Moralità e fede sono due figure concettuali di un suggestivo dialogo che l'A. ricostruisce come uno dei temi e problemi fondamentali e più controversi dell'etica teologica. Docente di teologia morale nella Facoltà teologica della Pontificia Università Urbaniana di Roma e professore invitato presso l'Università degu studi «Carlo Bo» di Urbino, Zuccaro mette a frutto in quest'opera l'esperienza di tanti anni di ricerca e di insegnamento testimoniati e scanditi da pregevoli pubblicazioni che dimostrano non solo competenza e dedizione alla ricerca, ma anche grande capacità didattica e comunicativa. oltre che una sorprendente informazione scientifica e filosofica.
L'idea centrale, la finalità protreptica di quest'ultima pubblicazione, va individuata nel tentativo di rielaborare una teologia morale fondamentale scientificamente e filosoficamente informata, lontana sia dalle facili derive del relativismo morale che dalle dure contrapposizioni del fondamentalismo religioso. Il suo invito a rivedere pregiudizi e linguaggi culturali e a situare la riflessione e l'analisi sul terreno dell'interculturalità e delle ampie conseguenze etiche che ne derivano impone alla teologia morale di ripartire dal vissuto di un contesto personale e socio-culturale segnato dalla religione cristiana, ma anche da altre religioni e visioni dell'uomo e del mondo.
Questo non significa appiattire la normatività del discorso morale sul dato empirico, di fatto, e tanto meno cercare una facile composizione tra speculazione scientifica, filosofica e teologica. Significa più profondamente ricercare e sviluppare il senso di un dialogo e di una convergenza tra diverse discipline, e ultimamente tra fede e ragione, da cui dipende il destino stesso della teologia morale, la sua identità, il suo metodo, ma soprattutto il contributo che intende dare alla soluzione di tanti problemi.
L'A. riconosce la difficoltà dell'impresa, ma non rinuncia a disegnare scenari e intrecci di un dialogo sempre preoccupato della verità e consapevole che solo approfondendo e comparando termini e contenuti di un dialogo interculturale si può vantaggiosamente reggere la sfida.
L'opera in questione, accolta nella prestigiosa «collana verde» dell'editrice Queriniana, è suddivisa a partire da uno schema classico e ormai collaudato nei manuali di teologia morale fondamentale. In effetti se si eccettua la mancanza di due capitoli riservati rispettivamente alle fonti della moralità e alle virtù, compensati per altro da altri due dedicati allo sviluppo delle fonti della teologia morale e all'analisi dell'opzione fondamentale, gli altri capitoli che formano il classico manuale di teologia morale ci sono tutti. Non solo, ma la loro disposizione prevede, come nella manualistica più tradizionale, alcuni «Praenotanda», che l'A. interpreta come «Invito allo studio», nonché la consueta analisi dei dati sia di fede che di ragione.
Il primo dei nove corposi capitoli del volume, intitolato Questioni epistemologiche iniziali (pp. 9-50) è un'introduzione che permette all'A. di «scoprire le carte», di chiarire subito, in via preliminare, che l'orizzonte entro cui colloca e dipana la sua riflessione e analisi è un'«assunzione privilegiata del metodo trascendentale legato alla filosofia linguistica» (p. 9).
Il secondo capitolo, La teologia morale nella storia (pp. 51-86), serve all'A. per ricordare a tutti che stiamo camminando «sulle spalle dei giganti», a partire ovviamente da Gesù di Nazareth e da altri grandi rappresentanti e testimoni del suo annuncio che hanno lasciato il segno delle loro orme nei territori più o meno esplorati della tradizione patristica, dell'alto e basso medioevo, del concilio di Trento e dintorni, fino al concilio Vaticano II.
Il terzo capitolo, Lo bibbia nella morale (pp. 87-128), rappresenta in qualche modo una novità nella suddivisione classica della materia: si tratta in effetti di un'interessante ripresa del percorso storico alla ricerca di un'«anima per la teologia» che permetta di verificare e valutare l'uso più o meno pertinente o strumentale della bibbia nelle varie epoche della riflessione teologico-morale.
