Un'opera monumentale e sintetica raccoglie la ricerca e il pensiero biblico di un noto studioso tedesco: questo importante commento al Nuovo Testamento, edito in italiano a cura di Flavio Dalla Vecchia, rappresenta il coronamento degli studi neotestamentari dell'inquieto docente di Heidelberg. Fra i più famosi esegeti di lingua tedesca, è di confessione cattolica, ma, entrato in conflitto con la Facoltà cattolica di Monaco di Baviera, ha insegnato tutta la vita presso una Facoltà evangelica, senza però lasciare il cattolicesimo e avvicinandosi in vecchiaia a posizioni caltoliche molto trudizionaliste.
Nato ad Hildesheim nel 1940, Klaus Berger ha compiuto gli studi di filosofia, teologia e orientalistica a Monaco, Berlino e Amburgo. Dopo gli iniziali travagli della carriera accademica, nel 1974 è divenuto professore di Teologia del Nuovo Testamento nella Facoltà di teologia evangelica alla Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg, dove ha insegnato per oltre trent'anni fino all'età della pensione. Nel 2005 è divenuto "Familiare" dell'Abbazia Trappista Mariawald ad Heimbach, nel Nord Westfalia, dove a partire dal 2010 insegna nella scuola interna (Hausstudium) per la formazione dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza (OCSO), che nel 2008 hanno avuto da papa Benedetto XVI il "privilegio" di ritornare alla liturgia e all'osservanza preconciliare. Oltre alla produzione accademica, ha pubblicato molti saggi divulgativi e scrive abitualmente per importanti testate giornalistiche tedesche quali Frankfurter Allgemeine Zeitung e Tagespost. Ha avuto due figli dal primo matrimonio: in seconde nozze ha sposato la filologa Christiane Nord, con cui è autore di un'originale traduzione del Nuovo Testamento in tedesco unitamente alle più antiche opere della tradizione patristica. Il suo libro su Gesù (Queriniana 2006) è un'opera grandiosa, eppure semplice e avvincente, un vero best-seller nei paesi di lingua tedesca: il cardinal Meisner lo definì «il libro dell'anno» e Joseph Ratzinger lo ha citato positivamente nei suoi saggi sulla figura del Nazareno. Berger propone una specie di biografia di Gesù, affrontando profonde questioni di ermeneutica spirituale e impegnandosi in una rilettura attualizzata del messaggio evangelico: il ritratto che ne risulta è nuovo e affascinante, capace di proporre la persona di Gesù come estremamente significativa anche per gli uomini e le donne di oggi. La continuazione nello stesso stile della ricerca sull'opera degli apostoli è stata pubblicata col titolo Die Urchristen (Pattloch, München 2008), tradotta in italiano come I cristiani delle origini (Queriniana, Brescia 2009): presenta il cristianesimo apostolico come momento decisivo e fondativo, in cui la realtà dei discepoli di Cristo ha preso forma storica e concreta per durare nel tempo.
Il grande commentario che ha seguito (nel 2011) queste due opere si presenta come una sistematica compilazione di tali ricerche e approfondimenti; abbraccia per intero tutti gli scritti del Nuovo Testamento, presentandoli uno per uno, secondo l'ordine canonico, in un'articolata e multiforme raccolta di brevi introduzioni, schizzi di contenuto, trattazione di questioni esegetiche, ermeneutiche e teologiche, digressioni storico-religiose, note sui paralleli nella letteratura giudaica e apocrifa, sintesi su tematiche etiche e spirituali. Il voluminoso testo vuole essere un manuale di introduzione alla corretta esegesi del Nuovo Testamento, ma l'intero complesso letterario non è trattato con lo stesso metro in un insieme organico ed equilibrato: si trovano infatti argomenti molto approfonditi e altri trattati velocemente, introduzioni dettagliate ed altre sommarie, testi esaminati con acribia esegetica versetto per versetto ed altri brani solo accennati. Per ciascuno scritto neotestamentario vengono anzitutto affrontate le principali questioni introduttive: autore, destinatari, data di composizione, ambiente storico e sociale in cui si è sviluppato, essenziale profilo teologico. Ma stupisce ad esempio che l'introduzione a Matteo sia di due pagine e mezzo, mentre sia di sette quella a Colossesi. Il commento vero e proprio segue l'andamento del testo biblico, ma non consiste in una sistematica spiegazione di tutti i versetti: l'approccio è piuttosto teologico e l'interesse del commentatore riguarda soprattutto temi e questioni che hanno destato attenzione e discussione nella storia della ricerca. L’A. ha probabilmente pensato ai suoi allievi dello studio monastico di Mariawald e sembra voler condurre i lettori a comprendere bene le linee fondamentali del pensiero neotestamentario e a chiarire in modo corretto le principali affermazioni teologiche del testo.
