenzialità di fiducia in Qualcuno che può promettere un approdo ad una fiducia senza fine, piena, integrata in tutte le sue dimensioni umane» (pp. 14-15).

Per questa ragione la speranza ha sempre avuto a che fare con una dimensione religiosa. «Anche quando la si nega, la speranza è sempre rivolta al religioso, sua pure in negativo. Spesso la si riduce all’orizzonte sperimentabile, ma nel suo intimo movimento in-avanti essa conserva sempre un sentimento o un esplicito riferimento a Dio» (p. 15).

Lo sperare nell’epoca della post-modernità

La condizione dell’uomo post-moderno è caratterizzata dalla «solitudine» e si cercano relazioni virtuali tramite gli strumenti offerti dai social. Si ha paura di non essere ascoltati da nessuno. Nella rete si cercano legami, ma che non impegnino più di tanto o non minaccino l’autonomia personale.

L’uomo post-moderno vive di «piccole speranze» e di moltiplicazione di esperienze finite, circoscritte a particolari ambiti del suo vivere. Ci si smarrisce nel reticolo dell’autoreferenzialità. La solitudine non partorisce speranza, ma rassegnazione. Ci si affida agli oroscopi.

L’uomo «solo» è incapace di dare significati alle esperienze della vita, siano esse buone o cattive. Egli si trova impotente di fronte alle esperienze drammatiche del soffrire, della morte, del dolore che rende problematica la vita. Egli si accontenta di soddisfazioni momentanee, di una vita senza problemi. Per il resto, «egli pare non aver bisogno di sperare nella felicità assoluta – annota Ancona –; si accontenta di vivere e amministrare il suo limite» (p. 24).

La speranza in un futuro non entra nella logica dell’esistenza di un uomo che dispone di se stesso e basta. La realtà in cui vive l’uomo oggi è certamente più complessa di quella descritta sopra. «Nella costitutività umana, infatti, non viene mai meno quel senso di ulteriorità, di apertura al futuro, che qualificano l’uomo concreto come un essere in continua ricerca di ciò che non è pianificabile e non determinabile» (p. 25).

L’uomo è costitutivamente orientato alla conquista di una vita vera, buona, umana in senso autentico, anche se ciò non è del tutto verificabile e sempre possibile verificare coni mezzi che si hanno a disposizione. Possibilità di futuro e di speranza in questo futuro, religiosamente istruite e non, dimorano nella profondità di ogni uomo, ma attendono di essere risvegliate e liberate, annota l’autore (cf. ivi).

I vari aspetti della speranza

A partire da queste annotazioni antropologiche, nel corso del suo lavoro, Ancona esamina in sequenza negli altri capitoli lo sperare dell’uomo religioso in senso lato, poi quello dell’uomo credente e, in specifico, dell’uomo credente in Gesù Cristo. Sono riflessioni che trovano nel lettore un terreno già un po’ preparato.

La Scrittura presenta Cristo morto e risorto come la speranza ultima, definitiva, pienamente affidabile per l’uomo credente e discepolo che vive nella storia e deve affrontare la realtà complessa del lavoro, della famiglia, dell’impegno socio-politico, della sofferenza ecc.

Lo sperare cristiano è poi esaminato alla luce di varie sfaccettature di “scuola”. Lo si scruta alla luce di una quadruplice scuola: quella della preghiera, quella della sofferenza, quella dell’agire e, infine, quella del giudizio.

Lo sperare e il suo esercizio nella storia

Lo studioso conclude il suo percorso con un paragrafo dedicato allo sperare e il suo esercizio nella storia. Lo sperare dell’uomo, infatti, prende consistenza solo quando esso si trasforma in esercizio concreto nella storia di tutti i giorni.

La speranza diventa credibile e comprensibile solo quando si esercita per la realizzazione di quanto ogni uomo desidera per il bene del proprio sé e di quello degli altri e del mondo intero. «Sperare, in altre parole – annota Ancona –, è un esercizio storico e, in quanto tale, tiene conto del respiro universale del creato» (p. 91).