A partire dal quarto capitolo, intitolato L'evento Cristo e la teologia morale (pp. 129-160), la riflessione si fa alquanto piti astratta e speculativa. L'A. riprende infatti l'annosa questione sulla possibilità o meno di un'etica «etsi Deus non daretur» O «veluti si Deus daretur», che si configura oggi come l'ennesimo tentativo di ripensare il rapporto tra autonomia morale ed etica della fede, evitando da una parte le secche di una contrapposizione dura, ideologica, e dall'altra ricollocando il problema del cosiddetto «proprio» di una morale cristiana nella verità della relazione dell'incontro con Cristo e della sequela dei discepoli con un «solo maestro che non è mai solo» (p. 155).
Il quinto capitolo, La legge naturale (pp. 161-208), è sempre stato ed è tuttora un classico della teologia morale cattolica, e ciò per due motivi principali: anzitutto perché ne parla la stessa Scrittura, in particolare la lettera ai Romani; in secondo luogo perché la legge naturale, comunque la si interpreti, è una categoria del pensiero cui è difficile rinunciare in teologia morale, non fosse altro per il fatto che attraversa tutta la riflessione teologico-morale dai padri della chiesa a Tommaso d'Aquino, dalla tradizione post-tridentina al dibattito post-conciliare. La novità è che l'A., «alla ricerca della natura perduta», reimposta tutta la questione in termini prevalentemente antropologici, a partire cioè - come egli scrive - da un'«antropologia dell'indigenza» che individua nella storicità della legge naturale il punto di dialogo e di convergenza tra l'interpretazione dell'Aquinate e alcune concezioni contemporanee.
Il sesto capitolo, dedicato a La coscienza morale (pp. 209-276), da lui definita «la regia presente dietro le quinte», rappresenta a mio giudizio il punto nodale di tutto il volume. Che dapprima descrive la coscienza come labirinto, poi ne individua le radici bibliche e storiche, quindi la interpreta come punto di arrivo e di ripartenza verso quella sintesi che il concilio Vaticano II ha indicato come meta da raggiungere, oltre che come percorso da riconoscere e fare insieme da pellegrini indigenti quali siamo, sempre pronti al dialogo e disponibili al confronto.
Il settimo capitolo, L'opzione fondamentale (pp. 277-305), «la stella polare della vita», la «decisione di ogni decisione», come la definisce in modo brillante l'A. (p. 104), riprende quella riflessione trascendentale secondo la quale la cosiddetta opzione fondamentale non è da considerare un atto accanto agli altri o come gli altri, bensì un atto che li trascende e al tempo stesso li attraversa come il filo di una collana, che non sarebbe tale, se oltre alle perle non vi fosse un filo che le tiene unite. Fuori metafora l'opzione fondamentale è un atto trascendentale che s'incarna in una serie di atti categoriali e in quanto tale non può essere conosciuto che indirettamente e in ogni caso mai in senso compiuto e definitivo.
L'ottavo capitolo, Il peccato (pp. 307-342), prende avvio dal contesto e dalle coordinate di un'antropologia che vede nel peccato un evento di natura teologica, ma anche antropologica, un «mentire lucidamente a se stessi». Il che implica due problemi che solitamente nei manuali anche recenti non vengono adeguatamente indagati: il primo, piu tradizionale, riguarda la distinzione teologica, oltre che specifica e numerica, dei peccati; il secondo, molto meno indagato e discusso, chiama in causa la dimensione specificamente teologica del peccato: come sia possibile un'offesa a Dio in colui per il quale Dio non esiste e in secondo luogo se l'uomo possa comunque raggiungere e offendere il Dio trascendente.
II nono e ultimo capitolo, Il discernimento morale (pp. 343-383), offre all'A. l'opportunità di riprendere l'invito di Gesù, «Va' e anche tu fa' lo stesso», a riguardo del quale egli opportunamente osserva: «Una delle carenze più gravi nell'educazione morale, come risulta dall'esperienza, consiste nel fatto che molte volte quando un fedele chiede un consiglio per risolvere un dubbio sulla scelta buona da farsi in una concreta situazione, si sente rispondere alternativamente o di obbedire alla legge della chiesa che certamente conosce oppure di seguire la propria coscienza» (p. 344). Come superare tale alternativa?, si chiede. E risponde che vi è un solo modo: operare un corretto discernimento morale avvalendosi delle norme già date e in caso di conflitto ricorrere all' aiuto della comunità dei credenti, del magistero, della Parola di Dio, dei sacramenti, in particolare dell'Eucaristia, imparando a diventare da commensali a servi e da servi a cittadini.
