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Teologia e neuroscienze
Leonardo Paris

Teologia e neuroscienze

Una sfida possibile

Prezzo di copertina: Euro 23,00 Prezzo scontato: Euro 21,85
Collana: Giornale di teologia 393
ISBN: 978-88-399-0893-3
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 336
© 2017, 20222

In breve

La coscienza umana e la libertà, l’anima e la relazione con Dio vengono ripensate radicalmente da un giovane e promettente studioso italiano, che da audace teologo ingaggia un corpo a corpo con le neuroscienze.

Descrizione

Le neuroscienze, studiando il cervello e il suo funzionamento, finiscono per invadere ambiti di pertinenza di altri saperi. Attraverso scoperte straordinarie, applicazioni tecniche innovative e proposte teoriche talvolta ardite, è fatale che turbino vecchi equilibri, mentre al contempo agevolano nuovi paradigmi di comprensione. Le neuroscienze pongono una sfida anche alla teologia. La invitano a guardare in modo audacemente nuovo l’essere umano: la sua mente, la sua coscienza e la sua libertà, la sua anima, la sua relazione con il divino.
La teologia non può ignorare tale sfida: deve mettersi in gioco e affrontarla. Si tratterà di dimostrarsi teoreticamente all’altezza (provando, magari, a rilanciare). Si tratterà di valutare bene che cosa, nella proposta delle neuroscienze, offra un’affascinante possibilità di pensare più a fondo alcuni nodi centrali della proposta cristiana, e che cosa invece sia da rigettare.
Se il Cristo e la Trinità rivelano il mistero del mondo, le scoperte scientifiche sul cervello non potranno che spingere ad approfondire il senso intimo e quotidiano di questo stesso mistero.

Recensioni

Ecco un libro per coloro che si muovono in un pensiero che non si accontenta, che non teme di aggredire l'angustia di ogni approdo della ragione e l'inquietudine insita in ogni fede. Ovvio che non si intendono qui coloro che patiscono ansie, attese frustrate o desideri delusi (versante psicanalitico dell'inquietudine), ma coloro che tentano di decifrare la verità "umana" dentro la complessità dell'esistere nelle curvature ardite del pensare e dell'agire. Senza entrare nella discussione degli esiti di questa ricerca del teologo e psicologo Leonardo Paris, siamo di fronte a un testo che cerca di mettere in dialogo due ambiti del sapere reciprocamente problematici se non destabilizzanti. Le ancora giovani ma agguerrite neuroscienze stanno progredendo nell'esame del rapporto tra «cervello» (fisico, materia) e credenze in Dio, religione, sacro e spiritualità (se non anche le meta-fisiche).La teologia si è sentita radicalmente messa in gioco non soltanto nell'oggetto del suo conoscere, ma anche nella determinazione della fede (religiosa) e dell'antropologia che ne deriva (riduzione biologicista dell'uomo).

Se da un lato larga parte del mondo credente fa quadrato, dall'altro alcuni teologi tentano di rispondere elaborando una «neuroteologia» o una «neuroscienza dello spirito». Se ne sta discutendo molto a vari livelli e non mancano certamente le ricadute sul versante delle proposte pastorali. Qualcuno denuncia anche l'insorgenza di una certa retorica sulla questione (cf. F. Hasler, Neuromythologie. Eine Streitschrift gegen die Deutungsrnacht der Hirnforschung, Transcript Verlag, Bielefeld 20155). Fatto sta che un approccio positivo a questi temi è necessario e risulta im portante avere strumenti adeguati per maturare una propria idea sulla questione.

Ecco il motivo e l'importanza di leggere questo bel testo. In sintesi l'autore nella prima parte delinea subito i termini della problematica (pp. 11-42) e le sfide che si pongono sia sul versante neuroscientifico che in quello teologico (pp. 43-71). La seconda parte rassegna con semplicità, ma anche con accuratezza e precisione le questioni di tondo implicate (pp. 75-168). È la parte dove l'autore si pone in ascolto competente e interessato delle nuove prospettive aperte da questi studi su temi cruciali per la teologia quali la coscienza (pp. 97-143) e la libertà (pp. 144-168). Si arriva così alla terza parte titolata semplicemente: Sfide teologiche (pp. 169-314), che Paris enuclea su tre punti nodali: l'anima (pp. 171-216), la libertà (pp. 217-259) e la «prospettiva di relazione con Dio e di Dio con l'uomo» (pp. 260-314).

Stranamente per un testo come questo molto didattico, manca una conclusione che avrebbe potuto esporre in sintesi, sia sul versante epistemologico sia su quello contenutistico, più che i guadagni certamente le piste aperte per un dialogo a seguire. È un testo utile: per il neuroscienziato, che magari leggendo la seconda e terza parte, si può porre qualche interrogativo in più per moderare certe trepidazioni universalizzanti (meta-fisiche), ma anche per il teologo, che magari leggendo con attenzione la prima e la seconda parte, potrebbe moderare le soventi sgargianti imperizie su preziose acquisizioni della scienza.

Come sempre, i buoni lavori, come questo, alla fine pongono più domande che risposte. E per gli argomenti del libro questo è un bene, perché il dialogo tra neuroscienze e teologia è inevitabile, e chi oggi intende «fare» teologia non può vantarsi della propria miopia come chi fa «scienza» non può compiacersi della propria presbiopia. O viceversa. Basta che entrambi rifuggano il semplicismo manicheo che tutto riduce a ideologia, all'emarginazione e alla squalifica dell’«avversario». Perché chi fa «scienza» - e anche il teologo fa «scienza»!! - pone l'assedio alle proprie conclusioni prima che a quelle altrui. E poi su questi argomenti (anima, mente, corpo... libertà, determinismo...) è facile cercare e reclamare conferme, dimenticando che è l’intera storia della filosofia, della teologia (e delle scienze) a essere convocata. Come si nota, le questioni sono molteplici e le risposte fulminee e impulsive a volte anche stravaganti. Va quindi la nostra gratitudine all'autore per aver tentato qui una prima organizzazione e concertazione della problematica.


D. Passarin, in CredereOggi 233 (5/2019) 144-146

Il teologo e psicologo L. Paris in questo saggio sviluppa un itinerario di ricerca che pone a confronto contenuti e stili della teologia e delle neuroscienze (cf. 5), precisando che lo studio delle neuroscienze può aiutare anche la teologia ad appropriarsi di nuovi strumenti concettuali e sviluppare ulteriori modelli. «Troppo spesso infatti la teologia – che lavora con sistemi complessi e con le relazioni – tende a pensare in modo lineare, essenzialistico, non sistemico, senza accorgersi di possedere più strumenti di altre discipline per affrontare queste sfide» (42).

L’A. individua i caratteri essenziali del nuovo ateismo scientifico post-moderno nella sua manifestazione non aggressiva e di completa autonomia nei confronti della religione (cf. 45). Nella ricerca attuale di Dio, secondo l’A., all’interno di una riflessione teologica che voglia davvero entrare in dialogo con le neuroscienze, andrebbero utilizzati specialmente due stili di ricerca: trascendentale e dialettico. Per il primo stile, quello trascendentale, si «tende a vedere Dio come il compimento della realtà della creazione, e la sua condizione di possibilità […]. In questo senso Dio è il necessario: alla comprensione, alla vita, alla possibilità del mondo» (60; corsivo dell’A.). Il cammino che conduce a Dio, così, partirebbe dalla relazione dell’essere umano con la realtà e ogni aspetto di essa potrebbe rappresentare un riferimento a Dio. Per il secondo stile, quello dialettico, anche se il cammino che conduce a Dio può sempre avvenire per libera iniziativa di Dio, all’essere umano è lasciato uno spazio di autonomia. In altre parole, nello stile dialettico, il mondo funzionerebbe anche senza Dio. «Scoprire che le cose funzionano senza Dio significa vivere come se Dio non ci fosse, e questo è il mestiere della scienza» (65). I due stili teologici, trascendentale e dialettico, non sarebbero antitetici o alternativi, ma complementari nel cercare di comprendere Dio (cf. 70).

