Nessun libro della Bibbia costituisce o contiene un trattato esplicito di economia. Ciò nonostante la Scrittura ha inevitabilmente ispirato una linea precisa di morale economica che ha attraversato i secoli. Memorabili sono gli insegnamenti di alcuni Padri della Chiesa riguardo a questioni di economia sociale. Basilio di Cesarea parla così contro i ricchi: «Quali sono, dimmi, i beni che ti appartengono? Appropriandoti dei beni che avevi ricevuto per amministrarli ti sei trasformato in sfruttatore. Il pane che ti riservi appartiene all’affamato; i vestiti che custodisci nell’armadio appartengono all’ignudo; le scarpe di cui è piena la tua casa appartengono allo scalzo; il denaro che nascondi nelle casse è del bisognoso. Così, tu commetti tante ingiustizie quanti sono gli uomini che potresti soccorrere».
Ambrogio di Milano a sua volta, si fonda sulla teologia della creazione per tirare fuori principi morali che riguardano l’uso del mondo: «Quel mondo che voi, pochi ricchi, cercate di difendere per voi, è stato creato per tutti».
Costituendo un elemento della vita dell’uomo, immagine di Dio, l’economia fa parte degli elementi da considerare nell’ottica di Dio. Tale considerazione diventa ancor più urgente e pertinente in un mondo dove – purtroppo – l’economia non è più solo parte, ma tende a costituire quasi l’unico orizzonte dell’esistenza umana. È per questo che il manuale di Teologia morale economica di Gianni Manzone costituisce una ricca e attuale miniera per attingere orientamento e criteri valutativi e orientativi per i quasi sterminati aspetti della vita economica dell’uomo d’oggi. Il testo costituisce il quinto dei sette volumi volume del «Nuovo corso di teologia morale» edito dalla Queriniana. (È il secondo già pubblicato dopo il volume introduttivo di Maurizio Chiodi, Teologia morale fondamentale, che abbiamo già presentato su theologhia.com).
Tornando all’egemonia economica, Manzone osserva nell’introduzione generale del volume: «L’iniziativa produttiva tende ad emanciparsi da ogni riferimento all’uomo, artefice e responsabile di se stesso, e ad elaborare bisogni ‘artificiali’ nel senso di inautentici, imposti cioè da necessità estrinseche, quali quelle del meccanismo economico e della sua crescita. Allora diventa più urgente sapere il più chiaramente possibile ciò che l’economia può provvedere, e quando e fino a dove può fallire, producendo un nuovo asservimento dell’uomo» (5).
L’autore sostiene che il compito della morale non può limitarsi a determinare il confine tra lecito e illecito nella scia della vecchia morale casistica, ma deve presentare uno quadro vivibile informato dai principi della fede e volto a trasformare il rapporto al mondo e il mondo stesso. «Se c’è un accento che deve essere messo nel discorso morale cristiano per rispondere alle necessità dell’epoca, esso è quello relativo al carattere ‘promettente’ dei beni, che ci rimanda al bene e ci impegna a rinnovare le tracce del Dio vivente nelle realtà della creazione. La morale economica diventa testimonianza della vicinanza e provvidenza di Dio attraverso i suoi doni che l’uomo è chiamato ad amministrare nelle attività economiche» (8).
Il manuale si suddivide in tre parti. La prima è fondativa e attraversa i dati della tradizione cristiana (cap. 1) che va dai dati patristici fino al rinnovamento della morale economica dal Vaticano II ad oggi. Dopo questa panoramica presenta il fondamento biblico-teologico della morale economica, manifestando – nel cap. 2 – come il dato biblico non si presta a dare facili risposte da cui si traggono immediatamente risposte e soluzioni agli attuali problemi morali, perché la Bibbia stessa non si presta (e non è intesa per prestarsi) a soppiantare la riflessione normativa con un deduttivismo acritico. Il terzo capitolo abbozza un paradigma appropriato per comprendere e vagliare le attività economiche. Il paradigma scelto è quello di ispirazione personalista considerato da Manzone il «più adatto come precondizione dell’interpretazione ‘comprensiva’ della morale economica. Ispirato alla Dottrina sociale della chiesa, mette in luce come le attività economiche siano più che uno scambio di beni e capitali; esse consistono prima ancora in relazioni umane, a cui le persone partecipano in diversi modi» (96). Sulla base degli assunti della visione personalista, il capitolo seguente sviluppa una riflessione riguardo alla responsabilità personale e politica nella sfera economica.
