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Musica e teologia
Don E. Saliers

Musica e teologia

Prezzo di copertina: Euro 16,00 Prezzo scontato: Euro 15,20
Collana: Giornale di teologia 398
ISBN: 978-88-399-0898-8
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 144
Titolo originale: Music and Theology
© 2017

In breve

Prefazione all’edizione italiana di Eugenio Costa

Un saggio illuminante su esperienza della musica ed esperienza di Dio: «Quando da una persona voglio sapere come concepisce Dio, le chiedo quali sono i suoi canti preferiti»

Descrizione

La teologia ha una dimensione musicale e la musica ha forti implicazioni teologiche. L’una e l’altra hanno il potere di plasmare il nostro animo: la teologia, quale incontro con Dio; la musica, quale voce dell’Invisibile.
Con un linguaggio poetico, Don Saliers si dedica qui al mistero, alla meraviglia e alla potenza della musica in rapporto alla teologia. Attingendo a linguaggi musicali tradizionali e popolari, emergenti e classici, egli evidenzia profonde stratificazioni di senso, solleva domande fondamentali, interroga la nostra esperienza della musica e di Dio. Abbinando alle informazioni fornite (mai aridamente estratte) eccellenti doti di saggezza, l’autore riesce a stabilire parametri e regole basilari per il necessario dialogo tra discorso teologico e linguaggio musicale.
Ne scaturisce una lettura piacevole, ricca, costruttiva. I lettori saranno stimolati a rivedere i loro atteggiamenti, a sviluppare nuove capacità non solo per l’esecuzione e l’ascolto della musica, ma anche per la liturgia e la preghiera.

Recensioni

Nei corridoi delle istituzioni scolastiche e formative, a volte, tra gli insegnanti riecheggia un sapiente adagio che recita: «All’inizio si cerca di insegnare tutto; a un certo punto, poi, si cerca di insegnare quello che si conosce; alla fine, con l’esperienza maturata, si è capaci di insegnare ciò che serve». Comunicare “ciò che serve” è tutt’altro che una riduzione utilitaristica o una semplificazione banalizzante dell’insegnamento o dei suoi contenuti; si tratta, piuttosto, di arrivare a possedere l’essenziale, purificato da elementi poco duraturi, dal tempo e dalla laboriosità.

Della medesima impressione è Eugenio Costa che inizia la sua prefazione, all’edizione italiana di questo libretto, affermando che si tratta di un «libro di poche decine di pagine: sobrietà che non è segno di fretta o di afasia, ma piuttosto sintomo di un momento di compendio vitale, in età matura» (p. 5). La preziosità del vino dell’ultima ora è certamente il motivo che ha spinto l’editore a proporre, a dieci anni di distanza dall’originale inglese del 2007, la traduzione italiana di Saliers, classe 1938, che nell’anno della pubblicazione diveniva docente emerito di teologia, liturgia e musica sacra ad Atlanta (USA).

I sette capitoletti del libro possono essere un’ottima introduzione e, allo stesso tempo, un’eccellente sintesi in retrospettiva, di una tematica poliedrica e vasta come l’interazione tra musica e teologia. L’A. sa intrecciare sapientemente aspetti teologici, liturgici e musicologici, offrendo per ciascuno di essi delle brevi e intense riflessioni.

Se le dimensioni della prassi liturgica nei suoi elementi strettamente rituali e tecnici emergono poco nel complesso della trattazione, sono ben sviluppate le dimensioni bibliche, sociali e politiche del fare musica e, in specie, del cantare. Indubbiamente il cap. 5 (Il canto come atto politico: risonanze teologiche della giustizia) emerge come il piú connotato dall’appartenenza culturale dell’A. che comunque, da oltre oceano, esplora bene anche i luoghi classici dell’ambito come i riferimenti a Lutero, Bach, Barth, Mozart (pp. 49-70), insieme a una passeggiata nel mondo dei canti (cap. 5), come espressione di quella che chiama «teologia operativa» (p. 71) e «teologia lirica» (p. 74).

