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Antropologia teologica
Giovanni Ancona

Antropologia teologica

Temi fondamentali

Prezzo di copertina: Euro 24,00 Prezzo scontato: Euro 22,80
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 171
ISBN: 978-88-399-0471-3
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 336
© 2014, 20193

In breve

Differenziandosi dal classico “manuale”, il presente volume presenta in modo puntuale e coerente i temi fondamentali dell’antropologia teologica: l’elezione (ovvero la predestinazione), la creazione, l’essere umano in quanto creatura, la grazia, l’essere umano in quanto peccatore, la sua giustificazione. Le pagine, appositamente pensate per l’insegnamento e per lo studio, sono scritte con un linguaggio che, senza inutili tecnicismi, facilita l’assimilazione del metodo e dei contenuti principali della disciplina. L’esposizione, evitando inoltre ogni ingenua e deleteria autoreferenzialità, tiene conto degli apporti delle scienze che studiano, secondo differenti prospettive, il mistero dell’essere umano.

Descrizione

Il volume ha lo scopo di presentare in modo rigoroso e aggiornato i temi fondamentali dell’antropologia teologia. l’elezione (ovvero la predestinazione), la creazione, l’uomo in quanto creatura, la grazia, l’uomo peccatore, la giustificazione.
La riflessione su ciascuna delle tematiche classiche dell’antropologia teologica è scandita in sezioni ordinate che innanzitutto analizzano il dato squisitamente biblico, poi tratteggiano lo sviluppo storico-teologico e infine convergono sulla riflessione sistematica. Quest’ultima muove dalla convinzione che il “principio” della rivelazione ha nell’evento di Gesù Cristo la sua centralità e pienezza: non è possibile tratteggiare la visione credente dell’uomo indipendentemente dall’evento cristologico. Anzi, l’evento di Gesù Cristo – immagine escatologica di Dio, oltre che concreta e compiuta verità sull’uomo – guida dall’inizio alla fine il concreto svolgimento della trattazione.
Gesù Cristo è compreso come l’evento normativo per il farsi dell’umano. La realizzazione definitiva e compiuta di ogni essere umano passa inevitabilmente attraverso il processo di conformazione della propria vicenda a quella di Gesù Cristo. Questa libera conformazione dell’uomo alla libera vicenda filiale di Gesù di Nazaret, poi, viene suggerita ad ogni essere umano (orizzonte universale), mostrando ragionevolmente come essa rappresenti la pienezza di quanto è di fatto possibile ad ogni esperienza autenticamente umana.
Le pagine del manuale sono state appositamente pensate per l’insegnamento e per lo studio: sono scritte con linguaggio semplice, esente da aridi tecnicismi, per facilitare a chiunque l’assimilazione dei contenuti principali.

Recensioni

«Chi sa dire veramente chi è l'uomo?». Cercando di gettare luce su questo interrogativo di Paolo VI, Giovanni Ancona, docente ordinario di Antropologia teologica ed Escatologia presso la facoltà di teologia della Pontificia Università Urbaniana -- di cui è anche decano -- nel suo ultimo libro presenta una selezione tematica dei concetti fondamentali che sono alla base dell'antropologia teologica. Scegliere di approcciare la disciplina attraverso i suoi temi centrali, anziché uno schema manualistico, rappresenta di per sé una scelta editoriale intelligente, sia perché in commercio non ci sono pubblicazioni di questo tipo, sia perché, come viene riconosciuto dall'autore stesso, risulta assai complesso ed insoddisfacente mettere mano ad un vero e proprio manuale di antropologia teologica in grado di sintetizzare tutte le numerose ramificazioni della materia.

Il primo merito del libro firmato da Ancona, pur esprimendo una selezione tematica, è quello di presentare i contenuti essenziali della disciplina seguendo un ordine logico ed una continuità argomentativa che è comunque affine a quella dei manuali. Sotto questo aspetto, il volume, pensato per l'insegnamento e lo studio, pur non essendolo, fa le veci di un vero e proprio manuale introducendo all'antropologia teologica secondo un disegno sistematico e in un quadro di coerenza logica. Il saggio, da questo punto di vista, anche se non può sostituire i testi manualistici in commercio -- non avendone la medesima completezza --, è però da consigliare come lettura da affiancare ad essi per un loro approfondimento tematico.

Pubblicato nella prestigiosa collana «Biblioteca di teologia contemporanea» della Queriniana, questo lavoro del docente pugliese è un saggio destinato in primo luogo agli studenti alle prese con le questioni particolarmente complesse dell'antropologia teologica, ma anche a quei credenti che, pur senza avere una formazione specifica, intendano approfondire che cosa insegna la dottrina cristiana intorno all'uomo. Da ciò la scelta di usare uno stile piano e chiaro che, evitando eccessivi tecnicismi, rende non soltanto accessibile, ma anche gradevole il confronto con le problematiche antropologiche. Pur senza eccedere nella semplificazione, ma anzi affrontando con rigore i nodi teologici più spinosi della materia attraverso analisi aggiornate e precise, l'autore rende questa branca teologica suggestiva, dimostrando il peso e l'incidenza che essa riveste all'interno dell'albero sistematico della dottrina cattolica. È questo un secondo indubbio merito della pubblicazione, la quale mette altresì in evidenza come l'antropologia teologica non sia tanto un settore teologico circoscritto, ma l'orizzonte fondamentale di tutta la teologia, con legami strutturali in ognuno degli altri ambiti.

Ancona, muovendo dalla consapevolezza pregiudiziale che quella dell'uomo rimane «una «questione aperta» che interpella non poco se stesso e quanti nutrono interessi critici sul suo essere e sulle sue vicende storiche fondamentali» (5), sottolinea un presupposto di fondo vincolante: quello che la riflessione cristiana non può pensare l'uomo prescindendo da Cristo. In ciò, appunto, la premessa basilare dell'antropologia teologica, la quale non può fare a meno di riflettere il mistero dell'uomo prescindendo dal mistero di Cristo. D'altro canto, se la teologia cristiana può effettivamente dire qualcosa di nuovo e di definitivo sull'essere umano, rispetto alle altre religioni, si deve al fatto che essa può e deve pensarlo alla luce della Bibbia e, nello specifico, dell'Incarnazione. Già nelle pagine, introduttive, quindi, viene affermato che il rimando a Cristo si deve oggi considerare, soprattutto dopo le indicazioni metodologiche del decreto conciliare Optatam totius, il preambolo di ogni riflessione cristiana sull'uomo. Scrive appunto il docente dell'Urbaniana: «la convinzione che si è imposta nell'elaborazione dell'antropologia teologica contemporanea è che non è possibile tratteggiare la visione credente dell'uomo indipendentemente dall'evento cristologico. Gesù Cristo, infatti, è l'immagine escatologica di Dio e quindi egli è la concreta e compiuta verità sull'uomo» (p. 7).

Partendo da questo preambolo, che è biblicamente confermato nelle pagine genesiache e nella teologia dell'Immagine sviluppata dalla patristica, il professore tarantino fa anche il punto sullo stato epistemologico della disciplina. Dopo la svolta antropocentrica raccolta dal Concilio Vaticano II, infatti, oggi il tema dell'uomo non è più pensato attraverso i classici trattati che frammentavano le varie questioni, come se non avessero legami tra di loro, ma secondo un'organicità sistematica che rispecchia le inevitabili interconnessioni richieste da una riflessione compiuta e completa sull'uomo. È alla luce di questa recente e nuova stagione dell'antropologia teologica, quindi, che Ancona -- pur premettendo che non esiste un consenso universale circa il suo oggetto materiale e sullo svolgimento dei suoi temi -- , propone una propria definizione della disciplina: «l'antropologia teologica è la disciplina che cerca di rendere criticamente comprensibile e credibile quanto la fede dice sull'uomo in rapporto alle comprensioni che di esso offrono non solo l'antropologia filosofica, culturale e religiosa, ma anche le scienze biologiche e ultimamente le neuroscienze» (p. 7).

Il compito che attende il teologo che si occupa dell'uomo, pertanto, è particolarmente difficile, proprio perché deve essere capace di muoversi in modo interdisciplinare, sapendo cogliere collegamenti e nessi tra problemi teologici assai differenti tra loro, orientandoli in modo convergente e comprendendoli alla luce delle dinamiche esistenziali e spirituali dell'essere umano.

1. Struttura e metodo del saggio

La struttura del saggio evidenzia in modo chiaro la sostanziale multidisciplinarietà dell'antropologia teologica, che, nel pensare l'uomo, è oggi chiamata ad interconnettere tematiche che precedentemente la manualistica pensava in modo separato, come la grazia, la creazione o il peccato originale. Il volume di Ancona, che conosce a fondo la disciplina avendola insegnata per anni, ha il pregio di coordinare questi diversi temi dimostrando come essi concorrano in modo complementare a spiegare l'umano, e come questo, a sua volta, risulti incomprensibile prescindendo da Cristo. L'indice del libro, in particolare, rivela non soltanto le interconnessioni della disciplina, ma anche un modo originale di presentarle. Infatti, in modo piuttosto inconsueto ma giustificato teologicamente, Ancona, muove dalla elezione (predestinazione), perché essa precede e fa da sfondo all'intero discorso antropologico, e solo dopo passa a commentare la creazione e l'uomo in quanto creatura. Seguendo questa medesima logica, viene svolta un’inversione simile anche nella quarta e quinta parte, dove si affrontano prima il tema della grazia e solo dopo il peccato. L'ultima sezione del libro -- la sesta -- è infine dedicata alla giustificazione, la quale rimanda implicitamente al compimento escatologico dell'uomo.

