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Dio, sorpresa per la storia
Carmelo Dotolo

Dio, sorpresa per la storia

Per una teologia post-secolare

Prezzo di copertina: Euro 22,00 Prezzo scontato: Euro 20,90
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 199
ISBN: 978-88-399-0499-7
Formato: 15,7 x 23 cm
Pagine: 288
© 2020

In breve

«L’immagine di Dio costruita dall’uomo non consente di coglierne l’autentica identità. Dio stesso ha operato una scelta inimmaginabile: si è spogliato della cosa più preziosa che aveva, il suo potere, per non ferire più gli altri».

Descrizione

Riproporre la questione di Dio e del suo significato per l’oggi può sembrare un’operazione di minore importanza. Eppure l’epoca segnata da un ritorno della religione secondo una modalità post-secolare denuncia un’inversione di tendenza rispetto al significato di Dio per l’uomo e la storia. Difatti, da una percezione epocale della sua assenza come spazio di un inedito umanesimo, si passa ad una ripresa filosofica della questione Dio come ermeneutica del senso, fino alla novità del pluralismo religioso che detta l’agenda della realtà di Dio come mistero e alterità.
All’interno di un simile paesaggio post-secolare si snoda l’itinerario di questo lavoro. Dotolo parte da una tesi: per la ricerca umana Dio rappresenta una questione aperta, che dischiude una visione del mondo e della realtà che va oltre l’ovvio e li noto, anche là dove il controsenso e il negativo decostruiscono il vissuto religioso. Per l’essere umano, anzi, lungi dal costituire un ostacolo alla libertà e al desiderio di felicità, Dio è risorsa: può rappresentare una interpretazione della vita e del mondo capace di intercettare l’inquietudine radicale che ogni uomo e donna è.
In definitiva, incontrare il Dio che ci visita vuol dire attendere ad una novità relazionale, rivedendo anche i modelli che hanno alimentato la nostra esperienza credente, perché Dio è sorpresa costante che genera una nuova sintassi teologica per il pensare, il pregare, il narrare l’avventura dell’esistenza.
Dio oltre i soliti schemi, come “evento sorprendente”: una scommessa intellettuale di grande respiro.

Recensioni

L’ouvrage de C. Dotolo qui envisage une théologie post-séculière consiste en une recherche théologique en dialogue avec l’athéisme, les philosophies religieuses et les sciences des religions. En cinq étapes, il s’interroge respectivement sur le thème de la sécularisation (1. Quelle religion ? Hypothèse post-séculière et heuristique de la sécularisation), sur le rapport de la théologie chrétienne à l’athéisme (2. En lutte contre Dieu. Les thèmes in-actuels de la recherche athée contemporaine), aux nouvelles formes religieuses (3. Sans Dieu ? Entre religions, spiritualités et mystique), sur le rapport entre monothéisme et polythéisme (4. La diversité de Dieu. Le paradoxe du monothéisme biblique), sur la possibilité de porter Dieu au langage (5. Un Dieu surprenant. Itinéraires du « dire-Dieu »).

La théologie post-séculière ainsi ébauchée se déploie en cinq thèses qui concluent ces différents chapitres et constituent autant d’orientations proposées à la théologie contemporaine : herméneutique de la sécularisation et image de Dieu ; revaloriser l’excès de Dieu ; le paradoxe chrétien de l’etsi Deus (non) daretur ; repenser l’unité de nom de Dieu ; redécouvrir l’originalité du Dieu chrétien. Les sources de la réflexion sont diverses et variées, même si la plupart des auteurs cités relèvent de la philosophie et la théologie du XXe siècle. Beaucoup d’intuitions ressortissent à l’approche représentée dans le monde francophone par A. Gesché. Les questions de théologie fondamentale sont traitées au terme d’une patiente contextualisation et problématisation prenant leur départ des tendances de la pensée et de la religiosité contemporaines.

L’intérêt de l’essai est renforcé par des ouvertures sur la théologie biblique et dogmatique.


In Recherches de Science Religieuse 110-3, 546

C'era una volta una narrazione della secolarizzazione che conteneva al centro del suo discorso non solo una generale presa di distanza dalla religione, ma anche un congedo da varie forme di teismo verso l'affermazione dell'ateismo. La modernità avrebbe dovuto «liberare l'uomo e il cosmo dalla invadenza interpretativa del teologico» (13). Molta acqua è passata sotto i ponti di questa versione della secolarizzazione tanto che oggi si parla più diffusamente di età "post-secolare". Anche quella versione di secolarizzazione è stata a sua volta secolarizzata, cioè superata: dalla contrapposizione tra religioso e secolare si è passati ad osservare, quasi a teorizzare, la «contaminazione reciproca» tra loro (16).

L’ermeneutica post-secolare "ammorbidisce" il conflitto con la religione anche se questo non significa il "ritorno di Dio", semmai l'esplosione della "religione-senza-Dio", un'apertura spirituale che non si traduce nelle forme codificate della fede cristiana. Come presentare o testimoniare Dio nel mondo post-secolare?

Da questo interrogativo parte l'A., professore laico di teologia delle religioni all'Urbaniana. Questo libro chiude un trittico preceduto da opere quali Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa (2007) e Teologia e postcristianesimo (2017) in cui la questione della postura del cristianesimo nella temperie culturale della postmodernità e del post-cristianesimo ha preparato la strada all'interrogativo sulla post-secolarità.

Questo volume è importante innanzitutto per l'analisi della post-secolarità nel suo rapporto con la religione: essa viene vista come attenta alla fragilità umana, attraversata da una ricerca di benessere psico-sociale e apparentemente libera rispetto alle logiche istituzionali. Se la secolarizzazione ha tentato (fallendo) di distruggere la domanda di assoluto o di sostituirla con mitologie alternative (si pensi al marxismo, alla psicanalisi...), la post-secolarità indica come la domanda religiosa non possa essere soppressa e nemmeno soddisfatta con risposte sostitutive. Ciò non significa che sia ritornata ad un sentire «pre-moderno» (39).

La postsecolarità non è un tornare indietro, ma un processo ulteriore della secolarizzazione che secolarizza sé stessa. Per alcuni è una «ricombinazione gnostica del bisogno di autoredenzione» (47) che non riprende la teologia tradizionale, ma reinventa il sacro (non essendo esso estirpabile) in una modalità senza-Dio. Mentre il religioso ha dato prova di una «insospettata capacità di resilienza» (61), ciò non si è tradotto in una ripresa dell'offerta religiosa tradizionale. L'ateismo contemporaneo ha cercato di "alleggerire" la realtà da ipoteche religiose, destrutturandole, dichiarandole illusorie, inutili, di più: nocive.