Molto sapiente è l’articolazione del percorso proposto che parte dalla consapevolezza della “grammatica” dell’esperienza musicale e, al contempo, spirituale-cristiana, cioè l’intreccio costante e dinamico tra suono e sinestesia (cap. 1) e la dimensione corporea (cap. 2). Di grande equilibrio e sapienza è il cap. 6 sul tema scivoloso Oltre “sacro” e “profano”, dove l’A. è molto realista e pacato nel rilevare che nella storia «ci furono continuamente conflitti di sensibilità» (p. 107), e rileva il fatto che «ciascuna tradizione religiosa, e in realtà ogni cultura umana, eredita una serie di immagini sonore e di convinzioni che definiscono cosa rende la musica “sacra”» (p. 108).

Infine, l’approdo del sintetico percorso è duplice. Innanzitutto, in una perorazione circa la centralità dell’ascolto (cap. 7), che sposta l’attenzione dalla musica al soggetto che la incontra-sperimenta. «La domanda è: abbiamo orecchi per ascoltare?» (p. 127), questa è la questione posta dall’A. Infatti, «l’importanza teologica della musica esige una sorta di recettività attiva che è piú simile alla preghiera, alla contemplazione, e all’attenzione al mondo con un senso di meraviglia e di timore» (p. 128). Il Postludio, infatti, propone l’intreccio reciproco della musica come teologia e della teologia come musica, dove «ciò che rende questa categoria di parole e di musica potenzialmente “teologica” è, naturalmente, la modalità di ascolto necessaria» (p. 136).

A voler trovare un’analogia (musicale ovviamente) si tratta di un libretto come un Intermezzo di J. Brahms, breve, denso, complesso, composizione di una vita.


G. Osto, in Studia Patavina 3/2019, 578-579

Théologien spécialiste de liturgie, enseignant émérite à l’École de théolo­gie de l’Univ. Emory d’Atlanta en Géor­gie et pasteur de l’église baptiste, l’A. bénéficie aussi d’un demi-siècle de pra­tique comme organiste, prof. de chant et directeur de choeur. Cet ouvrage, dont l’original en anglais date de 2007, recueille son expérience autant que sa réflexion sur la relation intime nouant théologie et musique. Assurément, « la majeure partie de la musique n’a aucune fonction théologique » (p. 136), ni n’est « implicitement “théologique” » (p. 116). Toutefois, « la musique peut être théologique et la théologie peut être conçue comme musicale » (p. 17).

Pour le montrer, l’A. se fonde sur une anthropologie générale de la musique, qui est non seulement sonore, mais aussi réceptivité synesthésique (c.-à-d. mul­tisensorielle), retentissant émotionnel­lement et mettant en jeu la personne entière (chap. 1). Dans la tradition chré­tienne, St Augustin pose de manière décisive les termes du débat sur la place de la parole et de la musique et, à travers elles, du corps et de l’esprit pour accéder à Dieu (chap. 2). Puis, partant des trois domaines de la musique : composer, écouter et interpréter, l’A. convoque trois théologiens et deux musiciens : Luther continué par Bach ; Barth et Küng commentant Mozart (chap. 3). Au sein de la musique chantée, l’ouvrage en explore deux formes : la musique reli­gieuse, montrant que l’hymne réussi est « théologie en miniature » (chap. 4), et la musique comme acte théologique socio-politique (chap. 5) – l’intérêt notam­ment pour les Spirituals n’étant pas l’une des moindres originalités de l’ou­vrage. Les deux derniers chap. reprennent de manière plus synthétique le thème, cherchant à effacer le hiatus entre la musique sacrée et la musique profane (chap. 6), ainsi qu’entre le ciel et la terre qui, dans la musique, se ren­contrent (chap. 7).

On l’a compris, ce petit ouvrage n’est pas petit en doctrine, même si la pers­pective protestante, omniprésente, se traduit par une distinction parfois pro­blématique de la nature et de la grâce.