A questa struttura, semplice ed efficace, corrisponde un procedimento metodologico altrettanto lineare. L'autore, infatti, nell'affrontare ciascun tema analizza prima la base biblica -- neo e veterotestamentaria -, poi lo sviluppo storico-teologico ed infine riconsidera la questione secondo uno sguardo sistematico. È questo un modello metodologico che può e dovrebbe essere esteso a tutti i saggi di teologia, i quali, invece, molto spesso non hanno tale linearità e chiarezza. Non di rado, infatti, svariate pubblicazione teologiche soffrono una preliminare confusione di fondo che si riflette nel modo di indicizzare e strutturare la riflessione e il tema teologico indagato. È il caso di molti testi in commercio, i quali, nell'affrontare una determinata questione, trascurano spesso le radici bibliche o le intersecano in maniera assai confusa con la patristica, la tradizione e la sistematica. Procedere con il rigore metodologico seguito da Ancona, invece, aiuta indubbiamente la comprensione del tema ed il suo sviluppo naturale dalle premesse bibliche alla contestualizzazione contemporanea.

Seguendo tale criterio, le sei parti del volume analizzano quindi le sei questioni principali dell'antropologia teologica.

2. L'elezione/predestinazione

Con una scelta condivisibile, Ancona inizia il proprio saggio con il tema della predestinazione che egli associa, come sinonimo, a quello del tema biblico dell'elezione. Troppe volte, infatti, la teologia è incorsa nell'errore di muovere le proprie considerazioni antropologiche dalla caduta e dal peccato, quasi dimentica che il primo ed unico progetto di Dio è invece la chiamata continua ed irreversibile alla comunione con sé.

Precisando, quindi, che essa è un'idea centrale nelle Scritture ebraico-cristiane, lo studioso sottolinea che l'elezione è «un disegno eterno che si attua nella storia prima per Israele e poi per le genti (progressione in senso universale) » (p. 15). Nel contesto biblico, in particolare -- caso unico nel panorama delle religioni -- la suddetta elezione si compie e prende la forma di un'alleanza fra Yhwh e il suo popolo. Ancona, citando Dt 7, 6-8, ricorda che il popolo ebraico ha sempre interpretato la totalità delle proprie vicende storiche alla luce di questa elezione/alleanza, e ciò lo ha reso separato e diverso rispetto alle nazioni straniere. Israele, cioè, in ragione di questo suo legame privilegiato, si sentiva popolo di Dio e popolo santo. In relazione a tale coscienza tipica dei giudei, l'autore affronta una prima questione spinosa: l'esclusione delle altre nazioni da quella elezione misteriosa e gratuita che rendeva appunto unico il popolo di Israele fra tutte le genti. Dal momento, quindi, che la dialettica particolarismo-universalismo rappresenta una questione chiave della storia israelitica -- tema che da un punto di vista teologico è necessario rileggere alla luce di Cristo -- Ancona precisa che «accanto a questa coscienza particolaristica/nazionalistica dell'elezione compare anche l'idea che la scelta di Israele da parte di Yhwh sia una scelta funzionale: Israele è stato creato come segno per tutti i popoli della presenza di Dio e del suo agire salvifico nella storia (universalismo dell'elezione salvifica) » (p. 18). È questa, appunto, una sorta di figurazione di ciò che era destinato a realizzarsi in Cristo. In quest'ottica, infatti, il Nuovo Testamento porta a compimento, in Lui, l'universalità dell'elezione attraverso un'alleanza che viene aggettivata come «nuova». Il teologo pugliese, soffermandosi su questo passaggio cruciale, puntualizza come tale alleanza sia «qualitativamente diversa (escatologica) rispetto a quella già sperimentata nel contesto del loro vissuto di fede in Yhwh» (19). Egli ricorda, per esempio, come nei vangeli sinottici, e specificatamente in Luca, Gesù sia appunto descritto come l'eletto. Il quarto vangelo, inoltre, sviluppa in modo definitivo questa consapevolezza teologica, perché «Giovanni testimonia chiaramente che il progetto salvifico universale di Dio si intreccia con la chiamata di Israele» (23). Il tema centrale, in particolare, è quello del dono di Dio al mondo che, nel suo Figlio unigenito, offre la pienezza della vita a tutta l'umanità.

Ancona, dopo aver esaminato il tema dell'elezione anche nell'epistolario paolino, nel quale ha un ruolo implicito ma fondamentale, lo analizza nel suo ampio sviluppo storico-teologico. Qui il riferimento obbligato è ad Agostino che vi ha riflettuto principalmente attraverso la chiave grazia-libero arbitrio arrivando a sostenere che Dio, secondo una logica di giustizia imperscrutabile, salva alcuni uomini -- non per loro merito -- dal resto del mondo, che risulta così essere una massa dannata a causa del peccato originale. La visione agostiniana, però, e il decano dell'Urbaniana lo sottolinea, ha introdotto nella storia della teologia una delle questioni più pungenti che essa sia mai stata chiamata ad affrontare: «la discriminazione operata da Dio, per cui alcuni si salvano e altri rimangono nel loro stato di perdizione» (29). Lo studioso tarantino riconosce che trovare nel pensiero di Agostino risposte soddisfacenti è un'impresa abbastanza ardua. Questi, infatti, preoccupato di salvaguardare il primato, la gratuità e la necessità della grazia contro Pelagio e i pelagiani, «sostiene ancora una volta che i giudizi di Dio sono assolutamente liberi e che nessun uomo potrà mai giudicare il suo imperscrutabile operato di giustizia» (29).

È in questo quadro che il vescovo di Ippona sviluppa la sua dottrina della predestinazione, precisandola soprattutto con l'opera De praedestinatione sanctorum. In essa egli precisa che la predestinazione riferisce la cosiddetta chiamata degli eletti e non la chiamata di Dio in generale, ma, come puntualizza Ancona, «lascia insoluto il problema del perché dei non predestinati e quindi del diverso agire di Dio» (p. 31). In definitiva il pensiero di Agostino su questo tema rimane difficile da inquadrare, e, sostanzialmente, privo di risposte chiare. Da questo punto di vista, sebbene non possa essere riferita a lui l'assolutezza della tesi della doppia predestinazione, non è un caso che le lacune del suo pensiero e le questioni da lui lasciate aperte siano alle base di tutte le controversie dei secoli successivi. D'altro canto, come si diceva, quella del rapporto tra elezione e grazia rappresenta una delle questioni più complesse e difficili con cui si sia confrontata la teologia latina nella sua storia bimillenaria. Essa chiama in causa il mistero più profondo dell'essenza dell'uomo, della sua libertà e del merito contenuto nelle sue azioni davanti ad un Dio che si pone come dono necessario di grazia e forma sostanziale del suo essere. Sotto questo aspetto, cioè, il rapporto tra elezione e grazia è inscindibile -- ci permettiamo di aggiungere -- , da quello ontologico indagato dall'antropologia personalista quando cerca di esplorare l'intreccio esistenziale ed essenziale tra l'io umano ed il Tu divino, o, per dirlo con il linguaggio preconciliare, tra natura e soprannatura. È questo, d'altro canto, non un problema, ma «il» problema centrale dell'antropologia teologica, e, a ben vedere, dell'intera teologia. Su di esso il decano dell'Università Urbaniana si sofferma ulteriormente quando analizza il concetto di persona, e più ancora quando coglie le implicazioni antropologiche contenute nella cristologia e nella teologia dell'immagine, a dimostrazione di come i temi fondamentali affrontati da questa disciplina siano particolarmente complessi proprio perché non si possono studiare a compartimenti stagni.

Da Agostino, ad ogni modo, il problema -- irrisolto -- della predestinazione, o forse meglio della doppia predestinazione, è passato, attraverso l'agostinismo, alla scolastica medioevale per poi proseguire nelle discussioni dell'età moderna. Tommaso, per richiamare il più noto degli autori evocati da Ancona, «vede la predestinazione strettamente connessa all'idea di provvidenza» (35). È soprattutto con l'età della Riforma, però, che il dibattito è riemerso in tutta la sua incisiva vivacità problematica. Anticipata nel contesto protestante da Giovanni Calvino, strenuo difensore della doppia predestinazione, in ambito cattolico, dopo il Concilio di Trento, la disputa è riesplosa con la polemica tra L. de Molina e D. Bañez. La controversia, in particolare, contrapponeva la scuola gesuita a quella agostiniano-tomista, e si concentrava sul ruolo della grazia in rapporto agli atti liberi dell'uomo. Secondo il primo, la grazia diventava efficace quando è accolta dalla libertà, e in ogni caso post praevisa merita, secondo il secondo, invece, era efficace già in partenza e ante praevisa merita.

Rispetto a questo complesso dibattito teologico, e facendone una sorta di bilancio conclusivo, Ancona commenta che entrambi gli assunti sono problematici sul piano teologico, specificando che «il tema della predestinazione soffre di astrattismo ed è lontano da ogni criterio di lettura storico-salvifica (cristologica) » (p. 38). Quindi, prescindendo dal giansenismo, sul quale lo studioso non si sofferma, egli concentra la sua attenzione in K. Barth, che ha avuto il merito di reimpostare il tema su base cristologica. Scrive il docente dell'Urbaniana: «La novità dell'assunto barthiano sta, infatti, nell'aver contestualizzato il tema della predestinazione nel suo ambiente vitale proprio: la grazia di Dio» (p. 39). Con ciò la prospettiva riacquista il suo orizzonte di fondo che qualifica Dio come colui che, a prescindere, ama ed elegge. È questo l'assunto di fondo al quale sono appunto appese le tesi barthiane, le quali mettono l'accento su Cristo come soggetto, ma anche oggetto della elezione/predestinazione di Dio, che assume così un carattere universale, e specificatamente comunitario, che supera l'individualismo agostiniano.

Passando infine alla riflessione sistematica sul tema, l'autore ribadisce la necessità di ri-centrare la questione in senso autenticamente biblico, e ripercorrendo l'agire elettivo di Dio sul piano comunitario (il popolo di Yhwh) e individuale (il singolo all'interno della comunità) arriva al nodo centrale dell'elezione in Gesù Cristo. Il punto cruciale, che il teologo pugliese declina in diversi paragrafi, è che «L'agire elettivo di Dio è sempre in relazione a Gesù Cristo. Tra l'elezione (predestinazione) e Cristo vi è uno strettissimo rapporto» (p. 49). Il ricentramento cristologico della questione ha ovviamente dei diretti riflessi antropologici che coinvolgono l'agire storico dell'uomo, la sua libertà e la sua realizzazione individuale: «Nella chiamata eterna in Cristo l'uomo ha la possibilità di dare senso e compiutezza alla propria identità» (p. 52).