Lo speranza dell’uomo autentico è anzitutto – secondo l’autore –, un esercizio a favore della vita.

«Sperare è, così, avere fiducia nella vita e assumere in pienezza i suoi aspetti di felicità, pace, bellezza, affetti, dolore e quant’altro dice l’umano autentico; sperare è affermare la vita, sin dal suo sorgere, e approvarla fino in fondo, nella sua qualità umana, con amore e consapevolezza.

In un’ottica credente cristiana, poi – continua lo studioso –, l’amore per la vita dice ancor più significativamente lo sperare dell’uomo. In tale contesto, infatti, la vita è colta e affermata nella sua qualità eterna. Qui l’eternità non dice solo la destinazione finale della vita, ma anche la sua qualità nel presente, nel tempo, in quanto essa è pervasa dalla presenza di Dio, per mezzo di Gesù Cristo risorto, nella forza dello Spirito» (pp. 92-93).

«L’esercizio dello sperare per la vita è, conseguentemente, un esercizio di fraternità e di amore – scrive ancora l’autore –. Lo sperare dell’uomo si gioca nell’incontro con tutti, soprattutto con gli svantaggiati nella e dalla storia, i quali necessitano di un orizzonte carico di prospettive per la loro umanità ferita. In tale esercizio vi è il dono della speranza, secondo la forma dell’amore fraterno che include tutti e che scommette sull’umano» (pp.94-95).

L’ambiente vitale dell’esercizio autentico dello sperare sta nel riconoscimento della necessità dei legami e nel loro accoglimento, che sempre comporta crescita dell’umano e quindi un orizzonte di speranza. «Nel contesto della fede cristiana, poi, lo sperare per tutti e con tutti è un dato costitutivo dell’esperienza credente, in quanto i legami fraterni di amore le sono tipicamente salvifici» (p. 94).

Tutto questo trova il suo motivo fondante nel Dio di Gesù Cristo e nella sua opera in favore della creazione, rivelato in modo sommo nel mistero della Pasqua. Da qui deriva il carattere pasquale dell’esercizio dello sperare credente per tutti e con tutti, informato dall’amore.

In tal modo «sperare è perseguire azioni autenticamente fraterne, dove la misericordia, il perdono e la riconciliazione hanno sempre la meglio sull’odio e sugli scandali dell’egoismo. I legami fraterni sono sempre più trasformativi della storia e la indirizzano al futuro. Sperare è lasciarsi concretamente coinvolgere nei segmenti dell’intera storia, secondo lo stile della fraternità solidale nell’amore» (p. 95).

L’esercizio dello sperare per tutti e con tutti è inoltre sempre secondo giustizia.

L’esercizio dello sperare è un esercizio che tiene in conto la sempre crescente domanda di giustizia, soprattutto nel mondo di oggi. Questo esercizio consiste nel combattere ogni forma di ingiustizia, che lede la dignità umana, è creare condizioni di vita libere da oppressioni, violenze, disuguaglianze, povertà e da quanto, soprattutto a livello strutturale, non offre orizzonti di vita buona per l’oggi e per il domani.

Nell’orizzonte credente cristiano, tale impegno assume la forma dell’obbedienza al volere salvifico di Cristo. I cristiani danno ragione del loro sperare quando trasformano in semi di giustizia le tante e diverse negatività presenti nella storia. «Essi creano giustizia con la condivisione, la partecipazione al dolore del mondo e degli umani, secondo la logica del servizio responsabile e amorevole; i loro referenti sono soprattutto gli ultimi, i dimenticati dalla storia» (p. 96). Questo comporterà talvolta incomprensione e persecuzione.

L’esercizio dello sperare per la giustizia è anche strettamente connesso alla ricerca della pace. Non vi è pace senza giustizia e viceversa.