A questo punto, Paris si sofferma su alcune tematiche di grande interesse interdisciplinare, in particolare sia in scienza che in teologia. Sul tema della coscienza e della libertà, dopo una rapida carrellata delle posizioni più accreditate in prospettiva neuroscientifica e in filosofia della mente, Paris evidenzia che la maggior parte dei risultati ottenuti scientificamente va nella direzione di una totale naturalizzazione dell’essere umano nella sua materialità. A detta dell’A., l’ipotesi intellettualmente più stimolante anche per la teologia attualmente sarebbe quella di un materialismo non deterministico. Ciò significherebbe per la teologia ripensare l’antropologia teologica, in particolare la coscienza e la libertà, in termini di un complesso processo biologico di natura sistemico-relazionale (cf. 92-96). Inoltre, «una naturalizzazione completa dell’uomo chiede alla teologia di spiegare in che modo la dimensione processuale ed evolutiva dell’uomo si possa incontrare con la sua antropologia e più in generale, con le idee di evoluzione, progresso e pellegrinaggio verso la pienezza del Cristo, che pure fanno parte della sua stessa tradizione» (94-95).

In modo molto semplice e fruibile anche per i non esperti (cf. 106), Paris presenta una sintesi delle nuove conoscenze acquisite negli ultimi secoli sul funzionamento del sistema nervoso centrale, del suo sviluppo caratterizzato sia da fattori di tipo genetico (ad esempio, nella prima fase della sinaptogenesi) che esperienziale (e quindi in rapporto all’environment), delle sue potenzialità di evoluzione e adattamento (cf. 102-107). Infatti, la componente genetica e quella esperienziale nello sviluppo del sistema nervoso centrale non sono in competizione, ma si sostengono vicendevolmente dando luogo a una elevata plasticità.

Per quanto concerne la coscienza, Paris richiama la distinzione tra coscienza primaria, che ha tre componenti funzionali fondamentali, percettiva, connotativa e mnemonica (cf. 133-146), e quella di ordine superiore, caratterizzata dal pensiero, dal linguaggio, dall’uso di strumenti sociali e dal senso del sé (cf. 133-146). La libertà, invece, viene presentata dall’A. in prospettiva relazionale (cf. 144-169), come decisione di sé che si realizza grazie agli altri (cf. 146-149), segnata dalla contingenza e come caratteristica della costruzione intenzionale di sé (cf. 150-152). In prospettiva neuroscientifica vengono anche richiamati i risultati ottenuti nelle ricerche sui neuroni-specchio e, in particolare, la teoria della simulazione incarnata di Vittorio Gallese (cf. 156), per affermare che la capacità umana di simulare rende liberi (cf. 160). Il desiderio costituirebbe «la dinamica relazionale con cui il soggetto si rivolge a qualcosa/qualcuno per coinvolgerlo nella costruzione di sé» (162; corsivo dell’A.), concetto sviluppato all’interno di una riflessione metafisica del desiderio stesso, in grado di fornire gli strumenti concettuali più adeguati per parlare di libertà (cf. 166).

Spostando la propria attenzione a un ambito teologico di discussione, Paris discute sull’importanza che il concetto di anima esercita nella fede cristiana, tentando di sviluppare una prospettiva materiale sistemico-relazionale, in cui possono essere individuate tre funzioni: cosmologico-antropologica (cf. 177-184), che sottolinea il posto che l’essere umano occupa nella creazione, il suo essere unitario e parte della creazione, antropo-teologica (cf. 184-191), che evidenzia maggiormente la relazione di reciprocità tra Dio e l’essere umano dalla quale ha origine la dignità di quest’ultimo, ed escatologica (cf. 191-197), che riguarda la possibilità di immortalità dell’anima dopo la morte, in relazione alla risurrezione e alla vita eterna.

Alla luce di una visione sistematica di matrice neuroscientifica che evidenzia l’autonomia creaturale, il passo ulteriore dell’A. è quello di ripensare la libertà relazionale, con cui l’essere umano «dispone della propria soggettivazione, cioè del modo in cui sceglie di diventare un soggetto con un nome e un’identità» (222), avendo come modello la libertà di Gesù Cristo (cf. 233). Tale libertà del Figlio di Dio è da intendersi adulta, cioè come libertà «di ereditare, ovvero di farsi carico del nome e del volto non solo proprio, ma anche di colui che ci ha generato» (233). In particolare, la croce sarebbe la massima espressione della libertà del Figlio, in quanto Egli liberamente dona la sua vita al Padre per amore degli esseri umani, considerati tutti suoi figli (234).

Intesa nella sua connotazione relazionale, la considerazione della libertà viene utilizzata dall’A. per comprendere la dinamica trinitaria, in cui emerge anche la ipostasi dello Spirito Santo, «che definisce la relazione di corrispondenza in direzione della novità. Lo Spirito è colui che esprime la libertà divina non nell’affermazione della pluralità dei volti – già presente nelle due prime persone della Trinità – ma piuttosto nell’affermazione della pluralità delle relazioni» (256, corsivo dell’A.). Anche sulla croce, la relazione con lo Spirito Santo consentirebbe al Figlio di sostenere l’apparente assenza del Padre, donandogli la libertà di esprimere pienamente la propria dimensione filiale (cf. 258).

In conclusione, per Paris «non soltanto la libertà nasce dalla relazione ma trova anche nella relazione il proprio senso» (260); l’essere umano, come del resto l’intera creazione, va collocato nello spazio della Trinità (cf. 311), e il proprio sviluppo è caratterizzato da una pluralità di relazioni, come avviene fra le tre persone divine. In tale contesto di riflessione, l’autonomia naturale, come acquisizione neuroscientifica contemporanea, può essere riconosciuta come dono di grazia, inquadrata nella relazionalità di una figliolanza adulta in grado di esprimere la propria libertà (cf. 311-314). Pur mancando di una ampia documentazione scientifica sugli argomenti trattati, la proposta di Paris va segnalata come tentativo di dialogo interdisciplinare fondato su una visione sistemico-relazionale della realtà, sia immanente che trascendente.


E. Cibelli, in Rassegna di Teologia 4/2018, 681-684

«Il cervello ricorda trasformando se stesso nell’incontro col mondo». «Non è il cervello a costruire la rete dei concetti e delle parole, ma una comunità di individui». «La persona umana è libera se e in quanto può costruire se stessa scegliendo chi vuole essere. Gli altri sono per noi ipotesi alternative di esistenza». Bastano queste prime frasi per capire quanto l’autore, teologo, sia competente nella riflessione più avanzata delle neuroscienze. Ma non solo: «La più radicale novità del panorama contemporaneo è l’ipotesi che l’esperienza umana sia insensata. Che funzioni, ma non abbia alcun senso». «Il disinteresse verso Dio della scienza contemporanea non è aggressivo. Non è un discorso contro Dio. Semplicemente di lui non vi è bisogno. È un quadro per cui tutto funziona anche senza Dio». Queste altre frasi mettono in chiaro che l’autore non si sottrae alla sfida più dura (e disperante?) che il mondo moderno lancia ai credenti.

 Il libro, infatti, ottimo per coraggio e chiarezza, è una risposta a questa domanda: «Cosa ha da proporre il Dio di Gesù Cristo a uomini che vivono bene anche senza di lui?». La risposta fa dialogare fede e neuroscienze, con uno stile comprensibile, tipico più della divulgazione scientifica che di quella teologica. Non è necessario essere d’accordo con tutto ciò che l’autore propone, ma c’è bisogno di libri come questo, perché «chi non comprende le dinamiche del proprio tempo rischia di farsi male, di fare male e di non costruire il domani ma distruggerlo».