Il clima creatosi offre alla teologia cristiana l'opportunità di "disambiguare" l'idea di Dio, sottoponendo a revisione critica le incrostazioni accumulate dalla onto-teologia che voleva oggettivare Dio, mostrarne l'evidenza universale, renderlo accessibile alla ragione, difenderlo alla luce della validità riconosciuta ai protocolli della razionalità moderna. Da sostantivo, Dio deve essere ripensato come "verbo" (C. Halkes che cita M. Daly, 92). La critica atea di Dio è forse la critica ad un'idea razionalista di Dio che fissa un'immagine di Dio, ma non lo incontra per chi Lui è? Se così fosse, la secolarizzazione non sarebbe allora un contributo alla teologia a mettere in discussione immagini di Dio troppo dipendenti da codici culturali appiattiti sulla tradizione della teologia metafisica? Non dovrebbe la teologia riscoprire la linea apofatica e ripensarsi dentro la categoria del mistero, della relazione, dell'incontro piuttosto che intestardirsi sulla difesa della ferrea logica dell'Essere di Dio? L'alterità di Dio non porta con sé una «eccedenza misterica» (98) che la onto-teologia vorrebbe invece risolvere e quindi escludere?

Inoltre, la post-secolarità ammicca alle proposte religiose dell'Estremo Oriente scorgendo in esse una «efficacia esistenziale» e una «plasticità psicologica» (102) che non ritrova più nelle forme istituzionalizzate della cristianità, da cui ha preso congedo. Più che del ritorno di Dio, si tratterebbe della rivincita del paganesimo. Insomma, ha ragione R. Dworkin quando dice che «la religione è più profonda di Dio» (117) e che, avendo "superato" l'ipotesi moderna di Dio, la post-secolarità non possa fare altrettanto con la religione se intesa come spiritualità che apre il finito sull'infinito? Ha ragione C.F. Higgins quando dice che "Dio" è «semplicemente un'emozione umana conveniente che non possiede realtà al di fuori della coscienza umana» (232)? In questo senso ritornerebbe in auge l'esperienza mistica di Dio che fuoriesce dalle teodicee, dalle apologetiche, dalle architetture stabili di Dio? Nella nostra epoca la religione prospera non nella sua versione monoteista quanto nella plasticità delle due varianti politeiste o gnostiche.

Nei primi tre capitoli, queste e altre sono domande affrontate dall'A. che raccoglie una gran quantità di spunti e analisi disseminate in una vasta bibliografia e le ricompone all'interno di una mappatura informata. Dal quarto capitolo in poi, il discorso dell'A. si fa anche propositivo. A questo proposito la trinità di Dio sfugge alla secca e mera contrapposizione tra monoteismo e politeismo. Un Dio uno e trino in cui il Figlio si annichilisce (kenosi) sfugge alle rappresentazioni semplicistiche del monoteismo. In più l'incarnazione del Figlio quale movimento del «farsialtro» (162) e dello «essere-per-l'altro» (214) introduce una dinamica impensabile per le architetture religiose metafisiche.

In altre parole, tutte le teologie analogiche che quantificano Dio, lo quantizzano e in fondo lo razionalizzano contravvengono all'idea secondo cui, citando G. Theissen, «nulla deve affiancarsi a Dio, se non Dio stesso» (173). Dunque, il Dio cristiano è «un Dio sorprendente» (come evoca il titolo del volume). Rispetto alle teodicee della causalità e della deduttività, Dio non è «catturabile entro schemi riducibili al legame che il religioso predispone» (183). Rispetto alle classiche versioni del teismo, quello biblico rappresenta un luogo di libertà e restituisce al rapporto con Dio uno sfondo di problematicità.

Ciò detto, le interpretazioni di S. Weil secondo cui Dio "abdichi" il suo essere Dio o di H. Jonas secondo cui Dio si realizzi nel suo essere incompiuto andrebbero problematizzate più che accolte quali suggestioni evocative, anche alla luce della tragedia di Auschwitz. Tanto nell'incarnazione del Figlio quanto nei drammi della storia, il Dio biblico rimane tale e non crea nessuno spazio vuoto o livello inferiore rispetto alla sua piena sovranità. Un Dio che «si fa limite» (G. Mazza, 226, n.5) è un'idea suggestiva, ma è un modo biblicamente adeguato di parlare delle dinamiche legate alla cristologia in cui Gesù Cristo è pur sempre Colui a cui tutto è sottoposto? Anche l'ipotesi di J. Hick secondo cui Dio sarebbe la «Realtà oltre la realtà» a cui tutte le religioni porterebbero o l'idea di R. Panikkar per cui Dio sarebbe un simbolo e non un contenuto fanno a pugni con la Rivelazione biblica secondo cui Dio non è la Realtà impersonale per quanto con la R maiuscola e nemmeno un vacuo segno, ma l'Iddio personale che ha un Nome (per quanto impronunciabile) e si è rivelato per tutti nel Figlio incarnato e nella Parola scritta.

È giusta la pista indicata dall'A. secondo cui, nella temperie religiosa attuale, occorre «riscoprire l'originalità del Dio cristiano» (207) che è «mistero personale di relazione» che, svelandosi, interpella l'uomo (210) contando sulla «misura imprevedibile dello Spirito» (211). Questo Dio sì suscita uno «spazio generativo» (222) e «non assolutizza alcuna realtà sociale, culturale, religiosa, ma mette tutto in relazione alla particolarità universalizzabile di Gesù Cristo, punto critico di ogni via di accesso a Dio» (223). Proprio qui sta il punto di caduta. Mentre la persona e l'opera di Gesù Cristo «sorprendono» le narrazioni religiose staticamente deduttive, dall'altro rivelano un Dio pattizio che sì ama, ma giudica pure proprio perché ama; sì eccede le nostre categorie, ma chiama al pentimento dal peccato e ad entrare nelle Sue (di categorie); sì apre spazi di vita, ma li riorienta secondo la sua Parola e non secondo il piacimento di ciascuno. Dio è veramente «sorpresa» costante, ma nei suoi termini, non in quello che noi vorremmo che sia.

La sfida di elaborare una teologia postsecolare rimane un compito aperto che si può avvalere anche dei tanti spunti raccolti in questo libro, ma deve sempre avere come termine ad quem la Parola biblica.