P. Ide, in Nouvelle Revue Théologique 141/1 (2019) 128-129

La teología tiene una dimensión musical y la música tiene una fuerte implicación teológica. La una y la otra tienen eI poder de influir en nuestro ánimo; la teología como encuentro con Dios; la música como voz del Invisible. El teólogo estadounidense Don E. Saliers (1938) profesor de teología y liturgia en la Candler School of Teology, de la Emory University di Atlanta (Georgia, USA) donde ha dirigido un Master en música sacra, a lo largo de estas páginas se pregunta si la música lleva a Dios, ya que la música supera los Iímites del lenguaje y tiene unas potencialidades que llevan a la oración. Este libro, que nace del amor de toda una vida dedicada a la música y la composición musical, tiene siete capítulos. […] Este es un libro que nos estimula a la escucha de la música, a la liturgia y a la oración.


J.L. Vázquez Borau, in Actualidad Bibliográfica 1/2018, 92-93

Musica e teologia sono due realtà che hanno forti implicazioni reciproche, e questo a prescindere dalla musica liturgica o dalla riflessone teologica su di essa. Una domanda che da sempre emerge nella ricerca teologica è: la musica porta a Dio? È anche la questione centrale della ricerca di Don E. Saliers, teologo e musicologo statunitense, professore onorario di liturgia e teologia presso la Candler School of Theology di Atlanta (Georgia, USA). Saliers è anche pastore battista.

Il professor Saliers esclude che la musica sia automaticamente un locus theologicus, anzi esclude addirittura che la maggior parte della produzione musicale abbia funzione teologica. Tuttavia la musica è parte integrante dell'espressione della fede - o anche solo del senso religioso - sia nel culto sia fuori di esso, così come inni e composizioni in canto per la liturgia spesso sono teologia in forma poetica.

Nella sua ricerca il professor Saliers si sofferma principalmente sul canto liturgico e politico-sociale in senso ampio, ma anche sull'esperienza fondante di ogni autentica relazione con il divino: l'ascolto.


A. Passiatore, in La Vita in Cristo e nella Chiesa 4/2018, 62

Don E. Saliers, teologo e musicista statunitense, vanta una grande esperienza sia nell’insegnamento, sia nella divulgazione, sia nella pratica liturgica: può così proporre una visione ampia del rapporto tra musica e teologia, non solo ricca di erudizione, ma attenta ai compositori contemporanei come Britten, Bernstein, Pärt, Tavener, alla canzone di protesta o di autore come quella di Bob Dylan e Joan Baez, ai grandi del jazz. Inoltre, testimonia un profondo interesse per l’ascolto e la pratica musicale liturgica della gente comune, percependo il modo di pensare e le emozioni che hanno la loro importanza nei confronti di teorie astratte e regole preconfezionate.

Essendo pastore della Chiesa battista, il suo punto di vista privilegiato passa da Lutero a Johann Sebastian Bach, da Schleiermacher a Barth, ma egli è anche attento al pensiero cattolico di Karl Rahner e Hans Küng, che nel 2006 raccolse in un volumetto i suoi profili dei compositori Mozart, Wagner e Bruckner.

Saliers, in sette capitoli che si sviluppano come in forma rapsodica – sapientemente presentati in questa edizione italiana dal gesuita p. Eugenio Costa –, tenta di chiarire il complesso nodo di relazioni tra la musica e l’esperienza del divino. La musica è una realtà insieme corporea e interiore. Anche quando non veicola un messaggio cantato, allude al simbolico, evoca l’inesprimibile, dà corpo alle emozioni e ha il potere di associare esperienze già vissute, anche comunicabili a parole.

Pur con limiti e margini di ambiguità, colti in ambito ecclesiale fin dal tempo di sant’Agostino, si tende ad ammettere che la musica ci porta oltre noi stessi, rimanda a eventi fondamentali della vita, evoca il mistero. Quindi la musica può dare perfino un apporto alla teologia. Colpisce come l’A. definisca gli inni biblici «miniature teologiche»: le preferenze che abbiamo verso l’uno o l’altro di essi – il Magnificat è probabilmente il più citato – dicono molto della nostra esperienza religiosa.

Queste osservazioni possono essere applicate per analogia a Salmi, canti religiosi, e perfino a canti profani, tra i quali Saliers inserisce quelli delle proteste operaie e politiche, in quanto i più significativi sono un contributo a quella lotta per la giustizia che è una sorta di «teologia della liberazione» cantata.

