Scrivere una biografia di Gesù era per i suoi discepoli «il solo modo per rispondere alle critiche provenienti dall’esterno» (p. 156). Tuttavia le biografie (bioi in greco) erano riservate solo agli uomini illustri, famosi per vittorie militari, scritti filosofici e scientifici, i grandi discorsi politici e di altro genere, la cultura e la lingua greca ecc. La prima comunità cristiana si trovava di fronte a difficoltà immense. La risurrezione aveva reso Gesù una gloriosa figura messianica, ma il rifiuto che aveva patito durante la sua vita pubblica e la sua morte ignominiosa sulla croce come un ribelle, un malfattore e un bestemmiatore smentivano clamorosamente il fatto che egli fosse un messia. Occorreva quindi dimostrare che le sofferenze e la morte ingloriosa di Gesù di Nazaret non mettevano in discussione la sua qualità di inviato di Dio.
Tipologia e riconoscimento
Per superare questo handicap, la comunità non trovò altra strada che portare le persone alla conoscenza/anagnorisis della qualità messianica della persona di Gesù attingendo al patrimonio di persone e avvenimenti riportati nell’Antico Testamento che, in un modo o nell’altro, prefigurassero in personaggi giusti e sofferenti, profeti compresi, la figura di Gesù quale profeta giusto ma rifiutato.
Nel bios di un personaggio, l’anagnorisis, cioè il riconoscimento del valore di un uomo da parte dei suoi contemporanei e delle generazioni successive, era un elemento fondamentale; «per l’anagnorisis di Gesù come Messia, gli evangelisti hanno dovuto ricorrere alla tipologia. La tipologia dei Sinottici è subordinata all’anagnorisis» (p. 9). I Sinottici, sui quali si concentra il lavoro di J.-Noël Aletti, settantanovenne professore francese emerito del PIB di Roma, seguirono la strada della tipologia, sempre in vista dello scopo ultimo dell’anagnorisis della persona di Gesù. «Con tipologia, almeno come suggerisce l’uso dell’AT da parte del NT, si intende la percezione di corrispondenze significative fra le caratteristiche e le circostanze di due individui, istituzioni o avvenimenti storici – corrispondenze tali che ciascuno è interpretato come un’anticipazione o un compimento dell’altro» (M. Knowels, cit. a p. 6). L’elemento dell’AT è il tipo o figurante, quello del NT è l’antitipo o il figurato. La tipologia è chiamata anche «interpretazione figurale». La tipologia si distingue dalla semplice allusione del NT a un testo dell’AT. Parte della tipologia figurale è basata fra l’altro sulla synkrisis, dal confronto cioè fra caratteristiche comuni ai due personaggi, le loro differenze, in cui il secondo talvolta è presentato come superiore al primo. Luca ama questo procedimento retorico (Giovanni Battista e Gesù in Lc 1–3; il pastore e la donna in Lc 15,1-10, i due fratelli in Lc 15,11-32 ecc.). La tipologia del NT è essenzialmente teleologica, poiché indica in che modo le figure dell’AT hanno come télos il Cristo e le realtà neotestamentarie. Resta sempre il grande pericolo interpretativo di considerare i tipi dell’AT semplici ombre rispetto alla realtà del NT. Lo schema interpretativo prefigurazione-compimento-superamento può portare a far sparire di fatto il tipo o figurante dell’AT.
La fede fu la prima guida per i Sinottici nel comporre le loro biografie/bioi di Gesù. Ma, perché si potesse affermare e per far accettare che il Messia doveva soffrire per entrare nella sua gloria, «bisognò mostrare nondimeno che Gesù apparteneva veramente, a motivo del suo agire e della sua morte, alla stirpe dei profeti» (p. 153).
Struttura del libro
Dopo l’Introduzione e due capitoli sulla tipologia dei Sinottici oggi (pp. 5-36), Aletti presenta la cronologia e la tipologia nel racconto di Marco (pp. 37-62) con riferimenti al modello eliaco, alla tipologia eliseana e a quella salmica, senza trascurare il grido di Gesù sulla croce e la dichiarazione del centurione.