L’esercizio dello sperare, nel contesto dell’operare giustizia e pace, è, infine, sempre connesso alla salvaguardia del creato. Lo spazio vitale, l’ambiente connaturale all’uomo è il campo dell’assunzione di responsabilità da parte dell’uomo. Sperare è guardare al futuro con fiducia per se stessi, per gli altri e per il mondo creato. Nell’orizzonte del credente cristiano, «lo sperare con e per il mondo significa allacciare con l’intero creato una relazione di custodia responsabile, di coltivazione e di cura, che fugge ogni sorta di abuso e di sfruttamento, e che si pone come agire con-creativo con l’attività creatrice di Dio. [… il] credente in Cristo guarda sempre all’orizzonte ultimo con fiducia ed è consapevole che nulla di quanto lo costituisce sarà estraneo a Dio» (p. 100).

Compito educativo

Ancona schematizza in tre punti le tappe del compito educativo a ben sperare.

Anzitutto esso significa annunciare Dio, quale motivo di ogni speranza, per il fatto che nel suo Figlio Gesù Cristo e per la forza dello Spirito, è possibile incontrare la piena compiutezza dell’umano; una compiutezza già in atto nella storia, anche se non del tutto definitiva. Gli umani che accolgono Cristo vivono il loro sperare come un dono che rende liberi e che qualifica l’esistenza in termini «rivoluzionari». Essi assumono atteggiamenti non assolutizzanti nella storia e puntano decisamente al futuro, convinti che il male è definitivamente sconfitto da Cristo, anche se i segni sono ancora presenti nel vivere quotidiano.

Educare a ben sperare significa, in secondo luogo, aiutare gli umani a recepire il significato e il valore della storia, il senso dell’impegno politico e sociale, e a saper raccordare le speranze intra-storiche con la speranza assoluta. Anche le incompiutezze storiche – dolore, sofferenze, delusioni ecc. – vanno relativizzate, sapendo che l’orientamento di tutto è verso il definitivo.

Educare allo sperare significa, infine, far comprendere il cammino della vita come cammino da percorrere nella memoria della Pasqua di Gesù Cristo, la ragione di ogni speranza autentica. Si tratta di invitare tutti gli umani a entrare profondamente nel mistero di Cristo e a vivere secondo la logica dell’amore, con la consapevolezza che Dio è più forte di ogni peccato e della morte e che sperare non delude mai. «La convivialità degli umani nell’amore, infatti – conclude Ancona –, è ciò che resta e che di certo contrassegna la compiutezza antropologica tanto sperata e da Dio garantita nell’abbondanza del suo essere misericordia e grazia per tutti» (p. 105).

Ogni capitolo è concluso da alcune indicazioni bibliografiche utili all’approfondimento personale. Alle pp. 107-109 è riportato un Indice dei nomi, che arricchisce ulteriormente questo sussidio offerto ai «pellegrini della speranza» in cammino nel Giubileo 2025. Il linguaggio accessibile lo rende accostabile da una vasta gamma di lettori.


R. Mela, in SettimanaNews.it 28 gennaio 2025

Sullo sfondo di una prospettiva storico-salvifica, in cui non si può non tener conto delle peculiarità dell'epoca post-moderna, Giovanni Ancona, che da tempo si interessa di tematiche sia di carattere antropologico che escatologico, ha realizzato un piccolo saggio sulla speranza, intitolato Sperare. Una scommessa di libertà, partendo proprio dalla considerazione che il sostantivo "speranza" e il verbo "sperare" nel tempo attuale possono essere fraintesi o equivocati, soprattutto nel loro significato squisitamente cristiano. L'itinerario teologico così sviluppato, con forti risvolti antropologico-culturali e religiosi, offre notevoli spunti di riflessione per comprendere la ricchezza di significato e il valore, quanto mai attuali, della speranza e dello sperare.

