Con una frase fatta, ma molto efficace, si dice che il Discorso della montagna è la “magna charta” del Nuovo Testamento perché ne delinea la fisionomia, le caratteristiche, la natura. Si dice anche che riporta e sintetizza l’insegnamento morale di Gesù, oggi si direbbe la sua etica. Ma sappiamo che l’etica di Gesù non l’incontriamo nella sua forma originaria, bensì nell’interpretazione dei vangeli. Più che di un’etica di Gesù si dovrebbe dunque parlare di un’etica dei vangeli. Che in prospettiva teologica non può che rimandare all’ethos, allo stile di vita di Gesù, oltre che al suo insegnamento. Ed è proprio in riferimento a tale insegnamento che il Discorso della montagna rappresenta uno dei testi morali più importanti e significativi del Nuovo Testamento.
Sarebbe però sbagliato leggerlo e interpretarlo soltanto o anche primariamente sotto l’aspetto morale. Il Discorso della montagna è più che un testo morale e non contiene solo temi morali. Non si può d’altra parte negare che in tale testo l’interesse per la morale sia così esplicito e articolato da fare di esso la maggiore esposizione sistematica dell’insegnamento morale attribuito a Gesù. Tanti elementi morali messi assieme non si trovano in nessuna parte dei vangeli e più in generale del Nuovo Testamento.
Non dovrebbe quindi meravigliare l’attenzione che i teologi morali hanno sempre dedicato a tale testo. Le loro analisi, i loro commenti, fra i quali è da annoverare ora anche quello del nostro A., che insegna Teologia morale nella Facoltà teologica dell’Università di Friburgo in Germania, non si contano più.
Il suo commento è suddiviso in due parti. Nella prima parte, Fondamenti esegetici e teologici (pp. 11-122), l’A. affronta temi e problemi di carattere generale, introduttivo, a cominciare da una breve introduzione (pp. 13-15) nella quale definisce il Discorso della montagna «il testo più provocatorio di tutta la Bibbia». Vengono poi passati in rassegna tutta una serie di altri temi e problemi attinenti alla sua interpretazione e validità. A cominciare da un primo capitolo, Nome, forma e struttura del Discorso della montagna (pp. 16-25), nel quale veniamo a sapere che il nome proviene da Agostino; la forma è quella di un appello rivolto ai cristiani; la struttura è piuttosto complessa e si compone di un’apertura (Mt 5,1-2), di diverse pericope riguardanti le beatitudini (Mt 5,3-12), le metafore del sale e della luce (Mt 5,13-16), il richiamo all’osservanza della legge e dei profeti (Mt 5,17-19), alcune istruzioni riguardanti la giustizia superiore (Mt 5, 20), le antitesi, gli insegnamenti, il Padre nostro (Mt 5,21-7,11), la regola aurea (Mt 7,12), e una chiusura relativamente ampia nella quale vengono riportate le reazioni degli uditori e nuovi insegnamenti morali (Mt 7,13-29). Seguono tre altri capitoli, nel primo dei quali l’A. prende in considerazione alcuni Modelli interpretativi teologici (pp. 26-75) che rimandano alla comprensione del Discorso della montagna rispettivamente nella chiesa antica, che suddivide i cristiani in semplici e perfetti; nella chiesa moderna, in particolare nelle chiese della Riforma, dove si parla di due ordinamenti materiale e spirituale di Dio e di un duplice uso della legge; e infine nella chiesa contemporanea, che intravede nel Discorso della montagna più linee interpretative: alcune, in linea con la Riforma protestante, parlano ora di un’etica interinale fino al ritorno di Cristo, ora un’etica intenzionale per il tempo presente; altre, più in linea con la riforma cattolica, vedono in esso ora il compimento della legge, ora il programma per un cristianesimo dell’azione. In un capitolo successivo l’A. focalizza alcuni Punti scottanti della discussione esegetica (pp. 76-106), in particolare il rapporto tra i discepoli e la folla come destinatari primari e secondari del discorso di Gesù; il rapporto di Gesù con il contesto socio-storico nel quale è vissuto; la sua posizione nei confronti della legge e dei profeti; il rapporto tra promessa del vangelo e cristianesimo dell’azione. In un ultimo capitolo, L’unità interna del Discorso della montagna (pp. 107-122), l’A. affronta il problema dell’intreccio tra incondizionata benevolenza di Dio ed esigenza etica e configura il Discorso della montagna come una specie di ellisse all’interno della quale egli colloca l’etica di Gesù tra Paolo e Matteo, il rapporto tra beatitudini e antitesi, e una risposta alla domanda in che senso sia da interpretare la radicalità delle richieste del Discorso della montagna.
