Questo volume è un importante lavoro d’analisi e di sintesi biblica circa il comandamento dell’amore del prossimo, scritto dal neotestamentarista tedesco Thomas Söding. Frutto di un corso di lezioni tenute alla Facoltà di teologia cattolica dell’Università della Ruhr a Bochum, nel semestre invernale 2013-2014, mostra la perizia storico-biblica e teologica dell’autore nel presentare, in modo didatticamente completo, lo sviluppo storico-teologico del tema in ambito antico e neo-testamentario, permettendo sia allo studioso sia al lettore interessato di coglierne tutta l’importanza nell’ambito della morale cristiana.
È indubbio che il testo, elaborato e redatto nel contesto storico odierno, assume un’importanza difficilmente sottostimabile non soltanto dal punto di vista teologico, ma anche da quello più propriamente sociale e pastorale: se «l’amore del prossimo è il concetto fondamentale dell’etica cristiana» (5), si può forse sostenere che il cristianesimo detenga il monopolio dell’amore del prossimo? Non esiste, forse, l’amore anche al di fuori dalla cerchia dei cristiani? E ancora: è naturale amare il prossimo? Se il cristiano – come affermano i Vangeli sinottici – è chiamato ad amare il prossimo come se stesso (cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28), non si nasconde in ciò un elemento alla fin fine egoistico? E poi: l’amore non si esprime forse attraverso gesti concreti? Non nasconde, cioè, «un’esigenza etica» (13) assolutamente pratica, volta a trasformare le situazioni di odio e di rancore in amore?
Söding, in molte pagine, mostra una forte consapevolezza delle criticità relative al concetto d’amore (cf. 17-23), il cui campo semantico si mostra complesso ed eterogeneo (cf. 26-33). Nel ricordarci, però, che «il cristianesimo delle origini comprende se stesso come una religione per la quale l’amore del prossimo è un segno distintivo» (7), afferma come «nell’Antico e nel Nuovo Testamento il comandamento dell’amore per il prossimo, per il nemico e per i fratelli, non è soltanto rapportato costitutivamente all’amore di Dio, ma è in esso fondato anche strutturalmente» (39). Cioè: l’amore del prossimo trova il suo fondamento teologico ultimo nell’amore (agape) che Dio ha verso tutti gli uomini.
«Partendo dallo sguardo di Dio» (53) verso il prossimo, all’uomo viene comandato di amare gli altri uomini secondo la misura dell’amore di Dio. Questo comandamento ha radici anticotestamentarie. Esso si trova al centro della legge di santità, di cui parla il Levitico (cf. Lv 19,18): la santità di Dio va imitata, dal punto di vista cultuale ed etico, da «tutta la comunità dei figli d’Israele» (Lv 19,2). In tale contesto il prossimo è il «fratello», il «concittadino», il «figlio» del proprio popolo (Lv 19,17s), ma è anche «colui col quale si ha o si dovrebbe avere a che fare» (57). Per questo motivo – come ha chiosato Martin Buber – l’amore andrà esercitato con tutti coloro con cui capiterà di avere a che fare nel corso della vita (questo «tesoro etico» avrà una notevole importanza negli scritti etici del primo giudaismo), ed esso «è una faccenda di cuore» (70), che si palesa, e va testimoniata, nei conflitti con i fratelli di fede, ma anche con coloro che a questa fede non appartengono (situazione di diaspora).
La tradizione sinottica su Gesù – prosegue Söding – darà un grande peso al duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo (cf. 85), inserendolo nell’annuncio più complessivo di Gesù circa la vicinanza del regno di Dio e la sequela conseguente, esemplata sulla stessa «etica di Gesù» (84). Dal capitolo 6 al 9, viene espressa una sintesi potente della teologia sinottica dell’amore del prossimo. Se nel capitolo 6° Söding si sofferma sulla tradizione letteraria sinottica (cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28) che, tramandando il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, precisa che è l’amore di Dio a improntare l’amore verso il prossimo (cf. 110) come il «cuore dell’etica di Gesù» (112), è la parabola del samaritano misericordioso (cf. Lc 10,25-37) – sulla quale si sofferma tutto il capitolo 7° – a illustrare la portata etica di questo comandamento, che è sempre compassionevole, e cioè si fa «attenzione decisa e attiva» (123) che diventa perfino assistenza medica.