È questa potenzialità in Cristo che permette di ripensare l'elezione in modo diverso. In particolare, annota Ancona, l'eventualità del rifiuto da parte dell'uomo «va pensato non come pre-destinazione altra, ma come concreto e libero (voluto) fallimento della propria destinazione alla salvezza (identità compiuta) e quindi come fallimento della stessa libertà» (p. 53). Lo studioso, tuttavia, chiude significativamente il capitolo focalizzando la questione non sull'elezione, ma bensì sulla speranza, proprio perché quest'ultima si pone agli antipodi di qualsivoglia visione restrittiva della predestinazione, e, richiamando Benedetto XVI, rimarca come questa fondamentale virtù cristiana «si traduce soprattutto in impegno di vita, in testimonianza per gli altri; perché tutti possano sperare nella salvezza di Dio» (p. 54).

3. La creazione

Dopo i vari capitoli della prima parte, l'autore passa ad analizzare il tema dal quale iniziano in genere gli studi e i manuali di antropologia: la creazione. L'ordine logico impostato da Ancona, però, ha una limpida giustificazione teologica, perché, come spiega citando Brambilla, la creazione non è una realtà neutra, ma è posta originariamente dalla sua destinazione. La creazione, pertanto, che «è la manifestazione di Dio in una realtà totalmente diversa, altra da sé», si rivela come un evento trinitario in quanto il mondo è l'uomo sono creati, cioè voluti, «dal Padre, in vista del dono del Figlio, e sono destinati (pre-destinati) alla piena conformazione alla vita dello stesso Figlio, per la forza dello Spirito» (p. 57).

Nello scandagliare il tema, il primo elemento messo in evidenza dall'autore è come «La coscienza di fede di Israele circa la creazione da parte di Yhwh sembra essere piuttosto de-centrata» (p. 58). Al centro della fede di Israele, infatti, come viene messo in nota, ci sono piuttosto gli eventi dell'esodo, e, nello specifico, l'alleanza. In altre parole, c'è un primato del Yhwh liberatore-salvatore su quello creatore.

Ciò, tuttavia, non significa che Israele sminuisca o dia scarsa rilevanza all'agire creativo di Dio. Nel descriverlo ricorre a moduli rinvenibili nelle culture vicine, ma certamente, su tutti, privilegia quello della creazione attraverso la parola. Quest'ultima, con la letteratura sapienziale viene ulteriormente compresa come ispiratrice dell'agire morale, in quanto espressione della sapienza personificata. Viene così riconosciuta, come lascia intendere la citazione dell'autore di Pr 8, una corrispondenza tra sapienza cosmica e sapienza morale-antropologica. Sulle implicazioni di detta corrispondenza la riflessione teologica tradizionale ha forse riflettuto con troppa sufficienza, mentre invece essa rappresenta una prospettiva di grande interesse, anche in vista di possibili collegamenti con le cosmologie delle religioni non semitiche.

Nell'orizzonte biblico, ad ogni modo, il mondo è considerato creazione proprio perché altro da Dio e dotato di relativa autonomia. Esso, per descriverlo con le parole di Ancona, «si comprende come il partner di Dio» (p. 63). Stimolante, inoltre, è il richiamo che l'autore fa dell'idea di caos (thohû-wâbhoû) anche perché aiuta a comprendere la strumentalità con la quale alcune pubblicazioni recenti -- vedi Il principio passione di Vito Mancuso -- hanno approcciato questo stesso tema per sostenere forzatamente convinzioni pregresse. Come precisa il decano di teologia, il concetto di caos «molto comune alle culture vicine ad Israele, non rimanda al pensiero di una materia preesistente, da cui Yhwh, in qualità di demiurgo, avrebbe poi dato forma al mondo. Il caos è semplicemente l'antitesi della situazione che deriva dall'atto creatore» (p. 64). La conclusione che procede da questo dato esegetico, secondo Ancona, è che l'idea di caos «non può indurre una riflessione di tipo filosofico, al fine di decifrare il suo cosiddetto statuto ontologico. Tale operazione è estranea al mondo biblico. Ciò significa che l'idea di caos non può e non deve rimandare in alcun modo al concetto di creazione dal nulla, il quale è frutto di una speculazione successiva» (p. 64). In un saggio di antropologia rilevanza particolare ha poi, ovviamente, la creazione dell'uomo -- come si legge in Gen 1, 26-28 --, ad immagine e somiglianza di Yhwh. Con l'attenzione esegetica e lessicale che caratterizza il lavoro teologico dell'autore, viene quindi indagato il senso letterale dei due termini: «Il significato di ?elem è racchiuso nell'idea di «immagine rappresentativa»; per cui, l'uomo è colui che agisce come una sorta di immagine viva di Dio o di statua viva di Dio nell'intero creato. Mentre il significato di d?mûth è quello indicante un'imitazione, una copia. Significati, questi, comprensibili sullo sfondo delle culture orientali ed egiziane» (p. 67). Passando dall'Antico al Nuovo Testamento, la novità di maggior rilevo messa in risalto nel saggio è la scoperta di Gesù Cristo come mediatore della Creazione. I testi paolini, al riguardo, sono normativi, soprattutto 1 Cor 8, 5-6 e Col 1, 15-20. Le scritture neotestamentarie, però, non rivelano soltanto che Cristo è il mediatore della Creazione, ma anche colui nel quale tutte le cose saranno ricapitolate, come si legge in Ef 1, 3-14. Da questo punto di vista, il Cristo, oltre ad essere suo salvatore, è sia all'inizio che alla fine del mondo, e questa costante ed immanente presenza cosmica giustifica certamente le varie cristologie -- improntate al pancristismo -- che si sono succedute nel corso dei secoli da Massimo il Confessore a Teilhard de Chardin.

Lo sviluppo teologico successivo è stato caratterizzato dal confronto con lo gnosticismo. Il mondo greco, infatti, rispetto a quello biblico conserva una concezione maggiormente dualista i cui effetti si sono fatti sentire anche in talune eresie medioevali, come quella dei catari. I padri, fino ad Agostino, si sono confrontati a lungo con questo orizzonte dualistico di fondo. Con Tommaso e la scolastica, però, caratterizzata dall'ingresso dell'aristotelismo, la teologia ha ripensato il rapporto tra Dio e la creazione in termini nuovi, come, per esempio, quello di causa/e. Dio diventa così, come ricorda Ancona, la causa finale di tutte le cose. In Tommaso, tuttavia, si trovano significativamente varie altre nozioni cosmologiche, come quella di creazione dal nulla e il rimando, già agostiniano, al concetto di vestigia trinitatis.

Con l'età moderna, e le sue molteplici scoperte geografico-scientifiche, la prospettiva cambia ulteriormente e si arricchisce di elementi nuovi. Come sottolinea l'autore, il pensiero cattolico è stato costretto a confrontarsi con la rivoluzione copernicana così come con i panteismi filosofici dell'idealismo. Da ciò, appunto, i passi della costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I, citata in esteso da Ancona, attraverso la quale la Chiesa ha fissato dogmaticamente i punti fondamentali della dottrina cattolica sulla creazione. Forse anche per questa attenzione pregressa, il Concilio Vaticano II trascura un po' la riflessione cosmologica, sebbene ad essa faccia dei richiami la Gaudium et spes, puntualmente menzionata nelle pagine del libro.

L'autore ricorda, ad ogni modo, come la riflessione teologica moderna sulla creazione si focalizzi su due questioni specifiche: quella ecologica e l'evoluzionismo. Egli passa così a delle considerazioni sistematiche sul tema sottolineando vari punti: che la creazione è un evento trinitario; che Dio non ha bisogno di creare; che tra Dio creatore e realtà creata non esiste un nesso necessario; che creazione dal nulla significa che la creazione non presuppone nessuna realtà che non sia Dio. Il capitolo si chiude infine prendendo in esame il rapporto con la scienza -- in particolare la problematica del Big Bang --, e la questione dell'evoluzione, che viene richiamata citando la convinzione di K. Rahner secondo il quale Dio accompagna la sua creazione nel divenire-sempre-di-più. Un dato di fondo generale, comunque, è, come si legge, che non si può pensare «a un Dio lontano dalla sua creazione, ma vicino; e tale vicinanza e presenza è possibile solo mediante lo Spirito» (p. 113).

4. L'uomo in quanto creatura

Nel riflettere sull'uomo in quanto creatura, il primo elemento messo in risalto da Ancona è che non è possibile dare una risposta chiara, con l'aiuto della Bibbia, all'eterno interrogativo su che sia l'uomo. La descrizione della sua creazione attraverso la plasmazione e l'insufflazione, però, rivelano un dato fondamentale: la sua dipendenza dal creatore. Da ciò, quindi, deriva il dato conseguente che l'uomo risulta essenzialmente un essere in relazione. Una relazione che è sia verticale, con Dio, che orizzontale, con gli uomini. Dagli altri elementi della narrazione biblica, inoltre, è possibile raccogliere un ulteriore elemento che lo caratterizza: la sua responsabilità, ovverosia il suo essere chiamato all'obbedienza. Ancona, citando Sap 1, 12, mette appunto in evidenza come, secondo l'insegnamento biblico, il cattivo uso di questa responsabilità causi la rovina dell'uomo e la sua morte.

Il Nuovo Testamento, a sua volta, riprende questa tematica perché chiarifica la natura della relazionalità che l'essere umano intrattiene con Dio fino a qualificarla come filiale. Scrive per l'appunto il professore tarantino: «L'uomo è colui che sta sempre rivolto a Dio; e con Dio intrattiene relazioni alla maniera del figlio nei confronti del Padre» (p. 132). Questa qualità relazionale apre al primato neotestamentario dell'amore, «L'amore, infatti, è il «luogo» esistenziale in cui l'uomo può riconoscere la signoria di Dio che irrompe nella sua storia e che gli arreca perdono, misericordia, gioia di vivere, sostentamento materiale» (p. 132). Ancona precisa inoltre che le pagine neotestamentarie riprendono componenti antropologiche già rintracciabili nell'Antico Testamento, esprimendole, però, attraverso il linguaggio greco.

