Introduciamo la presentazione del volume La sacramentalità della Parola osservando anzitutto che si tratta di un bel libro di teologia, schiettamente occupato della verità e non subito preoccupato della sua divulgazione. La scrittura è al tempo stesso specialistica e scorrevole, esatta e piacevole, libera da vezzi accademici e da pesantezze retoriche.
Il volume è scritto a quattro mani: vi è la penna di un teologo sacramentario, Andrea Bozzolo, e quella di un esegeta dell’Antico Testamento, Marco Pavan. Il tema molto stimolante del carattere sacramentale della Parola viene sviscerato da tutti i doverosi punti di vista: magisteriale, storico, biblico, sistematico, che corrispondono ai capitoli del volume, e che sono opportunamente inquadrati da una breve introduzione, che mette bene in evidenza la posta in gioco riguardo al tema, e da una ripresa sistematica, che fissa le acquisizioni e suggerisce possibili prosecuzioni. Entrambi gli Autori sono esemplari nel coniugare l’ampiezza e la precisione del tema, hanno cura di non risolvere il tema della sacramentalità nella generalità della Rivelazione, risultano molto generosi nell’includere le articolazioni scritturistiche, le modalità teologali, le mediazioni ecclesiali e le condizioni culturali che ne restituiscono l’effettiva complessità.
Come si apprende dalla parte introduttiva del testo, il tema della sacramentalità della Parola sembra ormai giunto a un livello di maturazione ecclesiale, magisteriale e teologica, tale da offrire alla teologia abbondante materia di riflessione, ma anche da richiederle l’apporto critico. Il superamento della divaricazione di Parola e sacramento non può ridursi all’affermazione della loro unità: occorre precisare di che tipo di unità si tratti e come ne resti preservata la differenza. In effetti, in termini largamente culturali, la sacramentalità della Parola si presenta come il punto di convergenza della Teologia fondamentale, della Teologia sacramentaria, della Scienza liturgica e della Linguistica contemporanea. L’acquisizione che accomuna l’esame della Rivelazione divina, del sacramento ecclesiale e dell’esperienza comune – autentico punto di non ritorno del pensiero contemporaneo – è l’irriducibilità della coscienza al momento empirico e al momento logico: solo l’ordine simbolico-pratico è compatibile con la complessità e l’integralità dell’esperienza umana. Essa è sempre corpo e parola, mentre una loro oggettivazione o dissociazione è semplicemente impensabile.
Di fatto, tutto il volume si presenta come un trattamento biblico-teologico dell’ordine simbolico-pratico, interpretato come dialettica incrociata del senso e della decisione, del passivo e dell’attivo, del radicamento somatico del semantico e della trascendenza del semantico rispetto al suo archetipo somatico, del valore comunicativo della parola e dell’efficacia operativa del gesto. Come dire: tutta la realtà attesta che l’unità di corpo e parola è al tempo stesso esperienza umana fondamentale e compimento della rivelazione teologale. In termini più direttamente teologici, l’affermazione della sacramentalità della Parola si raccomanda per altrettante buone ragioni: essa emerge alla confluenza di una teologia della Rivelazione, che si attua “in eventi e parole intimamente connessi” (DV 2), di una teologia dell’Incarnazione, in cui “il Verbo si è fatto Carne” (Gv 1,14), di una teologia della Redenzione, dove la salvezza è guadagnata dal Signore “nel suo corpo sul legno della Croce” (1Pt 2,24), di una cristologia dell’unione ipostatica delle due nature di Gesù “indivise et inconfuse”, e infine – soprattutto – di una teologia sacramentaria che dà risalto allo stesso onore che la Liturgia tributa alle “due mense” della Parola e del Corpo di Cristo (Dv 21).
Su questo sfondo senz’altro incoraggiante, gli Autori procedono lodevolmente senza “scorciatoie”, senza cioè cortocircuiti linguistici, concetti solo allusivi, riduzioni della complessità o conclusioni affrettate. Bozzolo, ad esempio, chiarisce molto bene come la Parola liturgicamente celebrata è “sacramentale” senza essere essa stessa “sacramento”, e d’altra parte, senza essere sacramento è però costitutiva dell’economia sacramentale: la proclamazione della Parola appartiene essenzialmente all’ontologia della celebrazione. Da parte sua, Pavan raggiunge una tesi sintetica a procedere da poche pagine esemplari dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma lo fa nell’ampio quadro di un’esegesi “canonica” del testo biblico, e senza tralasciare un puntiglioso esame lessicale. Ancora, entrambi gli Autori sono d’accordo nell’interpretare l’evento della Parola nell’intreccio della sua “attestazione” – sintesi di testimonianza e di messa in testo – che si attua nella complessità del dire, del detto e dello scritto, della parola pronunciata e ascoltata, scritta e interpretata, annunciata, celebrata e vissuta. Entrambi gli autori, poi, ciascuno nella propria prospettiva, evidenziano molto bene l’analogia profonda che intercorre fra l’esperienza umana fondamentale e l’esperienza celebrativa liturgica: il cuore dell’esperienza, come il cuore del sacramento, non si trova nella parola e neanche nel corpo, ma nel loro intreccio.
