Che la Scrittura sia a volte difficile, non bisogna farne mistero. Tanto è la Scrittura stessa a dirlo. Riguardo alle lettere di Paolo, la seconda lettera di Pietro riconosce che in esse «vi sono alcuni punti difficili da comprendere» (cf. 2Pt 3,16). Un altro contesto narrativo – fra altri – è quello del funzionario eunuco della regina di Candace che confessa al diacono Filippo la sua difficoltà a comprendere la Scrittura da solo (cf. At 8,30ss.).
Tra ogni testo e i suoi lettori c’è una distanza, la distanza espressiva, la polisignificatività delle parole e dei concetti e anche la distanza temporale. La complessità e la distanza si moltiplicano quando non si tratta di un unico libro con un unico genere letterario, ma si tratta di Scritture, al plurale, qual è la Bibbia (τὰ βιβλία), letteralmente “i libri”.
La Bibbia non è un libro di risposte, tantomeno risposte facili. È un libro di interrogativi, un libro che sollecita e non addormenta la nostra ricerca. L’immagine per raffigurare l’attitudine dinanzi alla Bibbia non è tanto quella della bella giovine che sdraiata sull’amaca è accarezzata esteriormente dal sole ed interiormente dall’illuminazione facile dei concetti. No, l’immagine è piuttosto quella della lotta, della ricerca, di un Giacobbe che lotta con l’angelo sullo stretto dello Iabok. È una fede che cerca la propria intelligenza (fides quaerens intellectum), per utilizzare un'espressione di un altro Anselmo, sant'Anselmo d'Aosta.
È con quest’attitudine che Anselm Grün si dispone nel suo libro Passi biblici difficili interpretati in chiave spirituale edito per la Queriniana, che cura la traduzione italiana di gran parte delle opere del noto monaco benedettino.
Tornando al motivo della lotta, sant’Agostino la motivava così: «La parola di Dio è l’avversaria della tua volontà finché non diventi l’artefice della tua salvezza. Finché sei nemico di te stesso, anche la parola di Dio è tua nemica. Sii amico di te stesso, anche la parola di Dio è tua amica. Sii amico di te stesso, e anche la parola di Dio sarà in armonia con te». Grün segnala il testo latino che è ancora più espressivo: «Esto tibi amicus et concordas cum ipso» e che significa: «se ti comporti da amico con te stesso, se diventi amico di te stesso, diventerai un solo cuore con la parola di Dio. Allora la parola di Dio corrisponde al tuo cuore. Ti mette in contatto con il tuo cuore».
In altri termini, la Bibbia ci è opaca perché siamo opachi a noi stessi. Se comprendiamo la parola comprendiamo noi stessi e viceversa. Da qui il consiglio dell’a.: «Quando leggete un testo e non lo capite, cercate di sentirlo interiormente. Com’è al tatto questo testo? Che cosa suscita in voi? Se suscita paura o resistenza, non considerate questo fatto, ma chiedetevi: che cosa mi vuol dire questa paura o questa resistenza? Ho paura di me stesso? La paura, che questo testo suscita in me, richiama forse la mia attenzione su una ferita del passato, su sensi di colpa rimossi o su tutti i lati d’ombra che io non voglio vedere? C’è una resistenza in me verso la vita?».
L’estraneità del testo mi provoca a familiarizzare con esso e con me stesso. Mette in discussione la mia visione delle cose: è davvero l’unica possibile?
Nel libro degli Atti, dopo la predicazione pentecostale di Pietro, la gente gli chiede: «Che cosa dobbiamo fare?», Pietro risponde: «Convertitevi!» (cf. At 3,27). La conversione non implica solo cambiare modo di vivere, ma come suppone il verbo greco – metanoêite – anche cambiare nous, cambiare mentalità, modo di pensare.
In questa prospettiva il libro dell’a. tratta ben 50 passi difficili o enigmatici della Scrittura. La sua esperienza spirituale da monaco, ma anche la sua profonda cultura psicologica aprono sul testo sacro finestre che gettano luci nuove. In alcuni passaggi si ha l’impressione di una forzatura riconciliatoria del testo, uno sforzo ad ogni costo di farlo parlare all’oggi, agli interrogativi dell’uomo contemporaneo. D’altra parte, l’a. stesso confessa e riconosce nella conclusione del volume che le sue letture sono da intendersi come esemplificazioni e non come assolute.
R. Cheaib, in
www.theologhia.com 10/2016