L'opera è strutturata in dieci capitoli, ciascuno dei quali corredato da una bibliografia essenziale di approfondimento. Si parte dallo sperare umano (capitolo I), tratto che accomuna tutti gli esseri umani di qualsiasi luogo e tempo, poi specificato quale sperare dell'uomo nell'epoca della post-modernità (capitolo II), dell'uomo religioso (capitolo III), dell'uomo credente (capitolo IV), del cristiano che non può prescindere dallo sperare in Gesù Cristo (capitolo V); lo sperare cristiano è poi declinato nei capitoli successivi mediante alcuni "luoghi di apprendimento" (p. 55) colti dal soggetto nel suo orizzonte storico-esistenziale, come, ad esempio, la preghiera (capitolo VI), la sofferenza (capitolo VII), l'agire (capitolo VIII) e il giudizio (capitolo IX). Il saggio di Ancona culmina nell'ultimo capitolo in cui si sottolinea come l'orizzonte escatologico cristiano incominci a realizzarsi nel "già" dell'esistenza umana attraverso l'esercizio dello sperare (capitolo X).

Entrando nello specifico dei singoli capitoli, si sottolinea già dal primo capitolo che sperare implica l'essere in tensione creativa verso qualcosa che non è ancora; sperare, dunque, è questione di un'attesa carica di desiderio che il soggetto ha fatto già sua come esperienza di un futuro non ancora realizzato. In questo senso la speranza non riguarderebbe solo il singolo soggetto, ma una comunità con la quale il soggetto stesso entra in relazione, ricordando che l'essere umano che spera «è sempre disponibile a consegnarsi all'altro, per combinare ulteriori legami, accoglienti e affidabili, che garantiscono amore, realizzazioni umane e che aprono orizzonti sul futuro» (pp. 13-14). In quanto possibilità di affidamento, la speranza è già umanamente e "naturalmente" associata alla fede e all'amore.

Nonostante gli enormi vantaggi acquisiti grazie alla globalizzazione e allo sviluppo di nuove tecnologie, l'autore pone in risalto l'uomo post-moderno, caratterizzato dalla solitudine e da un senso di precarietà, che segnano il suo vivere e il suo non sentirsi accolto e amato, con la conseguente difficoltà di relazionarsi in maniera autentica e di costruire legami stabili e duraturi con gli altri. Questi pericoli possono degenerare in uno "squarcio antropologico", in "deriva individualistica" . A causa di ciò, l'essere umano rischia di non riuscire più a orientarsi coerentemente verso gli altri, verso il mondo, verso il futuro, smarrendo se stesso nel reticolo dell'autoreferenzialità, riducendo la speranza a un mero miraggio intriso di rassegnazione e, infine, appiattendo la propria progettualità di vita a esperienze circoscritte nel presente.

Non solo nello sperare umano, ma soprattutto nello sperare propriamente religioso occupano un ruolo di primaria importanza i significati della vita e della morte che pongono in questione l'aspirazione umana a una pienezza del vivere umano, quest'ultimo inteso come «processo carico di speranza, reso possibile da ciò che lo fonda e che costituisce il suo traguardo: Dio» (p. 33). Nelle religioni monoteiste, in particolare nell'ebraismo e nell'islamismo, lo sperare ha sempre molto in comune con l'aver fede cristiano, sia per l'individuo che per la comunità. Lo sperare implica un fidarsi di Dio che entrando nella storia resta fedele alle sue promesse.

«La condensazione dello sperare dell'ebreo credente è ben visibile nell'esperienza paradigmatica di Abramo» (p. 38), emblema di chi cerca di conquistare una compiutezza della vita fidandosi delle promesse di Dio anche "contro ogni speranza". Analogamente, si ritrova una simile modalità di sperare nel popolo dell'esodo e nei profeti che lo rincuorano durante i periodi di esilio. Anche per il credente in Allah, lo sperare trova il suo fondamento nella fiducia riposta in Dio (la disperazione, invece, sarebbe l'atteggiamento proprio del miscredente). In particolare, lo sperare del credente musulmano è orientato all'incontro con Allah e a ottenere il perdono dei peccati per entrare nel paradiso. «L'oggetto dello sperare, in altre parole, è Dio stesso con i suoi doni che saziano per l'eternità e che sono desiderati da ogni pio musulmano» (p. 43).