L. De Chirico, in Studi di Teologia 67 (2022) 103-106

Il cambiamento d’epoca nel quale ormai siamo consapevoli di abitare, ha mostrato come la categoria di secolarizzazione, nelle sue molteplici metamorfosi, rimane ancora interpretativa del presente. Siamo ben lontani dall’idea di una scomparsa del religioso dalla vita privata e pubblica come esito della constatazione della irrilevanza e inutilità se non dannosità di Dio nella vita, secondo quella dinamica tipicamente moderna di ostilità a tutto ciò che costituisce una “alterità” rispetto al dominio nomologico della ratio. Ma la crisi di Dio e della questione di Dio nel tempo del pluralismo e della crisi del monoteismo violento a cui si preferisce la forza euristica del politeismo soprattutto neopagano, non significa affatto il congedo dall’orizzonte più ampio entro il quale si colloca Dio, ovvero il sacro. Il sacro si configura come il trascendentale della post-modernità ridando forza e conferma a quanto Heidegger sosteneva. La crisi dell’essere, il suo oblio, vittima dell’ontoteologia che nel suo delirio oggettivizzante ne ha cancellato la differenza ontologica riducendo Dio al summum ens della tradizione metafisica occidentale, impone un nuovo inizio del pensiero in cui la “non-entità” di Dio (cioè il suo essere ni-ente) la rende di nuovo pensabile come sacro. C’è dunque ancora spazio per il sacro e il religioso diversamente ri-configurati in una nuova verbalizzazione, dove il religioso sussiste anche senza Dio (cf. la tesi di Dworin), perché un pensiero libero da Dio garantisce una configurazione di senso più aperta.

In questo contesto di morte del problema di Dio si colloca l’interrogativo dell’A.: «se l’attuale congiuntura epocale spinga il cristianesimo ad una sua trasfigurazione, al ritrovare forme e figure d’una identità essenziale in grado di attraversare passaggi storici e teoretici complessi e contrastanti rispetto alla persistenza di una certa tipologia del religioso» (19-20), un ripensamento del religioso a partire dalla differenza introdotta dall’evento Gesù Cristo.

I primi tre capitoli del volume potremmo definirli “contestuali”, in quanto ricostruiscono e offrono significative chiavi di lettura della contemporaneità. Interrogandosi su “quale religione”, l’A. mette a tema nel cap. 1 la secolarizzazione, un processo e una querelle che appaiono inconcludibili. E dall’esperienza religiosa postmoderna emerge la “categoria” del sacro che la post-secolarità ha reinventato «sulla linea di una incessante creatività capace di valorizzare una spiritualità più flessibile, ariosa, slegata da qualsiasi riferimento a principi e norme» (48), dando vita così a quella “religione senza Dio” più capace di inerire al quotidiano. Il cristianesimo ha contribuito al congedo dal Dio della religione determinando per la religione un mutamento di senso in cui è possibile un diverso approccio al dire Dio, non più quello della religione ma quello della rivelazione che trova nel principio dell’alleanza e nella categoria di creazione «un luogo teoretico determinante per cogliere diversamente Dio» (cf. 56). Il carattere a-teologico della religione post-secolare accompagna l’inattesa ripresa di istanze atee nella contemporaneità, e ciò malgrado la prevalente decostruzione del paradigma illuminista radicale. In verità alla base del neoateismo vi è la metafisica basata su un naturalismo scientifico che anima il sistema biologico e il teorema dell’evoluzione quali unici paradigmi conoscitivi, muovendo verso un palese riduzionismo ontologico ed epistemologico che riduce la religione a mero ornamento privandola di qualunque valore interpretativo della realtà.

L’A. riferendosi al già evocato Heidegger si chiede se ateismo e nichilismo non siano lo spazio aperto per un nuovo inizio del pensare oltre le maglie del teismo quale forma di rappresentazione idolatria di Dio (cf. 86). La provocazione dell’ateismo è l’invito a superare un essenzialismo oggettivante di Dio, una visione onto-teologica incapace di salvaguardarne l’eccedenza misterica. Ad un’analisi più approfondita dell’esperienza religiosa contemporanea è dedicato il cap. 3; religione del me, buddismo e religione senza Dio, spiritualità atea, progettualità antropogenica della mistica ecc. ne scandiscono le pagine. Rispetto a un Dio misurato dal solo bisogno di una terapia dell’anima surrogatoria ed anacronistica, sta il valore di critica permanente delle rappresentazioni di Dio da parte della narrazione cristologia del Dio-per-gli-altri (cf. 132-133).

Il cap. 5 presenta il paradosso del monoteismo biblico. E qui diventa necessario il confronto anzitutto con la serrata critica contemporanea del monoteismo e il ritorno robusto del politeismo nella forma del (neo)paganesimo e della svolta neomitica. La fede biblica e soprattutto l’evento della kenosi, decostruiscono il monoteismo ontoteologico donando un significato nuovo all’idea di Dio e di uomo. Il paradosso dell’evento cristologico (incarnazione e mistero pasquale) oltrepassa qualsiasi riduzione idolatrica di Dio perché «introduce una diversa e inesauribile domanda metafisica, espone la ragione all’impensato e la vita alla nostalgia di un totalmente Altro» (166); non è più quindi possibile pensare Dio “etsi Christus non daretur”.

L’ipotesi dell’A. è poter accettare l’inammissibilità di Dio quale chance per una ricerca che si rende conto dell’impensabilità del mistero ma riconosce l’evento e l’avvento di senso che scaturisce dalla rivelazione, dalla decisione libera di Dio di uscire dal suo mistero per divenire provocazione ad un pensare meno certo dei propri assoluti, nella garanzia che «il senso è donato all’uomo, lo precede come ciò che consente la domanda e l’eventuale risposta» (184). Ora la specificità del cristianesimo risiede nello svelamento di Dio (presenza) come mistero ovunque (trascendenza) che interpella l’uomo; solo questo evento di libertà permette di pensare e parlare di Dio come una risorsa e come senso per l’ininterrotto cammino dell’uomo nell’interpretazione della vita e del mondo, capace di intercettare l’inquietudine radicale che ogni pensare è (cf. 232).

Il volume è concluso da articolate considerazioni conclusive (cf. 225-240) e da un’ampia bibliografia (cf. 242-269). Si tratta di un testo ricco di suggestioni e di provocazioni che permette di orientarsi in quella realtà complessa e difficile da interpretare che è la contemporaneità.