Il c. 4 (pp. 63-98) tratteggia la cronologia e la tipologia nel racconto di Matteo. In esso trova posto la tipologia salmica nel racconto della passione di Gesù giusto sofferente (Mt 26–27 ad opera del Narratore), la tipologia profetica con la figura di Geremia ancora in primo piano (Mt 8–20 ad opera del Narratore, delle folle, di Gesù e della voce celeste, con allusioni a Geremia (Mt 27,4.25 ad opera degli oppositori), la tipologia mosaica circa l’identità di Gesù messia nel vangelo dell’infanzia (Mt 1,16–2,23, ad opera del Narratore), nel Discorso della Montagna (Mt 5–7, ad opera di Gesù) e nella carta del discepolo (Mt 28,16-20).
Matteo inizia e termina il suo racconto con la tipologia regale. Questa è espressa nei titoli regali e nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. «Re dei giudei» ha denotazione positiva da parte dei magi (Mt 2,29 in Mt 21,5 con la citazione di Zc 9,9 ad opera del Narratore), ambigua in Mt 27,11 (Pilato) e Mt 27,37 (la scritta sulla croce, detto del Narratore); negativa in Mt 27,29 (i soldati di Pilato) e in Mt 27,42 (re di Israele, da parte degli oppositori ai piedi della croce). Per Matteo, se Gesù non fu riconosciuto come re/messia, è a causa della disobbedienza cronica del suo popolo.
Nel c. 6 (pp. 99-152) Aletti descrive la tipologia nel racconto lucano. In Lc 1–2 sono presenti i parallelismi tra personaggi (fenomeno della synkrisis), l’annuncio a Zaccaria e 1Sam 1–3 come sfondo generale. A Nazaret (Lc 4,16-30), Gesù inaugura la sua lettura tipologica, con riferimento a un testo di Isaia. Aletti studia poi la tipologia profetica durante il ministero di Gesù, con le sue ragioni e la tipologia alla fine del macro-racconto che abbraccia l’innocenza e il riconoscimento in Lc 22–23 e la tipologia propria di Lc 24.
Conclusioni sintetiche
Sintetizziamo le conclusioni (pp. 153-160) a cui giunge lo studioso nel suo saggio, che fa seguito a quello dal titolo Gesù, una vita da raccontare. Il genere letterario dei vangeli di Matteo, Marco e Luca, uscito in traduzione italiana nel 2017 (or. fr. Namur 2016) e che Aletti dà per conosciuto.
L’evangelista Marco, il primo ad apre la strada nella composizione di una biografia/bios di Gesù risponde allo scandalo di un Messia rifiutato e crocifisso scegliendo di leggere la passione di Gesù sulla falsariga delle suppliche individuali innalzate a Dio dai personaggi giusti perseguitati, «poiché in queste preghiere la sola anagnorisis che conta è verticale: essendo nella posizione dei giusti perseguitati (che sono i suoi figuranti) Gesù non poteva né doveva essere riconosciuto da nessun altro se non da Dio» (p. 154). L’individuazione popolare di Gesù come novello Elia non bastava, perché poteva essere frutto di manipolazione da parte di Gesù e, in ogni caso, la sua morte in croce lo manifestò come bestemmiatore.
Il modello profetico, con i suoi elementi di riconoscimento e di rifiuto, non fu però scelto da Marco, pur essendo utile. L’identificazione popolare di Gesù con Elia non era opportuna, perché questo profeta era tipo soltanto di Giovanni Battista e né Elia né Eliseo furono messi a morte dagli israeliti del loro tempo.
Anche Matteo seguì il modello salmico per il racconto della passione, convinto però che poteva in tal modo mostrare – a differenza di Marco – che gli israeliti non potevano andare oltre nel loro rifiuto delle vie di Dio. Lungi dal contrapporsi, il riconoscimento e il rifiuto dovevano andare di pari passo per confermare l’essere-profeta di Gesù. La tipologia di Matteo è, inoltre, mosaica. Gesù è l’antitipo di Mosè legislatore di cui porta a perfezione i precetti.
La rilettura tipologica di Luca cerca invece prima di tutto di mostrare «che Gesù appartiene alla stirpe profetica, a causa delle sue azioni e della sua morte violenta, e molto meno di lasciar intendere che Gesù è superiore ai profeti che lo hanno preceduto. In altri termini, la tipologia lucana si basa innanzitutto sulle synkriseis, e praticamente non sulla preparazione/compimento, e ancora meno sulla coppia ombra/realtà» (p. 155).
