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Teologia della liberazione
Gustavo Gutiérrez

Teologia della liberazione

Prospettive

Prezzo di copertina: Euro 29,00 Prezzo scontato: Euro 27,55
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 11
ISBN: 978-88-399-0311-2
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 368
Titolo originale: Teología de la liberacíon. Perspectivas. Con una nueva introducción: Mirar lejos
© 1972, 20125

In breve

Una riflessione, fondata sull'evangelo e sull'esperienza concreta di gruppi di cristiani dell'America latina, che può riuscire esemplare ed illuminante anche per chi vive in contesti differenti.

Descrizione

Il volume, Teologia della liberazione, pubblicato originariamente in edizione peruviana nel 1971, e prontamente in edizione italiana nel 1972, e tradotto nelle principali lingue internazionali, è ormai un testo di riferimento nel dibattito teologico cattolico ed ecumenico. Con quest'opera la prospettiva dei poveri e degli Oppressi entrava decisamente nella riflessione teologica e prendeva inizio quel vasto e complesso movimento, teologico ed ecclesiale, che ormai va sotto il nome di teologia della liberazione.
A vent'annj dalla prima pubblicazione, esce l’edizione del quinto Centenario dell’America Latina (1492-1992), che si presenta come edizione rivista e corretta e con una nuova stimolante Introduzione dal titolo Guardare lontano. Scrive il teologo peruviano a conclusione della Introduzione: «La Chiesa in America Latina richiede di unire le proprie forze e di non sciuparle in discussioni di corto respiro».

Recensioni

«Credo che la Chiesa stia pagando lo scotto di essersi liberata troppo facilmente della Teologia della liberazione». Lapidario l’intellettuale uruguayano Alberto Methol Ferré, amico e maestro del cardinal Bergoglio, quando anni fa scolpì il giudizio sulla Tdl in un bisticcio di parole. In effetti oggi, a cinquant’anni esatti dall’uscita del libro di Gustavo Gutiérrez che lanciò l’omonima corrente teologica latino-americana, calmate sia le vampate rivoluzionarie dei preti-guerriglieri sia (grazie soprattutto a papa Francesco) le acque dei pregiudiziali sospetti che impedivano un esame più obiettivo delle idee del pensatore peruviano, l’anniversario impone di soppesare un bilancio che non può essere manicheo. Che cosa ci ha lasciato la Teologia della liberazione? È stata un pericolo di marxismo scampato oppure un’occasione perduta per la Chiesa? Anzi, ancor prima: è viva, ha tuttora qualcosa da dire?

Massimo Borghesi, professore di Filosofia morale a Perugia, è uno degli esperti italiani in materia: «Sì, tracciare un bilancio in chiaroscuro è opportuno. Lo ha fatto d’altronde il fondatore stesso della Tdl, che nella seconda edizione della sua opera (1988) ha tracciato un’autocritica molto profonda sulla subordinazione alla metodologia marxista di cui la Teologia della liberazione ha subìto il fascino. Il grande equivoco che ha trascinato migliaia di giovani lontani dalla fede fu l’interpretazione dicotomica della realtà, per esaltare la controviolenza dei poveri e identificare costruzione del socialismo e regno di Dio. L’elemento religioso serviva solo da carburante, ma poi metodo e azione si svolgevano secondo un’idea classista, rifiutando ogni riformismo “borghese”. L’effetto pratico in America Latina furono le dittature militari». Ma poi sono caduti i muri, il socialismo reale ha dimostrato tutti i suoi fallimenti… «E in quel momento doveva essere favorito un autentico impegno per la liberazione, in cui la presenza cristiana si facesse carico anche del sociale senza perciò rinnegare l’appartenenza ecclesiale. Invece a partire dagli anni Novanta la Chiesa si è trincerata in una cittadella, ha avuto paura ed è prevalsa una rassicurante teologia dell’ordine. Abbiamo perso una grande occasione».

Tdl bruciata, dunque? «Sicuramente papa Francesco – che si riconosce nella Scuola del Rio de la Plata, la teologia del pueblo – l’ha riportata in primo piano nella sua forma autentica, e infatti lo accusano di marxismo. È evidente in lui l’attenzione preferenziale per i poveri, la critica a un capitalismo finanziario senza misericordia, la valorizzazione della dimensione popolare. Sa che cosa le dico? Paradossalmente avremmo bisogno di ricostituirla in Occidente, la Tdl...».