A. Sabetta, in Rassegna di Teologia 3/2021, 507-509

Carmelo Dotolo (1959) es profesor ordinario de teología de las religiones en la Pontificia Universidad Urbaniana, de Roma. Entre sus preocupaciones, destaca el deseo de poner de relieve la responsabilidad del cristianismo, su credibilidad, en nuestra época. La obra que presentamos está precedida de otras dos con las que forma, en el proyecto del autor, una especie de tríptico: Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa (Queriniana, Brescia 2007) y Teologia e postcristianesimo. Un percorso interdisciplinare (Queriniana, Brescia 2017).

En Dio, sorpresa per la storia, Dotolo plantea la relevancia de proponer de nuevo la cuestión de Dios en su significado para hoy: ¿Interesa aún Dios? Lo prioritario en nuestra época parece ser la optimización de la imagen del Yo; la autodeterminación y la autorrealización. La cultura ha dejado, sí, un espacio a la religión, pero sin exigir ya la nostalgia del Otro, del Absoluto, de Dios.

Estamos en una época post-secular en la que el proceso de secularización es discutido, en la que la pluralidad cultural debe ser articulada con la interculturalidad, y en la que los procesos de modernización han de ser separados de las dinámicas de secularización. La categoría de post-secularidad o post-secularismo indicaría la necesidad de reequilibrar una interpretación que tiende a colocar periféricamente la vivencia religiosa en determinados códigos simbólicos.

Para Dotolo, la teología cristiana no debe fundar su pensamiento sobre la religión, sino sobre Dios. El cristianismo propone un repensamiento de lo religioso, ya que el evento de Jesucristo, su kénosis, ha introducido una novedad en la relación entre Dios y el hombre. Dios es Jesucristo. Este es el dato sorprendente que Jesús introduce en la historia: el ser mismo de Dios se implica en la realidad del mundo y de la condición humana. El “en sí” de Dios se expone al “para sí” que cada hombre puede experimentar, aceptar o negar: “Esta es la impensable desmesura de la propuesta cristiana que libera a Dios de formas de teísmo metafísico o religioso” (p. 21). Para exponerse al Dios cristiano es necesario, asimismo, exponerse a la “antinomia trinitaria”, que convoca a una diversidad que no sustrae la diferencia, sino que consiente un acceso a la verdad del hombre en la historia de Dios.

El ensayo está articulado en cinco capítulos: 1. ¿Qué religión? Hipótesis post-secular y heurística de la secularización. 2. En lucha con Dios. Temas in-actuales de la investigación atea contemporánea. 3. ¿Sin Dios? Entre religiones, espiritualidad y mística. 4. La diversidad de Dios. La paradoja del monoteísmo bíblico. 5. El Dios sorprendente. Intinerarios del decir-Dios. El volumen termina con unas consideraciones conclusivas y una amplia bibliografía.

Se trata de un texto denso, muy argumentado, en el que el análisis y la reflexión sobre la cultura actual se enhebra con la teología. Al final de cada capítulo, el autor proporciona un resumen de las principales ideas que pueden configurar una “teología post-secular”. Se agradece este resumen, que permite seguir el hilo de la exposición de un modo más claro. Estos son los títulos de estas líneas propositivas: I. Hermenéutica teológica de la secularización e imagen de Dios. II. Plantear de nuevo la excedencia de Dios. III. La paradoja cristiana del etsi Deus daretur. IV. Repensar la unicidad del nombre de Dios. V. Redescubrir la originalidad del Dios cristiano.

La originalidad del Dios cristiano está vinculada a la encarnación, a un Dios-hombre que remite a un Dios lejano pero aproximable. El cristianismo inscribe la pensabilidad de Dios en la figura de su darse, en la paradoja de una fenomenología de la encarnación, asumiendo el escándalo interpretativo que la muerte de Jesús introduce en el discurso sobre Dios. Pensar el etsi Deus daretur significa configurar la experiencia religiosa según la diferencia anunciada por el cristianismo en la correlación entre mística, ética y política, sin disociar la mística de la secuela de Cristo. El evento de la encarnación propicia una nueva hermenéutica del monoteísmo, leyendo el nexo entre Dios e historia. La teología post-secular está llamada a tematizar la novedad de la diferencia cristiana, sabiendo que en el evento histórico de Jesús se desvela la esencial realidad de Dios y del hombre: Dios es misterio personal de relación, cuya interpretación se hace posible desde la condición filial de Jesús, el Hijo. El misterio relacional de Dios (Padre-Hijo-Espíritu) permite tematizar el origen en el signo de la creación, sugiriendo una visión de futuro como modo de abrir la historia transformándola, y manteniendo abierto el deseo de Dios según la medida imprevisible del Espíritu.

En definitiva, Dios representa una “cuestión abierta”, susceptible, en el actual panorama socio-cultural, de una diversa interpretación. Es posible, no obstante, hablar de Dios como recurso y sentido para el hombre. Dotolo propone, a este fin, un recorrido: Dios, una alteridad que empuja a investigar; redescubrir el paradigma del amor; habitar la vida como hoja de ruta del cristianismo, generando una ética creativa del ágape.

Dios es, nos dice Dotolo, sorpresa constante: “el hombre está caracterizado por una identidad abierta: la eventualidad del encuentro con Dios es una posibilidad real y significativa para poder nutrir la vida y hacerla florecer […] es más que una hipótesis porque se asoma como itinerario del advenimiento histórico de Jesucristo que constituye lo esencial de la verdad de Dios y del hombre. Aquí el desvelamiento de Dios se da en su inalcanzable originalidad, ofreciendo al hombre el coraje de rasgar el velo de lo impensable y de lo inaudito, para ir más allá de la idea común de Dios vehiculado por un genérico teísmo” (p. 239-240).

Un libro, sin duda, que hace pensar y que permite un diálogo con buena parte del pensamiento contemporáneo y, más en concreto, de la teología.