Viene ricordato, in particolare, come con san Paolo inizi una rilettura di Adamo come uomo incompleto e figura di colui che doveva venire, ovverosia, Gesù Cristo. È questo il preludio di una sua comprensione come archetipo dell'uomo creato. Infatti, e lo svilupperà abbondantemente la teologia dell'immagine della letteratura patristica, Cristo è concepito in primo luogo come la vera immagine di Dio. L'autore del volume, tuttavia, sottolinea questo dato per anticiparne un corollario ancor più rilevante sul piano antropologico: la persuasione che l'immagine di Dio nell'uomo non sia una qualità statica, ma bensì dinamica. Tale prospettiva, infatti, fa entrare in gioco la persona dello Spirito, perché solo attraverso di esso, in una dinamica che si rivela quindi trinitaria, che diviene possibile, per l'uomo, assimilarsi a Gesù Cristo.

Per quanto riguarda lo sviluppo storico-teologico successivo, e i contributi di quei teologi che in epoca patristica, hanno riflettuto in vario modo sull'uomo, Ancona menziona in primo luogo la dottrina dei semi del Verbo di Giustino, ma anche Agostino, del cui insegnamento «antropologico» ha cura di precisare che, al di là del sottofondo platonizzante, non è realmente dualistico. Per quanto concerne il medioevo, invece, le pagine del capitolo si soffermano su Tommaso d'Aquino. Come viene precisato, la novità essenziale che l'aquinate ha introdotto nel proprio specifico modo di comprendere l'umano è la prospettiva filosofica aristotelica. Con essa l'anima dell'uomo viene individuata come la forma del corpo, e, in conseguenza di ciò, l'essere umano non è più «il risultato di una composizione di due entità estranee fra loro, di due parti che si congiungono; esso è, invece, un essere uno, un intero, che alla sua base non è altro che l'unione di due principi metafisici sostanzialmente uniti e che quindi dicono come l'uomo è sempre totalmente anima e totalmente corpo» (p. 147). Con l'aquinate, in sostanza, si giunge ad un effettivo superamento del dualismo antropologico platonico, e si giunge ad una rappresentazione dell'uomo che lo comprende come un'unità imprescindibile, in quanto «l'anima è sempre spirito incarnato e il corpo è sempre materia animata» (p. 147).

Questa prospettiva fa da premessa al capitolo sul personalismo, sul quale l'autore si sofferma con grande chiarezza, introducendo, parimenti, quella fondamentale svolta antropologica che fa da sfondo alla filosofia e alla teologia moderna. Come si legge, infatti, l'età medioevale, grazie soprattutto a Tommaso d'Aquino, ha visto imporsi il concetto di persona per indicare l'uomo. L'aquinate, del resto, andando oltre la definizione di Boezio, precisa che «la persona non è una semplice substantia, ma è un subsistens in rationali natura, un soggetto» (p. 152). In particolare, Tommaso risulta essere alla base di quel sostanzialismo personalistico sul quale Ancona solleva alcune riserve: «lo stesso concetto di persona, inteso come privo di qualsiasi riferimento all'idea di relazione e indicante solo un essere sussistente, si presta inevitabilmente al rischio di dover comprendere l'uomo sì come soggetto, ma chiuso in se stesso, autoreferenziale, individualistico; e l'epoca che segue ne trarrà tutte le conseguenze in proposito» (p. 153). Il professore pugliese arriva a così ad illustrare la comprensione moderna di persona che, caratterizzata dal personalismo, inteso essenzialmente come relazionalità, è arrivato fino al Concilio ed in particolare alla costituzione Gaudium et spes. La deduzione che guida e fa da sfondo alle recenti pubblicazioni teologiche sul tema, raccogliendo le indicazioni conciliari, si risolve in una comprensione «dell'uomo come un essere in relazione fondativa con Dio e in relazione con gli altri e con il mondo» (p. 157). Questa relazionalità fondamentale, però, questa comprensione ultima della persona come identità relazionale, non la si comprende se non si pone l'accento sull'uomo inteso come soggettività che è e diviene persona in Cristo. Come precisa Ancona: «Divenire persona, in altri termini, è divenire figli di Dio nel Figlio Gesù» (p. 161). In conclusione del capitolo l'autore passa così in rassegna i costitutivi specifici della persona umana, ovverosia il corpo e l'anima. Rispetto al primo elemento, Ancona ha cura di sottolineare il superamento del dualismo cartesiano, specificando che il ««corpo» non può venire colto in modo isolato dal termine «anima»» (p. 165). Dall'autore viene poi elusa ogni visione riduttiva della corporeità, rimarcando che l'uomo non ha un corpo, ma è un corpo, e che esso coincide con l'espressione più propria della condizione umana.

Passando all'anima sostiene invece che essa «non è una porzione di uomo, ma l'uomo stesso nella sua relazione unica, originale, con Dio; una relazione che non viene meno neanche con il subentrare della morte» (p. 168). L'unione inscindibile di corpo ed anima, quindi, hanno un'unica destinazione facilmente riscontrabile nelle convinzioni dottrinarie circa l'immortalità e la resurrezione.

L'ultimo elemento preso in esame da Ancona è la libertà dell'essere personale umano. Tale libertà, però, viene descritta come un processo dinamico in divenire che coincide con l'essenza del suo essere personale e trova realizzazione e condizione di possibilità solo in Cristo. È in lui, come viene puntualizzato, che l'uomo diviene libero, persona e Figlio di Dio.

5. La grazia di Dio

Il quarto capitolo del saggio di Ancona affronta la grazia, che, ovviamente, non può non essere ascritta ai temi fondamentali dell'antropologia teologica. Partendo come sempre dalle scritture veterotestamentarie, viene sottolineato come in esse l'agire benevolo di Yhwh prenda forma sostanziale nell'alleanza. Secondo l'autore, cioè, l'espressione originaria e fondamentale di questo agire benevolo è, richiamando così i contenuti del capitolo iniziale, l'elezione (predestinazione). L'alleanza rappresenta infatti il dono per eccellenza di Dio.

Questa dimensione è ovviamente sublimata e realizzata nella sua massima compiutezza nell'agire benevolo di Gesù testimoniato dal Nuovo Testamento, il quale sancisce una «nuova» e definitiva alleanza. La grazia, da questo punto di vista, è in primo luogo la persona e l'esperienza storica di Gesù. Il termine corrispettivo che comincia a ricorrere nelle varie redazioni, ma soprattutto in Luca, è precisamente quello di cháris, che sta appunto ad indicare il fondamentale favore di Dio verso l'uomo. È nel corpus paulinum, però, che il lemma ricorre più frequentemente. In Paolo, infatti, quello di cháris diviene un concetto chiave, anche perché con tale categoria concettuale egli riassume l'intero evento salvifico di Gesù Cristo, collegandolo ad altri termini dal significato soteriologico affine come vita, elezione, giustizia, redenzione o fede. Ancona passa così a citare un brano chiave, Rm 3, 23 -- 24, sottolineando i due termini sinonimi che ricorrono nel passo: «gratuitamente» e «per grazia». L'ermeneutica del brano rivela come la comprensione paolina di cháris vada ben oltre il corrispondente ebraico di benevolenza, perché nell'apostolo il termine coincide con la salvezza e con quella trasformazione interiore di cui egli stesso aveva fatto diretta esperienza. Agostino, come si legge, ha raccolto questa dimensione soteriologica ulteriore, ed essa, attraverso lui, ha segnato lo sviluppo storico-teologico medioevale. Ancona, infatti, puntualizza che nei Padri non è oggettivamente presente una vera teologia della grazia. Nei loro scritti tale termine indicava semplicemente l'unione dei credenti con Gesù Cristo e con lo Spirito Santo. In particolare, nei primi secoli, e miratamente nel contesto greco, la grazia coincideva con la divinizzazione, intendendo con essa -- come sottolinea l'autore al fine di evitare equivoci panteistici -- una partecipazione alla natura divina «non nel senso della «generazione», ma secondo l'adozione filiale per grazia, per un atto libero e gratuito della Trinità» (p. 192). È soprattutto con Agostino, definito doctor gratiae, che la riflessione teologica sul tema è diventata meno generica, perché essa si è precisata in rapporto alla controversia con Pelagio. Quest'ultimo, come spiega il teologo dell'Urbaniana, portava con sé una visione dell'uomo orientale tendenzialmente ottimista siccome incentrata sulla creazione dell'uomo a immagine di Dio, difendendo in tal modo la libertà dell'uomo e la sua capacità di evitare il peccato. Agostino ha appunto reagito a questa impostazione, sostenendo, all'opposto, la necessità imprescindibile della grazia per riuscire a non peccare. Sebbene i vari concili del tempo abbiano sposato questa sua linea, continua il teologo pugliese, il dibattito sulla questione si è inesorabilmente riaffacciato in età medioevale con il contrapporsi di due scuole ben distinte: quella di matrice platonico-agostiniana e quella di ispirazione aristotelico-tomista. Alla prima è da ricondursi Ugo di San Vittore e la scuola francescana (Alessando di Hales, Bonaventura e Duns Scoto). Essa, conservando il dualismo platonico e le convinzioni di Agostino, ribadiva che il peccato originale necessita la grazia. Alla seconda scuola è invece da ricondursi soprattutto Tommaso, il quale, facendone una sistemazione principalmente attraverso il concetto di habitus e l'orientamento escatologico del destino umano verso la beatitudine, legge la grazia come un dono esterno gratuito che va a coincidere con le virtù teologali (da essa rese possibili) e che trasforma interiormente l'uomo.