Come si può intuire, siamo di fronte a un volume molto ricco e articolato che merita a pieno titolo il riconoscimento, per altro non sempre ambìto, di manuale. Come genere letterario quello dei manuali viene spesso accompagnato da diffidenze, ambiguità, ripulse. Anche perché solitamente si imputa ai manuali l'accusa di essere uno strumento di indottrinamento, al fondo autoritario, teso a chiudere ogni insegnamento e apprendimento entro schemi ben definiti e una volta per tutte. Preoccupazione senz'altro legittima, che però non fa venir meno la necessità di strumenti, come sono appunto i manuali, che mettono le persone, e in particolare gli studenti, nella condizione di assimilare i frutti più maturi della ricerca e di apprendere un metodo che permetta loro di ricevere il testimone del sapere per poi proseguire lungo la strada della conoscenza.
Un secondo merito da riconoscere al volume, e ovviamente al suo A., è di aver messo subito in chiaro l'orizzonte di una ricerca tutta tesa ad aprirsi una strada tra relativismo morale e fondamentalismo religioso, adottando un metodo ormai collaudato, quello trascendentale, che permette di andare oltre la contrapposizione tra proposizioni di fatto o logiche e proposizioni normative. Una proposizione normativa è ovviamente diversa da un'affermazione logica o di fatto; non per questo però è priva di significato nel senso in cui potrebbe esserlo, che so, «la virtù è triangolare». Proposizioni del tipo «paga le tasse», «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» hanno un senso chiaro per tutti anche se non esprimono fatti percepiti. L'A. pur opponendosi all'antimetafisica del neopositivismo logico non ritorna a difendere dogmaticamente secondo i canoni della vecchia metafisica la realtà di certi principi supremi. Il suo è piuttosto un invito a un'indagine critica della teologia morale che tenga presente i limiti delle possibilità umane, ma allo stesso tempo contribuisca a irrobustirle, renderle più forti e feconde. Egli mette anche in luce positivamente il tentativo di conciliare, attraverso l'assunzione di un'antropologia dell'indigenza, il meccanismo degli agenti naturali e il finalismo che li dirige per custodire e promuovere la vita.
Ma forse è proprio qui che si riscontrano i limiti del metodo trascendentale che l'A. adotta. Tale metodo infatti è certo di grande aiuto in teologia morale, soprattutto nella ricomposizione del rapporto tra fatti e valori e quindi nella legittimazione culturale di una normatività che attraversa l'esistenza e trova il suo fondamento in una ricerca di senso che la trascende. Non sembra però di grande aiuto e utilità nell'elaborazione di un'etica normativa che sia in grado di offrire di volta in volta validi criteri di guida e di scelta del comportamento moralmente giusto soprattutto in situazioni di conflitto tra valori non sempre, e comunque non necessariamente, alternativi gli uni agli altri. L'A. si mostra consapevole del problema. A mio parere si dimostra anche preparato e ben attrezzato per riprendere il tema e svilupparlo a beneficio di un'etica della responsabilità che da un lato non può fare a meno di una fenomenologia dei valori e dall'altro non può rinunciare a elaborare una teoria etico-normativa più attenta alle conseguenze delle scelte e dei comportamenti che siamo chiamati di volta in volta ad assumere nella vita quotidiana. Non è forse compito della teologia morale trasferire tutta una serie di valori morali e non morali, non esclusi ovviamente quelli religiosi e cristiani, dal fragile mondo ideale del cielo stellato sopra e dentro di noi nella durezza della vita di ogni giorno, delle sue contraddizioni, dei suoi conflitti, alla ricerca di ciò che è doveroso, ma anche umanamente possibile?
G. Trentin, in
Studia Patavina 61 (2014) 3, 807-811