G.J. Morado, in Infocatolica.com 8 maggio 2021

Dopo Un cristianesimo possibile. Tra postmodernità e ricerca religiosa del 2007 e Teologia e post-cristianesimo. Un percorso pluridisciplinare del 2017, Carmelo Dotolo pubblica di nuovo per i tipi della Queriniana un volume altrettanto denso sulla questione di Dio che, oltre a presentarsi come un compendio, disegna e completa idealmente un trittico con le due opere precedenti. Nel primo testo menzionato si indicava l’ipotesi interpretativa che dalla crisi del cristianesimo bisognava uscire con una rinnovata pertinenza dell’esperienza religiosa nei riguardi della vita, con una valorizzazione della differenza qualitativa del messaggio del Vangelo rispetto ai circuiti della storia. Nel secondo volume Carmelo Dotolo ha posto l’accento sulla necessità di un dialogo aperto, critico e interdisciplinare con gli sviluppi conoscitivi e culturali della ricerca umana, perché la teologia potesse dire in modo affidabile e credibile la fede nel Dio di Gesù Cristo. Ma è proprio questa ultima opera ad occuparsi della domanda fondamentale, quella su Dio, che da sempre accompagna la storia di ciascuno, non sempre risolta con una risposta, spesso imbrigliata in un immaginario astratto poco sensibile alla vita e quindi irrilevante ai più.

In tal senso, nell’Introduzione l’Autore spiega come «la possibilità di ripensare Dio implica l’ipotesi di una rivisitazione della nostra riflessione e dell’approccio alla simbolica del reale» (p. 5). Non si può affrontare una tale questione se non si argomenta a partire dal suo significato per l’oggi, un tempo segnato da vari post: postmoderno, postmetafisico, postsecolare, postcristiano, un prefisso in cui si annuncia un cambiamento dell’immaginario simbolico e la conseguente inadeguatezza della strumentazione categoriale con cui si interpreta ciò che accade. Diventa necessario allora prospettare l’orizzonte interpretativo di una teologia postsecolare, sulla cui peculiarità Dotolo si cimenta da tempo. In effetti, ad una lettura superficiale o pregiudiziale, sembra che i due termini si escludano a vicenda, come se il discorso teologico oggi fosse fuori moda, del tutto estraneo al contesto valoriale e spirituale profondamente segnato dalla secolarizzazione. Si polarizzano su questo versante alcuni snodi teoretici importanti e ineludibili che strutturano la composizione dell’opera e le conferiscono il tratto originale.

È proprio il primo capitolo, dal titolo significativo Quale religione? Ipotesi post-secolare ed euristica della secolarizzazione, ad evidenziare la necessità di «secolarizzare la secolarizzazione» (p.15), ovvero di ridefinire finalmente quel mito generativo della modernità che, nell’equivocare ed identificare, semanticamente e simbolicamente, modernizzazione e secolarizzazione, ha favorito l’attuale percezione che una modernità illuminata debba decretare necessariamente la morte di Dio a favore dell’emancipazione umana. Ciò ha provocato un’ambivalenza della categoria del secolare, come se potesse essere letto solo in opposizione e separazione dal religioso, con cui non era possibile altra forma di dialogo in ambito pubblico se non nella sfera privata delle persone. L’opzione di un altro modulo interpretativo come quello post-secolare consente di segnalare il cambiamento di mentalità avvenuto nelle nostre società moderne che pur restando secolarizzate fanno i conti con la rilevanza e la persistenza delle tradizioni religiose. Solo una rinnovata ermeneutica consente di affermare un dato importante: «la secolarizzazione come orizzonte di autocomprensione dell’uomo contemporaneo ha sì condotto ad una differenziazione sociale in virtù di una distanza dalla religione, ma non senza il contributo della religione, soprattutto ebraico-cristiana, che ha ispirato sullo sfondo i processi di modernizzazione» (p. 39).

Stando a questa lettura teologica, la tradizione ebraico-cristiana sarebbe proprio all’origine di un diverso processo religioso in grado di corrispondere anche ad un modello antropologico responsabile della costruzione della casa comune e fautore di uno smascheramento dei miti della modernità. Occorre allora una maggiore attenzione all’esperienza religiosa postmoderna, perché pur nella sua forma fluida segnala un’istanza di ridefinizione del significato di religione da cui non si può prescindere se si vuole percorrere l’attuale itinerario verso Dio, più sensibile a moduli mistici e spirituali. È proprio la lettura cristiana dell’esperienza religiosa a riconfigurare la realtà del sacro e a restituire un’immagine di Dio non ostile all’emancipazione umana, anzi in Gesù di Nazaret si rivela nella grammatica della prossimità una relazione personale e appassionata di un Dio che ama senza riserve, per cui la distanza non è estraneità ma desiderio liberante.

Si aprono allora due snodi tematici importanti che connotano l’areopago culturale contemporaneo: la querelle storica con i fronti di lotta degli ateismi antichi e nuovi nella loro liquidazione dell’universo religioso e metafisico come protesi illusionistica (2° capitolo: In lotta con Dio. Temi in-attuali della ricerca atea contemporanea) e la nuova performance dell’alternative religion, frutto di una reciproca contaminazione tra diverse tradizioni religiose ed alimentata da una reinvenzione del concetto del Sé nella sua relazione con l’Assoluto, non senza l’influsso di moduli mistici orientali (3° capitolo: Senza Dio? Tra religioni, spiritualità e mistica).

L’attraversamento critico e decostruttivo di queste due istanze consente a Dotolo di giungere al vertice del suo itinerarium mentis ad Deum postsecolare: «disambiguare l’idea di Dio, disancorandola da schemi interpretativi non pertinenti al cambiamento teo-logico introdotto dall’evento cristologico che mostra il mistero e la figura della relazione tra l’essere di Dio e l’essere dell’uomo» (p. 88). L’intenzione che muove la sua ricerca sta allora nel presentare la novità sorprendente del Dio annunciato da Gesù di Nazaret, libero dai costrutti ideologici che le varie stagioni culturali di volta in volta pregiudizialmente gli hanno addossato, mettendosi alla scuola di una verità che non si piega alla logica della corrispondenza tra l’intelletto e le cose, ma si lascia istruire da una Parola altra. La rivelazione biblica consente di allargare lo spazio ermeneutico del pensare Dio attingendo ad altri modelli conoscitivi, sapendone restituire la forza simbolica nella loro eccedenza di senso.

Gli ultimi due capitoli hanno pertanto il compito costruttivo di riqualificare il discorso su Dio mettendo in evidenza la diversità del monoteismo biblico (4° capitolo: La diversità di Dio. Il paradosso del monoteismo biblico), compromesso e indebolito dalla ripresa del politeismo pagano pensato come antidoto alla presunta violenza fondamentalista delle tradizioni monoteiste, e delineando un rinnovato itinerario del dire-Dio attraverso la riscoperta dell’originalità del Dio cristiano (5° capitolo: Un Dio sorprendente. Itinerari del dire-Dio).

