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Un cammello per la cruna di un ago?
Klaus Berger

Un cammello per la cruna di un ago?

L’umorismo di Gesù

Prezzo di copertina: Euro 28,00 Prezzo scontato: Euro 26,60
Collana: Books
ISBN: 978-88-399-3232-7
Formato: 13,5 x 21 cm
Pagine: 240
Titolo originale: Ein Kamel durchs Nadelöhr? Der Humor Jesu
© 2022

In breve

Un approccio inusuale al predicatore itinerante di Galilea che smaschera la nostra ipocrisia e svela le proporzioni del Regno. Un inno all’umorismo che nasce dalla libertà sovrana di Dio. Nella consapevolezza che, in ultima analisi, la religione non è un pericolo in sé; diventa un pericolo solo quando pensa di fare a meno dell’umorismo.

Descrizione

Esiste forse un “umorismo” di Gesù? La risposta è affermativa. Il Nazareno vi ricorre in modo mirato per accentuare il suo messaggio in modo memorabile. Assurdità, provocazioni, contrasti, esagerazioni, contraddizioni, sproporzioni, scherno divengono strumento di critica profetica: se Gesù sbeffeggia, è perché si possa riconoscere la verità; se distorce le cose, è perché si impari a vedere bene; se inverte il grande col piccolo, è per indicare le giuste priorità.
Più ancora: Gesù, attento osservatore della vita di ogni giorno, avrà riso senz’altro (lo sostengono i vangeli apocrifi), ma soprattutto ha indotto gli altri al riso, per liberarli dal labirinto in ci si erano smarriti. Questa risata liberatoria dischiude un punto di vita straordinariamente nuovo su Gesù. Il suo umorismo, che stimola l’immaginazione e mostra benevolenza verso gli animali, a volte è grottesco, ma mai offensivo; a volte è beffardo, ma non irrispettoso; sempre risulta illuminante. Perché lo humor è la fonte di tutta la saggezza di Gesù.

Recensioni

>«Il senso dell'umorismo è una grazia che io chiedo tutti i giorni, perché il senso dell'umorismo ti solleva, ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. È un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio». Così papa Francesco (2016). Ad averne tutti un po' di più ora saremmo un po' più in pace e, a dir poco, nella chiesa ci sarebbe meno clericalismo, da una parte, e meno servilismo dall'altra. Evangelicamente, l'umorismo sta all'umiltà come la gioia sta alla carità. Non ci si scappa. Dove mancano si cede più spesso al potere e all'ingiustizia.

Allora Gesù rideva o no? Mah, la domanda fa molto Il nome della rosa là dove Umberto Eco (1932-2016) sintetizza due posizioni teo-logiche ugualmente valide e ortodosse: una, di dura condanna verso il riso (il monaco Jorge); l'altra, di apertura e incoraggiamento (il francescano Guglielmo). Non ci dilunghiamo. I testi evangelici canonici non dicono nulla a proposito, ma è da supporre che Gesù come abbia pianto, abbia espresso collera, abbia parlato con pacatezza, abbia inevitabilmente anche riso. È vero uomo o no? Da qui si dipanano le riflessioni di chi ha abbordato la questione.

Klaus Berger (1940-2020) non ha bisogno di presentazioni e nemmeno di promotori. La sua competenza non si discute. Stavolta ci sorprende affrontando il tema dell'umorismo di Gesù. Uno di quelli raramente approfonditi dai megateologi della storia e (spesso di sghimbescio) qualche volta dai contemporanei (pochi i saggi, più numerosi gli articoli). L’autore utilizza tutte le sue conoscenze esegetiche (neotestamentarie), storiche (cf. I cristiani delle origini), teologico-culturali (e anche umoristiche nel collocare alla fine del libro [sic] un furbo Glossario)per scoprire ed esporre la ricchezza nascosta nelle parole e nelle azioni di Gesù di quell'umorismo che è la sorgente della gioia evangelica.

Dopo la lettura del libro si potranno fare meno sillogismi teologici e si attenueranno di molto anche i dubbi sul tema. Certo, non c’è scritto che Gesù rideva (che si soffiasse il naso?), ma a ripassare tutti i brani evangelici dove Gesù cerca di far entrare nella mente e nel cuore dei discepoli che cosa sia (chi sia) la verità. o che cosa sia (come sia) la libertà – tanto per citare solo alcuni capitoli del libro – si resta sorpresi dello humor del Maestro e Signore.