Ancona, rispetto a queste considerazioni dell'aquinate, annota che «Tommaso insiste più sull'effetto creato della grazia nell'uomo che sulla grazia in se stessa ed è forse questo il motivo che determina le note riserve sulla sua dottrina espresse dai Riformatori in epoca moderna» (p. 201). Passando a questa fase storica, l'autore riassume il dibattito sulla grazia che fa da sfondo alla Riforma luterana e alla Controriforma del Concilio di Trento. I riformatori, infatti, per primo Lutero, ritenevano che la dottrina tradizionale di «grazia creata» di marca scolastica minasse l'assoluta sovranità di Dio. A queste critiche rispose direttamente, come documentano le pagine del capitolo, il decreto sulla giustificazione del Concilio tridentino, secondo il quale «la grazia non è solo il favore di Dio rivolto all'uomo, ma è anche e soprattutto una realtà che santifica e rinnova l'uomo interiormente» (p. 202). Essa, cioè, risulta essere un dono preveniente, nel senso che muove il peccatore verso la giustificazione e fornisce altresì un sostentamento verso il compimento della salvezza, alla quale l'uomo collabora attivamente. Nonostante il chiarimento di Trento, però, e Ancona lo ricorda quasi a sottolineature della complessità del tema, le discussioni non sono cessate, e di ciò danno prova la polemica De auxiliis e le bolle contro le tesi di Baio e gli errori di Giansenio e dei giansenisti.

Venendo all'età contemporanea, si legge nel libro che la teologia della grazia si è rinnovata, e come di essa si siano occupati teologi di peso che l'hanno riflettuta mettendo l'accento su vari aspetti. Facendo una considerazione di sintesi su tali posizioni, Ancona puntualizza che «Quel che è certo è che la teologia della grazia oggi, sebbene non ancora compiuta, si muove su versanti che sono lontani dalla tradizionale impostazione speculativa e che hanno il loro punto di forza nella storia della salvezza e nell'evento cristologico-trinitario in particolare» (p. 204).

Nel dare uno sguardo sistematico conclusivo, quindi, l'autore del volume mette l'accento proprio su quest'ultima chiave di lettura, precisando che «In questo senso, l'idea di grazia contiene la sintesi dell'intero evento salvifico cristiano» (p. 206). In definitiva, cioè, essa coincide con l'autocomunicazione di Dio e collima con Dio stesso. Conseguentemente, l'ultimo aspetto dalla grazia messo in risalto è la dimensione ecclesiale, perché «La grazia dell'Incorporazione a Cristo, per l'azione dello Spirito nella vita del credente, mediante il sacramento del battesimo, inserisce lo stesso credente nella Chiesa» (p. 215).

6. L'uomo peccatore

Seguendo coerentemente l'ordine logico-teologico predeterminato, Ancona, dopo aver analizzato il tema della grazia, prende in esame il peccato, in quanto esso «è essenzialmente il risultato di una azione libera che consiste nel rifiuto di riferirsi a Dio» (p. 221). In sostanza, il peccato appare essere una realtà successiva e susseguente ad un'offerta di comunione, ad una chiamata di fondo, ed è per questo, come sottolinea il teologo pugliese, che nell'Antico Testamento l'uomo peccatore è in primo luogo colui che rompe l'alleanza con Yhwh. L'autore, a questo riguardo, ripercorre le molte pagine bibliche, da Amos a Geremia, nelle quali si narra il tradimento di Israele nei confronti di questa offerta di comunione, soffermandosi sulla colpa principale: il volersi sostituire a Yhwh. È in questo contesto che Ancona rilegge le pagine di Gen 3, e, intrecciandolo con altri passi, conclude che esso «dice certamente che il peccato di ogni uomo è un'azione che tende a rendersi autonomi da Dio, a voler sostituirsi a lui, ma, al contempo, che la misericordia di Yhwh è più forte del peccato» (p. 225).

Passando al Nuovo Testamento, le pagine del volume ricordano gli incontri di Gesù con i peccatori, ed il suo tipico atteggiamento che non è mai di giudizio o di condanna, ma sempre all'impronta del perdono e teso alla conversione. Nelle lettere paoline, però, il peccato ed il peccatore vengono letti in una chiave teologica ulteriore: quella della relazione-rapporto con Adamo. Ancona, citando Rm 5, 12-21, ripercorre quindi la teologia paolina e la dialettica ed antitetica contrapposizione tra l'essere sotto l'influsso di Cristo o sotto l'influsso di Adamo. Analizzando esegeticamente il brano, il professore dell'Urbaniana illustra la dottrina tradizionale dell'estensione universale del peccato universale a causa della colpa adamitica e il conseguente ingresso della morte nel mondo. Riassumendo l'articolata sintesi dell'autore, è importare riportare quanto egli riferisce rispetto all'espressione «a causa di un solo uomo» di cui parla il v. 12. Essa, a suo avviso, va letta per contrasto a Gesù Cristo che è il solo mediatore tra Dio e gli uomini. Da una tale impostazione ermeneutica discende appunto «che la trasgressione di Adamo ha oggettivamente coinvolto tutti gli umani in una situazione di peccato e quindi di morte (spirituale), da cui si può essere liberati solo da Gesù Cristo» (p. 231).

Nel ripercorre lo sviluppo storico-teologico del tema, il saggio si sofferma sul pensiero di Agostino, nel quale la questione del peccato, e miratamente di quello originale, ha indubbiamente un ruolo rilevante. Ancona, richiamando un saggio di V. Grossi, lega la riflessione del vescovo di Ippona a tre precisi contesti: «la necessità universale della redenzione di Gesù Cristo; la dottrina pelagiana, antropologicamente caratterizzata in senso ottimista; la polemica africana tra donatisti e cattolici circa l'effetto dei sacramenti, a partire dalla condizione di santità del ministro» (p. 236). In tale quadro, che ha alla base il testo latino di Rm 5, 12, la natura umana ha contratto da Adamo, come in un contagio, la tendenza a peccare. Se per i pelagiani, come viene precisato, il peccato originale era solo un cattivo esempio, in Agostino esso trasforma invece l'intera umanità in una massa dannata. Questa posizione tradizionale del pensiero teologico dell'ipponate, come viene ribadito dall'autore, nasce dalla sua preoccupazione fondamentale che «è quella di sostenere la necessità universale della grazia di Cristo» (p. 237). Quello agostiniano, da questo punto di vista, risulta pertanto essere un amartiocentrismo poco attento al cristocentrismo biblico.

Se i sinodi di Cartagine e di Orange hanno recepito la visione di Agostino, nella scolastica medioevale le questioni inerenti la natura del peccato originale e la sua trasmissione sono state pensate secondo le differenti sensibilità delle scuole del tempo. Ancona ricorda così la posizione agostiniana di Pietro Lombardo, quella di Abelardo, che spiega la trasmissione del peccato in termini maggiormente giuridici, ed infine quella di Tommaso, che ne fornisce sia una spiegazione «biologica» che «sociologica». Secondo l'angelico, in particolare, la natura umana risulta corrotta, ciò nondimeno, però, tale corruzione non impedisce all'uomo di compiere azioni buone e meritevoli.

Con Lutero, invece, la pervasività del peccato originale torna ad avere un'estensione ed un'intensità radicale. Il Decreto sul peccato originale di Trento reagisce esattamente a questa sua posizione senza introdurre elementi nuovi, ma attenendosi a quanto affermato nei sinodi e nei concili precedenti. La tesi di fondo, ad ogni modo, è che esiste «una peccaminosità nativa universale, diversa dalla peccaminosità procurata dai peccati personali» (p. 243). Nel dibattito contemporaneo questa dottrina ha ricevuto attenzioni anche da un punto di vista filosofico, e, soprattutto a ridosso e a cavallo del Concilio Vaticano II, è stata altresì ripensata in confronto con le scoperte scientifiche moderne.

Venendo a delle considerazioni sistematiche intorno a questo fondamentale tema antropologico, Ancona ribadisce che il peccato originale non può essere ponderato in maniera isolata dal contesto generale della storia della salvezza. Riassumendo la problematica con un'immagine suggestiva, egli sintetizza così che il peccato originale è il rifiuto dell'uomo di essere immagine di Dio, è un tentativo di autosalvezza, autocompiacimento ed autodivinizzazione. Ecco perché, secondo l'autore, il peccato originale «svela pienamente il significato dell'uomo senza Cristo; esso non motiva la redenzione, poiché questa è previa ad ogni peccato, ma spiega come la stessa redenzione è impossibile quando l'uomo si mette al di fuori del progetto di Dio in Cristo, per la forza dello Spirito» (p. 248). Esso dice pertanto l'effettiva storia di perdizione dell'umanità, perché, come si legge, il peccato originale è essenzialmente la libertà che fallisce. Tuttavia, e sono queste le pagine conclusive del capitolo, il peccato «è sempre una realtà relativa, poiché sulla sua realtà drammatica si erge in assoluto l'opera salvifica di Gesù Cristo» (p. 256).

7. La giustificazione

Il saggio di Ancona si conclude con il tema della giustificazione. Egli chiude così un'ideale percorso di riflessione sull'uomo di tipo circolare, in quanto quell'elezione che è all'origine della vicenda umana non può essere oscurata o annientata dal peccato, ma viene anzi pienamente ristabilita da Dio stesso in Cristo.

Il primo elemento messo in risalto dal teologo di Taranto è come il concetto biblico di giustizia non sia, in generale, di tipo forense, ma implichi altresì una trasformazione interiore. Viene precisato, inoltre, che nell'Antico Testamento è piuttosto diffusa l'idea di giustizia di Yhwh, che riveste, però, diverse sfumature di significato: da quello legalistico a quello, più ampio, della relazione salvifica che comprende, oltretutto, il castigo per l'infedeltà o la vendetta sui nemici. Il termine, infatti, legato sempre al tema dell'alleanza, assume in Osea, per portare un esempio noto, i contorni della sponsalità, mentre nei salmi il suo significato si avvicina piuttosto a quello di misericordia e liberazione dalla prova.