Nel racconto della passione Matteo riprende il modello marciano delle suppliche individuali dei giusti perseguitati per portare a termine il rifiuto e dunque l’assenza finale di anagnorisis da parte degli israeliti. Luca, invece, è guidato interamente da un processo di riconoscimento orizzontale da parte dei personaggi del racconto. «Grazie alla tipologia profetica, la figura messianica – essenzialmente gloriosa per la tradizione ebraica – è potuta divenire udibile, ricevibile; e ormai è possibile credere alle parole di Gesù in Lc 24,26 e di Pietro in At 3,18, cioè che “il Messia doveva soffrire per entrare nella sua gloria”» (p. 156). In conclusione, «prima di essere un’interpretazione sull’inferiorità del tipo e sulla superiorità dell’antitipo, la tipologia di racconti sinottici è una ricerca dei tratti e dunque dei tipi che possono mostrare l’identità profetica di Gesù» (ivi).
Con la ripresa del motivo delle suppliche dei giusti perseguitati, i Sinottici non intesero mostrare con la synkrisis che le sofferenze di Gesù erano prefigurate dai tipi veterotestamentari e che Gesù portava a compimento la loro sorte dolorosa. Se per le sofferenze non è menzionato un «di più» ma soprattutto la continuità con i fedeli perseguitati e i profeti, questo lo è invece per l’insegnamento di Gesù e il suo agire taumaturgico (vedi la moltiplicazione dei pani col precedente eliseano; l’affermazione fatta da Gesù «Qui vi è uno più grande di Giona» e il «Ma io vi dico» con cui Gesù nel Discorso della montagna porta all’acme i comandamenti della legge mosaica).
La lettura tipologica dei Sinottici
In definitiva, la lettura tipologica dei Sinottici conobbe una progressione. All’inizio ricercò e stabilì dei paralleli con tipi dell’AT, in seguito si sviluppò sottolineando la superiorità di Gesù sui suoi figuranti veterotestamentari (cf. p. 158). I paralleli non furono trascurati, ma «la valorizzazione dell’onnipotenza di Gesù, nel suo agire e nel suo insegnamento, era altrettanto essenziale per la cristologia dei Sinottici» (ivi). La superiorità di Gesù appartiene alla tipologia, ma è al secondo posto e praticamente interviene soltanto negli episodi che precedono la passione.
Aletti fa notare, infine, che è possibile anche il caso in cui il figurante assume il suo significato attraverso il suo compimento. È il caso di Mt 4,14 in cui è narrato l’inizio del ministero di Gesù in Galilea. Con ciò si compie – dice Matteo – la profezia di Is 8,23–9,1, citato liberamente. L’evento di luce fu coevo all’oracolo e il profeta rimanda a un avvenimento accaduto alla sua epoca. Matteo fa una lettura figurale mettendo in parallelo due avvenimenti separati dal tempo. Matteo lo ha fatto per i numerosi paralleli presenti: due re (Ezechia e il re-Messia Gesù), i luoghi (la Galilea e le regioni intorno) e le circostanze (lo stesso popolo nella miseria).
Si può ben accettare che con la venuta di Gesù la Galilea ha potuto ricevere una luce più grande. Con questo, Matteo fa di Ezechia un figurante di Gesù, una preparazione e una profezia messianica. Matteo, citando Isaia e dicendo che le sue parole trovano compimento in Gesù, considera il primo evento (la nascita del bambino re al tempo di Isaia) come una profezia della venuta luminosa di Gesù. Questa tipologia profeticamessianica, assente in Marco e Luca, è presente in Matteo, dove gli eventi del passato sono profezie di quelli avvenuti con Gesù. Aletti può solo constatare la realtà – ma non dimostrarla a livello esegetico –, e rimanda al lavoro del teologo il rendere conto del fatto che il narratore matteano abbia potuto dire, a partire dalle analogie forti tra gli eventi del passato biblico e quelli del tempo di Gesù, che i primi preparavano e annunciavano i secondi.
Il volume è un saggio importante sul tema della tipologia applicata ai Vangeli sinottici. Importante, perché ridimensiona la sua comprensione come pura relazione preannuncio-compimento-superamento e corregge il modello ermeneutico impostato sulla coppia ombra/realtà presente in molti padri della Chiesa e anche nel pensiero comune di non pochi lettori odierni.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 20 febbraio 2021