È un dato di fatto avvertito da tutti la crisi profonda della dottrina cristiana circa le realtà escatologiche – ultime e quindi decisive –, ormai praticamente sparite dalla predicazione e assenti nel vissuto spirituale delle persone, anche di molti credenti e praticanti. Il guaio dell’escatologia cristiana è stato quello di essersi appoggiata per duemila anni sul pensiero e sul linguaggio espositivo, fatto di parole e di immagini, tipiche dell’apocalittica, che è un’altra cosa rispetto all’escatologia.
L’autrice di Introduzione all’escatologia cristiana, Johanna Rahner (1962), cattolica, docente di teologia fondamentale, dogmatica, storia dei dogmi e teologia ecumenica alla Eberhard Karls-Univesität di Tubinga, rivede e attualizza la prima edizione del suo lavoro (Freiburg i.Br. 2010), suddividendo la sua monografia in due parti: le questioni fondamentali (pp. 11-146) e i temi specifici (pp. 147-266). Concludono l’opera l’indice dei nomi (pp. 267-270) e la bibliografia (pp. 271-285).
Nella prima parte, la studiosa si sofferma a sottolineare come i temi della morte e dell’esito finale della propria esistenza eventualmente anche in una vita futura siano stati accusati di essere una pura proiezione di bisogni personali di rassicurazione. Gli enunciati escatologici sono stati espressi quasi totalmente in fredde asserzioni teologico-catechistiche, ma non sono stati sottoposti adeguatamente a un’ermeneutica esistenziale, di modo che le persone possano sentirsi interpellate personalmente, mentre ancora vivono, dal contenuto del pensiero cristiano circa le realtà ultime, e quindi definitive e decisive, della propria vita.
Rahner analizza il rapporto instaurato nei vari tempi fra la storia e una sua possibile teologia-teleologia, in rapporto anche con le varie utopie, più o meno secolarizzate, che emergevano via via nel cammino del pensiero umano. Secondo la studiosa, occorre recuperare la fondamentale dimensione antropologica dell’escatologia, facendo percepire che il desiderio di pienezza e di realizzazione di sé nella storia trova nell’escatologia un’alleata, in quanto interessata a un’integralità della vita umana fin da adesso nella storia, e non rimandata solamente a un secondo momento in un aldilà che, alla fin fine, non interessa più a nessuno. Le immagini escatologiche sono sensate perché sono espressione del rapporto umano con Dio. La fede ha bisogno di immagini per esprimersi, compresa la speranza nel futuro.
Le immagini escatologiche, per esempio, paradiso e inferno, sono quindi rappresentative di una relazione umana con Dio qui e adesso […], esse raffigurano come l’uomo si comprende dinanzi alla verità di Dio: come uomo amato e custodito da Dio o come separato da Dio. Le immagini escatologiche di paradiso e inferno non sono quindi visioni del futuro, ma un momento interiore della comprensione umana di sé qui e adesso» (p. 63, corsivo mio).
Sia le immagini positive che quelle negative sono provocazioni a chiarire la propria relazione con Dio. Le immagini dell’escatologia sono, in definitiva, un’espressione figurata del rapporto umano con Dio, quello salvifico o quello distrutto dal peccato e dalla colpa. Sono immagini dell’umana comprensione di sé dinanzi alla verità di Dio. «Le immagini escatologiche assumono il modus di messe in scena oggettivate di come un essere umano comprende se stesso dinanzi a Dio, alla sua verità, amore, giustizia, misericordia ecc.» (ivi). Esse hanno una determinata forma linguistica, sono paragonabili alla forma della promessa e hanno un carattere performativo. «Non sono affermazioni in sé e per sé, ma hanno sempre anche un carattere di azione, si riferiscono cioè a posizioni e a comportamenti» (ivi).
L’escatologia deve prendere sul serio il linguaggio figurato. Va colto il suo carattere di promessa come chiave teologica di interpretazione. L’escatologia «non è un’informazione aggiuntiva rispetto alle altre affermazioni teologiche o antropologiche della dogmatica cristiana, ma è la traduzione, nel modus del compimento, di ciò che è «“affare” teologico, antropologico e cristologico. Quello che qui conta è descritto sotto la prospettiva del commento, della meta definitiva, del senso del tutto» (ivi).