Benché insegni teologia, Don E. Saliers ha voluto comporre un agile libretto di taglio divulgativo, dedicato un po’ a tutti e con un’attenzione perfino ecumenica, decisamente apprezzabile.


G. Arledler, in La Civiltà Cattolica 4021 (6-20 gennaio 2018) 95-96

Era il luglio 2011 e ricorrevano i sessant'anni di sacerdozio di papa Benedetto XVI. Coi miei collaboratori riuscii ad allestire una mostra-omaggio di altrettanti artisti di tutte le discipline, provenienze e scelte spirituali. Tra costoro c'era Arvo Pärt, uno dei maggiori musicisti viventi, nato in Estonia nel 1935, un personaggio che ha attraversato tutte le drammatiche vicende della sua terra e dell'Europa del secolo scorso, dimostrando la forza salvifica della musica. A lui assegnai il compito di aprire, davanti al papa "musicista", quell'esposizione. Ed egli lo fece con un breve ma emozionante Vater unser (Padre nostro) per pianoforte (a lui stesso affidato) e voce bianca. Lo spartito autografo fu donato al pontefice che lo assegnò alla Biblioteca Vaticana. Ora, è particolarmente suggestivo che, per la prima volta, il Premio Ratzinger, oltre che a teologi noti, sia stato assegnato proprio a Pärt, la cui creatività purissima si unisce a una fede appassionata e a un carattere mite e umile nello spirito evangelico.

Ovviamente non è né possibile da parte mia illustrare lo straordinario contributo offerto da questo grande artista alla storia della musica contemporanea, come è per altro già accaduto con l'intenso ritratto che gli ha dedicato lo scrittore olandese Jan Brokken in Anime Baltiche (Iperborea 2014), con l'ampia intervista di Enzo Restagno (Allo specchio, Saggiatore) e con la vasta bibliografia musicologica che lo accompagna.

È interessante, invece, ritornare su un tema molto rilevante, quello del nesso intimo tra musica e religione, sul quale per altro abbiamo avuto occasione di intervenire anche recentemente, in occasione del quinto centenario della Riforma. Lo facciamo attraverso due testi significativi. Il primo è l'eco scritta di un congresso internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Cultura in Vaticano lo scorso marzo, con partecipanti provenienti da una quarantina di nazioni. Essi erano consapevoli che, a 50 anni dall'unica istruzione ufficiale ecclesiale sul tema, la Musicam sacram del 5 marzo 1967, pubblicata nell'immediato post-Concilio, il rapporto tra culto e cultura - vocaboli che hanno la stessa radice etimologica - doveva essere rivisitato.

E questo doveva avvenire proprio attraverso quella cartina di tornasole fondamentale che è la musica, vero e proprio paradigma di riferimento, come affermava lo stesso Concilio Vaticano II nel suo primo documento approvato, Sacrosanctum Concilium:«Il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria e integrante della liturgia» (n. 112). Purtroppo quella cartina di tornasole è uscita da questi decenni con colori che segnalano uno stato di salute non proprio brillante, con infezioni e affezioni da sottoporre a terapia. Ebbene, nel volume che raccoglie gli interventi di una ventina di studiosi si ha veramente una mappa dello status quaestionis in sé considerato e nell'attuale contesto culturale ed ecclesiale, nàturalmente tenendo come fondale il riferimento sempre capitale della Bibbia che al riguardo squaderna un imponente dossier.

Ma lo sguardo deve allungarsi e allargarsi penetrando nell'orizzonte in cui ora siamo immersi, sia "laico", sia ecclesiale, non esitando a veleggiare verso le esperienze più lontane, come quelle libanesi, africane, cubane, latino americane, nella consapevolezza della necessità dell'inculturazione. O anche inoltrandosi nel delicato mondo delle scuole musicali, degli animatori, dei cori, dei pastori d'anime e dei compositori (ai quali verrà riservato un ulteriore convegno il prossimo anno). Per secoli la musica è stata la via privilegiata dell'ascensione dell'anima orante a Dio, come attesta uno sterminato repertorio. Non per nulla la tradizione giudaica immaginava che, nella visione di Giacobbe del c. 28 della Genesi, gli angeli si fossero dimenticati di ritirare la scala sulla quale erano discesi ed erano risaliti dopo aver annunciato la promessa divina al famoso patriarca biblico. Essa è rimasta sulla terra ed è la scala musicale le cui note sono come gli angeli di Dio che permettono agli uomini e alle donne di ascendere fino al mistero di Dio.