Nel Nuovo Testamento il tema della giustizia è ovviamente legato a Gesù Cristo, ma è soprattutto in Paolo che il tema si carica di una densità concettuale destinata a segnare tutto lo sviluppo teologico successivo. L'apostolo, infatti, usa frequentemente il termine «giustizia di Dio» che non risulta, però, di facile interpretazione. Ancona, dopo aver riportato gli studi esegetici ed ermeneutici sul lessico paolino, conclude che giustizia di Dio in Paolo è «un concetto positivo e salvifico; essa è fedeltà di Dio all'uomo, nonostante questi risulti essere ingiusto, peccatore» (p. 267). Uno sviluppo ulteriore del tema è poi il concetto, sempre paolino, di «giustificazione per la fede». L'autore dedica ad esso un approfondimento spiegando che la giustificazione è «un processo che necessita della fede, senza la quale è assolutamente impossibile venire accolti da Dio e ristabiliti nella relazione di alleanza con lui» (p. 269). C'è poi la questione teologica complementare della salvezza non attraverso la sola fede, ma anche le opere, che Ancona affronta incrociandola con la lettera di Giacomo, perché, su questo punto, Paolo e Giacomo sembrerebbero entrare in contraddizione. In verità, però, come viene spiegato, c'è solo una differente preoccupazione derivante da una diversa sottolineatura teologica, perché, anche secondo Paolo, la fede richiede le opere come sua naturale fruttificazione.

La questione, ad ogni modo, assurge a vero e proprio tema teologico solo con Agostino, i primi autori cristiani, infatti, «non ponevano una grande attenzione al processo per cui l'uomo peccatore accedeva allo stato di grazia, ma, in un orizzonte positivo, la loro «antropologia» era tutta incentrata sul tema della divinizzazione (nei Padri greci in particolare)» (p. 273). Secondo il vescovo di Ippona, scrive lo studioso dell'Urbaniana, la giustificazione del peccatore ha due aspetti: la remissione dei peccati e la creazione dell'uomo nuovo. In particolare queste due dimensioni, che vanno ascritte all'azione dello Spirito, stanno ad indicare che la giustificazione è una vera e propria cancellazione del reato, ed è parimenti una deificazione e filiazione dell'uomo. Citando un passo da Esposizioni sui salmi, Ancona ha cura di sottolineare che questa prospettiva agostiniana non può essere equivocata col panteismo di marca orientale e rimanda, altresì, alla divinità del Cristo: «[Dio] ha chiamato dèi gli uomini, deificati per sua grazia, non nati dalla sua sostanza. Giustifica infatti Colui che giusto per se stesso, non in forza di altri; e deifica Colui che per se stesso è Dio, non perché partecipa alla divinità di qualcun altro» (p. 274).

Dopo questa citazione di Agostino, l'autore passa ad affrontare la scansione del tema nella scolastica, specificando che in quel contesto essa è prevalentemente studiata nell'ambito della dottrina sui sacramenti. Tommaso, che è fra questi, la legge appunto «come un passaggio da uno stato di ingiustizia a uno stato di giustizia (transmutatio) attraverso la remissione dei peccati, quale effetto della grazia» (p. 276). Arrivando a Lutero, nel quale questa dottrina ha un rilievo capitale, Ancona ha cura di precisare qual è il contesto che può averlo influenzato. Riassumendone quindi il pensiero teologico scrive: «Il fatto che Lutero insista su questa radicale corruzione della natura umana e quindi sulla realtà in sé del peccato ha come scopo quello di esaltare l'opera redentrice di Cristo. Solo Cristo (solus Christus), con la sua passione e morte, libera l'uomo dal peccato e dalla morte. Lutero, infatti, sottolinea con forza l'azione della grazia di Dio in Cristo, il quale, attraverso il suo sacrificio, ha compiuto pienamente la legge in favore dell'uomo peccatore» (p. 278). Passando poi ad un altro dei luoghi teologici caratterizzanti la dottrina luterana, Ancona precisa come la giustificazione sia esteriore -- cioè non inerente all'uomo -- ed escluda le opere, perché queste derivano comunque da una giustificazione in atto che, peraltro, si manifesta come progressiva, in quanto il peccato è una realtà persistente nell'uomo. Il successivo concilio di Trento, in polemica esplicita con Lutero, ha sistematizzato la posizione cattolica, che Ancona riassume concisamente ma in modo assai preciso, puntualizzando che la dottrina tridentina «va considerata sempre e comunque nel suo contesto storico» (p. 282). Questo commento relativizzante introduce alle riflessioni sul tema fatte in epoca contemporanea caratterizzate, in gran parte, da una tensione ecumenica di fondo. Alcuni tra i più noti teologi cattolici del Novecento, per esempio, vi hanno fatto riferimento proprio in questa chiave, ma anche perché tale tema è stato ripreso da K. Barth, che, in ambito protestante, rappresenta indubbiamente l'autore che maggiormente ha stimolato la riflessione cattolica. Ancona, in particolare, soffermandosi soprattutto sul contributo di H. Küng, afferma che egli «riflette ampiamente sul tema e giunge alla conclusione che tra Barth e la dottrina cattolica ci possa benissimo essere un accordo fondamentale» (p. 283). A prescindere da ogni valutazione di merito su questa convinzione, che rimane certamente discussa e discutibile, essa fa da sostegno all'impegno ecumenico delle chiese, che sul tema, nel 1999, ha pubblicato anche un documento condiviso: la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione.

Venendo infine a delle considerazioni sistematiche sulla giustificazione, l'autore ne ribadisce il principio indiscutibile che essa è opera salvifica di Dio in Gesù Cristo. Ciò non significa, però, che la fede cristiana abbia una visione essenzialmente negativa dell'umano, proprio perché la sua antropologia è personalistica, ovverosia capace di relazione. Soprattutto, però, viene confermato che la giustificazione «trasforma l'uomo peccatore» (p. 291). Questa visione di fondo fa da premessa, conseguentemente, ad una prospettiva prettamente escatologica, perché la «giustificazione troverà il suo compimento escatologico alla fine dei tempi, quando il Cristo glorioso porterà a pienezza la salvezza da lui realizzata in favore di tutta la creazione» (p. 295). È questo un concetto particolarmente importante con il quale Ancona chiude la parte espositiva del suo saggio, ribadendo così che nonostante la grazia e la giustificazione il peccato non scompare dall'orizzonte dell'uomo. Ciò, tuttavia, coincide con l'essenza della vita cristiana la cui speranza richiede una conversione ed una riconciliazione continua con Dio e con i fratelli.

8. Valutazioni conclusive

Nello stendere alcune valutazioni conclusive sul volume presentato occorre ribadire che esso risulta essere un valido aiuto per lo studio accademico. La selezione di tematiche antropologiche e le sintesi fattene dall'autore, infatti, non soltanto rendono il volume originale nel panorama editoriale italiano, ma anche di grande utilità per quegli studenti che volessero approfondire le varie questioni senza ricorrere alle voci di dizionario, che sono spesso eccessivamente sintetiche e non inserite in un quadro espositivo organico. Quello di Ancona, invece, rimane a tutti gli effetti un vero e proprio saggio unitario che non accosta semplicemente le varie questioni antropologiche, ma dimostra altresì come esse siano legate tra loro dalla centralità di Cristo. Anzi, è l'autore stesso che nel connetterle tra loro dimostra quale sia la sua comprensione dell'antropologia teologica. Nella visione del professore tarantino, infatti, essa risulta impostata secondo un cristocentrismo di fondo. Grazie a questa chiave di lettura preliminare l'indagine teologica sull'uomo, e la successione delle varie tematiche che lo riguardano, appaiono quindi interconnessi da una logica consequenziale che dà rappresentazione del mistero umano in modo sistematico. Occorre dare atto che non era semplice dimostrare come si connettano tra loro i vari luoghi biblici che trattano dell'uomo, né era semplice sintetizzare in modo asciutto e chiaro gli sviluppi storico-teologici che li trattano, ma Ancona, che insegna da molti anni questa materia, ha fatto valere la sua esperienza didattica. Ciò lo si nota anche dalla scelta bibliografica che egli propone -- sia nelle note che alla fine dei capitoli per un approfondimento successivo --, perché risulta aggiornata e ben selezionata, sia pure con una prevalenza di autori italiani. Naturalmente, passando ad un veloce commento sulla struttura del saggio, esso sarebbe stato fruttuosamente estendibile attraverso un maggiore confronto con il personalismo filosofico e le antropologie delle altre religioni, ma ciò avrebbe appesantito una pubblicazione che si propone invece come uno strumento di studio agevole che, senza presentarsi come manuale, lo avvicina molto. In definitiva, quindi, grazie all'accorta selezione dei temi, alla scrittura scorrevole e piana, alla chiarezza espositiva senza ridondanti ripetizioni e al suo ottimale bilanciamento tra essenzialità ed approfondimento, questo libro di Ancona si candida ad entrare tra i classici dell'antropologia teologica.


P. Trianni, in MondoDomani.org/Reportata 20 dicembre 2015

L’Anthropologie théologique de Giovanni Ancona offre une synthèse claire et concise, principalement destinée aux étudiants en théologie, au sujet des Thèmes fondamentaux que sont la prédestination, la création, l’homme en tant que créature, la grâce, le péché et la justification, auxquels sont consacrés autant de parties. L’eschatologie n’y est pas traitée. En chacune des étapes, la réflexion systématique est préparée par la présentation des dossiers bibliques et historiques. Par conscience de sa grande difficulté, la confrontation avec les sciences est délibérément évitée, même si son importance est reconnue (11). L’ouvrage donne une bonne idée des grands consensus atteints dans l’anthropologie théologique contemporaine, touchant à l’unité ontologique de l’être humain, à la valeur du corps, à la dimension relationnelle de la personne, à la nécessité de penser le péché originel à la lumière du mystère de la grâce et, last but not least, au primat de l’appel à l’union à Dieu dans le Christ. Sans en donner de justification claire, l’A. a l’habitude de désigner ce concept clef de son anthropologie par l’expression « élection (prédestination) ». Les théologiens préférentiellement cités sont Ruiz de la Peña, Ladaria, Colzani, Grossi, Brambilla et Sesboüé. À l’une ou l’autre exception près, la littérature anglophone ou germanophone n’est citée que lorsqu’elle est déjà traduite en italien. La magistrale anthropologie de Pröpper est donc ignorée. Sa prise en compte aurait permis d’éviter de dire aussi facilement, avec Brambilla, que la prédestination est « infailliblement efficace » (50), même si seule la formule est retenue par ces deux auteurs, et non l’idée proprement augustinienne, de plus en plus reconnue comme inacceptable.