Berger sbroglia da par suo tutti quei brani evangelici che meglio palesano la capacità di Gesù di cogliere ed esprimere i lati curiosi e incongruenti della realtà (la risata ne è l'espressione più emozionale), o che offrono un modo alternativo di affrontare le situazioni (anche le più dolorose). Chi vive e annuncia la fede sa che l'umorismo va coltivato prima e più che la razionalità della stessa e nel leggere questo libro troverà la comprova. Chi invece si è schierato con il "cartello" della religione (che sia cristiana o meno qui non fa differenza) e vive l'umorismo o la risata come vilipendio della fede, vi troverà le coordinate giuste per un'urgente ristrutturazione cognitiva dei suoi deragliamenti mentali.


D. Passarin, in CredereOggi 253 (1/2023), 155-156

L’umorismo è «parte integrante dell'immagine di Gesù»: parola del teologo tedesco Klaus Berger, scomparso quasi ottantenne nel 2020. Cristo – afferma Berger – lo usa in varie circostanze e con diverse sfumature: «L'umorismo di Gesù esagera, perché si riconosca la verità (come nel caso delle perle, che non si devono gettare ai porci); distorce, perché si impari a vedere bene (come nel caso del cammello e della cruna dell'ago); ingrandisce ciò che è piccolo, perché lo si possa vedere nella vera grandezza ch'esso in verità possiede davanti a Dio (come nel caso dell'obolo della vedova); lascia che lo si chiami mangione e beone, perché gli uomini facciano il confronto con la realtà».

Ma è come se potessimo immaginare sulle sue labbra un lieve sorriso mentre racconta parabole infarcite di paradossi tali da capovolgere il «buon senso comune» e spiazzare i suoi ascoltatori, curiosi o discepoli che siano.

Questa chiave di volta è stata per l'autore una porta per accostarsi come non mai al maestro: «Perché l'umorismo di Gesù è il padre di tutta la sua sapienza. Né l'esegesi, né la dogmatica erano riuscite a portarmi cosi vicino a Gesù. Spesso ho l'impressione, mentre rifletto su queste annotazioni e narrazioni, di trovarmi in modo del tutto nuovo direttamente davanti a Gesù come un suo simile, un amico o – con rispetto parlando – un collega», scrive nell'illuminante saggio Un cammello per la cruna di un ago? L'umorismo di Gesù, tradotto e pubblicato da Queriniana.

Il testo restituisce un tratto inedito della personalità del Nazareno, della sua modalità comunicativa ed espressiva che si serve dell'umorismo per indurre un «cambiamento di prospettiva profondo». Se soltanto «in un paio di vangeli apocrifi è Gesù stesso a ridere. Di solito è lui a far ridere gli altri. Li libera dal labirinto dei loro traviamenti. È un riso liberatorio, un accesso nuovo e particolare a Gesù stesso, che stimola la fantasia e risveglia l'interesse, ama gli animali, è a tratti grottesco, ma mai offensivo».

Eliminando la paura della morte, Cristo suscita «una forma specifica di giocondità» a fondamento di ogni suo umorismo, libero da giudizi e schemi.


L. Badaracchi, in Jesus 11/2022, 90-91

Klaus Berger (1940-2020) è considerato uno dei biblisti più importanti del XX secolo. Specie per il suo Gesù (2007) che ha avuto un enorme successo di vendite e traduzioni in tante lingue. E che è stato a più riprese citato da Benedetto XVI.

Qui il teologo ha un obiettivo più modesto e se vogliamo relativamente innovativo. Ovvero quello di dimostrare che non esiste alcuna incompatibilità tra l’assoluta perfezione divina di Cristo e l’umorismo. Se i Vangeli non ci raccontano nulla sul riso di Gesù, ci mostrano però il suo pianto, i suoi affetti umani e i suoi nobili sentimenti. E i santi, che del Signore sono i migliori seguaci e imitatori, spesso, pur tra penitenze e fatiche, hanno riso proprio di gusto!