Persino un ateo radicale come Emil Cioran era strattonato dalla musica verso Dio: «Quando voi ascoltate Bach, vedete nascere Dio... Dopo un oratorio, una cantata o una Passione, Dio deve esistere... Pensare che tanti teologi e filosofi hanno sprecato notti e giorni a cercare prove dell'esistenza di Dio, dimenticando la sola!».

Teologo e musicista è l'autore del secondo testo che presentiamo sul tema: è Don E. Saliers, docente alla Emory University di Atlanta, di confessione battista, alimentato dagli spiritual ma anche dai classici come Bach e Mozart, senza ignorare la contemporaneità jazz o alla Joan Baez, Leonard Cohen e Bob Dylan. Le sue sono pagine godibilissime e non temono di inoltrarsi fino alle frontiere che distinguono ma non separano sacro e profano, folclore e liturgia, spirituale e popolare, consapevole comunque che «non tutta la musica è, o implicitamente o esplicitamente, teologica».

Si devono, perciò, chiarire gli statuti che definiscono le identità musicali specifiche perché non sono necessariamente sinonimici gli aggettivi, spesso miscelati senza cautela, come musica "liturgica, sacra, religiosa, spirituale". Ma il discorso di Saliers è molto mobile e si insinua in vari territori tematici, a partire da quelli più teorici generali attingendo alla sorgente antropologica del suono, dell'ascolto, della sinestesia (la ricettività multisensoriale), della tensione spirituale. Da lassù egli discende lungo "li rami" della tradizione che si è spesso aggrovigliata attorno al nesso parole-musica che s. Agostino ha per primo tentato di dipanare.

Né si può ignorare, come già si diceva, l'intreccio con la teologia: molto vivace è il capitolo riservato a Lutero, autore di un testo emblematicamente intitolato Frau Musika, a Bach nella cui biblioteca dominavano i libri spirituali, e a Mozart interpretato in modo suggestivo da due teologi del calibro di Barth e Küng. Un altro teologo, Jeremy S. Begbie nel suo Theology, Music and Time (Cambridge University Press 2000), aveva esaltato la funzione della musica come ponte teologico tra la cultura, la società e la storia, da un lato, e la ricerca su Dio e in particolare sullo Spirito Santo (un po' come affermava il citato Cioran).

Un altro ambito in cui Saliers s'inoltra è quello del canto che evoca naturalmente l'innologia, un genere piuttosto sfrangiato ma che ha il suo referente nella classicità cristiana latina e greca. È per questa via che le molteplici colorazioni dell’esistenza - dalla lode al lamento, al "Miserere" del cuor lacerato – si esprimono divenendo armonia e preghiera. È facile intuire da questa evocazione esemplificativa di soggetti tematici quanto corrano parallele la musica e la fede lungo molti percorsi, e le pagine del volume spesso intarsiate di rimandi ad autori e partiture sono la conferma di un’affermazione dello stesso studioso statunitense: «La musica conferisce al linguaggio umano rivolto a Dio il silenzio e il mistero adeguati richiesti dalla preghiera. La musica è il linguaggio dell'anima reso udibile».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 19 novembre 2017

Con stile coinvolgente, lontano da aridi tecnicismi, si leggono pagine dove i nomi di Lutero, Bach, Barth si intrecciano con quelli di Georg Rhau, di Brian Wren, compositori di inni, al fine di mostrare come la teologia possieda intrinsecamente una dimensione musicale e, al contempo, la musica implichi forti componenti teologiche. A tratti trascinato da uno stile decisamente poetico, l’a., noto teologo statunitense, fa da eccezionale guida per chi vuole esplorare i linguaggi musicali tradizionali e popolari evidenziando i coaguli di senso e sollevando questioni fondamentali che interrogano l’esperienza del singolo credente a contatto con la musica e con il mistero di Dio.
D. Segna, in Il Regno Attualità 20/2017