Superati i settant’anni di età, Klaus Berger offre in questi due volumi un’opera sintetica, dall’alto della sua lunga e significativa esperienza esegetica. Essendo un commento a tutti i libri del Nuovo Testamento (seppure in quasi 1.500 pagine!), occorreva fare alcune scelte drastiche di impostazione.
Le delinea l’A. nell’introduzione generale ai due volumi, anzitutto sotto forma di una triplice rinuncia: a seguire l’una o l’altra ipotesi circa la questione sinottica (ma non circa eventuali rapporti tra le lettere o tra il terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli), a soffermarsi su ipotetici «strati redazionali» degli scritti, a una dettagliata storia della ricerca. Inoltre, pur non tralasciando questioni storico-critiche, predilige quella che chiama una «critica della composizione», cioè un’attenzione di fondo alla dimensione teologica degli scritti del Nuovo Testamento. Va precisato che si tratta di una dimensione teologica in senso stretto, dal momento che – in sintonia con il suo «best seller» su Gesú – si può trovare una costante allergia alle interpretazioni ottocentesche; a tale proposito occorre però citare le sue parole, a scanso di equivoci: «Se di regola rifiuto le ipotesi e le tesi dell’esegesi liberale e ancor piú di quella hegeliana, questo non cambia niente riguardo all’attenzione per la gran mole di intelligenza e dedizione che si è lí prestata alla Scrittura» (pp. 5-6). Infine, da non tralasciare i molti riferimenti al contesto culturale del Nuovo Testamento. Nell’insieme, sarebbe inutile dire che il commento è talora troppo sintetico: fa parte della scelta redazionale l’esserlo; anche se va detto che talora può creare un certo disagio, perché alcune questioni complesse sono risolte molto velocemente e in alcuni casi le attualizzazioni risultano un po’ slegate dall’analisi. Ugualmente, gli aspetti introduttivi ai singoli libri sono veramente appena accennati; in sintonia con le scelte delineate sopra, ci starebbe bene anche qualche pagina sintetica sulla teologia dello scritto.
Il volume si presenta per un pubblico ampio e non di specialisti, anche se alcune questioni farebbero discutere piú gli esperti che il lettore medio; penso specialmente alla datazione dei vangeli, che è molto anticipata rispetto alla (pur discussa) opinione comune: Matteo tra il 50 e il 60; Marco al piú tardi nel 45; Luca e Atti prima del 68; Giovanni prima del 70. La proposta è cosí in contro-tendenza che avrebbe bisogno di approfondimenti maggiori; non è sufficiente, per esempio, dire che Luca-Atti non racconta la morte di Paolo perché ancora non è avvenuta...
Ultima sottolineatura: il fatto che un unico autore proponga un seppur breve commento a tutti gli scritti del Nuovo Testamento ha sicuramente il lato positivo dell’unitarietà del lavoro; rimane il limite dell’ampiezza delle questioni affrontate, che si vede per esempio nella bibliografia: sulla lettera ai Galati, per fare un caso, ci sono ben sei commenti degli anni 70, nessuno dal 1979 a oggi; cosí come per Marco manca l’imprescindibile lavoro di Camille Focant, oltre a quelli di Adela Yarbro Collins e Joel Marcus.
C. Broccardo, in
Studia Patavina 63 (2016) 2, 521-522