Nella seconda parte del volume, Un’interpretazione per il presente: concretizzazioni esemplari (pp. 123-274), l’A. riprende più analiticamente le singole pericope e da teologo morale le commenta con uno sguardo attento soprattutto ai risvolti pratici e attualizzanti del testo. A cominciare anche qui da una breve riflessione, quasi una seconda introduzione, su Il Discorso della montagna come insegnamento di Gesù (pp. 125-131), da interpretare nella forma di un’azione di istruzione chiaramente distinta dalla precedente azione di annuncio; ma soprattutto da vivere come una legge di libertà che gira attorno a tre fulcri principali: il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo; la conversione e il rinnovamento di tutto l’essere dell’uomo; la disponibilità e l’impegno ad aiutare in modo concreto e fattivo chi si trova nel bisogno. Seguono una serie di analisi e considerazioni sulle Beatitudini (pp. 132-174), a iniziare da quelle ricorrenti al di fuori del contesto del Discorso della montagna, dalla novità di quelle proposte da Gesù, dal loro significato come interpellanza e stile di vita dei cristiani. È quindi la volta di una nuova serie di analisi e considerazioni sulle due metafore, Sale della terra, luce del mondo (pp. 175-183), di cui è relativamente facile cogliere il senso letterale, meno quello simbolico; sulla Giustizia superiore (pp. 184-191), come compimento della legge sia in senso quantitativo, ampliamento e completamento del suo contenuto, che qualitativo, nel senso di un’altra giustizia radicalmente superiore a quella degli scribi e dei farisei; sulle Antitesi (pp. 184-231), il controllo dell’ira e la riconciliazione, il matrimonio e il divorzio, i giuramenti, la ritorsione, l’amore per il nemico; sul Divieto di giudicare (pp. 232-236), che da una parte proibisce di ergersi a giudici degli altri, dall’altra impone di riconoscere i propri errori; sull’Ammonimento contro l’ipocrisia (pp. 237-240), che sposta l’accento dall’atto interiore, che nessuno vede, all’atto esteriore, all’azione di chi esibisce le opere buone per guadagnare il plauso degli uomini e non quello di Dio; sul Padre nostro (pp. 241-256), la grande preghiera cristiana che da una parte mette in chiaro l’esclusiva relazione filiale di Gesù con il Padre suo, dall’altra invita a mettere la nostra vita a disposizione di Dio padre di tutti, Padre nostro; sulla Regola d’oro (pp. 257-264), nella quale Gesù riprende una formula comune diffusa in tutto il mondo antico: “Non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te”, e la riformula in senso positivo riagganciandola alla sua pretesa di non abolire la legge, ma di portarla a compimento; e infine sulla Preoccupazione sbagliata (pp. 265-271) di chi si affanna troppo fino a dimenticare Dio, mentre Gesù esorta a riporre la fiducia nella sua provvidenza, avvalorando l’esortazione con un duplice espediente retorico di deduzione dal maggiore al minore (confronto tra vita e nutrimento, tra corpo e vestito) e dal minore al maggiore (confronto tra uccelli del cielo e gigli del campo con i discepoli di Gesù). Il commento si conclude con una riflessione sul Mettere in pratica le parole di Gesù e la casa costruita sulla roccia (pp. 272-274), che è un appello a seguire Gesù, a mettersi alla sua sequela, a costruire un mondo che somigli a una casa, una famiglia, in cui regnino la giustizia e la pace.
Il volume, come si può intuire, offre un’analisi paradigmatica di come la comunità di Matteo ha attualizzato per il suo tempo, mediante assimilazione e trasmissione creativa, i contenuti del messaggio di Gesù. E di come chi tenta oggi di seguire Gesù sulla strada dell’essere cristiani incontri fin dall’inizio un grande problema, in quanto il mondo in cui viveva Gesù o la comunità di Matteo non è più il nostro mondo; e viceversa il mondo in cui viviamo noi non è più il mondo di Gesù e nemmeno della comunità di Matteo.
L’A. tenta di chiarire, se non proprio risolvere, questo problema attraverso una serie di snodi che costituiscono altrettanti passaggi di un confronto dialettico dove la tesi: «Al centro del cristianesimo non c’è un programma religioso o ideologico e neppure un’idea filosofica, ma una persona viva: Gesù Cristo» (p. 5) viene ripresa e approfondita nel confronto con un’altra tesi più nascosta e implicita: «Ma al centro del cristianesimo c’è anche una comunità che celebra una persona viva, Gesù Cristo, e ne traduce il messaggio di amore». A me pare che l’A. risolva questa dialettica avvalendosi di una “retorica progressiva” i cui tratti essenziali sono: esegesi rigorosa, ermeneutica teologica, ma soprattutto utilizzazione del concetto di “concretizzazione esemplare”, nel quale s’intravede un’argomentazione in base alla quale la storia può svilupparsi in una direzione costruttiva e creativa, non polemica.
Ma questa nozione di retorica è sufficiente per individuare il rapporto che si stabilisce fra tradizione e traduzione del messaggio? Fra ciò che si ritiene essenziale e deve essere quindi trasmesso e ciò che si ritiene storico, culturale, ed è bene lasciare andare, consegnare al passato? A mio parere uno strumentario meno “retorico” e piú “analitico”, più attento a distinguere concettualmente fra atteggiamenti e comportamenti, valori morali e non morali, etica normativa e parenesi, avrebbe forse contribuito a discernere nel Discorso della montagna alcune indicazioni normative che si possono tranquillamente considerare “concretizzazioni esemplari” della vita e dello stile di Gesù – si pensi alle Beatitudini – e altre che viceversa avrebbero bisogno di ulteriori analisi e “rielaborazioni etico-normative”: si pensi alle Antitesi. Il rischio infatti è di scambiare ciò che è storico, culturale, con ciò che è essenziale o si presuppone in modo irriflesso che lo sia.
G. Trentin, in
Studia Patavina 64 (3/2017) 577-580