Convenirne è immediato per il missionario padre Alex Zanotelli: «La Teologia della liberazione? Mai come oggi è di attualità profonda! Ricordo di aver letto il libro di Gutiérrez quando ero ancora in Sudan, mi ha molto impressionato e sono grato all’autore (che purtroppo ha pagato molto per quell’opera) perché è stato un’ispirazione per molte teologie dell’Africa e dell’Asia. La Tdl in questi 50 anni è diventata ormai un patrimonio ecclesiale, soprattutto ha stimolato le comunità cristiane a capire che la fede – spesso intesa in senso intimistico – dev’essere unita alla vita, cioè alla dimensione politica, economica, ambientale, sociale. Papa Francesco non viene direttamente dalla Tdl, ma ne è stato molto influenzato; quando afferma “Questa economia uccide”, o in vari passaggi dell’enciclica sull’ambiente, riprende di fatto la Teologia della liberazione pur senza usarne il termine – che potrebbe urtare qualcuno. Solo in Europa e negli Stati Uniti c’è più difficoltà ad accettarla, perché siamo troppo legati al sistema che ci sta portando al baratro».

Al contesto internazionale allude pure il professor Andrea Riccardi, ma da storico della Chiesa: «La Teologia della liberazione ha rappresentato anzitutto l’orgoglio dell’America Latina di avere una teologia, nel periodo in cui si discuteva della dipendenza economica e politica del subcontinente. Ratzinger mi confessò che si era mancati nel darne una valutazione positiva, epurandola del marxismo e legandola a un’autentica liberazione dell’uomo; è un giudizio condivisibile. Però la Tdl di ieri è comunque datata a un mondo che non esiste più, a un marxismo che non c’è più... Forse la teologia del popolo, con il fatto di essere legata alla metropoli di Buenos Aires, ha aspetti più durevoli in un contesto culturale di globalizzazione». Mi permetto di tradurre: bisogna andare oltre. «Più ancora, il problema oggi è una mancanza di pensiero teologico: ecco la gravissima questione. La Tdl perlomeno ha mosso una vita della Chiesa, ha avanzato proposte capaci di stimolare un dialogo; ora invece vedo un inaridimento dell’attrazione della teologia accademica e d’altra parte non mi sembra che sorga nemmeno il pensare dal basso. Una teologia che nasca dalla vita ecclesiale è fondamentale; e una Chiesa senza pensiero, senza visione, senza dibattito rischia di essere soltanto amministrazione dei sentimenti. I segni dei tempi, sappiamo ancora leggerli? Abbiamo parlato tanto di secolarizzazione e non abbiamo proposte sulla globalizzazione; basterebbe pensare al fenomeno delle migrazioni».

Ma la Teologia della liberazione ha davvero qualcosa da dire in tale mutato contesto? Suor Antonietta Potente, teologa domenicana che ha vissuto a lungo in America Latina, punta sull’aspetto metodologico: «Questa continua a essere la forza della Tdl: guardare la realtà e cercare il mistero al suo interno. La Teologia della liberazione non ha definizioni a priori, nasce da quanto si constata nella vita e dalla domanda: come parlare di Dio partendo dalla sofferenza degli innocenti? Poi cambiano tempi e contesti, si possono applicare teorie sociali e filosofiche diverse, ma il metodo ha ancora attualità». La critica però è venuta proprio dall’appoggio ricercato nel marxismo. «All’epoca sembrava uno dei sistemi più applicabili alla realtà. Ma la Tdl è stata guardata con sospetto anche per mancanza di conoscenza, un certo tipo di Chiesa si è spaventata perché non ne conosceva la pratica: se avessero considerato la vita e l’impegno gratuito di migliaia di religiosi e di cristiani, il giudizio sarebbe stato diverso e ci sarebbero stati meno sospetti. Comunque tutto questo è passato. La Tdl continua a essere viva, ha generato le teologie contestuali (indigena, femminista, nera…) e soprattutto ha lasciato tante tracce nei cuori e negli stili di tante persone. Quelle che hanno trasformato la loro vita grazie ai suoi stimoli».


R. Beretta, in Avvenire 15 dicembre 2021, 22

Ma se una teologia non è della liberazione, che teologia è? A che serve, su cosa riflette, a quale fine orienta il suo studio? Quella corrente di cui quest'anno celebriamo i cinquant'anni di vita, oggi non scandalizza più i credenti, anche se continua a preoccupare i potenti.