Molteplici gli argomenti in merito. Il minimo che si possa dire è che nella realtà effettiva il segno e il senso non si distinguono adeguatamente. Questo perché non esiste parola che non abbia base somatica, né corpo del tutto privo di valore semantico; e come la parola è irriducibile alle sue componenti linguistiche e testuali, così il corpo non è mai bios senza essere in qualche modo logos. Dunque, non si dà alcuna esperienza, men che meno del Dio rivelato in Gesù Cristo, senza l’apertura della parola e la resistenza del corpo, senza il valore comunicativo della parola e l’efficacia operativa del gesto. Ma poi, più profondamente, corpo e parole sono reciprocamente permeabili, giacché la parola è anche voce e il corpo è anche gesto, così come, liturgicamente, la Parola concorre al Sacramento e il Sacramento dà compimento alla Parola. Sul piano teoretico, a nostro avviso, l’affermazione della sacramentalità della Parola è l’occorrenza e l’attestazione più convincente del fatto che la trascendenza è sempre compimento eccedente, mai esteriorità o estraneità.
Fra i pregi argomentativi del volume, non può essere tralasciata la ricca “tavola rotonda” teologica allestita da Bozzolo con la convocazione di Autori del calibro di Rahner, Jüngel e Chauvet: essi vengono presentati in maniera competente nel loro valore e nei loro limiti, e soprattutto, grazie al rispettivo “controcanto” di Bonaccorso, Ricoeur e Marion, nelle loro potenzialità inespresse, perché bisognose di qualche quota di correzione e di integrazione. Ad esempio, la sacramentalità diffusa di Rahner, che offre buoni motivi ecclesiali per sostenere la sacramentalità della Parola, ma che è debitrice di una prospettiva ancora troppo cognitiva, può essere ben integrata dal suggerimento di Bonaccorso, il quale considera cosa di non poco conto il fatto che il Logos di Dio non si sia fatto logos dell’uomo, ma si sia fatto sarx, ossia uomo in tutta la sua complessità. Similmente, la prospettiva unilateralmente “teologica” di Jüngel, che pure riscatta lodevolmente la sacramentalità in ambito evangelico, può essere utilmente corretta dalla prospettiva narrativo-pratica del pensiero di Ricoeur. E così pure, il peso determinante della dimensione linguistico-comunicativa dell’evento liturgico presente nella sacramentaria di Chauvet può trovare il miglior contrappeso nella logica del “sito eucaristico della teologia” proposta da Marion.
La tesi conclusiva del volume è sostanzialmente condivisa dai due Autori, e consiste nella gravitazione della Parola in direzione del Corpo. Biblicamente, la sacramentalità della Parola si afferma in ragione del suo “compimento” cristologico, mentre liturgicamente si afferma in ragione della “celebrazione” quale vertice dell’umana e divina comunicazione. Infatti – argomenta Pavan – se l’Antico Testamento attesta la performatività cosmica e redentiva della Parola liturgicamente proclamata, questa performatività si realizza pienamente nel compimento cristologico nel modo del corpo incarnato, crocifisso, risorto e donato. Similmente – argomenta Bozzolo – la Parola attestata sviluppa tutte le sue virtualità soltanto come Parola celebrata. In definitiva, l’affermazione della sacramentalità della Parola sta a dire che il dirsi di Dio è veramente compreso solo nel contesto del Suo darsi, che cioè la Parola è veramente compresa e realizza la sua profonda efficacia quando è pronunciata dal suo Referente, ossia il Signore Risorto nel suo comunicarsi nuziale alla sua Chiesa.
La prosecuzione della riflessione in materia, a nostro avviso, sarebbe utilmente favorita da una maggiore esplicitazione della dimensione pneumatologica a cui pure si fa riferimento in conclusione laddove è lo Spirito che articola il Corpo e la Parola mediante la sua incessante azione unificante e differenziante.
R. Carelli, in
Salesianum 3/2021, 627-630