Se Gesù non ha riso nelle narrazioni evangeliche, non vuol dire che non abbia riso nei 33 anni della sua esistenza terrena, visto che tante cose della sua giornata non sono raccontate dagli agiografi. Comunque il Maestro della vita buona e piena ha senz’altro fatto sorridere i suoi ascoltatori, e volendo può far sorridere anche noi. Ovviamente in modo pedagogico, solare, limpido e senza volgarità. Secondo Berger, «l’umorismo di Gesù esagera, perché si riconosca la verità (come nel caso delle perle, che non si devono gettare ai porci); distorce, perché si impari a vedere bene (come nel caso del cammello e della cruna dell’ago); ingrandisce ciò che è piccolo, perché lo si possa vedere nella vera grandezza ch’esso in verità possiede davanti a Dio (come nel caso dell’obolo della vedova)» (p. 7).

E tutto ciò, ça va sans dire, senza alcuna menzogna o affettazione, ma usando quelle raffinatezze, articolazioni, metafore e simbolismi che ogni linguaggio umano contempla. «Il fondamento più profondo dell’umorismo di Gesù sta nella sua libertà» (p. 12). Gesù, in quanto assolutamente libero dalla realtà del mondo, può avvicinarsene e distaccarsene a piacimento. «Un riso giustificato – afferma il biblista – presuppone la sovranità» (p. 13).

L’importanza dell’umorismo, dell’ironia e dell’autoironia, dello scherzo e del gioco non sono neppure da dimostrare. È bene però ricordarle proprio nei periodi storici non facili come il presente. C’è chi vede tutto buio, come se la fine del mondo fosse dietro l’angolo. Il che non è. Ma se anche fosse, dovrebbe farci esultare comunque: la nostra gioia senza fine sarebbe infatti vicinissima!

Gesù era una persona seria, né seriosa né arrogante né timida e “moralista”. È chiaro che la percezione di cosa provochi ilarità dipende anche dal contesto e dal costume. Però, il sano desiderio di ridere e giocare è universale. E ciò che è universale, come insegna l’Angelico, non può essere vano o inutile.

Secondo Klaus Berger sia quando parla di «un cammello che passa per la cruna di un ago» (cf Mt 19,24), sia quando dice che sarebbe meglio amputarsi occhi, mani e piedi, Gesù sta usando la categoria dell’umorismo per dare un insegnamento profondo, con esempi evidentemente paradossali. Insomma, come disse Chopin, «chi non ride mai non può essere una persona seria». E quindi neppure un buon cristiano. Chiediamo allora al Maestro, con san Tommaso Moro: «Signore donami il senso dell’umorismo, dammi la grazia di capire uno scherzo, perché possa avere un po’ di gioia in questa vita e possa comunicarla agli altri» (cit. a p. 223).


F. Cannone, in Il Settimanale di Padre Pio 41 (2022), 32-33

Appena ho visto pubblicizzato il libro del raffinato esegeta Klaus Berger sull’umorismo di Gesù, subito ho pensato che avrei potuto dare risposta a quei passi evangelici dei quali leggi di tutto e di più, ma dei quali ti rimane sempre il dubbio di non aver colto ancora il significato. L’autore afferma nell’introduzione che nonostante assidui e profondi studi di teologia e di dogmatica non ha mai sentito il suo Gesù così vicino come quando ne ha approfondito l’umorismo. Per questo passa al setaccio quei passi evangelici come il cammello per la cruna di un ago, come l’amputazione di arti nello scandalo dei piccoli, come il filtro dei moscerini e inghiottimento di cammelli, insomma quei passi in cui sembra che il paradosso, il grottesco, l’assurdo attraversino le parole di Gesù. L’autore cambia prospettiva e ci dice che Gesù usa l’umorismo e l’enfatizzazione di immagini sia per rivelare la piccolezza della mente umana che per amplificare la piccolezza delle azioni quotidiane importanti per Dio ma trascurate dagli uomini. Immagino Gesù che fa l’occhiolino alla fine di queste tirate, che ci hanno fatto sudare su questi Vangeli in tanti anni della nostra formazione. È un libro di studio, non è un libro spirituale; per chi vuol fare la fatica di studiarlo, è molto stimolante.