Cinquant'anni dopo la pubblicazione de «La teologia della liberazione» di Gustavo Gutierrez, unPapa venuto dallo stesso continente che aveva generato quel cammino e dalle medesime condizioni di vita, di sfruttamento, di oppressione che l'avevano sollecitata, l'ha fatta comprendere come interpretazione fedele e coerente del mandato di Cristo e del suo Vangelo.

Oggi non ci sono più inchieste, inquisizioni, tribunali e condanne, e a ragione si può dire che quella teologia ha sopravvissuto a una vera epropria persecuzione manon scegliendo il nascondimento delle catacombe, quanto piuttosto metabolizzandosi nella stessa vita della comunità cristiana, assumendo nomi, forme e ministeri diversi rispetto alle comunità di base con cui avevamo familiarizzato e un linguaggio che non avvertiamo più così antagonista rispetto a quello fumoso e criptico dei documenti magisteriali. Cinquant'anni fa il sistema della «economia que mata» (l'economia che uccide) veniva denunciato come ordine che tradiva la volontà di salvezza (liberazione) di Dio, oggi si ritrova nelle encicliche, diventa parte dell'analisi di movimenti, comunità e gruppi inseriti, ad esempio, nei percorsi di Economy of Francesco.

Ci sono letture della situazione sociale e dell'ordine mondiale che erano già scolpite nel testo di Gutierrez, in quelli successivi dei teologi della liberazione e nella prassi di comunità di base che venivano accusate di orizzontalismo, di appiattimento sui paradigmi marxisti e di negazione di ogni trascendenza. Oggi le stesse considerazioni che declinano la carità non come beneficienza ma come amore solidale e che puntano anche a contribuire a rimuovere le cause che generano la miseria, le troviamo nei convegni delle Caritas, nelle scelte delle chiese locali, negli orientamenti pastorali ordinari.

Tutti indizi che ci fanno dire che la Teologia della liberazione non è stata né sconfitta né normalizzata, piuttosto si è diffusa penetrando nel tessuto ecclesiale, ispira scelte, orientamenti e prassi concrete.

In questo hanno contribuito in maniera determinante il Sinodo dei vescovi per la regione pan-amazzonica (Roma, 2019) e la conseguente Esortazione apostolica Querida Amazonia, ma anche il processo sinodale della chiesa universale in corso e l'attenzione verso la cura della casa comune che da tanti anni è oggetto di studio e riflessione da parte di eminenti teologi della stessa Teologia della liberazione.

A rileggere oggi le due Istruzioni della Congregazione per la dottrina della fede (1984 e 1986) firmate dal Prefetto Ratzinger, che intendevano correggere alcune posizioni, tesi e orientamenti della Teologia della liberazione, si resta quasi increduli e, per certi versi francamente sgomenti. Per grazia di Dio lo Spirito non si è lasciato intimidire dai richiami e continua piuttosto a soffiare per rendere concreto il cammino esodale, di liberazione.


T. Dell’Olio, in Rocca 23/2021, 17

Cinquant'anni fa, nel dicembre del 1971, veniva pubblicata a Lima la Teologia della liberazione di Gustavo Gutiérrez, oggi novantatreenne, frate domenicano di origine quechua, la popolazione nativa del Perù. Il libro fu tradotto in tutte principali lingue (in italiano da Queriniana nel 1972), dando risonanza a un movimento teologico che si innestava sul percorso intrapreso dalla Chiesa cattolica sudamericana all'indomani del Concilio Vaticano II. La conferenza dell'episcopato latino-americano (Celam), tenutasi a Medellín in Colombia nel 1968, si proponeva di ripensare alla luce dei documenti conciliari il ruolo della Chiesa nelle trasformazioni in atto nel continente.

In preparazione di quell'incontro, l'allora quarantenne Gutiérrez tenne una conferenza, pubblicata l'anno successivo, dal titolo Verso una teologia della liberazione. Egli stesso ha spiegato come il tema propostogli, la «teologia dello sviluppo», non gli piacesse; aveva invece scelto la parola «liberazione», con un chiaro riferimento al libro dell'Esodo, in cui Dio libera il suo popolo dalla schiavitù d'Egitto.