J.-B. Lecuit, in Teresianum 67 (2016/2) 554

Giovanni Ancona, docente ordinario di antropologia teologica ed escalologia presso la Facoltà di teologia della Pontificia Università Urbaniana, propone ai lettori un saggio di sintesi dei principali temi di carattere antropologico che hanno segnato il percorso della riflessione cattolica. La constatazione da cui muove l'A. è che «l'idea teologica cristiana della grazia, in quanto tale, non può che essere totalmente riferita al Dio di Gesù Cristo. Nella rivelazione di Gesù Cristo, infatti, Dio si autocomunica agli umani in modo assolutamente unico come Dio che si prende cura della sua creazione secondo un criterio amorevole e misericordioso, benevolo e riconciliante, libero e gratuito, al fine di salvare totalmente quanto è uscito dalle sue mani di creatore» (p. 206). La teologia della grazia sviluppata cristologicamente è il nucleo teoretico centrale della visione antropologica proposta da Ancona. Il volume, per dichiarata ammissione dell'A., non ha la pretesa di essere un manuale nel senso classico del termine. Egli diffida persino della stessa possibilità di uno studio sufficientemente esaustivo di questa disciplina. Tale consapevolezza lo spinge pertanto ad elaborare uno strumento che conservi del manuale il linguaggio piano e uno schema di fondo lineare e coerente, ma che disponga di quella libertà creativa nel soffermarsi in modo più ampio su alcune questioni specifiche, che di solito la manualistica, per sua natura, deve trattare solo en passant. Il risultato di questo sforzo possiede alcuni pregi osservabili già ad occhio nudo.

Innanzitutto, sebbene si tratti di uno studio che possiede una preoccupazione pedagogica e che è pensato per l'insegnamento accademico, esso risulta stimolante anche per lo specialista. Inoltre, la scelta selezionata di sei questioni fondamentali nella storia del trattato permette all'A. di poter rinviare ad opere enciclopediche o a monografie più specifiche l'approfondimento di alcuni argomenti peculiari che non risultano decisivi per un'introduzione di carattere generale, per potersi invece soffermare sugli snodi cruciali che hanno segnato lo sviluppo dell'antropologia teologica.

La scelta di Ancona cade su alcuni cardini tematici autonomi, quasi fossero trattati distinti che consentono una lettura non necessariamente interdipendente gli uni dagli altri. Naturalmente, la creazione in Cristo è il filo conduttore che lega tra loro i sei macroargomenti attorno ai quali Ancona articola la propria riflessione. Il testo inizia con il tema dell'elezione (predestinazione), prosegue con una teologia della creazione, la trattazione dell'uomo in quanto creatura, il tema (centrale) della grazia di Dio, l'immagine deformata, ossia l'uomo peccatore, e infìne la grande categoria della giustificazione.

Ogni scelta tematica, tuttavia, ha un suo prezzo. Si può opinare, ad esempio, l'assenza di riferimenti espliciti al XX secolo e ad autori come Rahner e de Lubac, così decisivi per il ripensamento dell'antropologia teologica in chiave attuale. Eppure occorre riconoscere che si tratta pur sempre di un'opzione coerente con l'intenzione originaria, che appare quella di offrire un'introduzione ai grandi plessi problemalici della storia della teologia, individuando uno sviluppo tematico che, in realtà, tiene conto anche delle acquisizioni più recenti. Non a caso il volume si apre con una riflessione sulla visione cristica dell'antropologia, cioè sull'elezione di Dio in Gesù Cristo, termine con cui l'A. traduce il più controverso «predestinazione» e che egli pone a fondamento del proprio itinerario teologico. Scrive Ancona: «L'evento della elezione (predestinazione) è comprensibile all'uomo nella fede e per la fede gli viene chiarito l'orizzonte del proprio vivere globale. Quando l'uomo, in altre parole, riconosce, crede, accoglie l'eterno progetto del Padre, il quale intende salvarlo, per mezzo di Cristo, nella forza dello Spirito, gli viene dischiuso l'orizzonte della propria storia e della storia universale e in tale orizzonte egli istituisce il suo agire concreto, legato alle vicende dell'esistenza» (p. 51). Se dunque l'evento dell'elezione è un'opera interamente dovuta alla grazia di Dio e alla sua iniziativa provvidente, tale dono si riverbera nella storia degli uomini e sul loro concreto porsi nelle vicende dell'esistenza, secondo il criterio della chiamata di Cristo di tutta l'umanità. Qui l'A. individua nello spazio della libertà il riflesso antropologico centrale dell'elezione-predestinazione. Elezione di Dio e risposta confidente e libera dell'uomo sono i due poli che costituiscono dialetticamente la storia della salvezza. Il dinamismo di chiamata e risposta è reso possibile da una «creaturale struttura trascendentale», che rende l'uomo capace di determinarsi liberamente nei confronti di un dono che risulta decisivo per la sua pienezza di vita. Di tale dono egli avverte già la presenza ed è propriamente ciò che contrassegna «tutto il percorso dell'esistenza umana credente e ne plasma l'identità» (p. 52).

Quello di Ancona è in definitiva un volume capace di prendere per mano il lettore e di accompagnarlo nella comprensione (biblica, patristica, storico-teologica e sistematica) delle non semplici questioni che hanno segnato la strutturazione del rapporto uomo-Dio in Occidente. Esso si segnala pertanto come uno strumento prezioso di sintesi e di raccordo.


E. Brancozzi, in Firmana 2/2015, 129-130

Giovanni Ancona propone ai lettori un saggio di sintesi dei principali temi di carattere antropologico che hanno segnato il percorso della riflessione cattolica. La constatazione da cui muove l’A. è che «l’idea teologica cristiana della grazia, in quanto tale, non può che essere totalmente riferita al Dio di Gesù Cristo. Nella rivelazione di Gesù Cristo, infatti, Dio si autocomunica agli umani in modo assolutamente unico come Dio che si prende cura della sua creazione secondo un criterio amorevole e misericordioso, benevolo e riconciliante, libero e gratuito, al fine di salvare totalmente quanto è uscito dalle sue mani di creatore» (206). La teologia della grazia sviluppata cristologicamente è il nucleo teoretico centrale della visione antropologica proposta da Ancona. Il volume Antropologia teologica. Temi fondamentali, per dichiarata ammissione dell’A., non ha la pretesa di essere un manuale nel senso classico del termine. Egli diffida persino della stessa possibilità di uno studio sufficientemente esaustivo di questa disciplina. Tale consapevolezza lo spinge pertanto ad elaborare uno strumento che conservi del manuale il linguaggio piano e uno schema di fondo lineare e coerente, ma che disponga di quella libertà creativa nel soffermarsi in modo più ampio su alcune questioni specifiche, che di solito la manualistica, per sua natura, deve trattare solo en passant. Il risultato di questo sforzo possiede alcuni pregi osservabili già ad occhio nudo.

Innanzitutto, sebbene si tratti di uno studio che possiede una preoccupazione pedagogica e che è pensato per l’insegnamento accademico, esso risulta stimolante anche per lo specialista. Inoltre, la scelta selezionata di sei questioni fondamentali nella storia del trattato permette all’A. di poter rinviare a opere enciclopediche o a monografie più specifiche l’approfondimento di alcuni argomenti peculiari che non risultano decisivi per un’introduzione di carattere generale, per potersi invece soffermare sugli snodi cruciali che hanno segnato lo sviluppo dell’antropologia teologica. La scelta di Ancona cade su alcuni cardini tematici autonomi, quasi fossero trattati distinti che consentono una lettura non necessariamente interdipendente gli uni dagli altri. Naturalmente, la creazione in Cristo è il filo conduttore che lega tra loro i sei macroargomenti attorno ai quali Ancona articola la propria riflessione.

Il testo inizia con il tema dell’elezione (predestinazione), prosegue con una teologia della creazione, la trattazione dell’uomo in quanto creatura, il tema (centrale) della grazia di Dio, l’immagine deformata, ossia l’uomo peccatore, e infine la grande categoria della giustificazione. Ogni scelta tematica, tuttavia, ha un suo prezzo. Si può opinare, ad esempio, l’assenza di riferimenti espliciti al XX secolo e ad autori come Rahner e de Lubac, così decisivi per il ripensamento dell’antropologia teologica in chiave attuale. Eppure occorre riconoscere che si tratta pur sempre di un’opzione coerente con l’intenzione originaria, che appare quella di offrire un’introduzione ai grandi plessi problematici della storia della teologia, individuando uno sviluppo tematico che, in realtà, tiene conto anche delle acquisizioni più recenti. Non a caso il volume si apre con una riflessione sulla visione cristica dell’antropologia, cioè sull’elezione di Dio in Gesù Cristo, termine con cui l’A. traduce il più controverso «predestinazione» e che egli pone a fondamento del proprio itinerario teologico. Scrive Ancona: «L’evento della elezione (predestinazione) è comprensibile all’uomo nella fede e per la fede gli viene chiarito l’orizzonte del proprio vivere globale. Quando l’uomo, in altre parole, riconosce, crede, accoglie l’eterno progetto del Padre, il quale intende salvarlo, per mezzo di Cristo, nella forza dello Spirito, gli viene dischiuso l’orizzonte della propria storia e della storia universale e in tale orizzonte egli istituisce il suo agire concreto, legato alle vicende dell’esistenza» (51). Se dunque l’evento dell’elezione è un’opera interamente dovuta alla grazia di Dio e alla sua iniziativa provvidente, tale dono si riverbera nella storia degli uomini e sul loro concreto porsi nelle vicende dell’esistenza, secondo il criterio della chiamata di Cristo di tutta l’umanità. Qui l’A. individua nello spazio della libertà il riflesso antropologico centrale dell’elezione-predestinazione.