G. Meazzini, in Città Nuova 9/2018, 74

Dans le sillage de sa thèse soutenue à la Fac. de théol. de la Grégorienne à Rome et publiée sous le titre Sur la liberté. Perspectives de théologie trinitaire entre neurosciences et philosophie (Rome, Città Nuova, 2012), l’A., enseignant à l’ISSR et au Studium théologique académique de Trente, offre ici un 2e ouvrage, élargi à toute la thématique très actuelle des neurosciences, évaluée d’un point de vue théologique.

Dans une 1re partie, il pose les termes de la confrontation: d’un côté, le cadre scientifique où se développent les neurosciences – cadre marqué par l’écroulement du dualisme cartésien, une valorisation des populations en évolution et de la complexité des systèmes – (chap. 1), de l’autre, une topique théologique – marquée par la bipolarité du modèle transcendantal qui cherche Dieu dans l’obscurité et du modèle dialectique qui le cherche dans la lumière (chap. 2).

La 2e partie, philosophique, propose un état des lieux en neurosciences – à partir de deux dilemmes : matérialisme ou spiritualisme, déterminisme ou liberté – (chap. 3), puis une réinterprétation de la conscience (chap. 4) et de la liberté (chap. 5) à la lumière de la relation.

La 3e partie, proprement théologique, repense l’âme (chap. 6), la liberté (chap. 7) et la relation (chap. 8) selon le point de vue trinitaire (surtout emprunté à Balthasar) cher à l’auteur. Si l’ouvrage a le mérite d’une grande clarté pédagogique, d’une audace (convoquer une des théologies les plus ignorantes des acquis des sciences actuelles, celle de Balthasar, pour éclairer les sciences de la nature et de la vie!) et de fortes convictions, on peut regretter l’option résolue pour le matérialisme systémique et émergentiste, qui réduit l’affirmation magistérielle sur la distinction corps-âme, pourtant rappelée, à une option (surtout p. 176-197), et une opposition, plus qu’une intégration, en faveur du second des deux styles théologiques, transcendantal (ascendant) et dialectique (descendant).


P. Ide, in Nouvelle Revue Théologique 140 (2/2018) 335

L'A. del saggio si propone di intrecciare neuroscienze, filosofia e teologia con lo scopo di pervenire a una formulazione più aggiornata di alcune tematiche tipiche della riflessione umanistica e della tradizione cristiana.

Nella prima parte del saggio viene dato spazio alla presentazione di alcuni aspetti rilevanti degli studi biologici sul cervello; nella seconda parte vengono fatte emergere le nuove prospettive aperte da questi studi su questioni tradizionali come la coscienza e la libertà; nella terza parte si tenta il confronto con temi teologici rilevanti come l'anima, la libertà, la relazione.

Il tutto è legittimato dalla convinzione che non sia più possibile evitare l'interdisciplinarietà, sia perché le neuroscienze implicano il coinvolgimento di molteplici discipline, sia perché la teologia non può sottrarsi alle sfide che la costringono a oltrepassare i limiti della filosofia tradizionale. Sembra sempre meno accettabile una chiusura in percorsi disciplinari reciprocamente impermeabili, soprattutto per chi si voglia occupare di quella realtà complessa che è costituita dall'essere umano. Per questo la teologia che voglia confrontarsi con le neuroscienze «deve abituarsi a lavorare con il pensiero della complessità» (p. 30) e quindi con i concetti più aggiornati di sistema, di autorganizzazione, di emergenza e altri ancora.

L'interrogativo che la teologia deve porsi è evidente: come intrecciare questi concetti aggiornati con il modo di intendere la coscienza e la libertà? E più precisamente come coniugare l'investimento esclusivo sulla materia da parte delle neuroscienze con l'evocazione, filosofica e teologica, di un mondo alternativo rispetto alla materia in cui far risiedere la coscienza e la libertà? C'è un'«alternativa» a questa alternanza tra materiale e immateriale? I neuroscienziati che si occupano della coscienza possono prendere le mosse solo dal cervello e, per lo più, rimangono ancorati a quanto si arriva a dire osservando la rete estremamente complessa dei neuroni. In questo quadro la coscienza appartiene all'ambito della materia, sia pure in quel sistema organico che si chiama corpo e a cui appartiene anche il cervello. L'A. del saggio osserva che l'approccio neurobiologico porta a considerare la coscienza non come una cosa indipendente dall'ambiente naturale e dal corpo ma come un «processo» legato alla «vita» e al «corpo» (p. 108), dove il corpo è tanto l'ambiente vitale del cervello quanto ciò che viene mappato dal cervello. La libertà condivide la collocazione cerebrale della coscienza con le caratteristiche segnalate per la stessa coscienza ma con una particolare accentuazione dell'aspetto sociale.

Come la coscienza emerge da un cervello che, grazie alla sua collocazione in un corpo, è intrecciato con l'ambiente naturale, così la libertà emerge da un cervello che si avvale delle relazioni tra gli individui. Trascurare questo aspetto ed esaminare solo le dinamiche neurologiche della libertà porterebbe a una visione deterministica che finirebbe per negare la stessa libertà. Indubbiamente il ruolo del cervello è indispensabile con la conseguenza che la libertà, come la coscienza, ha una base materiale.

Lo scambio sociale, però, impedisce di chiudere la libertà entro i meccanismi del cervello impedendone una riduzione deterministica. A questo proposito l'A. propone, fin dall'inizio del capitolo sulla libertà, una sorta di «materialismo non determinista» (p. 83, 93). La questione che a questo punto emerge è di sapere che ne è dell'anima.

La terza parte del saggio inizia occupandosi di tale questione osservando, anzitutto, che dal punto di vista teologico il riferimento all'anima ha il duplice vantaggio di riconoscere il primato di Dio nella storia e la responsabilità dell'uomo verso Dio e la storia (p. 186). Ciò non significa, però, che l'anima sia da intendere come una realtà slegata dalla materia e dal corpo, se non altro perché il Dio così intimamente legato all'anima è anche strettamente legato alla condizione materiale e corporea degli esseri umani. In tal modo si può recuperare la prospettiva neuroscientifica che non separa la coscienza e la libertà (filosoficamente legate all'anima) dal contesto materiale e corporeo. Per accogliere questa prospettiva e non smarrire la valenza teologica dell'anima l'A. del saggio propone di considerare l'anima «come un livello di complessità sistemica e funzionale della materia» (p. 198). A questo tentativo di ripensare l'anima si aggiunge il tentativo di ripensare la libertà con un affondo sulla teologia della Trinità e di ripensare la relazione che costituisce un tema centrale di tutta la teologia e che consente, tra l'altro, un approfondimento interessante sulla creazione. In questi ultimi punti il rapporto con le due prime parti è più diradato e talvolta meno evidente, ma comunque ricostruibile.

Com'è ovvio in tentativi di questo genere le questioni rimaste aperte sono innumerevoli e attendono di essere affrontare con sempre maggiore attenzione all'intreccio non semplice tra aspetti metodologici e aspetti contenutistici, tanto all'interno delle neuroscienze quanto all'interno della relazione tra le neuroscienze e la teologia. Ciò che comunque appare ormai ineludibile è ilsorpasso di una concezione che pretenda di ricostruire la realtà umana e la rivelazione divina assommando cose a cose e concetti a concetti.

