«Alla bella età di 84 anni, una delle figure che maggiormente hanno segnato il Novecento teologico si interroga sul tema dell’etica nell’era della globalizzazione postmoderna, ricollegandosi, sin dal titolo, all’opera che lo ha reso famoso (Teologia della speranza, 1964). Ne esce un libro di notevole interesse e piacevolissima lettura: Moltmann raggiunge senz’altro l’obiettivo dichiarato in apertura, di rivolgersi cioè a un pubblico che va al di là della cerchia degli specialisti. Egli utilizza materiali in parte ripresi da altre pubblicazioni, attinge alle riflessioni svolte nei corsi di etica regolarmente tenuti a Tübingen negli scorsi decenni, si confronta con le prese di posizioni ecumeniche delle tre grandi famiglie confessionali. […]
Anche l’etica, lo sappiamo, è diventata un campo estremamente specializzato, e già il fatto di trovare considerazioni di etica fondamentale, di bioetica, di etica ambientale e infine politica in un solo volume è ormai abbastanza raro; esso è esposto, anche, alla critica degli specialisti dei singoli settori i quali, comprensibilmente, avvertono un insufficiente approfondimento dei singoli temi, un’informazione sul dibattito che potrebbe essere perfezionata ecc. D’altra parte, la teologia e la chiesa hanno bisogno di proposte di questo genere, che indichino sia un progetto complessivo sia le sue conseguenze nei singoli ambiti. Lo sviluppo della teologia moltmanniana sembra, per molti aspetti, rendere un simile progetto meno improbo che in altri casi. La dimensione etica è infatti sempre stata, nelle riflessioni del teologo tedesco, strettamente collegata alla trattazione dogmatica.
Correlativamente, in questo libro, egli si mostra assai interessato al profilo biblico e teologico dell’etica, che deve lasciare le proprie tracce anche negli ambiti nei quali i tecnici e gli specialisti vorrebbero, a volte, avere la prima e l’ultima parola. Non è un programma facile da realizzare, per le ragioni ricordate anche in queste note. La componente pensosa dell’opinione pubblica, tuttavia chiede alla chiesa esattamente questo: che cosa essa abbia da dire, in nome dell’evangelo, sulle grandi questioni che appassionano, e anche angosciano, il nostro tempo. E si può essere grati a questo grande vecchio del pensiero evangelico per aver voluto, ancora una volta, offrire l’apporto di un’“esperienza di pensiero teologico” (per richiamare un’altra sua opera) che ha pochi eguali nel panorama attuale».
F. Ferrario, in
Protestantesimo 67/2 (2012) 167-171