Una novità decisamente importante è la datazione che Berger propone per tutti gli scritti del Nuovo Testamento: si discosta infatti in modo considerevole (e talvolta polemico) dall'opinione corrente e divulgata da quasi tutti gli esegeti dell'ultimo mezzo secolo. Con nuovi spunti di riflessione e alcune nette prese di posizione, l'A. data tutto il Nuovo Testamento prima del fatidico anno 70: ne riporto in sintesi le proposte. Il Vangelo di Matteo sarebbe stato composto fra il 50 e il 60, Marco al massimo nel 45, Luca al più tardi nel 66, immediatamente seguito dagli Atti degli Apostoli scritti fra il 66 e il 67; anche il Quarto Vangelo sarebbe molto antico, composto fra il 68 e il 69. Diverse dall'opinione corrente sono anche le datazioni delle lettere paoline: la lettera ai Romani sarebbe stata scritta non prima del 60 e dallo stesso Paolo mandata anche ad Efeso con l'aggiunta del cap. 16; 1Cor e 2Cor, una di seguito all'altra, intorno all'anno 50, così come la lettera ai Galati; anche la 2Ts sarebbe autentica missiva di Paolo e inviata insieme a 1Ts fra il 50 e il 52, forse addirittura prima della 1Ts; agli stessi primi anni 50 risalirebbero anche le tre Pastorali (lTm, Tt e 2Tm), scritte da Paolo durante il suo soggiorno efesino; all'anno 58 viene datata la lettera ai Colossesi e al 63 quella agli Efesini; fra queste due, nel 61, si colloca il biglietto a Filemone; mentre l'ultimo scritto paolino, lettera d'addio, è considerata quella ai Filippesi datata nel 65. Anche la lettera agli Ebrei è considerata molto arcaica, scritta in Alessandria d'Egitto fra il 54 e il 55 da un giudeo-cristiano provenieme da Roma e indirizzata ai cristiani della capitale. Un'autentica rivoluzione, infine, è operata nell'ambito delle Lettere Cattoliche, tutte datate nei primi anni '50: Giacomo verso il 55, la lPt c la lellera di Giuda fra il 50 e il 55, la 2Pt addirittura precedente fra il 50 e il 52. La 2Gv di poco anteriore alla 3Gv, entrambe datate intorno al 50, sono considerate i più antichi documenti del Nuovo Testamento; la 1Gv risalirebbe al 55/56 e non più tardi, seguita poco dopo dall'Apocalisse, composta durante la crisi neroniana negli anni 68/69. Queste "originali" datazioni avrebbero bisogno di lunghe e dettagliate motivazioni; ma in genere non si trovano nel commentario di Berger, che propone solo suggestioni e argomenti di opportunità. Spesso le affermazioni sono perentorie e basate sulla propria autorevolezza, come le seguenti: «Io colloco pertanto la nascita del vangelo di Gv intomo all'anno 68/69 d.C.» (T. 415); «Io considero possibile che Paolo e Pietro si siano addirittura accordati per 2Ts e 2Pt» (II, 585); «Secondo me 2Gv è il documento più antico del Nuovo Testamento per la data della sua composizione» (II, 631). È possibile riconoscere in simili affermazioni una lucida reazione ai convincimenti divulgati dell'esegesi storicocritica e liberale.
Una chiave di lettura per tale atteggiamento si può riconoscere nel fatto che poco tempo dopo aver pubblicato questo grande commentario, Klaus Berger ha dato alle stampe un testo fortemente polemico, non ancora tradotto in italiano, in cui attacca con forza molte idee e principi dell'esegesi liberale che nel ’900 ha dominato gli studi biblici in Germania e nel mondo: Die Bibelfälscher: Wie wir um die Wahrheit betrogen werden, Pattloch, München 2013. Il titolo è eloquente (I falsifìcatori della Bibbia) e viene precisato dal sottotitolo (Come siamo ingannati sulla verità). Il motto della critica biblica radicale «Alles Lug und Trug» (Tutto è menzogna e falsità) viene ritorto dall'A. contro quegli stessi esegeti, affermando che la loro impostazione apparentemente storica e critica è stata in realtà un inganno mistificatorio. Berger definisce il suo libro un «Planctus Germaniae», ovvero un «Aufschrei», cioè un grido come quello del Battista nel deserto, nel deserto provocato dall'esegesi liberale: con procedimento scolastico l'A. infatti compila una serie di «sed contra», muovendo forti obiezioni a quelli che considera i principali fraintendimenti del testo biblico e alle vere e proprie distorsioni della Scrittura causate dall'esegesi accademica. L'anziano professore, divenuto maestro dei monaci in un monastero ultraconservatore, muove guerra ai suoi colleghi accademici, contestando l'ingiustificabile arroganza con la quale certi teologi correggono la Bibbia come se la conoscessero meglio degli apostoli, dei profeti e di Gesù stesso. Dopo questo tipo di "esegesi" - affenna l'A. - quello che resta è solo un brodino teologico annacquato e imbevibile.
In tale sforzo ideale di ristabilire la verità nell'esegesi biblica si possono apprezzare alcuni validi approcci: Berger adopera volentieri la cosiddetta "critica della composizione", che, guardando alla specifica disposizione dei temi e dei materiali di un testo, cerca di ricostruire quale concezione teologica ne derivi; superando il preconcetto ellenistico, assume il giudaismo quale contesto per tutte le teologie neotestamentarie, ritenendo che l'ebraismo sia lo sfondo storico-religioso per capire Gesù, ma molto meno l'ebraismo rabbinico rispetto a quello testimoniato dalle opere apocrife pubblicate nel periodo che intercorre fra i due Testamenti. Pregevole è perciò il ricorso insistente a scritti pagani, a testi apocrifi, alla letteratura extracanonica della chiesa primitiva e alle antiche liturgie cristiane, utilizzati come "testi paralleli" con funzione illuminante e costruttiva; degna di nota positiva è infine la sua concretezza spirituale e la profondità dei riferimenti al vissuto. L’afflato religioso che ne deriva, al di là della polemica, è indubitabile e riguarda soprattutto Gesù come Figlio di Dio e rivelatore di Dio: non è un riformatore sociale o un dispensatore di consigli per il benessere psicologico, Gesù insegna che la fede e l'adorazione hanno un'assoluta priorità nel rapporto con Dio.
C. Doglio, in
Teologia 2/2016, 318-320