All'interno della ormai sempre più ampia letteratura neuroteologica il contributo del presente saggio consiste soprattutto nel sottolineare il primato di una visione contestuale e dinamica della teologia: un primato già avvertito da altri tipi di approccio e che l'attenzione alle neuroscienze può contribuire a confermare e ad approfondire suggerendo talvolta aspetti inediti quanto mai preziosi per chiunque si accinga a impegnarsi nell'intelligenza della fede.<br>G. Bonaccorso, in <i>Studia Patavina</i> 2/2017, 387-389

<br>Una nuova disciplina ha iniziato ad affacciarsi negli atenei di tutto il mondo: le neuroscienze. Questo nuovo ambito del sapere cerca di spiegare la relazione tra mente e cervello. Il progredire della ricerca ha fatto sì che ultimamente si sia potuto affermare che, sebbene le neuroscienze siano ben lungi dall’aver mostrato tutti i meccanismi e i funzionamenti, del cervello conosciamo abbastanza perché si possano tentare di spiegare (o meglio dissolvere, secondo le interpretazioni più radicali) questioni e misteri che dagli albori dell’umanità accompagnano la nostra consapevolezza di essere uomini: libertà, responsabilità, moralità e spiritualità non sarebbero più elementi che caratterizzano la persona, espressioni di ciò che si è chiamato anima o mente ma solo fenomeni dovuti a combinazioni biochimiche nel cervello, sottoposti a leggi meccanicistiche che ne renderebbero prevedibile e controllabile il funzionamento. Questa è la sfida, per riprendere i temi di Paris, che le neuroscienze presentano nella comprensione dell’uomo e delle sue caratteristiche più peculiari.

Il testo in questione si propone di prendere sul serio questi elementi e di cercare di comprendere come questo nuovo e affascinante campo del sapere umano inviti la teologia a guardare in modo rinnovato (nuovo nei termini dell’autore) la persona: mente, coscienza, libertà, anima, relazione con il divino sono gli ambiti principali di questa intenzione. L’A. accompagna il lettore in questo confronto tra teologia e neuroscienze attraverso un cammino scandito in tre parti.

La prima parte, Termini di un confronto, è composta da due capitoli: Il campo da gioco (11-42) che vuole mettere a fuoco il tipo di analisi e le novità presentate dalle neuroscienze e Quali sfide (43-71) in cui si evidenzia un nuovo mainstream culturale che accompagna le acquisizioni neuroscientifiche.

La seconda parte del volume mette al centro la questione della libertà e della coscienza (Coscienza e libertà). Questa sezione è articolata in tre capitoli. Nel primo, Questioni di fondo (75-96), Paris colloca l’attuale dibattito, connesso alle acquisizioni delle neuroscienze, in seno a un mai sopito e mai risolto confronto con materialismo e determinismo che, nelle parole dell’autore, sembrerebbero portare alla completa naturalizzazione dell’uomo. Il secondo capitolo, dal titolo Coscienza in relazione (97-143) tematizza la questione della coscienza. Il terzo e ultimo capitolo che compone questa parte, Libertà in relazione (144-168), in maniera analoga al capitolo precedente tematizza la questione della libertà.

Segue una terza parte del testo dal titolo Sfide teologiche che occupa circa la metà del volume stesso e si articola anch’essa in tre capitoli. Il primo capitolo, Ripensare l’anima (171-216), tenta un’assunzione dei termini precedenti in una riproposizione di questa dimensione umana in un linguaggio e in modi che sappiano tener conto delle sfide presentate dalle neuroscienze. Con finalità analoghe a quelle del precedente capitolo, l’A. fa seguire un’ulteriore sezione, dal titolo Ripensare la libertà (217-259).

Infine, chiude il testo un ultimo capitolo dal titolo Ripensare la relazione (260-314) che tematizza le questioni relazionali con il prossimo e con Dio. Ci sembra importante segnalare come questi tre capitoli si chiudano tutti con una nota che invita il lettore ad approfondire il discorso ampliando l’orizzonte. Nel capitolo sull’anima, Paris offre una nota sull’handicap, in quello sulla libertà sullo Spirito Santo e, infine, in quello sulla relazione, si offre una nota sul capitolo 8 della lettera ai Romani per tematizzare la creazione.

Ci sembra che il testo abbia il notevole pregio di assumere una sfida che la teologia non può e non deve ignorare: la visione dell’umano non è solo una sfida per quanto crediamo e sappiamo sull’uomo ma è, ed è forse qui il valore precipuo di quest’opera, un’occasione preziosa per ridire, attualizzandole e rendendole maggiormente significative per questa cultura, alcune consapevolezze antropologiche tematizzate tradizionalmente dalla teologia. Paris è consapevole, e la sua analisi ne mostra chiaramente la fondatezza, che non tutti i risultati delle neuroscienze sono fondati né che tutto può essere accolto aprioristicamente: il testo ha anche il pregevole intento di iniziare questo processo di discernimento. Ci sembra tuttavia che il testo più che analizzare i risultati delle neuroscienze offra un dialogo e un discernimento su alcune conseguenze filosofiche che taluni autori vogliono far derivare da questi risultati: forse più che la sfida delle neuroscienze ci si confronta con le sfide di alcune filosofie delle neuroscienze.

Pur con queste limitazioni il testo è un valido strumento e una lettura preziosa per chi voglia confrontarsi con il tema e con la prospettiva di questo campo del sapere. Prima di congedarci annotiamo due piccoli e curiosi dettagli: l’opera manca di una parte che si offra a mo’ di conclusione sintetica del percorso fatto e l’indice, per un qualche motivo, si presenta sfalsato rispetto alla reale numerazione delle pagine.


P. Benanti, in Gregorianum 4/2017, 861-863

L'A. del saggio si propone di intrecciare neuroscienze, filosofia e teologia con lo scopo di pervenire a una formulazione più aggiornata di alcune tematiche tipiche della riflessione umanistica e della tradizione cristiana.

Nella prima parte del saggio viene dato spazio alla presentazione di alcuni aspetti rilevanti degli studi biologici sul cervello; nella seconda parte vengono fatte emergere le nuove prospettive aperte da questi studi su questioni tradizionali come la coscienza e la libertà; nella terza parte si tenta il confronto con temi teologici rilevanti come l'anima, la libertà, la relazione.

Il tutto è legittimato dalla convinzione che non sia più possibile evitare l'interdisciplinarietà, sia perché le neuroscienze implicano il coinvolgimento di molteplici discipline, sia perché la teologia non può sottrarsi alle sfide che la costringono a oltrepassare i limiti della filosofia tradizionale. Sembra sempre meno accettabile una chiusura in percorsi disciplinari reciprocamente impermeabili, soprattutto per chi si voglia occupare di quella realtà complessa che è costituita dall'essere umano. Per questo la teologia che voglia confrontarsi con le neuroscienze «deve abituarsi a lavorare con il pensiero della complessità» (p. 30) e quindi con i concetti più aggiornati di sistema, di autorganizzazione, di emergenza e altri ancora.

L'interrogativo che la teologia deve porsi è evidente: come intrecciare questi concetti aggiornati con il modo di intendere la coscienza e la libertà? E più precisamente come coniugare l'investimento esclusivo sulla materia da parte delle neuroscienze con l'evocazione, filosofica e teologica, di un mondo alternativo rispetto alla materia in cui far risiedere la coscienza e la libertà? C'è un'«alternativa» a questa alternanza tra materiale e immateriale? I neuroscienziati che si occupano della coscienza possono prendere le mosse solo dal cervello e, per lo più, rimangono ancorati a quanto si arriva a dire osservando la rete estremamente complessa dei neuroni. In questo quadro la coscienza appartiene all'ambito della materia, sia pure in quel sistema organico che si chiama corpo e a cui appartiene anche il cervello. L'A. del saggio osserva che l'approccio neurobiologico porta a considerare la coscienza non come una cosa indipendente dall'ambiente naturale e dal corpo ma come un «processo» legato alla «vita» e al «corpo» (p. 108), dove il corpo è tanto l'ambiente vitale del cervello quanto ciò che viene mappato dal cervello. La libertà condivide la collocazione cerebrale della coscienza con le caratteristiche segnalate per la stessa coscienza ma con una particolare accentuazione dell'aspetto sociale.