Cinque sono i passaggi che una teologia postsecolare è chiamata ad esibire per tematizzare la novità della differenza cristiana: 1) L’eredità neotestamentaria della ricerca di Dio; 2) Dio come mistero personale di relazione; 3) L’essere Figlio di Gesù quale ermeneutica di Dio; 4) La semantica della paternità-maternità di Dio; 5) Tenere aperto il desiderio di Dio: la misura imprevedibile dello Spirito.

Quello che si prospetta in questo microcosmo teologico è una rinnovata fenomenologia della trascendenza, mediante parole-chiave e indicazioni interpretative che non esauriscono la domanda originaria ma ne amplificano lo sguardo: «L’avventura del Dio biblico-cristiano apre la scena del mondo e i circuiti della storia ad una prossimità con la pienezza della vita, con la linfa dell’amore, con l’indefinibilità della speranza, se l’uomo si fa carico di una fedeltà al reale e della sua creaturalità quale traccia graziosa e gratuita vicinanza di Dio. Tale possibilità, però, è nella scelta di approssimarsi a quel confine nel quale Dio ha deciso di passare, perché l’uomo possa aprirsi all’incontro e al contatto, al toccare e all’essere-toccati dall’autoevidenza del Mistero» (p. 226).

Perché ci possa essere epifania del Mistero occorre riscoprire la simbolica trinitaria, l’unica capace di restituirci una relazione inedita nella logica dell’alleanza, che in quanto comunicazione interpersonale ci introduce a linguaggi differenti, che appagano la ricerca umana del bene e del vero, in cui la libertà si coniuga con la creatività dello Spirito d’amore. In questa ottica non è pensabile alcuna idea di patriarcalismo monarchico attribuibile a Dio, né risulta condivisibile una scelta di umanesimo ateo, né tantomeno diventa attraente una proposta di meticciato spirituale anonimo.

Al di là e oltre le fatiche del concetto, c’è da dire che l’atmosfera condensata nello spazio post-secolare ha inaugurato una stagione culturale segnata da una metamorfosi della conoscenza di Dio, ha modificato le strutture di credibilità e plausibilità del credere, ha dislocato altrove la possibilità della sua esperienza, rieditando una ripresa filosofica e spirituale suggestiva. L’attuale panorama socio-culturale non presenta una posizione di negazione della questione di Dio, ma indica l’esigenza di una diversa interpretazione rispetto all’ immaginario religioso tradizionale, foriero di un’idea di Dio estranea non solo alla simbolica biblica ma anche all’ordinarietà della vita.

Ciò che auspica Dotolo è un Dio che continui ad incrociare le domande dell’uomo e della donna di oggi, ad allargare gli spazi della loro ricerca di senso, a gratificare il comune desiderio d’amore, ad invertire la logica degli affetti verso priorità altre, capaci di abitare il mondo seguendo l’estro del dono e della gratitudine: «In definitiva, incontrare il Dio che ci visita, vuol dire attendere l’impossibile possibilità, rinunciando anche a quanto ha alimentato la nostra esperienza credente, perché Dio è sorpresa costante, “poeta” che genera una nuova sintassi teologica per il pensare, il pregare, il narrare il fascino dell’esistenza» (p. 240).

In un’architettura ben congeniata, si segnalano soprattutto gli epiloghi posti a chiusura di ciascun capitolo, che consentono di avere una immediata chiave di lettura delle riflessioni compiute. Una strategia strutturale che, oltre ad agevolare la comprensione di un testo complesso, anche per le ricche ed erudite annotazioni bibliografiche, tratteggia cinque approdi per una teologia post-secolare che puntellano il suo avvincente itinerarium ad Deum: un’adeguata ermeneutica sulla secolarizzazione, l’attenzione all’eccedenza di Dio, l’acquisizione del paradosso con cui si dà l’evento rivelativo, una rinnovata comprensione dell’unicità del Nome di Dio, la centralità della originalità del Dio cristiano.

Ne risulta pertanto un libro di largo interesse, utile non solo per l’aggiornamento teologico, a cui contribuisce con prospettive interpretative rilevanti per una più acuta coscienza delle sfide contemporanee, ma anche per un maturo confronto con il dibattito pubblico più ampio.


M. Petricola, in Urbaniana University Journal 3/2020, 259-263

Professeur ordinaire de théologie des religions à l’Université pontificale urbanienne, Carmelo Dotolo a écrit plusieurs ouvrages de théologie fondamentale sur la postmodernité (La teologia fondamentale: davanti alle sfide del « pensiero debole » di G. Vattimo, 1999 ; Un cristianesimo possibile: tra postmodernità e ricerca religiosa, 2007) et le « postchristianisme » (Teologia e postcristianesimo. Un percorso interdisciplinare, 2017). L’objet de ce livre est de montrer de quel nouveau regard sur Dieu notre époque a besoin. Même si le besoin de Dieu ne se fait guère sentir dans nos sociétés occidentales, notre époque n’est plus seulement athée, mais est marquée par un retour de la religion sous mode post-laïque et par le pluralisme religieux. Aussi, l’A. propose-t-il une théologie post-sécularisée. D’abord, Dieu apparaît comme une question ouverte – formule qu’il interprète avec toute sa profondeur anthropologique : cette question « surgit du penser lui-même » de l’homme (p. 226). Ensuite, la théologie contemporaine a conduit à une autre représentation de Dieu, notamment notifiée par son renoncement à la puissance (deponenza) et « le principe de la kénose » (p. 158). Partant de là, un triple parcours se dessine : percevoir Dieu comme une altérité mystérieuse qui pousse à le rechercher ; redécouvrir le paradigme de l’amour comme agapè centrifuge intégrant l’éros centripète ; et surtout découvrir Dieu comme « l’événement qui surprend » (p. 237).

Certes, l’A. est trop réactif à l’égard de la théodicée et de l’apologétique classiques, donc ne cherche pas p. ex. à intégrer son propos sur l’impuissance avec la propriété divine qu’est « la puissance » (qui ne s’identifie pas à la thématique post-occamienne de la potentia absoluta). Demeure un livre très informé (notes nombreuses citant abondamment) et très à l’écoute du besoin de sens présent dans notre monde, qui, dans sa dialectique de la surprise de Dieu et de l’ouverture de l’homme, retrouve le dipôle de l’autocommunication divine et de la réception créée.


