Dopo Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa del 2007 e Teologia e post-cristianesimo. Un percorso pluridisciplinare del 2017, Carmelo Dotolo pubblica di nuovo per i tipi della Queriniana un volume altrettanto denso sulla questione di Dio che, oltre a presentarsi come un compendio, disegna e completa idealmente un trittico con le due opere precedenti. Nel primo testo menzionato si indicava l’ipotesi interpretativa che dalla crisi del cristianesimo bisognava uscire con una rinnovata pertinenza dell’esperienza religiosa nei riguardi della vita, con una valorizzazione della differenza qualitativa del messaggio del Vangelo rispetto ai circuiti della storia. Nel secondo volume Carmelo Dotolo ha posto l’accento sulla necessità di un dialogo aperto, critico e interdisciplinare con gli sviluppi conoscitivi e culturali della ricerca umana, perché la teologia potesse dire in modo affidabile e credibile la fede nel Dio di Gesù Cristo. Ma è proprio questa ultima opera ad occuparsi della domanda fondamentale, quella su Dio, che da sempre accompagna la storia di ciascuno, non sempre risolta con una risposta, spesso imbrigliata in un immaginario astratto poco sensibile alla vita e quindi irrilevante ai più.
In tal senso, nell’Introduzione l’Autore spiega come «la possibilità di ripensare Dio implica l’ipotesi di una rivisitazione della nostra riflessione e dell’approccio alla simbolica del reale» (p. 5). Non si può affrontare una tale questione se non si argomenta a partire dal suo significato per l’oggi, un tempo segnato da vari post: postmoderno, postmetafisico, postsecolare, postcristiano, un prefisso in cui si annuncia un cambiamento dell’immaginario simbolico e la conseguente inadeguatezza della strumentazione categoriale con cui si interpreta ciò che accade. Diventa necessario allora prospettare l’orizzonte interpretativo di una teologia postsecolare, sulla cui peculiarità Dotolo si cimenta da tempo. In effetti, ad una lettura superficiale o pregiudiziale, sembra che i due termini si escludano a vicenda, come se il discorso teologico oggi fosse fuori moda, del tutto estraneo al contesto valoriale e spirituale profondamente segnato dalla secolarizzazione. Si polarizzano su questo versante alcuni snodi teoretici importanti e ineludibili che strutturano la composizione dell’opera e le conferiscono il tratto originale.
È proprio il primo capitolo, dal titolo significativo Quale religione? Ipotesi post-secolare ed euristica della secolarizzazione, ad evidenziare la necessità di «secolarizzare la secolarizzazione» (p.15), ovvero di ridefinire finalmente quel mito generativo della modernità che, nell’equivocare ed identificare, semanticamente e simbolicamente, modernizzazione e secolarizzazione, ha favorito l’attuale percezione che una modernità illuminata debba decretare necessariamente la morte di Dio a favore dell’emancipazione umana. Ciò ha provocato un’ambivalenza della categoria del secolare, come se potesse essere letto solo in opposizione e separazione dal religioso, con cui non era possibile altra forma di dialogo in ambito pubblico se non nella sfera privata delle persone. L’opzione di un altro modulo interpretativo come quello post-secolare consente di segnalare il cambiamento di mentalità avvenuto nelle nostre società moderne che pur restando secolarizzate fanno i conti con la rilevanza e la persistenza delle tradizioni religiose. Solo una rinnovata ermeneutica consente di affermare un dato importante: «la secolarizzazione come orizzonte di autocomprensione dell’uomo contemporaneo ha sì condotto ad una differenziazione sociale in virtù di una distanza dalla religione, ma non senza il contributo della religione, soprattutto ebraico-cristiana, che ha ispirato sullo sfondo i processi di modernizzazione» (p. 39).
Stando a questa lettura teologica, la tradizione ebraico-cristiana sarebbe proprio all’origine di un diverso processo religioso in grado di corrispondere anche ad un modello antropologico responsabile della costruzione della casa comune e fautore di uno smascheramento dei miti della modernità. Occorre allora una maggiore attenzione all’esperienza religiosa postmoderna, perché pur nella sua forma fluida segnala un’istanza di ridefinizione del significato di religione da cui non si può prescindere se si vuole percorrere l’attuale itinerario verso Dio, più sensibile a moduli mistici e spirituali. È proprio la lettura cristiana dell’esperienza religiosa a riconfigurare la realtà del sacro e a restituire un’immagine di Dio non ostile all’emancipazione umana, anzi in Gesù di Nazaret si rivela nella grammatica della prossimità una relazione personale e appassionata di un Dio che ama senza riserve, per cui la distanza non è estraneità ma desiderio liberante.
Si aprono allora due snodi tematici importanti che connotano l’areopago culturale contemporaneo: la querelle storica con i fronti di lotta degli ateismi antichi e nuovi nella loro liquidazione dell’universo religioso e metafisico come protesi illusionistica (2° capitolo: In lotta con Dio. Temi in-attuali della ricerca atea contemporanea) e la nuova performance dell’alternative religion, frutto di una reciproca contaminazione tra diverse tradizioni religiose ed alimentata da una reinvenzione del concetto del Sé nella sua relazione con l’Assoluto, non senza l’influsso di moduli mistici orientali (3° capitolo: Senza Dio? Tra religioni, spiritualità e mistica).