Come la coscienza emerge da un cervello che, grazie alla sua collocazione in un corpo, è intrecciato con l'ambiente naturale, così la libertà emerge da un cervello che si avvale delle relazioni tra gli individui. Trascurare questo aspetto ed esaminare solo le dinamiche neurologiche della libertà porterebbe a una visione deterministica che finirebbe per negare la stessa libertà. Indubbiamente il ruolo del cervello è indispensabile con la conseguenza che la libertà, come la coscienza, ha una base materiale.

Lo scambio sociale, però, impedisce di chiudere la libertà entro i meccanismi del cervello impedendone una riduzione deterministica. A questo proposito l'A. propone, fin dall'inizio del capitolo sulla libertà, una sorta di «materialismo non determinista» (p. 83, 93). La questione che a questo punto emerge è di sapere che ne è dell'anima.

La terza parte del saggio inizia occupandosi di tale questione osservando, anzitutto, che dal punto di vista teologico il riferimento all'anima ha il duplice vantaggio di riconoscere il primato di Dio nella storia e la responsabilità dell'uomo verso Dio e la storia (p. 186). Ciò non significa, però, che l'anima sia da intendere come una realtà slegata dalla materia e dal corpo, se non altro perché il Dio così intimamente legato all'anima è anche strettamente legato alla condizione materiale e corporea degli esseri umani. In tal modo si può recuperare la prospettiva neuroscientifica che non separa la coscienza e la libertà (filosoficamente legate all'anima) dal contesto materiale e corporeo. Per accogliere questa prospettiva e non smarrire la valenza teologica dell'anima l'A. del saggio propone di considerare l'anima «come un livello di complessità sistemica e funzionale della materia» (p. 198). A questo tentativo di ripensare l'anima si aggiunge il tentativo di ripensare la libertà con un affondo sulla teologia della Trinità e di ripensare la relazione che costituisce un tema centrale di tutta la teologia e che consente, tra l'altro, un approfondimento interessante sulla creazione. In questi ultimi punti il rapporto con le due prime parti è più diradato e talvolta meno evidente, ma comunque ricostruibile.

Com'è ovvio in tentativi di questo genere le questioni rimaste aperte sono innumerevoli e attendono di essere affrontare con sempre maggiore attenzione all'intreccio non semplice tra aspetti metodologici e aspetti contenutistici, tanto all'interno delle neuroscienze quanto all'interno della relazione tra le neuroscienze e la teologia. Ciò che comunque appare ormai ineludibile è ilsorpasso di una concezione che pretenda di ricostruire la realtà umana e la rivelazione divina assommando cose a cose e concetti a concetti.

All'interno della ormai sempre più ampia letteratura neuroteologica il contributo del presente saggio consiste soprattutto nel sottolineare il primato di una visione contestuale e dinamica della teologia: un primato già avvertito da altri tipi di approccio e che l'attenzione alle neuroscienze può contribuire a confermare e ad approfondire suggerendo talvolta aspetti inediti quanto mai preziosi per chiunque si accinga a impegnarsi nell'intelligenza della fede.


G. Bonaccorso, in Studia Patavina 2/2017, 387-389

Il libro del teologo Leonardo Paris è consacrato al confronto difficile e ne­cessario tra teologia e neuroscienze (5). L’autore è consapevole delle difficoltà metodologiche della sua ricerca e la intende come tentativo (7) senza pretese esagerate e con la disponibilità a rimettersi in discussione anche rispetto all’o­rientamento di fondo (93).

La prima parte «Termini di un confronto» (9-71) introduce al nuovo pa­norama scientifico (capitolo 1) e, in particolare, a ciò che Paris chiama – con un’immagine evocativa – lo sgretolamento del muro cartesiano (12-21), cioè l’idea che la separazione tra mondo delle scienze naturali e mondo filoso­fico e teologico non si lasci mantenere oggi: «Il panorama in cui si muove la scienza contemporanea, a mio avviso, è segnato proprio dal fatto che questo muro concettuale non tiene più» (16). Questo significa concretamente che le neuroscienze si permettono di intervenire su questioni come l’esistenza di Dio o la mistica (18). Alcuni spostamenti scientifici – individuabili nei con­cetti di popolazione, selezione, sistema e funzione – potrebbero avere delle conseguenze concrete per la teologia. La presa in considerazione dell’evo­luzione, per esempio, spinge all’affermazione che «[l]’essenza viene dopo la selezione» (26), anche se si deve riconoscere che la selezione presuppone una popolazione esistente (l’autore presuppone una visione statica dell’es­senza). Si integra il passaggio dalla questione del «che cos’è?» alla questione del «come funziona?», cioè dalla cosa al sistema più o meno complesso che nel caso del cervello umano è aperto, apparentemente impreciso e si auto-organizza.

La sfida principale (capitolo 2) viene secondo l’autore dal disinteresse della scienza per Dio e dall’«ipotesi che l’esperienza umana sia insensata. Che fun­zioni, ma che non abbia alcun senso» (48). In una prospettiva credente ci sono diverse possibilità per rispondere alla sfida: si può cercare Dio nel «buio» ossia in tutto ciò che la scienza non riesce ancora a spiegare, o nella «luce», cioè in una prospettiva di lode rispetto a ciò che siamo in grado di capire; si può – in una prospettiva trascendentale – cercare Dio come condizione di possibilità della realtà creata o – in una prospettiva dialettica – come l’interruzione e l’im­previsto. Senza proporre un’opposizione tra le possibilità, l’autore si situa in un rapporto dialettico con Dio cercato nella «luce».

La seconda parte su «Coscienza e libertà» (73-168) comincia con un collo­camento tra le teorie scientifiche (capitolo 3). L’autore, come ipotesi, adotta un monismo materialista non determinista per cercare di spiegare la vita umana dal basso verso l’alto. Con due schemi (85 e 91) esclude altre possibilità: da un lato le forme radicali di materialismo (l’eliminativismo o l’epifenomenismo) e dall’altro lato – più sorprendente dal punto di vista cristiano – il dualismo nel senso più elementare che si debba ammettere una realtà immateriale oltre la realtà materiale. L’autore non entra nei dibattiti, ma propone di prendere la via oggi più frequentata del materialismo emergentista. Cerca di comprendere che cosa accada alla teologia se sceglie di inserirsi nel mainstream scientifico. Tutto è da ripensare «di fronte ad un uomo solo biologico» (95).

In questa prospettiva il sistema complesso del cervello fa emergere la co­scienza (capitolo 4) e dunque l’esperienza degli animali e degli uomini. Ri­spetto al presente ricordato degli animali, per esempio una mucca, la parti­colarità del cervello umano è di produrre una coscienza di ordine superiore che si ricorda di sé, cioè secondo l’espressione di Damasio un sé autobiografico: «[O]ltre a un vi è un senso del sé, cioè un sé percepito e gestito» (140). Gli uomini non hanno soltanto, come gli animali, un rapporto mediato con gli oggetti esterni, ma anche un rapporto mediato con se stessi e gli oggetti interni (le emozioni, ecc.).

L’autore propone un materialismo non determinista e di conseguenza, nel capitolo 5, cerca come collocare la libertà a partire dalla definizione seguente: «La persona umana è libera se e in quanto può costruire se stessa scegliendo chi vuole essere» (147). Questo decidere di sé presuppone delle alternative e la possibilità di imitare gli altri (cf. neuroni specchio). La libertà così concepita è dunque ne­cessariamente una libertà socialmente situata: «La mia libertà non si configura come assoluta, come auto-creazione, ma come dipendenza assunta creativa­mente.» (165) L’insistenza sulla scelta della propria identità implica per l’au­tore la critica (superficiale) della metafisica dell’essere come statica (metafisica del «sasso»), mentre la metafisica del desiderio valorizzerebbe il dinamismo e le possibilità (166) e dunque la libertà nelle relazioni di simulazione e di desiderio.