È l’amore per i nemici, però, espresso nei discorsi della montagna (cf. Mt 5,1-7,29) e della campagna (cf. Lc 6,17-49), ad aver reso Gesù oggetto di considerazione particolare, ma alla fin fine anche accantonato. Questo amore è preghiera d’intercessione per i persecutori (cf. Lc 6,28; Mt 5,44); si concretizza nella rinuncia, non stoicamente intesa, a rispondere a violenza con violenza (cf. Lc 6,29; Mt 5,39-42); si esprime nell’aiuto disinteressato verso i poveri (cf. Lc 6,30; Mt 5,42); e si conclude nell’appello alla misericordia (cf. Lc 6,36) e alla perfezione (cf. Mt 5,48).
Circa la possibilità di mettere in pratica questo comandamento, essa va intesa come l’esigenza secondo cui «deve essere fatto tutto ciò che è nelle proprie forze per eliminare le ostilità – anche qualcosa che sembra impensabile, inaudito, incredibile» (157). Qui atteggiamento e azione fanno un tutt’uno, avviando e sviluppando un amore che si declina sempre nell’ambito di processi concreti. Il Vangelo di Giovanni, unitamente alla Prima e Seconda lettera, mette in primo piano l’amore fraterno fra i discepoli di Gesù che, prima e dopo la sua Pasqua, trovano in lui il «modello determinante di questo amore» (165). È nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni che si ha l’episodio della lavanda dei piedi, al cui interno si trova la variante giovannea del comandamento dell’amore (cf. Gv 13,34s.). È nella «cornice oscura» (167) del tradimento di Gesù da parte di uno dei discepoli, da un lato, e del rinnegamento di Pietro, dall’altro, che questo comandamento viene declinato come amore reciproco. Lavare i piedi dice la diaconia vicendevole che deve valere tra i discepoli che, sull’esempio di Gesù Cristo, sono chiamati a esercitarla tra di loro e verso quel mondo per la salvezza del quale lo stesso Gesù ha offerto la sua vita (qui promessa soteriologica ed esigenza etica sono le due facce della stessa medaglia).
Il comandamento è nuovo perché nuova è l’impronta data a esso dall’amore di Gesù, che deve essere continuato dai discepoli (174), ma anche nella possibilità di metterlo sempre nuovamente in pratica, anche dopo tutti i limiti e i fallimenti umani sempre possibili, grazie a quell’amore di Dio che ha amato l’uomo per primo, lavandogli i piedi.
Söding si sofferma, poi, sull’amore del prossimo negli Atti degli apostoli come «prassi convinta» (209). Qui l’ethos della comunità delle origini è la sequela di Gesù in un orizzonte sempre più vasto, ma anche all’interno della stessa comunità cristiana, che deve essere adempiuta, tenendo conto di tutte le debolezze umane (211), mediante azioni molto concrete.
Molto importanti, infine, sono i ricchissimi capitoli del volume dedicati, rispettivamente, alla concezione paolina dell’amore del prossimo come compimento della legge (c. 11), alla cosiddetta scuola paolina (c. 12), alle Lettere di Giacomo (c. 13), alla Prima lettera di Pietro (c. 14), alla Seconda lettera di Pietro e alla Lettera di Giuda (c. 15). Anche qui le analisi e le riflessioni proposte sono sempre particolarmente convincenti e coinvolgenti, come del resto è possibile cogliere nel capitolo finale di sintesi («L’amore del prossimo – Il centro dell’etica cristiana»), anche per la capacità di tenere assieme riflessione teologica e prassi pastorale.
G. Coccolini, in
Il Regno Attualità 4/2019, 101