Dopo aver parlato dello sperare ebraico e di quello musulmano, soffermandosi sui tratti comuni alle religioni monoteistiche, Ancona si sofferma sullo sperare del credente in Gesù Cristo, connesso con il suo aver fede in lui, ricordando Eb 11,1, in cui si afferma che la fede è il fondamento delle cose che si sperano. Lo sperare cristiano è orientato esplicitamente alla persona di Gesù Cristo, che ha percorso nella sua esistenza terrena «un itinerario di relazione affidabile e sperante con il Padre» (p. 46). Il mistero della morte e risurrezione di Cristo è punto di riferimento imprescindibile dello sperare umano: nella morte, Gesù si è consegnato volontariamente e liberamente al Padre e nel risorgere ha manifestato la risposta del Padre al suo amore incondizionato. Anticipatamente, così, Gesù Cristo avrebbe già realizzato il futuro dell'umanità che l'essere umano spera tutt'ora.

Si può affermare, riprendendo il pensiero di Ancona, che il contenuto dello sperare cristiano coincide con la stessa persona di Gesù Cristo. In questo senso, lo sperare si traduce nella possibilità di affrontare in maniera autentica qualsiasi vicissitudine della vita, confidando nella condiscendenza di Dio che ci sostiene con il dono dello Spirito Santo. Inoltre, lo sperare «s'accompagna continuamente con l'aver fede e con l'amare e ciò non può avvenire nella solitudine del proprio io, ma solo nel contesto del noi» (p. 52), nel contesto di una speranza di forte sapore ecclesiale. Per tale motivo, lo sperare, si traduce anche nel dovere della testimonianza e nella comunicazione della fede in Gesù Cristo, che ha vissuto in pienezza e in coerenza la sua esistenza terrena.

A questo punto, nel suo itinerario, Ancona fa riferimento ad alcuni luoghi o tratti tipici del contesto storico-culturale attuale, in cui si può comprendere meglio e declinare esistenzialmente lo sperare cristiano. Ad esempio, lo sperare cristiano trova un suo luogo privilegiato di espressione nel pregare, il cui modello di riferimento è la preghiera intima che lega Padre e Figlio. «In questo legame come tra Padre e Figlio, l'uomo impara a rinunciare a quanto non è importante per la sua vita, a rinnegare il male, a purificare la coscienza, a riconoscere gli inganni e le illusioni, e a sperare nel Bene più grande» (p. 59). Nella preghiera può concretizzarsi il desiderio umano di un incontro totale e beatificante, mentre lo Spirito, "caparra" di quanto si spera, sollecita «il credente a domandare il dono della presenza reale di Colui che ha "vinto il mondo"» (p. 61). Inoltre, la preghiera, traducendosi in vita che spera, diviene anche uno sperare per gli altri, affinché tutti possano assimilarsi a Cristo.

Un altro luogo di apprendimento dello sperare cristiano è costituito dalla sofferenza, che «intreccia l'uomo nella profondità del suo essere, della sua identità di soggetto; essa coinvolge sempre la totalità della vita umana e non solo il suo dato biologico oggettivo. Pertanto, è necessario scoprire nell'esperienza del soffrire ciò che vale la pena vivere, nonostante il dramma che essa comporta» (p. 65). La sofferenza può motivare lo sperare e lo sperare specialmente in Gesù Cristo, morto e risorto. Emerge con forza una rilettura della sofferenza in chiave evangelica, ricordando che le sofferenze del momento vanno reinterpretate per un cristiano nella prospettiva della gloria futura, come insegna san Paolo in Rm 8,18. Nell'atto stesso del soffrire l'essere umano può imparare veramente a sperare, manifestando la sua fede in Gesù Cristo.