La terza parte sulle «Sfide teologiche» (169-314) comincia con un capitolo sull’anima. Le funzioni dell’anima nella teologia possono essere caratterizzate come cosmologico-antropologica (la superiorità umana rispetto alle altre cre­ature), antropo-teologica (la relazione con Dio) ed escatologica (la vita dopo la morte). L’autore crede che queste funzioni possano essere assicurate in una prospettiva materiale-sistemica. Concretamente, la complessità del cervello umano basterebbe per affermare la sua superiorità rispetto ad altre creature, senza perdere di vista il suo essere creatura tra le creature. Di più, non sarebbe necessario riferirsi all’anima come condizione di possibilità di una relazione personale con Dio, ma «[n]ella prospettiva materiale-sistemica l’uomo […] è garantito nella sua relazione con Dio […] solo in modo relazionale» (189). In­fine, la permanenza della vita umana dopo la morte non sarebbe più a carico dell’anima in quanto immortale, ma sarebbe fondata unicamente nell’amore di Dio. Dal punto di vista terminologico, l’autore propone di riprendere la tri­partizione corpo, anima, spirito per interpretarla in una complessità sistemica crescente, cosicché lo spirito designerebbe la coscienza di secondo ordine.

Il capitolo 7 tematizza la libertà in prospettiva teologica. Per Cristo si tratta di «riempire di contenuto il proprio nome e la propria identità di F/figlio, attraverso le relazioni della sua vita» (222). Contrariamente a certi passi prece­denti, l’autore insiste di più su un’identità già data, anche se ancora da realiz­zare nella vita umana di Cristo. La sua libertà adulta si mostra particolarmente sulla croce dove si manifesta pienamente Figlio e fratello (235). Anche per la Trinità, viene adottata la prospettiva relazionale della libertà, interpretando la libertà delle persone divine come liberazione dall’essere tutto, cioè, per esempio, per il Padre di non essere il Figlio e lo Spirito (252).

L’ultimo capitolo sulla relazione riprende la stretta analogia tra le persone divine in quanto costituite dalle loro relazioni sussistenti e le persone umane in quanto costituite dalle relazioni: «ci facciamo in relazione ad altre persone. Questo dato è per noi strutturale e strutturante» (273). Per l’autore, questa idea si può riassumere nell’affermazione: «Siamo differenti nella natura ma uguali nella relazione» (299). L’autore giustifica l’espressione a partire dalla fratellanza fondata nell’essere figli nel Figlio.

Il saggio di Paris mostra con capacità pedagogica la difficoltà di articolare la teologia con la recente ricerca nel campo delle neuroscienze. La mia impres­sione è che la sostituzione del paradigma indebolisce il discorso sulla condi­zione e sulla vita umana come invece consentirebbe un approccio fenomeno­logico. La riduzione dell’anima alle funzioni mentali rende veramente conto di tutto ciò che si diceva con questo termine? Quando si parla di interiorità si utilizza una metafora inadeguata sostituibile al più presto da una metafora in­formatica? La libertà umana trova nei neuroni specchio (comuni con molti ani­mali) una base sufficiente? Se la libertà si definisce come capacità di scegliere tra ipotesi alternative e cioè di assumere l’identità altrui, non si tratta di una libertà infantile a immagine di quella di un adolescente che imita la star ammi­rata in tutto? L’incontro con l’altro in quanto altro potrebbe anche aiutarmi a capire che non sono l’altro e che non devo diventare come lui. In altre parole, l’identità non si costruisce soltanto a partire da possibilità esterne, ma penso che sia anche da scoprire e da accogliere in se stessi come è espresso nel γνώθι σεαυτόν ripreso nella tradizione cristiana. La vita di Gesù mostra bene che non si tratta di costruirsi Figlio di Dio, ma di scoprirsi tale e di conseguenza anche fratello di tutti fino alla croce nonostante l’inimicizia incontrata (vedi le pagine sul rapporto tra fratellanza e figliolanza 285-298).

Mi chiedo inoltre se la spiegazione dell’uomo come complessità sistemica non dovrebbe far emergere la stessa possibilità per Dio. Sarebbe da pensare come somma complessità sistemica, cioè all’interno del monismo materialista? In questo caso, Dio sarebbe non l’origine, ma il risultato finale dell’evoluzione? Anche se l’autore non pone le domande in questi termini, risponde implicita­mente di no manifestando la sua simpatia per la teologia dialettica. In altre parole si rifiuta il «dualismo» tra l’uomo e le altre creature e si sposta verso Dio nel suo rapporto con la creazione. Penso che si debba riprendere la dualità tra Dio e la sua creazione anche rispetto al rapporto tra l’uomo e le altre creature. L’uomo non è soltanto un essere creato come tutti gli altri, ma – nelle parole di Pascal – capace di pensare l’universo. A mio avviso questa capacità di essere il vis-à-vis della creazione non è da pensare come il risultato della complessità sistemica, ma come «imprevisto» e «interruzione», cioè come novità della per­sona rispetto alle altre creature.

Che cosa risulta in ultima analisi per il confronto tra teologia e neuro­scienze? Il cammino scelto dall’autore va dalle neuroscienze alla teologia. L’i­potesi di base è che la fede cristiana si può esprimere anche nel nuovo contesto scientifico. Si parte dunque dai dati delle neuroscienze secondo l’interpreta­zione del monismo materialista e si deducono poi le conseguenze per la teo-logia e alcuni concetti come l’anima, la libertà e la relazione. La critica va dalle neuroscienze alla teologia, ma non dalla teologia alle neuroscienze, cioè la teologia non sviluppa nessun potenziale critico rispetto all’interpretazione dei dati. Speriamo che l’autore possa contribuire anche in questa direzione nel confronto tra teologia e neuroscienze.


Ch. Betschart, in Teresianum 68 (2017/1) 237-241

In uno dei suoi libri più noti Antonio Damasio svela "L'errore di Cartesio" (Adelphi, Mi lano 1995 [edizione originale 1994]). Secondo il neuroscienziato portoghese, la proposizione "cogito ergo sum" e la correlata distinzione tra "res cogitans" e "res extensa" celebrano la separazione della mente dal corpo. Il fondamento logico della conoscenza del mondo naturale sta in una particolare sostanza "la cui intera essenza o natura tutta quanta consiste nel pensare, e che per essere non ha bisogno di luogo alcuno, né dipende da alcuna cosa materiale" (R. Descartes, Discorso sul metodo, edizione italiana a cura di R. Mondolfo e E. Garin, Sansoni, Firenze 1970, p. 44).

Si opera in questo modo una separazione tra le modalità della conoscenza che attengono alla materia, fondate sull'esperimento e la matematica, e quelle rivolte allo spirito. Gli sviluppi delle neuroscienze, mostrando i fondamenti materiali e corporei dei processi mentali, costringono ad abbandonare il dualismo cartesiano e a denunciare "l'errore di Cartesio". Le conseguenze della strada tracciata sono di enorme portata: se le attività mentali dell'uomo sono ricondotte a processi materiali, si deve accettare che questo programma si estenda ad aspetti fondamentali del nostro essere, come la coscienza e i processi deliberativi - e quindi a interrogarsi sulla libertà delle nostre scelte.