Non era solo un fatto lessicale. li dibattito degli anni Sessanta ruotava intorno all'opposizione tra Paesi sviluppati del Nord del mondo e quelli in via di sviluppo. Non usciva dalla dicotomia neppure l'enciclica Populorum progressio emanata da Paolo VI nel 1967, che affrontava il problema delle diseguaglianze economiche, sino ad ammettere, pur tra mille cautele, il ricorso allaviolenza di fronte a situazioni di palese ingiustizia. La scelta di Gutiérrez capovolgeva la prospettiva e si proponeva di scrivere «dal rovescio della storia», cioè a partire dalla povertà e dall'emarginazione proprie di gran parte della popolazione dell'America Latina, che si riflettevano nei regimi autoritari del continente.

Per «fare teologia» in un simile contesto occorreva prendere le mosse dalla situazione concreta di chi doveva ricevere l'annuncio cristiano, non più da un astratto contenuto della fede, come i teologi avevano fatto sino ad allora. A questo fine, era necessario utilizzare gli strumenti dell'analisi sociologica ed economica, discipline polarizzate in quegli anni tra l'impostazione liberaI-funzionalista (a cui risaliva il paradigma dello «sviluppo») e quella marxista (centrata invece sul «conflitto di classe»). La scelta dei teologi della liberazione non poteva che andare nella seconda direzione, anche se i più avvertiti non arrivarono mai a utilizzare le categorie economiche e sociologiche (non solo marxiste) in sostituzione di quelle teologiche, ma solo come strumento di comprensione della situazione presente.

In altri termini, i poveri delle beatitudini evangeliche non sono mai diventati per Gutiérrez i proletari di Marx, come pure gli fu imputato; nondimeno non sono rimasti una categoria astratta o moraleggiante, come in gran parte della teologia europea, bensì una precisa realtà storica.

Pesava sulla nascente esperienza teologica e pastorale il precedente di Camilo Torres, sacerdote colombiano pressoché coetaneo di Gutiérrez; dopo gli studi a Lovanio, Torres divenne una figura di spicco della sociologia e al tempo stesso animatore religioso e sociale nei contesti più poveri, sino all'adesione alla guerriglia contro il governo appoggiato dai militari, in cui trovò la morte nel 1966. Uno sguardo alle date basta a smentire qualsiasi rapporto diretto con la teologia della liberazione, ma l'enfasi posta sulla sua figura (più in Europa che in America Latina, a dire il vero) ha contribuito a diffondere l'equivoco e a fornire agli avversari della teologia della liberazione un argomento per accusarla di avere una radice malata (l'analisi sociologica di impronta marxista).

Nel corso degli anni Settanta altre voci si aggiunsero a quella di Gutiérrez, tra cui il salvadoregno Jon Sobrino e i fratelli brasiliani Clodovis e Leonardo Boff. Soprattutto, con l'appoggio di un nucleo importante di vescovi, i brasiliani Hélder Camara e Paulo Arns per primi, la teologia della liberazione innervò la scelta preferenziale per i poveri, ispirando e dando statuto teologico all'esperienza delle «comunità di base» o «Chiesa popolare», quale espressione di una Chiesa vicina ai ceti più umili, impegnata ad annunciare il regno che verrà, ma pure a migliorare le concrete condizioni di vita di quanti sono nel «rovescio della storia».

Alcuni esponenti della teologia radicalizzarono le proprie visioni sino a seguire le orme di Torres: ad esempio Ernesto Cardenal fu protagonista della rivoluzione sandinista in Nicaragua e a lungo ministro della Cultura, venne pubblicamente ripreso da Giovanni Paolo II durante un viaggio apostolico, poi sospeso a divinis, infine riabilitato da Papa Francesco.

Non va però dimenticato il tributo di sangue pagato da numerosi altri, primo tra tutti il gesuita Rutilio Grande assassinato in Salvador dai paramilitari che di lì a poco avrebbero ucciso anche l'arcivescovo Oscar Romero: questi, pur non avendo alcun legame con la teologia della liberazione, dall'amico gesuita aveva derivato l'applicazione del concetto conciliare di «popolo di Dio» alla concreta situazione della sua Chiesa.