R. Lupoli, in L’Osservatore Romano 1 ottobre 2022

«L’umorismo di Gesù è il padre di tutta la sua sapienza; un mezzo eccellente per ritrovare la realtà nella sua verità». Così scrive Klaus Berger nel volume Un cammello per la cruna di un ago? pubblicato recentemente da Queriniana (Brescia 2022, pp. 223). Berger, morto nel 2020, è uno dei maggiori esegeti di lingua tedesca del Nuovo Testamento e la sua poderosa opera Gesù è stata raccomandata anche da Benedetto XVI.

Gesù ha uno spiccato senso dell’umorismo. Assurdità, provocazioni, contrasti, esagerazioni, contraddizioni, sproporzioni, scherno – con il fine non di offendere bensì di illuminare – divengono strumento di critica profetica: se Gesù sbeffeggia, è perché si possa riconoscere la verità. «Il suo umorismo fa parte delle cose con cui egli evita la banalità e allo stesso tempo esige il massimo. Perché egli non aggiunge mai se sta esagerando o se si esprime in termini radicali, se vuole davvero intimorire o intende se stesso come un soccorritore». Di qui il piccolo diventa grande, in specie nelle ricadute dell’episodio dell’obolo della vedova o nella considerazione sullo sguardo lussurioso dell’uomo sulla donna. «Molte parole piene di humour di Gesù presentano un modo di agire al quale ogni persona ragionevole risponderebbe con un “no” o “nessuno”. Nessuno farebbe festa per un centesimo smarrito e poi ritrovato. Nessuno può semplicemente rinunciare a sorvegliare 99 pecore. Nessun cieco guida altri ciechi; nessun morto può seppellire altri morti; nessun cammello può passare per la cruna di un ago. Tale umorismo porta a essere consapevoli dei limiti delle forze e degli spazi di azione umani», sottolinea ancora l’esegeta tedesco.

Nel Vangelo, per esempio, c’è spazio per la critica di Gesù rispetto al modo di pregare dei pagani che credono di essere ascoltati a forza di parole e per la sproporzione relativamente al bicchiere d’acqua donato e sufficiente per una ricompensa celeste. Ci sono poi le provocazioni, tra le quali la macina al collo (cfr. Mt 18, 6) e la parabola con la lode del padrone all’amministratore disonesto (Lc 16, 1-13), per cui, secondo Berger, Gesù «manifesta la propria simpatia per il criminale». In queste occasioni il Maestro «induce i lettori/uditori a saltare insieme a lui al di là dei muri della morale, perché al di fuori delle rappresentazioni morali usuali si trovino soluzioni inconsuete ma non “criminali”».

Allo stesso modo la scena grottesca del passaggio del cammello per la cruna dell’ago allude in modo umoristico allo sforzo richiesto per passare attraverso la porta stretta del Regno. Come per la pagliuzza e la trave, la medesima logica grottesca è sottesa anche alla critica ai farisei di filtrare i moscerini e inghiottire cammelli (cfr. Mt 23, 13-32), volta a evidenziare con la forza dell’immagine metaforica il loro atteggiamento di «perfezionismo nella ricerca degli errori e cecità di fronte ai grandi problemi».

Relativamente al troncare un membro del proprio corpo in via preventiva, le affermazioni di Gesù paiono crudeli e irrealistiche, sebbene inoppugnabili sul piano logico, dal momento che è evidente che sia preferibile «un castigo nel tempo a un castigo eterno». In realtà si tratta di una logica che intende provocare la reazione degli interlocutori come quando, additato di essere un mangione e beone, Gesù assume nel proprio discorso il giudizio che altri hanno espresso su di lui. 

La moltiplicazione dei pani e dei pesci e il miracolo alle nozze di Cana evidenziano che «l’umorismo di Gesù è anche in sintonia col modo di donare proprio di Dio». La sovrabbondanza al di là del bisogno libera infatti l’uomo dalla preoccupazione per il futuro ed è segno mirabile della paternità divina. Allo stesso modo, durante la pesca miracolosa, Gesù contraddice le regole stesse del mestiere, invitando a gettare le reti in mare in pieno giorno. Muovendo dalla constatazione che «ad ambiti diversi della vita appartengono perle (ornamento e bellezza) e porci (stalla e impurità pagana)», l’accostamento delle perle ai porci esorta a dare a ciascuno ciò che gli si addice e che può tollerare.