Per la tradizione di pensiero cristiano, questo significa che la scienza assedia la scintilla divina posta nell'uomo. Tutto sommato, il dualismo cartesiano pur dando un impulso fondamentale al metodo scientifico, aveva offerto le condizioni per una tregua tra la conoscenza scientifica e la teologia e su quella base si erano potute accogliere le grandi scoperte della fisica e perfino, sia pure con qualche turbamento, della biologia evolutiva. Le scoperte delle neuroscienze, conquistando progressivamente alla corporeità i processi attraverso i quali l'uomo conosce, rappresenta se stesso come attore nel mondo e in esso agisce, lanciano una sfida formidabile all'uomo creato e redento e al suo rapporto con Dio, creatore e redentore.

Leonardo Paris, teologo e psicologo, ci invita a raccogliere la sfida di accettare in modo integrale l'ipotesi della naturalizzazione completa dell'uomo; ci invita, sul solco di Bonhoeffer, ad imparare a vivere "come se Dio non ci fosse" per riscoprire Dio stesso, e "ritrovare oggi i luoghi e le forme della sua presenza". L'esplorazione che ne risulta è esplicitamente presentata come un tentativo di verificare la praticabilità di alcune strade, come una "congettura diagnostica, cioè un tentativo portato alle sue conseguenze radicali, allo scopo di saggiarne la praticabilità e la validità" (p. 7).

L'opzione teorica di fondo, basata su una discussione dello stato attuale della ricerca delle neuroscienze, è quella di un "materialismo non determinista", nel quale "la libertà c'è ma è parte dell'unico mondo, non cade dal cielo, ma sale dalla terra" (p. 83). Su questa base, Paris affronta tre discussioni teologiche. La prima riguarda l'anima: "Può - si chiede l'autore - un teologo passeggiare su sentieri in cui l'anima proviene dalla terra?" (p. 93). La seconda pista si svolge attorno al tema della libertà: "Può il teologo parlare di Dio e dell'uomo, se la libertà dell'uomo non è un dono di Dio ma un prodotto fisico e biologico ( ... )?" (p. 93). La chiave della discussione teologica sta infine nell'idea di relazione con gli altri uomini e con Dio che plasma la coscienza e costituisce il fondamento della libertà.

Il "tentativo radicale" di Paris non è solo una accettazione della sfida delle neuroscienze. Esso è una sfida alla nostra pigrizia e riluttanza ad affrontare l'ultimo tabù: l'idea che la componente spirituale dell'uomo possa essere esclusa dai potenti metodi che la scienza impiega per indagare il mondo materiale. Suggerisco caldamente la lettura di questo libro: si vedrà che i sentieri aperti all'uomo che si scopre "corpo" conducono a strade inaspettate per cogliere l'ingresso della divinità trinitaria nella propria vita.
E. Zaninotto, in Appunti di Teologia 2/2017, 12-13

Teologo e psicologo, Leonardo Paris approfondisce i suoi studi sul rapporto tra teologia e neuroscienze. E lo fa a ritmo serrato, in una sfida a botta e risposta, riuscendo anche nell'intento di rendere accessibile un tema complesso.

I passi avanti delle neuroscienze, con gli studi sul funzionamento cerebrale, non possono essere ignorati. Sono da ripensare concetti quali libertà umana, relazione religiosa, coscienza.

Per far sì che «il polo umano possa trovare nel polo divino il proprio significato, senza per questo perdere la propria specificità e autonomia».
In Jesus 7/2017, 92

Leonardo Paris es doctor en teología dogmática por la Universidad Gregoriana de Roma, y a la vez es licenciado en Psicología por la de "La Sapienza". Esta combinación en su trayectoria académica, lo dota de una notable autoridad para realizar un interesante enfoque sobre la relación entre la Teología y la neurociencia. A partir del estudio del cerebro y de su funcionamiento, hace incursión en otros ámbitos del saber, entre los que se centra el análisis teológico, lo cual convierte la obra en una inquietante investigación llena de interrogantes y de primeras respuestas.

La neurociencia reta a la Teología y la invitan a mirar al ser humano de un modo diferente, a partir de su mente, de su conciencia, de su libertad, de su alma y de la relación con lo divino. Y si Dios es un misterio, no podrá el ser humano afrontarlo sin tener en cuenta todo el poder de la mente y lo que la neurociencia aporta como propuesta fascinante, dice el autor, para pensar más a fondo sobre algunos aspectos principales del cristianismo.

Este libro forma parte de la colección "Giornale di Teologia", que dispone de una larga lista de obras de actualización sobre reflexión teológica. En este caso, el libro esta dividido en tres partes (contexto a confrontar, conciencia y libertad y retos teoIógicos); en cada una de ellas hay dos o tres capítulos que abordan con atrevimiento cuestiones candentes de sus temáticas. […]

Sin duda, se trata de una obra interesante y necesaria para abordar una nueva teología porque existen nuevas herramientas como la neurociencia. Es una lectura que no podrá dejar indiferente a ningún lector.


X. Gari, in Actualidad Bibliográfica 1/2017, 74-75

Da tempo scriviamo sull’importanza dell’unità dei saperi, superando finalmente le diffidenze se non lo scontro tra le due culture, quella letterario-umanistica e quella scientifico-tecnologica. Noi riteniamo, d’accordo con il neuro scienziato J. LeDoux, che le discipline umanistiche – letteratura, poesia, psicoanalisi - e le scienze non riduzioniste – linguistica, antropologia, sociologia - possano “coesistere” con le neuroscienze. Sono tutti campi di ricerca relativi alla cultura e la cultura è l’espressione sia degli studi umanistici che delle scienze. Siamo pervenuti all’homo sapiens in seguito all’evoluzione culturale e all’evoluzione biologica.

Una visione spirituale degli esseri umani e una impostazione neuro scientifica non possono né debbono escludersi a vicenda, poiché pongono idee e ragionamenti che si rivelano proficui, essendo d’aiuto nella comprensione dei modi in cui il cervello e la mente “ci rendono quelli che siamo”. Da sempre, ad esempio, la filosofia è stata un punto di riferimento per capire la persona umana.

Da alcuni anni, il pensiero teologico sta cercando di “riconcettualizzare” i suoi insegnamenti alla luce delle nuove conoscenze scientifiche, soprattutto in relazione alla definizione di come fosse mai possibile per Dio - precisa LeDoux - influenzare la vita degli esseri umani senza violare le leggi della fisica. Finora, l’idea emersa è stata quella secondo cui Dio “interagisce”, ma “non interviene”.

Invero, le neuroscienze mostrano che la mente (l’anima) è un prodotto del cervello, cioè di un sistema fisico. Molti teologi si stanno allineando in questa idea e non credono “nella classica anima incorporea”, ma sembrano accogliere il principio secondo cui la mente è connessa al cervello mediante i neuroni. Non dunque un’anima separata dal corpo. Se l’anima è condizionata dal cervello, come può Dio interagire con le persone senza influenzare fisicamente i loro neuroni e dunque intervenire? La conclusione è che la ragione (e dunque la scienza) non può spiegare l’immortalità dell’anima. O si “ha fede”, oppure “non la si ha”.

Di qui, la necessità di una feconda collaborazione della scienza con la teologia nel segno indicato da Albert Einstein: “La scienza senza religione è zoppa, la religione senza scienza è cieca”.

In materia, si sta delineando un campo di studio che ha dato vita a una nuova disciplina chiamata “neuroteologia”, la quale studia le basi neurologiche delle esperienze religiose e dei sentimenti spirituali. È lo studio tra il divino (theos) e l’umano (i neuroni), ovvero lo studio dell’interazione tra il divino e il sistema neurale dell’essere umano. È una scienza che si propone tra l’altro di approfondire i testi sacri per trovare risposta ai grandi interrogativi che da sempre si pone l’uomo.