L’attraversamento critico e decostruttivo di queste due istanze consente a Dotolo di giungere al vertice del suo itinerarium mentis ad Deum postsecolare: «disambiguare l’idea di Dio, disancorandola da schemi interpretativi non pertinenti al cambiamento teo-logico introdotto dall’evento cristologico che mostra il mistero e la figura della relazione tra l’essere di Dio e l’essere dell’uomo» (p. 88). L’intenzione che muove la sua ricerca sta allora nel presentare la novità sorprendente del Dio annunciato da Gesù di Nazaret, libero dai costrutti ideologici che le varie stagioni culturali di volta in volta pregiudizialmente gli hanno addossato, mettendosi alla scuola di una verità che non si piega alla logica della corrispondenza tra l’intelletto e le cose, ma si lascia istruire da una Parola altra. La rivelazione biblica consente di allargare lo spazio ermeneutico del pensare Dio attingendo ad altri modelli conoscitivi, sapendone restituire la forza simbolica nella loro eccedenza di senso.
Gli ultimi due capitoli hanno pertanto il compito costruttivo di riqualificare il discorso su Dio mettendo in evidenza la diversità del monoteismo biblico (4° capitolo: La diversità di Dio. Il paradosso del monoteismo biblico), compromesso e indebolito dalla ripresa del politeismo pagano pensato come antidoto alla presunta violenza fondamentalista delle tradizioni monoteiste, e delineando un rinnovato itinerario del dire-Dio attraverso la riscoperta dell’originalità del Dio cristiano (5° capitolo: Un Dio sorprendente. Itinerari del dire-Dio).
Cinque sono i passaggi che una teologia postsecolare è chiamata ad esibire per tematizzare la novità della differenza cristiana: 1) L’eredità neotestamentaria della ricerca di Dio; 2) Dio come mistero personale di relazione; 3) L’essere Figlio di Gesù quale ermeneutica di Dio; 4) La semantica della paternità-maternità di Dio; 5) Tenere aperto il desiderio di Dio: la misura imprevedibile dello Spirito.
Quello che si prospetta in questo microcosmo teologico è una rinnovata fenomenologia della trascendenza, mediante parole-chiave e indicazioni interpretative che non esauriscono la domanda originaria ma ne amplificano lo sguardo: «L’avventura del Dio biblico-cristiano apre la scena del mondo e i circuiti della storia ad una prossimità con la pienezza della vita, con la linfa dell’amore, con l’indefinibilità della speranza, se l’uomo si fa carico di una fedeltà al reale e della sua creaturalità quale traccia graziosa e gratuita vicinanza di Dio. Tale possibilità, però, è nella scelta di approssimarsi a quel confine nel quale Dio ha deciso di passare, perché l’uomo possa aprirsi all’incontro e al contatto, al toccare e all’essere-toccati dall’autoevidenza del Mistero» (p. 226).
Perché ci possa essere epifania del Mistero occorre riscoprire la simbolica trinitaria, l’unica capace di restituirci una relazione inedita nella logica dell’alleanza, che in quanto comunicazione interpersonale ci introduce a linguaggi differenti, che appagano la ricerca umana del bene e del vero, in cui la libertà si coniuga con la creatività dello Spirito d’amore. In questa ottica non è pensabile alcuna idea di patriarcalismo monarchico attribuibile a Dio, né risulta condivisibile una scelta di umanesimo ateo, né tantomeno diventa attraente una proposta di meticciato spirituale anonimo.
Al di là e oltre le fatiche del concetto, c’è da dire che l’atmosfera condensata nello spazio post-secolare ha inaugurato una stagione culturale segnata da una metamorfosi della conoscenza di Dio, ha modificato le strutture di credibilità e plausibilità del credere, ha dislocato altrove la possibilità della sua esperienza, rieditando una ripresa filosofica e spirituale suggestiva. L’attuale panorama socio-culturale non presenta una posizione di negazione della questione di Dio, ma indica l’esigenza di una diversa interpretazione rispetto all’ immaginario religioso tradizionale, foriero di un’idea di Dio estranea non solo alla simbolica biblica ma anche all’ordinarietà della vita.
Ciò che auspica Dotolo è un Dio che continui ad incrociare le domande dell’uomo e della donna di oggi, ad allargare gli spazi della loro ricerca di senso, a gratificare il comune desiderio d’amore, ad invertire la logica degli affetti verso priorità altre, capaci di abitare il mondo seguendo l’estro del dono e della gratitudine: «In definitiva, incontrare il Dio che ci visita, vuol dire attendere l’impossibile possibilità, rinunciando anche a quanto ha alimentato la nostra esperienza credente, perché Dio è sorpresa costante, “poeta” che genera una nuova sintassi teologica per il pensare, il pregare, il narrare il fascino dell’esistenza» (p. 240).
In un’architettura ben congeniata, si segnalano soprattutto gli epiloghi posti a chiusura di ciascun capitolo, che consentono di avere una immediata chiave di lettura delle riflessioni compiute. Una strategia strutturale che, oltre ad agevolare la comprensione di un testo complesso, anche per le ricche ed erudite annotazioni bibliografiche, tratteggia cinque approdi per una teologia post-secolare che puntellano il suo avvincente itinerarium ad Deum: un’adeguata ermeneutica sulla secolarizzazione, l’attenzione all’eccedenza di Dio, l’acquisizione del paradosso con cui si dà l’evento rivelativo, una rinnovata comprensione dell’unicità del Nome di Dio, la centralità della originalità del Dio cristiano.
Ne risulta pertanto un libro di largo interesse, utile non solo per l’aggiornamento teologico, a cui contribuisce con prospettive interpretative rilevanti per una più acuta coscienza delle sfide contemporanee, ma anche per un maturo confronto con il dibattito pubblico più ampio.
M. Petricola, in
Urbaniana University Journal 3/2020, 259-263