La seconda parte dell’opera intitolata «I diversi momenti dell’attività economica» costituisce una ricchissima panoramica nella varietà delle tematiche trattate. In questa parte, l’autore applica le istanze formulate nella prima parte a tante dimensioni dell’esperienza economica personale e sociale. Elenchiamo solo alcuni dei tanti momenti trattati dall’autore: i contratti, la concorrenza, il lavoro, il diritto del lavoro, la disoccupazione, lo sciopero, le professioni, l’impresa, la leadership manageriale, il marketing, la pubblicità, il denaro, le banche, il credito e l’usura. La terza parte del volume si dedica invece a questioni dell’etica dell’ambiente.
In chiusura di questa breve presentazione consideriamo alcuni elementi di un fattore che ci vede tutti come utenti e – purtroppo – anche come vittime. Si tratta della comunicazione pubblicitaria. Ci limitiamo a presentare alcune delle intuizioni fondamentali dell’autore.
La logica dietro al marketing è naturalmente una logica di “mistificazione” dei prodotti per renderli ancora più attrattivi e appetibili associandoli a una complessità di bisogni e desideri primari. «Per essere attrattivo il marketing lancia messaggi che vanno oltre la descrizione fisica del prodotto. Si tratta della deliberata costruzione della domanda effettiva con l’appello alle radici emotive degli uomini e delle donne, e il conseguente venire alla luce di mutamenti di comportamento, di nuove idee intorno a modelli di vita». Il prodotto non è presentato nella sua individualità, ma «in modo che si adatti e venga incontro ad un mondo di desideri, comune ad un largo numero di persone che rappresentano un mercato grande abbastanza per investire nella produzione».
La capacità impressiva della pubblicità è impressionante. Essa è capace di esercitare un ventaglio largo di manipolazioni possibili, ma non per ciò stesso sempre legittimi ed etici.
La domanda che sorge è: «La pubblicità è informazione o creazione di desideri? Gli annunci pubblicitari hanno diversi fini. Uno è quello di provvedere informazione, inoltre cercano di influenzare le persone a comprare». I prodotti sono usati simbolicamente per connetterli a esigenze che vanno oltre l’uso e l’utilità reale del prodotto.
«Un annuncio pubblicitario è vero se ciò che asserisce cattura le attuali caratteristiche rilevanti del prodotto pubblicizzato (qualità, composizione, affidabilità, come usarlo, il prezzo, dove può essere acquistato). La menzogna include qualche falsa affermazione nell’annuncio. È il tener buone le facoltà critiche che forse è l’aspetto più dannoso socialmente». Naturalmente, è moralmente lecito abbellire un prodotto, tenendo una retta distinzione tra abbellimento, falsificazione e inganno. L’inganno avviene quando un prodotto – che può essere un alcolico o un gioco d’azzardo – che viene presentato in una luce positiva (come una vita agiata a livello sentimentale, relazionale, ecc. – oscurando le dipendenze che crea e ingannando con una possibilità di vincita «facile» che in realtà è legata a percentuali minimi.
La riflessione sulla realtà pubblicitaria non può essere solo descrittiva, ma deve essere anche orientativa e manifestare come i messaggi pubblicitari non sono solo informativi, ma anche «motivazionali e persuasivi». Non è in sé immorale voler influenzare una persona a cambiare visione e comprare qualcosa. Ciò che è immorale è l’uso dei poteri della pubblicità per commercializzare qualsiasi prodotto a dispetto della sua finalità. Va notato, infatti, che il processo di persuasione spesso si concentra sull’efficienza e sull’effetto e rimane indifferente alle strategie e alle cause.
R. Cheaib, in
www.theologhia.com 5/2016