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Scegliere la propria fine?
Dietmar Mieth

Scegliere la propria fine?

La volontà e la dignità dei morenti

Prezzo di copertina: Euro 23,00 Prezzo scontato: Euro 21,85
Collana: Giornale di teologia 424
ISBN: 978-88-399-3424-6
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 208
Titolo originale: Grenzenlose Selbstbestimmung? Der Wille und die Würde Sterbender
© 2020

In breve

Prefazione all’edizione italiana di Luciano Eusebi

«Un libro particolarmente persuasivo, che fornisce a tutti – sostenitori e oppositori del fine vita assistito – numerosi motivi di riflessione» Süddeutsche Zeitung.

«Per Mieth la retorica dell’autodeterminazione del paziente, tanto astratta quanto decontestualizzata, è fin troppo in linea con l’interesse sociale a una morte “facile”» Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Descrizione

Il dibattito sul “testamento biologico” non accenna a placarsi, anche una volta regolamentata la questione sul piano giuridico. A mettere a fuoco le questioni etiche fondamentali che, in modo diretto o indiretto, vi sono correlate provvede il libro di Dietmar Mieth: ossia temi come i limiti nell’autodeterminazione del morente, la portata delle disposizioni anticipate di trattamento e il confine fra queste ultime e l’eutanasia.
Il teologo tedesco si chiede, per esempio, se autonomia e autodeterminazione del soggetto non siano state trasformate in materia di propaganda; o quale ruolo giochi oggi il criterio della dignità umana nella giustificazione morale: riflette davvero la visione cristiana del diritto fondamentale alla vita o del divieto di uccidere? «Da molto tempo l’espressione “morire dignitosamente” non ha più nulla a che vedere con quella dignità perenne che occorre riconoscere all’essere umano a prescindere da qualsiasi valutazione della sua condizione personale» (Dietmar Mieth).

Recensioni

Dietmar Mieth, oltre ad aver insegnato a lungo teologia morale a Friburgo e a Tubinga, è stato anche membro della Commissione etica dell’Unione Europea e ha partecipato in qualità di esperto ai lavori della Commissione del Parlamento tedesco su «Etica e diritto nella medicina moderna». In questo libro affronta il tema delicato e complesso del fine vita, prendendo in considerazione le molteplici prospettive in gioco (giuridiche, mediche, filosofiche e teologiche) e cercando, come recita il sottotitolo, di chiarificare i termini della questione: dignità, volontà, autodeterminazione, qualità della vita, ruolo del medico, decisione dei familiari, liceità legislativa.

A questi termini se ne affiancano altri altrettanto importanti (come ad esempio, suicidio medicalmente assistito, eutanasia attiva e passiva, medicina palliativa, accompagnamento alla morte del paziente), che richiedono un’attenta chiarificazione per non incorrere in pericolosi equivoci, soprattutto nel momento in cui uno di essi viene isolato dagli altri e assolutizzato per porsi a norma esclusiva.

«Un sofferente, un morente è in grado di prendere decisioni nette – non si pentirà della sua risoluzione, nel momento in cui l’iter risulti ormai irreversibile? La prognosi del medico è certa nel senso di una sicurezza matematica? E come ci si può cautelare, anche dal punto di vista legale, rispetto al passaggio da un omicidio su richiesta a un omicidio senza richiesta?» (p. 106). Oltre a un impoverimento delle possibilità in gioco in queste situazioni estreme, emerge il grave rischio di prestare il fianco a derive autoritarie che fanno di un caso una regola impositiva per altri.

La dimensione teologica dell’essere umano è un criterio fondamentale per la giustificazione della sua dignità. L’autore la rilegge in funzione a quell’essere «immagine» che lo caratterizza in maniera indelebile: un’immagine che rimanda ad altre immagini chiamate a svelarne la ricchezza di significati, guardandosi da ogni tentativo di reificazione. Degne di nota sono anche le osservazioni circa la distinzione tra eutanasia attiva e passiva, la possibile codificazione etico-giuridica di tali situazioni e l’apporto medico e dei familiari in tali drammatiche situazioni.

Al termine di tale excursus, l’autore ribadisce, in sede filosofica, la distinzione, posta da Max Scheler, tra valore e urgenza di valore; per questo «l’urgenza della conservazione in vita deve sopravanzare il ruolo superiore di una libertà manifestata in una disposizione anticipata» (p. 195). Riafferma il principio che il valore della persona non dipende dall’efficienza delle sue prestazioni.