L'elezione di Karol Wojtyla nel 1978 riorientò l'azione della Sante Sede verso il contrasto alla minaccia dell'ateismo promosso dai Paesi comunisti, depotenziando le aperture del Concilio e la disponibilità a una maggiore articolazione interna del cattolicesimo mondiale che aveva caratterizzato gran parte del pontificato di Paolo VI. Nel clima di una rinnovata guerra fredda, tutto ciò che, da una prospettiva eurocentrica, poteva sembrare un cedimento al nemico al di là del Muro doveva essere ridimensionato. La conferenza della Celam tenutasi a Puebla (Messico) nel 1979 ribadì l'opzione preferenziale per i poveri, pur cercando di non prestare il fianco alle critiche, ma l'intervento di Giovanni Paolo Il lasciò già intendere quello che di lì a poco sarebbe accaduto. Da un lato, mentre venivano meno i vescovi che avevano accompagnato il cammino della teologia della liberazione, le nomine dei loro successori portarono alla marginalizzazione delle comunità di base e delle altre forme di pastorale ispirate a essa. Dall'altro lato, la Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal 1981 da Joseph Ratzinger, iniziò a metterne sotto esame i contenuti e i protagonisti, giungendo ad emanare due «lstruzioni», nel 1984 e nel 1986, che imputavano alla teologia della liberazione l'assunzione acritica del marxismo all'interno della riflessione teologica, con la riduzione del cristianesimo a mera prassi politica e sociale, e la costruzione di una Chiesa alternativa, con le comunità di base, opposta a quella gerarchica e istituzionale.

Per ben due volte, la seconda direttamente a Roma nel 1984, venne richiesto ai vescovi peruviani di sottoscrivere la condanna di Gutiérrez, ottenendo solo una drammatica spaccatura. Leonardo Boff fu invece costretto al silenzio nel 1985 per le sue tesi ecclesiologiche e lasciò l'abito francescano nel 1992, mentre il fratello Clodovis, anch'egli oggetto di sospetti nel corso degli anni Ottanta, è ora approdato a un ripensamento critico delle precedenti posizioni. Nel 2007 la Congregazione per la dottrina della fede ha condannato alcuni scritti di Jon Sobrino, senza comminargli sanzioni sul piano personale.

Nel 1996, rispondendo a Luigi Accattoli, Giovanni Paolo II disse: «Oggi, dopo la caduta del comunismo, è caduta anche la teologia della liberazione». Secondo i dati del Pew Research Center, nel 1970 i cattolici rappresentavano il 92% della popolazione del Brasile e nel 1980 la percentuale era diminuita solo di qualche punto, ma nel 2010 era crollata al 65%, a fronte dell'impetuoso sviluppo delle Chiese pentecostali di ispirazione nordamericana.

Nel 2013, a pochi mesi dalla sua elezione, Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Gutiérrez; nel 2015 ha beatificato Romero, infine proclamato santo nel 2018 insieme a Paolo VI.


M. Rizzi, in Corriere della Sera – La Lettura 7 novembre 2021

Cinquant'anni fa, nel 1969, a Montevideo veniva pubblicato un volume intitolato Hacia una teologia de la liberación (Verso una teologia della liberazione). Autore era un ancor giovane teologo, Gustavo Gutierrez, nato nel 1928 a Lima, con studi di medicina nella sua città natale, di filosofia e psicologia a Lovanio e di teologia a Lione. In quel titolo risuonava il sintagma «teologia della liberazione» che sarebbe diventato un vessillo sventolato in tutta l'America Latina e una sorta di incubo invece in certi ambiti ecclesiali, a partire dalla Curia romana.

Due anni dopo, nel 1971, a Lima appariva un suo testo programmatico dal titolo lapidario Teologia della liberazione (tradotto in italiano l'anno successivo dalla Queriniana di Brescia), scandito da una prospettiva dirompente rispetto alla riflessione dominante di allora. Diverso, infatti, era il contesto, diversi gli interlocutori, diverso il metodo, diverso l'impianto tematico. Per il mondo occidentale di matrice europea la sfida che apriva sfide brucianti era la secolarizzazione, la non credenza. Per l'orizzonte latino-americano era la non-umanità ossia il povero, l'oppresso, lo sfruttato. Il quadro religioso non era messo in crisi da un assalto intellettuale e teorico, bensì da una società disumana che infrangeva il canone cristiano della dignità personale e della carità. Si comprende, così, la ormai celebre e fin abusata formula coniata nella conferenza dell'episcopato latino-americano tenutasi in Messico a Puebla nel 1979, dieci anni dopo il primo saggio di Gutierrez: «l'opzione preferenziale per i poveri».

La teologia della liberazione riceveva, così, un avallo ecclesiale che, però, non avrebbe compresso la sua vitalità fremente che spinse alcuni esponenti a ricorrere a strumenti esterni, come l'analisi marxista della storia, oppure la teoria socio-politica della dipendenza strutturale dei paesi latino-americani dall'imperialismo statunitense, o anche le pulsioni rivoluzionarie che si agitavano nel continente. L'asse si spostava, così, sempre più su istanze sociali configurando una sorta di escatologia terrena, creando reazioni da parte delle istituzioni centrali della S. Sede. Si ebbe, allora, una prima Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione, emessa nel 1984 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che marcava le cadute ideologiche di certe impostazioni militanti del movimento.