P. Ide, in Nouvelle Revue Théologique 143/1 (2021), 165

Lo scenario imbastito parte dal presupposto secondo il quale non è la morte di Dio che deve preoccupare la narrazione religiosa quanto piuttosto la morte del problema che Dio rappresenta per la storia di ogni persona. Il fulcro viene così a essere la ricerca su Dio e di Dio. Un processo, quest’ultimo, che il mondo post-secolare sembra aver riavviato, anche se in maniera differente rispetto al passato: secondo logiche sue proprie, che hanno inaugurato una stagione nuova dell’ateismo e al tempo stesso del monoteismo.

Delineare questa nuova figura di religione che appare dalle istanze del mondo contemporaneo e verificarne la relazione – reale e possibile – con il dato evangelico e l’istanza kenotica è l’obiettivo di questo volume, che si snoda all’interno della religiosità contemporanea attraverso cinque distinti percorsi di indagine, caratterizzati da un approccio pluridisciplinare e da un’attenzione alle istanze sociologiche e filosofiche del processo di secolarizzazione. All’interno di questi percorsi – che partono da una domanda o da una sfida del mondo contemporaneo e terminano con un itinerario di riflessione e di soluzione possibile – si possono individuare alcune direttrici.

Viene, ad esempio, riletta e offerta come provocazione la prospettiva di Marcel Gauchet, secondo il quale «una lettura culturale della secolarizzazione come depotenziamento del sacro risulta parziale» (p. 52). Questa prospettiva interpreta il cristianesimo come religione che esce dalla religione, come fede portatrice di un’anomalia monoteistica, riscontrabile nel principio dell’incar­nazione, nell’idea di un uomo-Dio storicamente inserito, che rimanda a un Dio distante, ma avvicinabile. Centrale in questo contesto è il recupero di un’immagine di Dio attenta alla dimensione pratica ed espressa attraverso una forma maieutica che spinge, sull’esempio gesuano, alla rottura della sepa­razione tra sacro e profano.

Si evince quindi la centralità della categoria «storia» nel discorso, una rilevanza che pone al centro una figura antropologica che si relaziona con un Altro, la cui eccedenza e alterità rispetto alla dimensione storica sono condi­zioni per una più matura antropogenesi.

Infine, emergono come direttrici il ripensamento dell’unicità del nome di Dio, identificato come luogo in cui sono rinvenibili un senso e una speranza per l’uomo, e l’itinerario del dire Dio, che viene legato al tema della ricerca del senso e dell’incomprensibilità. Quest’ultimo è sviluppato come un percorso che porta, sì, a una comprensione, ma mai definitiva. Qui la vicenda teoretica ed etica di Simone Weil viene proposta come modello entro il quale rinvenire come sia Dio ad andare verso l’uomo e non viceversa.

La riflessione su Dio e sul suo significato in questo volume viene quindi a mostrare in prima istanza come quella su Dio sia – parafrasando il titolo di un volume di Anton W. Houtepen – una questione aperta e necessaria di signifi­cazione. Già l’attribuzione del nome «Dio» a questa alterità è un conferimento di significato che non è arbitrario, ma caratterizzato come elaborazione di un’esperienza che non sa ancora.

Di fronte a tale ricerca, quella cristiana è una proposta la cui caratteristica è l’amore nella forma espressa dalla figura storica di Gesù, che funge da chia­ve ermeneutico-interpretativa del vissuto personale. Immagine, questa, che contiene una riserva mistico-politica, che va nella direzione della collabora­zione alla costruzione del mondo, seguendo la chiamata a essere co-creatori, e che nel contesto post-secolare non soltanto assume una sua legittimità fun­zionale, ma diventa anche una proposta di senso credibile.


M. Vicentini, in La Civiltà Cattolica 4087, 94-95

«Forse ci rimane soltanto l’assenza di Dio. Accettata e vissuta pienamente, quell’assenza è una forza viva, un mysterium tremendum »: le parole accorate di George Steiner, forse il più grande critico letterario degli ultimi decenni, scomparso poco più di un mese fa, fanno da viatico a un saggio appena edito da Queriniana che ha per titolo Dio, sorpresa per la storia. Per una teologia post- secolare (pagine 286, euro 22,00). Ne è autore Carmelo Dotolo, ordinario di teologia delle religioni all’Urbaniana, che prende in esame tutti i più recenti studi filosofici e teologici su quella che il pensatore canadese Charles Taylor ha chiamato “età post–secolare” per riproporre la questione Dio come risorsa ancor oggi in grado di dare risposte alle inquietudini dell’uomo contemporaneo.

Perché la messa in discussione del paradigma della modernità, che portava con sé la liquidazione del sacro attraverso un processo crescente di secolarizzazione della vita, ha sì condotto al ritorno della religione come fattore rilevante per le nostre società, ma con aspetti contraddittori che vanno esaminati. Un altro filosofo che ha segnato gli ultimi decenni, Zygmunt Bauman, ha denominato la religione postmoderna come una “religione minima”, fatta di una spiritualità flessibile, slegata dai dogmi e dalla razionalità che ha distinto la civiltà occidentale. In poche parole, una religione senza Dio.

Ma quali sono i tratti di questa nuova forma di religione? Sostanzialmente si parte da tre riferimenti culturali: la riscoperta delle filosofie orientali, che rappresenterebbero una via meno impegnativa rispetto all’impianto ebraico-cristiano e che unirebbero più pacificamente meditazione e riflessione in un’esperienza religiosa capace di dare sollievo al corpo e allo spirito; il ritorno del politeismo, il quale permetterebbe di spezzare la propensione alla violenza del monoteismo, che ancor oggi spesso presenta il volto del fondamentalismo; infine un nuovo ateismo, in grado di allargare gli spazi a una spiritualità plurale e soprattutto senza Dio. In quest’ultimo caso, emblematico il caso di André Comte-Sponville che parla chiaramente di una “spiritualità atea”, con un’apertura all’infinito e all’assoluto ma negando ogni trascendenza.

Per quanto riguarda il politeismo e il neopaganesimo, sono Jan Assmann, Marc Augé e Salvatore Natoli i pensatori di riferimento; essi attribuiscono al monoteismo una storia segnata dal potere e dalla violenza e denunciano il Dio unico che schiaccia l’uomo. Al contrario, il volto mite del politeismo consentirebbe una leggerezza esistenziale. Scrive Augé: «Il paganesimo politeista non conosce i tormenti della fede e dell’impegno e ignora il legame esclusivo e reciproco fra l’individuo e Dio instaurato dalla tradizione giudaico– cristiana».