Elezione di Dio e risposta confidente e libera dell’uomo sono i due poli che costituiscono dialetticamente la storia della salvezza. Il dinamismo di chiamata e risposta è reso possibile da una «creaturale struttura trascendentale», che rende l’uomo capace di determinarsi liberamente nei confronti di un dono che risulta decisivo per la sua pienezza di vita. Di tale dono egli avverte già la presenza ed è propriamente ciò che contrassegna «tutto il percorso dell’esistenza umana credente e ne plasma l’identità» (52).

Quello di Ancona è in definitiva un volume capace di prendere per mano il lettore e di accompagnarlo nella comprensione (biblica, patristica, storico-teologica e sistematica) delle non semplici questioni che hanno segnato la strutturazione del rapporto uomo-Dio in Occidente. Esso si segnala pertanto come uno strumento prezioso di sintesi e di raccordo.


E. Brancozzi, in Rassegna di Teologia 56 (4/2015) 662-664

Il volume presenta temi fondamentali dell’antropologia teologica, organizzati secondo un impianto che «è pensato per un utilizzo scolastico fondativo ed è essenzialmente “libero” da questioni che non facilitano l’assimilazione dei contenuti principali dell’antropologia teologica e del suo metodo di studio» (p. 11). Si tratta di questioni attinenti, ad esempio, all’interdisciplinarietà della materia, o alla sua formazione recente. L’itinerario proposto dall’A., che è docente ordinario di Antropologia teologica presso la facoltà teologica della Pontificia Università Urbaniana, ha come punto di partenza la disamina della categoria biblica dell’elezione/predestinazione (prima parte). Entrambi i Testamenti, sia pure con accentuazioni differenti, attestano il disegno salvifico di Dio (predestinazione) in favore della creazione intera, per Israele e per tutte le genti. Tre argomenti sono proposti dall’A. nel segmento dedicato alla riflessione sistematica: l’agire selettivo di Dio, l’elezione/predestinazione in Cristo, le sue implicazioni antropologiche.
L’elezione/predestinazione si dispiega a partire dalla creazione, che è oggetto di indagine nella seconda parte del saggio. Il progetto di Dio, che prende l’avvio con la creazione, ha il suo compimento in Cristo. Ne consegue la necessità di una lettura d’insieme dei testi biblici, pur rispettandone la peculiarità. Autori diversi e lo stesso magistero ecclesiastico si sono impegnati in questa materia, confrontandosi progressivamente con quei sistemi di pensiero che hanno messo in questione l’approccio biblico al tema.
La terza parte si concentra sull’essere umano in quanto creatura. Nel corso del tempo, dato anche l’influsso di altri sistemi di pensiero (basti pensare a quello greco), si è registrato un certo distacco dalle prospettive bibliche, una ripresa delle quali è avvenuta nel XX secolo (decisivo in tal senso è stato l’apporto della Gaudium et spes). L’essere umano come persona in Cristo, i costitutivi specifici della persona, la libertà dell’essere personale sono tre temi chiave per una riflessione sistematica.
La quarta parte è dedicata al tema della grazia, categoria che esprime in sintesi la peculiare relazione tra Dio e le sue creature, così come è espressa nell’AT e nel NT (un’attenzione particolare è posta sugli scritti di Paolo). Lo sviluppo della nozione, soprattutto nella tradizione teologica dell’Occidente latino (cfr sant’Agostino), è stato complesso. Benché non ancora concluso, esso oggi si caratterizza per una presa di distanza dalla tradizionale impostazione speculativa e per un radicamento nella storia della salvezza, in particolare nell’evento cristologico-trinitario.
Correlati al tema della grazia sono altri due argomenti — l’uomo peccatore e la giustificazione — che l’A. tratta rispettivamente nella quinta e nella sesta parte del saggio. Per quanto concerne il primo argomento, si segnala come la riflessione successiva, influenzata dal pensiero di sant’Agostino, si sia concentrata soprattutto sul tema del peccato originale (punto apicale è il dogma sancito a Trento), restringendo in un certo senso la visione biblica in materia. Dopo un tempo di stasi, l’argomento è stato ripreso dai teologi e il dibattito è ancora aperto.
Anche il secondo argomento, quello della giustificazione, ha conosciuto nel corso del tempo uno sviluppo piuttosto complesso (cfr Agostino, Lutero, Concilio di Trento). Ancona lo illustra, dopo aver chiarificato l’idea di giustizia di Dio, che in senso proprio attiene all’agire salvifico di Dio a favore degli esseri umani. Nello stesso tempo, segnala la ripresa del tema in età contemporanea, mettendo in risalto il contributo del dialogo ecumenico al riguardo. Per una riflessione sistematica, propone infine una triplice linea tematica: la giustificazione come opera salvifica di Dio in Cristo, la persona giustificata e il cammino verso la pienezza della giustificazione.
La destinazione del volume, dichiarata esplicitamente dall’A. fin all’inizio, configura in maniera coerente scelte metodologiche e contenutistiche. Lineare è la strutturazione delle sei parti: le fonti bibliche costituiscono sempre il loro punto di partenza, mentre a seguire sono illustrate le linee essenziali dello sviluppo storico-teologico, e anche gli elementi rilevanti per una riflessione sistematica. L’utilizzo dell’opera è favorito poi da altri strumenti, come il breve elenco di titoli messo alla fine di ogni sezione, la bibliografia e l’indice dei nomi nella conclusione. Per quanto riguarda i contenuti, la loro presentazione è consequenziale; qualche passaggio per così dire di «ricapitolazione» offre un punto di aggancio tra le diverse parti, consentendo così di non perdere il filo del discorso.


S. Mazzolini, in La Civiltà Cattolica 3976 (27 febbraio 2016)

Nel suo volume Antropologia teologica. Temi fondamentali per i tipi della Queriniana, Giovanni Ancona propone un succinto manuale di Antropologia teologica che offre una riflessione sui temi classici della disciplina: predestinazione, creazione, uomo in quanto creatura, grazia, uomo peccatore, giustificazione. Il volume presenta in modo chiaro le tematiche essenziali per lo studio curriculare della teologia, ma anche per un approfondimento personale. Lungo i capitoli, l’autore tratteggia i temi seguendo uno schema storico che presenta il dato biblico, seguito dalla riflessione storico-teologica per concludere con la convergenza della riflessione sistematica.

La riflessione di Ancona parte e ritorna continuamente al cuore cristologico dell’Antropologia teologica. L’A. spiega che cristologia e antropologia sono inseparabili: «La cristologia è il “principio” e la “forma” di ogni discorso cristiano sull’uomo». D’altro canto, il mistero cristologico è rivolto verso l’umano giacché la fede che Dio dona in Cristo «riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini». Se si volesse sottolineare una caratteristica del manuale, essa è sicuramente la centralità del tema dell’elezione (predestinazione). Attraverso la considerazione del tema, l’autore introduce tutto il trattato mostrando il disegno di Dio che illumina tutte le tappe del mistero salvifico.

L’AT interpreta le vicende del popolo d’Israele in riferimento all’esperienza dell’elezione basata sulla gratuità dell’amore di Dio. «Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d'Egitto» (Dt 7,6-8). L’esperienza dell’elezione non è un privilegio esclusivo, il privilegio di Israele è per l’inclusione. Nelle parole dell’A. Israele è «un popolo privilegiato non per se stesso, ma perché metta tale privilegio a servizio di tutti i popoli della terra, testimoniando che Yhwh è l’unico Dio che opera nella storia degli umani per condurli alla pienezza della vita (la salvezza)».

L’universalismo dell’elezione si manifesta nella vicenda e nell’insegnamento di Gesù Cristo. In Cristo Dio «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Nello sviluppo storico, l’A. percorre varie tappe della considerazione e – a volte – dell’esasperazione del tema della predestinazione da Agostino fino a Karl Barth. La ripresa sistematica considera l’agire benevolo di Dio che costituisce un popolo scegliendolo e amandolo gratuitamente. In questa prospettiva di elezione gratuita ed eterna «è tolto alla comunità ogni motivo di desperatio. Ma soltanto sentendosi anche sotto l’ombra del rifiuto divino, essa può sfuggire alla praesumptio, che è inconciliabile col riconoscimento della grazia della divina elezione di grazia» (M. Löhrer). L’elezione di Dio non contempla una «doppia predestinazione» o una «doppia volontà», ma una chiamata salvifica universale (cf. 1Tm 2,4). La differenza tra eletti e dannati risiede nella serietà con cui Dio prende sul serio e fino in fondo la libertà umana con la grande possibilità del «no» al suo progetto e alla sua elezione. Cristo è la volontà originaria con cui Dio si muove verso l’uomo manifestando la sua gloria e rendendo l’uomo partecipe di essa. «Nell’esperienza del Figlio crocifisso-risorto, l’eletto del Padre, è rivelata ad ogni uomo la modalità concreta dell’agire elettivo di Dio, il quale non tiene in conto alcuno il peccato dell’uomo e conferma in assoluto il suo disegno salvifico proprio nella pre-donazione del Figlio».

Il mistero della predestinazione si traduce nella storia della comunità e dell’individuo «in un compito ineludibile: la diaconia per la salvezza dell’intera creazione». In Gesù, l’elezione di Dio è senza ritorno. Dio non può venir meno alla sua elezione. F.G. Brambilla spiega che «il senso del “non può” non indica una necessità estrinseca alla vicenda di Gesù, ma la verità della sua storia, come vicenda filiale pienamente corrispondente al Padre. Una vicenda contrassegnata da una dedizione “nello e in virtù dello Spirito” (la grazia!) al volto dell’Abbà-Padre». Il sì di Dio è senza ritorno, è segnato nella carne di Cristo, solo il no, il rifiuto personale dell’uomo determina la sua auto-esclusione dalla grazia riversata senza ritorno.


R. Cheaib, in www.theologhia.com novembre 2015