L’umorismo di Gesù è funzionale al capovolgimento delle logiche di potere e dei calcoli umani – come osserva acutamente Berger – e dunque «una diretta emanazione della libertà di Gesù che riguarda la proprietà, la preoccupazione per il futuro, la famiglia e la morte». «Rispecchia l’esperienza della liberazione dalle cianfrusaglie insensate e dalle false rappresentazioni che sono loro collegate»; perciò è «strumento di critica profetica» e soprattutto «è connesso con la gioia, elemento religioso centrale, per cui si tratta di non impedire o ostacolare la gioia degli altri».


F. Piemonte, in La Nuova Bussola Quotidiana 12 agosto 2022

Esplorando i tratti della figura di Gesù, il sopraffino scrittore inglese G.K. Chesterton in Ortodossia sostiene che in varie occasioni non ha trattenuto la collera e non ha nascosto le lacrime, ma ha tenuto in serbo qualcosa: «C’era qualcosa che Egli nascondeva a tutti gli uomini quando saliva sul monte a pregare. C’era qualcosa che Egli occultava con un improvviso silenzio o con un impetuoso isolamento. C’era una cosa troppo grande perché Dio potesse mostrarcela quando è venuto sulla terra, e io qualche volta ho immaginato che fosse il suo riso». Dell’umorismo di Gesù i teologi non hanno dibattuto molto nei secoli passati. Si ricorda il detto medievale "Flevisse lego, risisse numquam" dell’abate Ambrogio di Autperto. Nei decenni scorsi fece discutere un articolo sulla rivista "Communio" del gesuita Xavier Tilliette che si intitolava appunto: "Gesù ha mai riso?".

Ora finalmente si cimenta sul tema il biblista tedesco Klaus Berger nel volume Un cammello per la cruna di un ago? L’umorismo di Gesù, appena uscito da Queriniana (pagine 236, euro 28). Conosciuto da tutti gli studiosi per il best seller Gesù, pubblicato nel 2007 e tradotto in molte lingue – e citato anche da Ratzinger nei suoi libri su Gesù di Nazaret –, il teologo è scomparso nel 2020 e questa è probabilmente l’ultima opera da lui pubblicata.

Singolare già la scelta dell’esergo, una citazione dal libro Gesù e Giuda di Amoz Oz, da poco tradotto in italiano da Feltrinelli. Ecco le parole appassionate dello scrittore israeliano: «Lessi, dunque, i vangeli e mi innamorai di Gesù, della sua visione, della sua tenerezza, del suo sovrano senso dell’umorismo, della sua franchezza, del fatto che i suoi insegnamenti si presentano così pieni di sorprese e sono così pieni di poesia». Umorismo e poesia, tenerezza e franchezza sono segni colti da Berger per rilevare sin da subito che l’umorismo non è un’eccezione, ma parte integrante del messaggio di Cristo.

Certo, solo in due passaggi dei vangeli apocrifi si vede Gesù stesso che ride, ma ciò non cambia il fatto che molto spesso le parole di Gesù, a volte beffarde a volte grottesche, finiscano per provocare nei suoi interlocutori un riso liberatorio. Che parli del cammello e della cruna dell’ago, della scheggia e della trave, delle perle gettate ai porci o dell’obolo della vedova, Gesù vuole risvegliare la coscienza di chi lo ascolta e liberarlo dagli inganni e dalle false rappresentazioni che si è creato nella mente. Senza essere per forza divertente – Cristo non racconta barzellette –, è altamente efficace anche grazie al «contenuto aureo» del suo umorismo.