A partire da un orizzonte esistenziale cristiano, l'essere umano può ritrovare nel proprio conoscere e nel proprio agire un ulteriore luogo essenziale di speranza, come possibilità di orientare se stesso alla ricerca e alla realizzazione del bene per sé e per gli altri. «Lo sperare dell'uomo, colto nella prospettiva del giudizio, si traduce in responsabilità per il presente e per il futuro. La compagnia del giudizio allo sperare, infatti, qualifica le scelte degli umani, le anima dal di dentro, dà valore al quotidiano, aiuta a disporsi verso il futuro, orienta l'umana coscienza ad accogliere il vero e il bene, produce vie di realizzazione personale e collettiva. Il giudizio insegna realmente a sperare, perché valuta le decisioni degli umani e le traduce nella pratica del bene, che conduce alla pienezza» (p, 84). Secondo Ancona, nell'ottica credente cristiana, il giudizio è una realtà storico-salvifica che coinvolge Dio e l'essere umano (cf. p. 86, in cui si cita in particolare Benedetto XVI, Spe salvi, nn. 41-48), in quanto il cristiano autentico è colui che consegna se stesso alla parola giudicante di Dio, rivelata pienamente in Gesù Cristo. «Il giudizio, in altri termini, si risolve in una valutazione della responsabilità di fede del cristiano nei confronti di Gesù Cristo e dei fratelli» (p. 87).

Infine, lo sperare umano, che «prende consistenza solo quando si trasforma in esercizio concreto nella storia di tutti i giorni» (p. 91), non può non essere a favore della salvaguardia del creato, in particolare della vita che rimanda a valori squisitamente umani, come felicità, pace, bellezza, affetti e anche dolori. Per questo, l'esercizio della speranza deve opporsi a ogni forma di ingiustizia, violenza, disuguaglianza, allo scopo di «porre semi di pace nella storia, sino a quando la pace escatologica di Dio prenderà possesso del mondo e della comunità umana» (p. 99).

In ultima analisi, in prospettiva teologica, viene posto in risalto che l'esercizio della speranza da parte dell'essere umano, calato nella storicità della sua esperienza, rientra nella realizzazione di quell'orizzonte di senso che si realizzerà pienamente alla fine dei tempi.

Lo stile, molto scorrevole e ricco di spunti teologici, opportunamente presentati e filtrati nella realtà esistenziale dell'essere umano, rende quest'opera molto fruibile e alla portata di qualsiasi lettore, invitato a vivere alla sequela Christi, a incarnare la pasqua del Signore morto e risorto per la nostra salvezza, come totale dono di amore a Dio e agli esseri umani.


E. Cibelli, in Asprenas 3-4/2018, 399-402

Se c’è una parola che oggigiorno sembra svuotata di ogni significato è speranza. Eppure non ne possiamo fare a meno: proprio per questo è utile riflettere su di essa in modo da ri-scoprire il suo senso più profondo sia sul piano umano sia su quello religioso. Un piccolo, ma prezioso libro come questo può aiutare a fare chiarezza in un’epoca dettata dalla post-modernità, o forse più efficacemente dalla fine della modernità. Con una scrittura chiara e con notevole lucidità concettuale, l’a. mette a disposizione un lessico, una ri-definizione dei termini con il fine ultimo di «scommettere ancora sulla speranza».
In Il Regno Attualità 22/2018

Giovanni Ancona, docente di Antropologia teologica ed Escatologia, per i tipi della Queriniana propone Sperare; una scommessa di libertà (pag. 112, euro 10). Oggi è difficile sperare. Richiede di spingersi oltre… tutto quello che contrasta la pienezza della vita. È quanto mai importante riscoprire il senso della speranza, sul piano umano e religioso. L’autore distingue lo sperare umano, azione fondamentale nell’esperienza di ogni persona, dallo sperare specifico dell’uomo religioso, e del cristiano in particolare; la preghiera, la sofferenza, l’agire e il giudizio come luoghi qualificanti di apprendimento dello sperare; l’esercizio concreto dello sperare nella storia. Sperare – è la convinzione racchiusa nel saggio – è bello e rende liberi: prospetta una totalità che dischiude ulteriori orizzonti di senso.


F. Mariucci, in La Voce 17 (11 maggio 2018)