[Il testo, di cui qui presentiamo ampi stralci, costituisce la Conclusione dell’autore. Ringraziamo l’editore per la gentile concessione].
Quando ho incominciato a lavorare a questo libro, cercavo un incontro più profondo con le sei donne senza nome, guidato dal Vangelo di Marco e «incamminandomi per le sue vie». In un primo momento il confronto con loro aveva qualcosa di giocoso e di leggero. Mi divertivo a entrare in contatto diretto con le diverse donne e a ricevere immaginarie lettere di risposta da loro. Aveva lo stesso fascino e spirito di una prima conoscenza. Occupandomi sempre di più dell’argomento, però, ho avvertito in misura crescente la serietà dei temi che queste donne richiedevano con il loro comportamento esemplare.
Mi sono reso conto di quanto possiamo imparare da loro e di quale significato abbiano oggi per noi come discepoli del Signore. Ciascuna di loro è un dottore della Chiesa con elevata autorità dottrinale, perché le è stata conferita da Gesù stesso. Il rapporto con loro, così, ha acquisito un’intensità ancora maggiore.
Sulla base del Vangelo le donne hanno fatto appello alla mia coscienza, con forza sempre crescente, a toccare anche alcune tematiche controverse all’interno della Chiesa – ben sapendo che ciò può avvenire soltanto per associazioni e magari portare a dei conflitti!
Durante la riflessione, mi sono venute in mente sempre più persone concrete, oltre che esperienze della cura pastorale che riflettono le situazioni delle donne e trasportano nella vita di oggi le scene del Vangelo. Può anche apparire deficitario, in un primo momento, che io possa osservare alcune cose soltanto nel quadro limitato della mia «visuale tedesca» e del mio vissuto concreto. Questo, tuttavia, è interamente in sintonia con la nostra permanenza benedettina in un determinato luogo e corrisponde all’indicazione dell’angelo di Pasqua: «Egli vi precede in Galilea. La lo vedrete (…)» (Mc 16,7). La conclusione aperta del Vangelo di Marco lo rende chiaro: la Galilea può benissimo essere l’Alta Baviera e, nonostante la sua marginalità geografica, può avere rilevanza per la Chiesa universale. Anche questo mi hanno trasmesso le donne che Gesù incontra in Galilea e a Gerusalemme.
«Dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9). Queste riconoscenti parole di Gesù sulla donna che gli ha unto il capo potrebbero essere rivolte senza problemi anche alle altre donne senza nome. Di nuovo ho sentito: persino se lo volessi, non riuscirei più a liberarmi da queste donne con le loro provocazioni di grande attualità (…) Una conferma di tutto ciò l’ho trovata nel fatto che, alla fine della sua esistenza terrena, anche il fondatore del nostro ordine, Benedetto, era stato provocato da una donna. Per concludere, vorrei esaminare questa storia incoraggiante.