Il trasgressore di tabù, l’araldo dell’umorismo assurdo, il disturbatore esagerato: sono alcune definizioni della personalità di Gesù. «Nell’umorismo di Gesù si esprime il suo atteggiamento nei confronti dei tabù che accerchiano ogni pio giudeo e anche ogni pio cristiano», spiega il biblista ricordando come l’umorismo dia la possibilità di dischiudere la realtà e di mostrare la verità senza discorsi astratti. E se a volte Gesù dà l’impressione di esagerare nelle provocazioni, come quando a proposito della prostituta che gli cosparge i piedi di profumo dice: «Essa ha molto amato», o come quando loda l’amministratore disonesto, è perché vuole far capire che il suo messaggio va oltre la morale e che chi lo segue deve percorrere strade inconsuete e impensate. E allorché viene accusato di tollerare uno spreco, quando un’altra donna lo unge con olio e i discepoli si lamentano perché quell’olio poteva essere venduto e il ricavato dato ai poveri, Gesù anche qui spiazza chi gli è davanti, indicando loro che l’amore per il prossimo non va mai disgiunto dall’amore verso Dio: il fatto di onorarlo non è in contraddizione con la generosità e la solidarietà. Commenta Berger attualizzando il discorso: «Detto altrimenti, lo sperpero di risorse per il culto e per la pietà è fino a oggi sempre di nuovo posto in concorrenza con l’amore del prossimo».

In altri casi si ride perché si rappresenta la verità dell’esistenza umana in forma deformata e grossolana, il che colpisce più di una predica. Proprio come nell’azione teatrale. «Il comico, il goffo, il troppo umano ottengono una propria evidenza. Ed è lo stesso anche per la verità in generale: essa ha la meglio non quando viene inculcata a ogni costo, ma solo grazie alla propria evidenza», rileva ancora l’autore, il quale sostiene che Gesù conoscesse il teatro di Diocesarea, situato a soli otto chilometri da Nazaret, costruito a ridosso di una montagna, e anzi non esclude che egli col padre Giuseppe abbia lavorato alla sua costruzione.

Lo smascheramento dei controsensi funziona in tanti altri episodi: nel caso della latrina ad esempio, quando Gesù ragiona sulla sorgente dell’impurità, da vedere nei pensieri e nelle azioni degli uomini e non in ciò che è sporco e può contaminare da fuori l’uomo stesso. Di humor nero si può parlare nella vicenda del castigo con la macina da mulino, che rappresenta l’opposto del possibile e ricorda i castighi infernali raffigurati da Hieronymus Bosch.

Nel suo esercizio costante di critica profetica Gesù si è ampiamente servito di paradossi che potevano mettere paura o sollecitare al riso e in questo Berger vede qualche affinità con i filosofi itineranti cinici dell’epoca, che con i loro atteggiamenti plateali e le loro battute sarcastiche finivano per suscitare l’attenzione degli uomini antichi. È quasi inevitabile pertanto che il libro si chiuda con un passo della famosa preghiera di Tommaso Moro: «Signore, donami il senso dell’umorismo, dammi la grazia di capire uno scherzo, perché io possa avere un po’ di gioia in questa vita e comunicarne agli altri».


R. Righetto, in Avvenire 1 luglio 2022

Quando Amos Oz, uno degli scrittori più liberi e creativi di Israele, pubblicò nell’anno della sua morte, il 2018, un romanzo dedicato a Giuda, il traditore di Cristo, rilasciò questa confessione autobiografica: «Ho letto i Vangeli e mi sono innamorato di Gesù, della sua visione, della sua tenerezza, del suo sovrano senso dell’umorismo», e continuava esaltando il fascino del suo sorprendente insegnamento. Tutto vero, anche per chi non è credente: analoghe parole d’amore, ad esempio, aveva riservato a Gesù André Gide.

Quello che, a prima vista, sembra difficile condividere è l’ammirazione per il «sovrano senso dell’umorismo» di Gesù, tant’è vero che un autore medievale, in un latino icastico, non esitava a dichiarare: Flevisse lego, risisse numquam. Certo, Cristo ha pianto per la morte dell’amico Lazzaro, ma il verbo greco gheláô, «ridere», risuona nei Vangeli sulle sue labbra solo nelle Beatitudini in una duplice forma provocatoria: «Beati voi che ora piangete, perché riderete… Guai a voi che ora ridete perché sarete nel dolore e piangerete» (Luca 6, 21.25). Anzi, è lui ad essere «deriso» (katagheláô) in occasione dell’episodio della figlia di Giairo (Matteo 9,18-26).

