È ancora possibile, oggi, affrontare la questione dell’essenza della religione? Questa è la domanda che sta al centro del volume di Ugo Perone, una domanda che nasce dalla consapevolezza della diffidenza presente nella cultura contemporanea sia nei confronti del termine «religione» (spesso contestato dagli stessi credenti), sia nei confronti della pretesa di poterne afferrare e fissare, in modo definitivo, l’essenza.
Nel primo capitolo vengono presi in considerazione i tentativi piú significativi di affrontare la questione nell’ambito del pensiero europeo e facendo riferimento essenzialmente al cristianesimo. Il punto di partenza è costituito da Hegel e dai filosofi posthegeliani, in particolare Feuerbach. Se per il primo l’essenza della religione può essere colta tramite quel processo di superamento (Aufhebung) della religione tramite il concetto filosofico che consente di coglierne la verità assoluta, per il secondo l’essenziale «diviene frutto di un processo di restringimento ovvero di riduzione» (p. 13) che conduce a una risoluzione (Auflösung) della religione nei suoi elementi di base di tipo antropologico e naturalistico.
Adolf von Harnack è convinto, al contrario, che l’essenza del cristianesimo (della religione) non può che essere individuata tramite il metodo storico, sia perché solo la storia ci permette di cogliere il proprium della predicazione originaria di Gesú, sia perché è nella storia che tale essenza si manifesta e dispiega i suoi effetti. Una posizione intermedia è assunta da Troeltsch il quale, «alla baldanza di una determinazione per via solo storica dell’essenza, sostituisce la consapevolezza della sua dimensione concettuale, e dunque anche critica, ideale e filosofica» (p. 57), dal momento che esiste una necessaria correlazione e circolarità «tra la soggettività dello storico e del teologo [...] e la storia» (p. 53). Ciò implica che l’essenza non possa mai essere fissata in modo definitivo, contenendo in sé un intimo principio di sviluppo che non può che dispiegarsi tra tensioni e polarità nell’ambito di una soggettività di tipo ermeneutico. Emerge in tal modo la problematica del rapporto tra dato storico e soggettività, tra origine e innovazione, tra riferimento al passato e radicamento nel presente.
Il secondo capitolo, dedicato alla secolarizzazione e al rapporto tra religione e modernità, sembrerebbe allontanarsi dalla questione dell’essenza. E tuttavia è proprio il moderno che obbligando a un ripensamento radicale non solo della politica, ma anche della religione e della stessa filosofia, ne rende possibile un profondo ripensamento. Abbandonando il modello di una ragione intesa «come be-greifen, come afferramento che possiede» (p. 112), per comprenderla piuttosto come un er-schlißen, come ciò che rende possibile la difficile arte della dis-chiusura, si può giungere a comprendere che «il nocciolo non è [...] l’essenza che si rende trasparente nella nostra comprensione, ma l’essenziale che a questa resiste» (p. 108).
La conclusione cui l’A. arriva è che la secolarizzazione e la modernità ci mettono davanti la sfida della ricerca di un’unità che non è già da sempre assicurata, giacché le forme culturali dell’unificazione che nei secoli passati si contendevano il primato: religione, politica, filosofia, oggi appaiono come sfere culturali plurime, reciprocamente indipendenti, anche se correlate e reciprocamente capaci di influenzarsi. In tale quadro anche la questione dell’essenza, e in particolare dell’essenza della religione, ripensata in profondità, non solo non appare come il residuo di un pensiero metafisico ormai superato, ma acquista, al contrario, un nuovo significato e un nuovo valore.
L’essenza infatti si manifesta come provocazione, come «un’origine da cui la cosa non deriva, né discende, ma scaturisce» (p. 124), senza lasciarsi in alcun modo ricomprendere e senza esaurirsi in ciò che da essa proviene. L’essenza, in altre parole, è alterità, quell’altro che, nella sua assenza, è essenziale alla costituzione della realtà, quell’altro verso cui non possiamo non volgerci, pur nell’impossibilità di afferrarlo e possederlo, quell’altro che nell’esperienza religiosa è chiamato con il nome di Dio. La religione pertanto, nel suo indicare l’essenza come eccedenza e alterità, non può che contestare quelle stesse forme, pur necessarie, nelle quali essa di volta in volta si manifesta. L’essenza della religione, in altre parole, è sempre oltre la religione stessa.
V. Bortolin, in
Studia Patavina 63 (1/2016) 253-254