Papa Gregorio Magno (540-604), che scrisse la biografia di Benedetto, riferisce che questi, una volta l’anno, incontrava la sua sorella carnale Scolastica per un colloquio spirituale. Per questo l’abate doveva lasciare il suo monastero di Montecassino e scendere in un podere ai piedi del monte. Già questo potrebbe essere un primo segno che Benedetto sarebbe stato condotto nelle profondità della fede da sua sorella. Nella casa del podere, i due fratelli trascorsero tutta la giornata in un dialogo spirituale. Quando scese la sera, Benedetto voleva mettersi in cammino, per tornare al suo monastero per tempo, prima del tramonto, secondo quanto indicato nella sua Regola. Ma Scolastica lo supplicò ardentemente: «Ti prego, non lasciarmi da sola questa notte, perché possiamo parlare fino al mattino delle gioie della vita celeste!». Ma il fratello restò fermo nel suo proposito e rimproverò con severità la sorella: «Ma che cosa dici, sorella mia? Non posso assolutamente restare fuori dal monastero». Si dice che fosse una bella giornata serena e che nel cielo non si vedesse una nuvola. Delusa dalla risposta brusca del fratello, Scolastica nascose il viso tra le mani e pregò Dio tra le lacrime. Nello stesso momento si scatenarono lampi e tuoni e cominciò a cadere una pioggia torrenziale. Così Benedetto non poté lasciare la casa. A fronte di questa circostanza, si lamentò: «Che il Dio onnipotente ti perdoni, sorella! Che cosa hai fatto?». Al che Scolastica, un po’ impertinente, rispose: «Ecco, io ti ho pregato e tu non mi hai ascoltato; allora ho pregato il mio Signore e lui mi ha esaudita. Ora vai pure, se ci riesci. Lasciami e tornatene al tuo monastero!». Naturalmente a Benedetto fu impossibile uscire di casa e così i due fratelli trascorsero la notte insieme in preghiera e in discorsi spirituali. Soltanto la mattina dopo Benedetto tornò al suo monastero, dove, tre giorni dopo, venne a sapere che la sorella era morta. Papa Gregorio conclude quest’episodio profondo dicendo che Scolastica poteva di più perché amava di più. Alla fine della sua vita Benedetto imparò da sua sorella che cosa significa amare: al centro ci sono l’essere umano e la sua salvezza, e non il rispetto delle regole. Ciò, ancora una volta, corrisponde completamente all’operato benefico di Gesù.
La storia continua a commuovermi e ogni anno mi fa un po’ sorridere quando, insieme a una comunità di suore benedettine, celebriamo la festa di santa Scolastica a Monaco. In una preghiera, a proposito del rapporto tra i due fratelli, si dice che Benedetto fosse maestro di Scolastica e che lei avrebbe imparato da lui. Papa Gregorio non ne dice nulla. Da un lato c’era lo scambio spirituale che i due coltivavano insieme. Dall’altro, alla fine della sua vita, Benedetto era andato a scuola da Scolastica. Anche se il suo nome significa «scolara, allieva», per lui era stata anche maestra. A volte mi chiedo: forse la frase nella preghiera menzionata è uscita dalla penna di un uomo? Purtroppo non lo so.
Scolastica, così, s’inserisce per me nella schiera di donne senza nome che ci vengono presentate dall’evangelista Marco come discepole esemplari di Gesù. Come loro, è allieva del Maestro e maestra dei discepoli. E così diversi elementi della scena descritta si possono proiettare sulla storia della genesi di questo libro. Come Scolastica, le donne mi hanno motivato a lasciare la sicurezza del mio monastero. Ho condotto un intenso dialogo spirituale con loro. Attraverso il loro esempio, mi hanno portato nelle profondità dell’esistenza «evangelica» del discepolo e sono diventate mie maestre. Con lo sguardo rivolto alle sfide del nostro tempo per la Chiesa e alle provocazioni che ne risultano, insieme alle persone del giorno d’oggi che ho menzionato, mi hanno pregato: «Non mi lasciare sola!». E, impertinenti come Scolastica, mi hanno invitato: «Vai pure, se ci riesci!».
Questo libro, perciò, è un tentativo di riportare nel dialogo spirituale, sulla base del Vangelo, alcune tematiche attuali della Chiesa, a cui non dobbiamo e non possiamo sfuggire. Non è stato scritto per scatenare piogge torrenziali con lampi e tuoni all’interno della Chiesa, oppure per mettersi in luce parlando di tematiche controverse. Si tratta invece della lotta spirituale tra fratelli che come Ecclesia, cioè come «chiamati fuori», guidati dal Vangelo, vogliono percorrere insieme le «sue vie».
Scolastica poteva di più perché amava di più. Benedetto l’ha imparato attraverso la provocazione del nubifragio. Alla fine conta l’amore! Così, come sorella nella fede, grida anche a noi: «Dormiglione, pigrone, ghiro, gran marmotta! – Giù dal letto!». Essere svegliati e alzarsi non è sempre piacevole – nemmeno per la Chiesa. Ma è un evento in tutto e per tutto pasquale: ut in omnibus glorificetur Deus (RB 5 7,9).
J. Eckert,
Il Regno Attualità 22/2020, 691