Attraverso strumenti sempre più sofisticati sono state scoperte alcune aree del cervello che si attivano all’idea di Dio e durante esperienze religiose o momenti di “quiete estatica”. Finora, i dati sperimentali indicano “una inclinazione innata” della dimensione del sacro e del trascendente, che si rivelano sentimenti tipicamente umani e universali. Secondo il neuro scienziato W.S. Ramachandran, l’area coinvolta nell’esperienza religiosa e spirituale è quella di Broca.

Le ricerche di A. Newberg e E. D’Aquili mostrano che il cervello ha una “capacità innata” di trascendere la posizione di un sé individuale. Ciò che si chiama religiosità - aggiungono - è “una funzione o una capacità del cervello”. Il quale è stato geneticamente configurato per “incoraggiare la fede religiosa”. Da una ricerca effettuata da H. Konigun emerge poi un altro dato positivo e riguarda una “minore incidenza” di malattie nella popolazione religiosa.

In realtà, il rapporto fra scienza e teologia pone in primo piano, come rileva Leonardo Paris in Teologia e neuroscienze. Una sfida possibile, la questione sul teismo e il nuovo ateismo scientifico. L’ipotesi del teismo moderno si fonda sull’idea di Dio come “garante” del funzionamento del mondo. L’ateismo invece dichiara il carattere “illusorio” di un tale Dio. Possiamo comprendere l’uomo - dicono gli ateisti scienziati - “senza interessarsi di Dio”. Il mondo- dicono - funziona senza l’intervento o l’aiuto di Dio. L’assenza di Dio, per Paris, è in sostanza la libertà che egli ha voluto donarci. Una libertà caratterizzata dall’immagine del bene e del male, una libertà usata per compiere, come dimostra la storia, “le peggiori nefandezze”.

La caduta di Dio è la “naturalizzazione” dell’uomo. Le nuove neuroscienze considerano infatti l’essere umano come essere materiale. Il materialismo, per J. R. Searle, è il punto di partenza della scienza contemporanea, la quale esclude influenze provenienti da realtà immateriali o spirituali. È un materialismo che possiamo definire “monismo”, in opposizione al “dualismo” di mente (anima) e corpo, il quale evidenzia che ci sono due sostanze, materiali e spirituali.  L’essere umano, nella visione teologica, è concepito come unità di anima e corpo. La chiesa afferma “la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale”. Per indicare questo elemento, la chiesa adopera il termine “anima”. L’anima – aggiunge - è creata da Dio al momento del concepimento. Il concetto di anima serve a promuovere la relazione tra Dio e l’uomo, dalla quale scaturisce l’unicità e la dignità di ogni persona umana, la quale non è solo materia. In questo senso, l’anima, che è ritenuta immortale, rimane “l’ultimo baluardo di presenza di Dio”.

Occorre dunque un processo di collaborazione e di integrazione tra scienza e religione, ragione e fede. Si tratta di ripensare a noi stessi, a Dio, alla creazione e all’incarnazione. Ci vengono in mente alcuni personaggi descritti da Gogol’, i quali esprimono una certezza incrollabile e millenaria della fede.

Abbiamo davanti una serie di grandi sfide, alle quali dobbiamo dare risposte attraverso il contributo di tutti i saperi. La conclusione è che tutte le ricerche scientifiche non dimostrano l’esistenza di Dio né la negano.


G. Brunetti, in Neuroscienze.net 24 giugno 2017

Le recenti acquisizioni che provengono dagli studi scientifici sulla persona umana e, più in particolare, sul cervello, chiedono urgentemente alla teologia di saper approntare un terreno di confronto comune, nel quale poter pensare in termini comprensibili all’uomo contemporaneo gli elementi essenziali della rivelazione cristiana (la coscienza, l’anima, la libertà, la relazione tra l’uomo e Dio). L’a. – docente di Teologia e membro di presidenza dell’ATI – si propone di portare alle estreme conseguenze un dialogo possibile tra teologia e neuroscienze allo scopo di saggiarne la praticabilità e la validità.
G. Coccolini, in Il Regno Attualità 6/2017

Il rapporto teologia/scienza, in particolare con le acquisizioni sul cervello umano: un doppio atto di fiducia: verso le neuroscienze, ma anche verso la teologia. A dirlo è Leonardo Paris, trentino, studi in psicologia alla Sapienza e in teologia alla Gregoriana, in quello che definisce un «percorso» che ha lo scopo di mostrare come «il polo umano possa trovare nel polo divino il proprio significato, la propria benedizione e il proprio indirizzo, senza per questo perdere la propria specificità e autonomia».

Non si tratta di un confronto con una specifica disciplina, piuttosto un confronto con l’universo culturale al tempo delle neuroscienze dove la scienza resta prevalentemente sullo sfondo e il discorso si allarga invece ad un contesto culturale più ampio.

A partire dal panorama attuale – interpretato come il «campo da gioco» dove emergono nuove acquisizioni che modificano o ribaltano precedenti schemi, come del resto è connaturato alla ricerca scientifica che avanza col riconoscimento di errori che aprono a sempre nuove domande – l’interrogativo iniziale è cercar di capire se la sfida di oggi possa qualificarsi come «nuovo ateismo scientifico» e in che senso questo abbia una sua specificità rispetto a sfide già incontrate in passato. Ora, a differenza dell’ateismo ottocentesco (che parlava dell’uomo per parlare di Dio), il mondo attuale parla dell’uomo per parlare dell’uomo, come dire: «per parlare di noi – scrive Paris – non cerchiamo appiglio a nessun Dio». Il disinteresse della scienza contemporanea verso Dio non è aggressivo: non si tratta di un discorso contro Dio. Semplicemente di lui non se ne sente il bisogno. E il credente potrebbe restare più spiazzato che di fronte ad un discorso anticristiano e aggressivo: l’indifferenza brucia più di una sberla.

Ma c’è di più: l’interlocutore migliore per un cristiano è una scienza che non parla di Dio o una pseudoscienza – magia, spiritismo, creduloneria – che parla di un dio sensibilmente diverso dal nostro? Nel primo caso occorrerà individuare cosa ha da proporre il Dio di Gesù Cristo a uomini che vivono bene anche senza di lui, nel secondo invece si tratterà di spiegare che quanto offrono queste pseudoscienze non è ancora abbastanza.

La domanda si fa allora più specifica: ma Dio oggi dove andiamo a cercarlo? Non nella politica, non nelle grandi catastrofi naturali, non nella medicina o nelle guarigioni … ma allora dov’è? Paris avanza due ipotesi: la via del buio o quella della luce, due luoghi teologici in cui può essere ricercata la presenza o la traccia di Dio e due stili teologici diversi – forse complementari o almeno «non radicalmente alternativi» – il trascendentale e il dialettico. Certamente la storia d’Israele conosce entrambi i momenti.

In un contesto culturale come quello contemporaneo esistono poi delle questioni di fondo, come il materialismo o il determinismo, che costituiscono autentiche sfide sul terreno della libertà umana e il tema della coscienza, «la sfida dell’oggetto più complesso dell’universo». Dalla coscienza primaria, che permette ad un animale di vivere e relazionarsi, a quella umana – che aggiunge il senso del sé – il passo non è evolutivamente semplice: pensiero e linguaggio diventano strumenti sociali prodotti e tramandati, via via svelati nel loro dispiegarsi.

E altre sfide teologiche si aggiungono: che fine fa l’anima in tale contesto? Oppure: ben lontani dal celebre inizio delle Confessioni di Agostino («ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te») oggi si insinua il sospetto che il nostro cuore possa avere pace anche senza Dio o possiamo affermare che di lui ne portiamo comunque traccia?

Ma occorre anche ripensare il concetto di libertà, di relazione (significativo il concetto di fratellanza), il posto di Dio e quello dell’uomo. Un po’come dire: incontrare Dio al tempo delle neuroscienze.


M.T. Pontara Pederiva, in SettimanaNews.it 25 febbraio 2017