L’etica professionale medica non può essere intesa come un «meccanismo esecutivo di una volontà che non si manifesta in forma attuale» (p. 196), ma piuttosto dev’essere sempre attenta a comprendere la volontà del malato, anche quando questa non si manifesta verbalmente. Nello stesso tempo va tenuto presente che il principio di autodeterminazione non esime il personale medico dalle proprie responsabilità: il rapporto medico-paziente è sempre un incontro tra due volontà, e rimane oggetto di una considerazione etica che non può mai perdere il suo carattere di unicità e irriducibilità alla mera applicazione di una norma.

Una visione di fede cristiana fornisce ulteriori criteri e pone la questione vita-morte in un contesto di relazione che «non può essere semplicemente modellato secondo “volontà e rappresentazione” […]. L’essere nelle mani di Dio non si realizza solo attraverso la propria volontà, ma anche attraverso il poter fare di altri esseri umani» (p. 199). Una forma di collaborazione che non rinnega la propria impotenza può diventare un aiuto prezioso a chi affronta il momento così difficile, e insieme prezioso, della preparazione all’incontro con l’Autore della vita.

L’edizione italiana presenta una corposa prefazione (pp. 5-39) di Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, che mostra in maniera accurata la legislazione italiana in merito alle possibili opzioni e risvolti in sede etica e penale circa il momento terminale della vita.


B. Varghese, in La Civiltà Cattolica 4112 (16 ott/6 nov 2021) 205-206

La vexata quaestio del «testamento biologico» ciclicamente ancora ricorre sebbene ci sia in diversi paesi una regolamentazione sul piano prettamente giuridico. Conosciamo, tuttavia, le questioni etiche che sono alla sua base? A questo interrogativo risponde l’a., che si domanda se autonomia e autodeterminazione del soggetto non siano state oggetto di manipolazione da parte della più greve propaganda o se il «morire dignitosamente» abbia ancora a che fare con la dignità che sempre deve essere riconosciuta a ogni essere umano. Il vol. esamina queste e altre problematiche ed è arricchito dalla Prefazione di Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.


D. Segna, in Il Regno Attualità 2/2021, 32

Nato a Berlino nel 1940, da vari decenni Dietmar Mieth – già docente di Etica teologica a Friburgo e Tubinga, fondatore del Centro di etica di quest'ultima università e membro di vari organismi internazionali a tutela dei diritti umani nella biomedicina – è un sicuro punto di riferimento per la teologia morale europea. La sua voce, specie su argomenti complessi come quelli che affronta in questo libro, la questione del fine vita e i suoi riflessi teologici, è dunque quanto mai autorevole e, aggiungerei, necessaria. Tanto più in mesi come questi, con la vicenda pandemica in cui ci troviamo immersi che ha favorito l'irruzione della morte nelle case e nelle famiglie, come presenza realissima o almeno come spauracchio costantemente incombente; e, contestualmente, ha costretto a ridisegnare passaggi quanto mai delicati quali la gestione del lutto in assenza della salma del defunto e la pietas naturale verso i morenti.

L'obiettivo del teologo tedesco è qui di riempire di contenuti il meno possibile astratti la nozione che da sempre lo muove nella ricerca, la dignità umana come criterio chiave dell'etica cristiana sin dalle intuizioni bibliche sul divieto di uccidere. Ecco allora la critica all'idea, impostasi nell'opinione pubblica, secondo cui la persona sarebbe resa pienamente libera e messa in condizione di realizzare la propria dignità in merito alle scelte sanitarie relative a salute e vita per il solo fatto che le sia attribuita, al riguardo, un'autonomia decisionale: anche qualora ne derivi la richiesta di un'attivazione per anticipare il momento della morte, con il suicidio assistito o un'eutanasia diretta.

A scanso di equivoci, va precisato che Mieth non intende ridiscutere la centralità del consenso del paziente nell'attività sanitaria, ma contestare il ruolo semplificatorio e unilaterale che, su tali scelte, si vorrebbe ascrivere all'autodeterminazione, da cui si fanno emergere troppe false promesse: perché «non è detto che ovunque compaia sull'etichetta l'autonomia, il pacco la contenga davvero». Nello specifico, gli preme rilevare come la possibilità di decidere, che spesso si trasforma nel dovere solitario di rispondere alle modalità di gestione della malattia proposte dalla società o dalla legge, non implichi necessariamente il realizzarsi della libertà: il paziente «solo in apparenza viene reso libero nel momento in cui deve assumere unicamente su di sé ogni situazione e ogni accadimento personale», dato che l'idea di un'autodeterminazione liberata dalla cura vicendevole rischia di produrre in lui, in realtà, illusioni e aggravi, che non gli sono di aiuto.

È solo nella relazione, infatti, che l'autonomia personale si realizza appieno: contro ogni riduzionismo filosofico, «la libertà concreta non è la libertà pura dell'imperativo categorico di Kant», ma è figlia della solidarietà.


B. Salvarani, in Jesus 1/2021, 90-91