Sorprende, allora, il fatto che – alle soglie della morte avvenuta nel 2020 a 80 anni – uno dei maggiori neotestamentaristi tedeschi, Klaus Berger, autore di un vero e proprio best-seller, Gesù (quattro edizioni italiane presso la Queriniana), abbia voluto dedicare un intero saggio all’«umorismo di Gesù». Si tratta di un testo tutt’altro che allegorico, basato su un doppio registro che intreccia l’analisi esegetica, teologica e letteraria a un’ermeneutica molto vivida e creativa, affidata in finale anche a un glossario per evitare equivoci sempre in agguato su un soggetto così mobile.

Ecco, allora, la sua definizione dell’umorismo di Gesù: «Capovolgimento di tutto ciò che è altrimenti percepito come serio, minaccioso e capace di incutere paura. È, perciò, distruzione del potere che si pavoneggia e riaffermazione della libertà». Si intuisce che all’egida di questa categoria si rubricano componenti differenti come il paradosso, l’ironia, la critica, la libertà espressiva, il rischio, l’iperbole. A quest’ultimo proposito il ventaglio s’allarga in modo impressionante, mostrando l’abile uso dell’assurdo da parte di Cristo per scompaginare gli stereotipi.

Partiamo già dal titolo del saggio col celebre contrasto tra l’imponente cammello e il minuscolo occhiello dell’ago. Ma si potrebbe continuare a lungo con l’invito sconcertante ad amputarsi occhio, mano, piede, col cieco che diventa guida di ciechi, con lo scorpione o il serpente dato in cibo a un figlio, con la lampada accesa e nascosta sotto una botte, col morto che dovrebbe seppellire i morti, con manciate di perle gettate in cibo ai porci, col filtro che trattiene i moscerini e lascia passare un cammello, col figlio scioperato preferito al primogenito manager nella casa paterna e così via. Tra parentesi, chi non riesce a identificare tutti gli esempi finora proposti è segno che non ha letto integralmente i Vangeli.

Se volessimo scavare in profondità nel significato di questo approccio di Gesù nei confronti della storia, della verità, della stessa morte, degli animali e del potere, il percorso a cui conduce Berger si trasforma in una rilettura inattesa ma non stravagante dei Vangeli. Infatti, il succo dell’annuncio di Cristo, ricostruito attraverso le norme rigorose dell’analisi esegetico-teologica, si ritrova intatto in questo saggio ma con un’incisività e un volto inedito, talora con una causticità (si offre una comparazione persino col pensiero cinico classico) e una grandezza insospettata che il velo dell’umorismo non ottenebra ma esalta.

Trasgressore di tabù, Cristo riesce ad estrarre insegnamenti virtuosi persino dal disdicevole, come il disturbo notturno inflitto a un vicino (Luca 11,5-8), o l’abbandono di un gruppo di ragazze per strada in piena notte (Matteo 25,1-13), o il farsi classificare «mangione e beone» in mezzo a una banda di ghiottoni (Marco 2,18-20). Commenta Berger: «Chi sopporta le provocazioni di Gesù o addirittura le trova edificanti, ha bisogno di senso dell’umorismo, altrimenti rimarrà confuso dinanzi a lui».

Persino alcune scene miracolose rivelano un profilo analogo, come quando alla tempesta che imperversa sul lago egli scaglia questo grido: «Smettila, ora basta!». O come quando immagina la stupefacente acrobazia di un gelso o di una montagna scardinati dalle fondamenta per illustrare il tema della fede pura e radicale (Matteo 17,20; Luca 17,6). Per non parlare poi dei duemila maiali che affogano nel lago di Tiberiade (Marco 5,13). A proposito di animali, sulla scia di una tradizione universale, essi possono diventare maestri di umorismo, dai citati cammelli e porci alle pecore, ai cani, ai pesci, agli uccelli e ai serpenti («siate prudenti come serpenti e semplici come colombe»).

Il concetto di umorismo, inteso in questa forma così lata, diventa quindi per Gesù, secondo Berger, una via simbolica per accendere di potenza e radicalità parole e azioni, appelli e giudizi, vita e morte. È un’epifania dell’umano di Cristo, qualità allargata poi dai Vangeli apocrifi. Ionesco sottolineava che «dove non c’è umorismo, non c’è umanità; dove non c’è questa libertà che ci si prende nei confronti di se stessi e della realtà, c’è il campo di concentramento». E le dittature lo insegnano con la loro allergia a ogni ironia.


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 19 giugno 2022, XII