Dunque, può guarire le patologie di un monoteismo della ragione e dare vita a una pratica umanistica e atea. Spiega Dotolo: «Il Dio del futuro sembra più simile alla freschezza, giocosità, imprevedibilità di Dioniso. La lezione della nuova mitologia fa la sua comparsa nella religiosità post-secolare accanto alla scoperta delle religioni orientali». Queste ultime, il buddhismo in particolare, presentano «una maggiore aderenza alla domanda di ben-essere e di nutrimento della vita». Sono il sinologo François Jullien (che ultimamente però si è riavvicinato al cristianesimo) e il poeta François Cheng i propugnatori di questa apertura alla forma religiosa asiatica, che sembra detenere credenziali più remunerative dal punto di vista esistenziale.

Alla fine, tutto riconduce a una riflessione sull’esperienza religiosa indipendentemente da una relazione con Dio. L’ha ben scritto Johann-Baptist Metz: «In un’atmosfera benigna per le religioni, viviamo in una sorta di crisi di Dio dalla forma religiosa. Il motto recita: religione sì, Dio no, in cui questo no non è a sua volta pensato nel senso dei grandi ateismi. La controversia sulla trascendenza sembra chiusa, l’aldilà ha definitivamente finito di ardere».

Il paradosso è che questa religione atea unisce mistica e finitudine, diminuisce il ruolo dell’uomo nel mondo a favore della natura, crea mode come quella di girare il mondo a piedi scalzi o di abbracciare gli alberi, è piena di stupore verso l’ignoto ma chiude il discorso a ogni immaginario escatologico.

I numi tutelari di questa Weltanschauung sono Jung e Heidegger, per arrivare a Hillman. Ma si nega veramente Dio? In realtà quello che si rigetta è il Dio cristiano: «Il volto di Dio – scrive ancora Dotolo – diviene più onnicomprensivo, distante da un immaginario legato alla misura, segno di un’immersione nella sacralità del mondo. Esso corrisponde ad alcuni modelli di base quali la coscienza ecologica della creatività dell’universo, le esperienze intuitive ispirate dal principio femminile della spiritualità, la riscoperta del nesso di materia-energia-anima».

Tutto ciò dà luogo a un nomadismo spirituale, a una religione fai da te che rifiuta qualsiasi Chiesa. Dinanzi a queste nuove sfide e provocazioni il cristianesimo non può certo reagire arroccandosi o pensando di combattere una guerra, anche se culturale. Innanzitutto si tratta di riconoscere la genuinità della ricerca religiosa post-secolare e che alcuni suoi segni, dal desiderio di benessere alla volontà di realizzare il proprio io, dalla nuova fenomenologia della mistica all’amore per la terra, non sono affatto lontani da una vera esperienza cristiana.

D’altronde, va anche rilevato che il congedo dal Dio della religione, come annota Dotolo, è anche «la conseguenza di una decostruzione operata dal cristianesimo stesso, in virtù del quale il processo di secolarizzazione non ha promosso un superamento della religione, ma una sua mutazione di senso. La fine dell’equazione fra cristianesimo e religione è, o può essere, l’inizio di un diverso approccio di dire Dio».

Esiste un’abbondante tradizione teologica che tende a separare l’esperienza cristiana dalla religione: basta rileggersi Tillich e Bonhoeffer. Non solo, durante il ‘900 c’è stata una ricchissima elaborazione del pensiero cristiano che ha messo in crisi la metafisica onnicomprensiva che aveva dominato in passato. Guardiamo a cosa ha scritto al riguardo Henri de Lubac: «Il Dio dell’ontologia classica è morto? Può darsi. Negli ultimi secoli abbiamo assistito all’evaporazione razionalista di Dio. Ma era il Dio dei razionalisti. Soffiate e dissipate questo vapore. Non ne saremo turbati, anzi, respireremo meglio. Il Dio vero, quello che non cessiamo di adorare, è altrove».

O ancora, si pensi alla crisi del concetto di onnipotenza di Dio, anche in seguito alle domande suscitate dalla tragedia della Shoah che hanno posto in discussione ogni teodicea. Von Balthasar ha scritto cose illuminanti a proposito di questa svolta da parte del cristianesimo nel vedere Dio, «che non è in primo luogo potenza assoluta, ma amore assoluto, e la cui sovranità non si manifesta nel tenere per sé ciò che gli appartiene, ma nell’abbandonarlo».

È il paradosso dell’incarnazione il vero marchio del cristianesimo, come ha sottolineato Italo Mancini: «L’essere di Cristo, che riassume il senso della presenza di Dio nel mondo, significa la sua impotenza e la nostra impotenza». Concetti ribaditi da pensatrici come Simone Weil e Etty Hillesum. O da un Paul Ricoeur che ha intuito una sorta di “coappartenenza” fra la ricerca filosofica scaturita dall’ateismo e l’interpretazione del messaggio cristiano, anzi l’emergenza di una critica atea all’interno del cristianesimo stesso.

Ma certamente la rinuncia spesso verificatasi da parte della Chiesa di una predicazione sulla vita eterna, che sapesse valorizzare il patrimonio della patristica e della mistica e al contempo non escludesse l’orizzonte dell’esistenza concreta, è uno dei motivi dell’affermarsi della spiritualità senza Dio del nostro tempo, di forme di religiosità capaci di suscitare nuove emozioni. Come ha ben sintetizzato la teologa olandese Catharina Halkes: «Dio non è un Dio statico, ma dinamico. Dio è un verbo, non un sostantivo, fonte di inquietudine e di caos creativo».

Il Dio cristiano è un Dio sorprendente e tenero, non lontano dalle vicende umane, un Dio che conosce la sofferenza e che è relazione. Solo la riscoperta di questo Dio vicino e fragile può cogliere appieno la sfida rappresentata dalla religione post–secolare. Sfida ben colta da questo passo di Jurgen Moltmann: «Il legame di Dio Padre alla sorte di Gesù ha reso impossibile il patriarcato di tipo monarchico. Dio Padre è l’Abbà di Gesù, e solo chi vede questo Figlio vede il Padre; diventa impossibile quell’umanesimo ateo che per l’uomo Gesù prova simpatia ma che non ammette alcun Dio; e diventa impossibile quello spiritismo politeistico che nella natura vede tanti spiriti e valuta detti spiriti a seconda delle forze che possiedono».


R. Righetto, in Avvenire 12 marzo 2020, 22