Un tema che attraversa la cristologia di Berger è quello del silenzio di Gesù, in particolare nei momenti cruciali del suo ministero: nel deserto, durante i processi, sulla croce. Gesù Cristo tace non perché non abbia nulla da dire, ma perché il suo silenzio è la parola definitiva di Dio: una parola che salva, perdona, trasforma. In quest’ottica, Gesù è il Verbo che si fa silenzio, il Logos che non s’impone, ma si dona nella discrezione della carne, nell’umiltà della sofferenza, nella profondità della liturgia.
Fin dalle prime pagine, Berger invita a leggere il silenzio non come mera assenza di parole, ma come spazio teologico, luogo della rivelazione e modalità privilegiata per incontrare Dio, tanto più in un’epoca logorroica in cui anche la religione sembra spesso cedere alla tentazione della parola continua, della predicazione incessante e del commento compulsivo.
L’autore richiama al valore del silenzio come cifra autentica del divino. «Dio sa tacere» non perché sia assente, ma perché il suo rivelarsi e velarsi sfugge ai codici abituali della comunicazione umana. Il presente testo pertanto non propone il silenzio come semplice disciplina ascetica, ma come contenuto teologico.
In ciò, s’inserisce in una tradizione che affonda le radici nei padri del deserto, nei mistici medievali, fino alla teologia negativa e a certi approdi della filosofia contemporanea. Tuttavia, il suo sguardo rimane saldamente ancorato alla Scrittura, che viene riletta alla luce di questo paradigma. I silenzi di Gesù – nel deserto, davanti a Pilato, sulla croce – diventano così momenti teologicamente carichi, manifestazioni di una verità che supera il linguaggio.
La struttura del libro si sviluppa come una riflessione teologico-biblica più che come un trattato sistematico. Berger alterna considerazioni esegetiche, citazioni dalla tradizione cristiana, intuizioni personali e provocazioni spirituali. Il tono, a tratti, è sapienziale e meditativo; altrove si fa quasi polemico, quando denuncia le riduzioni verbali della fede o l’incapacità contemporanea d’«ascoltare il silenzio».
Non mancano i riferimenti a figure del cristianesimo moderno che hanno fatto del silenzio una scelta teologica ed esistenziale – Simone Weil, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer, Carlo Maria Martini –. Queste voci, accostate senza forzature, arricchiscono la riflessione e mostrano come il silenzio possa diventare anche una forma di resistenza e di testimonianza.
Uno dei capitoli più suggestivi è quello dedicato al «tacere di Dio», in cui l’autore mostra come la via risolutiva alla questione della teodicea, capace di portare fuori dal «consueto impiccio teologico», è offerta paradossalmente dal silenzio (di Dio). Il drammatico interrogativo di Gesù inchiodato sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34) – come tutte le altre domande della teodicea – non trova risposta. Dio tace e la risposta viene offerta da Dio stesso attraverso il suo agire, nella resurrezione del Figlio.
Secondo Berger, il grido di Gesù va tradotto: «A che scopo mi hai abbandonato?» e nel racconto di Marco la risposta è racchiusa nell’agire pasquale di Dio, che rompe il silenzio. Il contrasto fra grido e mistero ritorna in un altro enigmatico e provocatorio detto gesuano: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Chi proibisce di gridare ai discepoli dovrà ascoltare il rumore del Tempio che crolla e rompe il silenzio di tomba politico, conseguenza dell’assassinio dei profeti. Conclude l’autore: «Il contrasto fra silenzio e grido è netto e penetrante come nessun altro. È un contrasto stridente nel senso più vero del termine, e concerne le circostanze nelle quali il Vangelo è nel mondo» (219).
Berger non potrà essere ricordato soltanto come quel raffinato esegeta che, nelle sue numerose pubblicazioni sul Gesù storico, è approdato a sostenere che nella Third Quest si è fatta strada l’idea che non si possa scindere la rivelazione dai suoi destinatari. Egli ha pure svolto un magistero in forma orale nella docenza e nelle numerose conferenze, qualificandosi come costruttore di ponti fra esegesi filologica e predicazione, studio del testo e applicazione alla vita spirituale.
La sua esegesi del Nuovo Testamento è orientata alla fede, senza rinunciare al rigore accademico. Il suo contributo alla cristologia contemporanea consiste nel tener insieme ciò che spesso viene separato: il Gesù storico e il Cristo della fede, la parola e il silenzio, l’esegesi e la spiritualità.
La teologia del silenzio non è fuga dal mondo, ma un invito a riscoprire una dimensione fondamentale dell’umano e del divino. Emblematicamente, Berger sostiene nel suo saggio che il silenzio non sia una lacuna della comunicazione, bensì la sua forma più profonda. La raccomandazione vale per la Chiesa di oggi, troppo spesso affannata nel dire, nel rispondere, nel proclamare, e troppo poco disposta ad abitare il mistero.
M. Vergottini, in
Il Regno Attualità n. 10/2025, 283