In realtà - e Gutierrez ne è un esempio - erano molti anche gli aspetti positivi, a partire proprio dal concetto di libertà che non può essere considerato solo in astratto ma nel suo esercizio concreto all'interno dei processi storici e socio-culturali, trasformandosi così in «liberazione». È supponendo tale linea che si muoveva la seconda Istruzione su libertà cristiana e liberazione proposta nel 1986 dalla Congregazione vaticana. In questa luce la teologia non poteva essere neutra, ma nel contesto specifico doveva attualizzarsi con una solidarietà effettiva, schierandosi dalla parte degli oppressi e dei poveri. Non si deve ignorare che gli eventi fondanti della fede biblica, come l'esodo di Israele dalla schiavitù dell'Egitto e lo stesso annunzio e l'opera di Cristo, si muovono lungo questa traiettoria.

La concezione di Gutierrez si colloca in una simile prospettiva. La Chiesa si deve inserire come seme e lievito nei processi di liberazione integrale della persona e dei popoli, offrendo il suo contributo efficace perché il regno di Dio, eretto sulla verità e sulla giustizia, inizi già ora ad essere edificato come prima tappa della pienezza escatologica. La teologia ha la funzione di elaborare una riflessione critica del comportamento ecclesiale, ribadendo alcuni capisaldi come la dignità della persona, la nozione del Dio biblico presente e attivo nella storia, la dimensione comunitaria e non intimistica della fede cristiana, la Parola di Dio non come astratto contenitore di verità ma come dinamica promozione di carità e giustizia, così da creare l'«uomo nuovo» più libero e nella pienezza della sua persona.

La figura del teologo peruviano è stata un punto di riferimento per molti, anche per il rigore e il calore del suo pensiero che è stato capace di evitare certe derive socio-politiche, senza però edulcorare l'incidenza concreta della sua visione. Essa si basa, infatti, su una liberazione "integrale" perché compatta e unitaria è la persona umana e, quindi, la teologia esige di essere sempre incarnata e contestualizzata. Si è, così, allargato nelle sue opere successive l'orizzonte, coinvolgendo temi come le minoranze, la vita, la dimensione mistica, la sessualità, l'istruzione e la cultura. Anche se ora meno rilevante, proprio a causa di un differente contesto socio-culturale e politico, la riflessione di Gutierrez rimane uno snodo ancor vivo nella teologia e nella pastorale come è attestato dal magistero di papa Francesco.

Non bisogna, però, dimenticare che, proprio sull'America Latina si sta allargando il manto di una concezione religiosa (considerarla «teologia» è eccessivo) antitetica. È la cosiddetta «teologia della prosperità» di matrice neoliberista e conservatrice. Essa parte da un asserto anticotestamentario, per altro criticato da Gesù stesso (si legga Giovanni 9,1-3), secondo il quale al delitto corrisponde un castigo, a una sofferenza una colpa, a una ricchezza la benedizione divina che avalla l'operato del beneficiato. Si individua, allora, nella salute, nel benessere, nel successo economico-sociale, nella «prosperità» appunto, la benedizione o l'approvazione di Dio. Povertà, malattia, miseria, infelicità segnalerebbero invece il giudizio e la maledizione divina.

Questa giustificazione meccanica del bene e del male, che è agli antipodi della lettura «liberazionista», ha attualmente un grande successo in molti gruppi religiosi sudamericani, soprattutto di natura pentecostale-carismatica o in nuove «Chiese» evangelicali che hanno un forte impatto sulla popolazione marginale come forza illusoria, e sulla stessa vita politica (è, ad esempio, in Brasile il caso di molti sostenitori di Bolsonaro e del sindaco di Rio de Janeiro, capo di una nuova «Chiesa»).

Infine, tra le varie opere di Gustavo Gutierrez tradotte in italiano dalla Queriniana, segnaliamo: Allo ricerca dei poveri di Cristo. Il pensiero di Bartolomeo de las Casas (1995); Bere al proprio pozzo (1989); Il Dio della vita (1992); La forza storica dei poveri (1981); Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell'innocente (2018); Teologia della liberazione (20125).


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 19 maggio 2019