L’escatologia del passato era suddivisa tra la fine dell’individuo (i temi della morte, immortalità dell’anima, visione beatifica di Dio, giudizio, stato intermedio, purgatorio) e la fine di tutto il mondo (temi del giudizio universale, il ritorno di Cristo, fine del mondo, e tutti i motivi cosmologici collegati). L’orientamento era rivolto strettamente al “poi” e non aveva nulla a che fare con la storia qui e adesso. Questo entrava in tensione con l’avvertita rilevanza per l’aldilà della nostra vita terrena qui e adesso e in tensione anche con l’idea del compimento, del senso del tutto, che deve di fatto determinare l’escatologia. «Ciò vale per la prospettiva individuale che per quella cosmologica. Si tratta della rilevanza di principio della storia, del mondo, della relazione, della prospettiva dell’io ecc. per i temi escatologici. La prospettiva del qui e adesso deve quindi essere riportata in primo piano anche nei singoli temi escatologici» (p. 64).
L’escatologia ha anche fare con la teologia della storia, cioè con la storia e il suo compimento. Johanna Rahner tratteggia le posizioni di Agostino, di Gioacchino da Fiore e delle utopie sociali al di fuori del cristianesimo. Studia, inoltre, l’origine della fede in una vita dopo la morte a partire dall’Egitto passando alla Mesopotamia, a Canaan, all’epoca ellenistica, alla tradizione ebraica e a quella neotestamentaria. Quest’ultima si incentra sulla figura di Gesù, la decisività della sua morte e risurrezione, che informa di una connotazione cristologico-pasquale tutta l’escatologia cristiana.
Per studiare l’escatologia occorre tenere presente i suoi stretti rapporti con l’apocalittica, quale genere letterario e forma di pensiero interpretativo della realtà (cf. Daniele, 1Enoch, Apocalisse, 4Esdra ecc.). Essa giudica negativamente il mondo attuale e vede nell’aldilà l’instaurazione di un mondo nuovo che non ha nulla a che fare con il presente. Un tono di pessimismo e di dualismo la stria dal principio alla fine. Letteratura di resistenza e di consolazione in tempi di persecuzione, l’apocalittica e le sue immagini di ribaltamento del presente, di un giudizio implacabile di condanna per i malvagi e di una ricompensa per i buoni e i fedeli, hanno finito per caratterizzare totalmente anche l’escatologia cristiana che, di per sé, è un’altra cosa. Molto interessante la tabella riportata alle pp. 120-121, nella quale si comparano le idee contenute nelle promesse preapocalittico-profetiche e in quelle delle promesse apocalittiche. Nel NT le illustrazioni delle realtà escatologiche hanno molte sfaccettature e non arrivano a una sintesi equilibrata. Insieme alla sottolineatura della decisiva componente cristologico-pasquale, si ha una forte connotazione apocalittica, tipica ad esempio dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia. Sarà questo taglio di pensiero (proprio di Daniele, Apocalisse, 1Enoch e 4Esdra) a prevalere di fatto nello sviluppo della riflessione teologica sull’escatologia, con le sue ricadute distorsive esiziali – seppur comprensibili nei vari contesti storici in cui si sono realizzate – nel vissuto catechistico e di fede dei cristiani.
Gesù e gli autori ispirati del NT, con le loro diverse teologie non riconducibili a unità compatta, hanno certamente tenuto presente l’apocalittica di Daniele e dei testi intertestamentari (o, meglio detto, paratestamentari), ma l’hanno rivisitata riesprimendo e arricchendo la fede ebraica nella fedeltà e nella misericordia di YHWH verso il suo popolo contemplando e annunciando la sua escatologica/definitiva/decisiva pienezza nella vita, morte e risurrezione di Gesù suo Figlio inviato a riscattare gli uomini e il mondo dal loro male mortale. La decisività del rapporto con Cristo fin da ora esprime il pensiero maturo del NT, anticipando di fatto nel qui e ora il destino finale che l’uomo “si crea” a seconda del rapporto che intrattiene nel presente con Cristo.
Nella seconda parte dell’opera Johanna Rahner affronta i temi specifici della morte e risurrezione, del giudizio, della risurrezione sotto condizione o inferno a tempo, e il purgatorio, l’inferno (con l’inferno?) quale possibilità reale e una veloce riflessione sul cielo, la sua riscoperta, la redenzione nel cielo, il rapporto col pensiero del «All will be well…» – «Tutto andrà bene» e «Tutto è bene quel che finisce bene».
È necessaria un’ermeneutica esistenziale dell’escatologia cristiana. Bisogna tornare a predicare e a vivere l’escatologia anticipata cristologicopasquale e non l’apocalittica dualistica e dispregiativa del mondo attuale. L’escatologia va rapportata strettamente all’antropologia e alla figura amante di Dio in Cristo Gesù.
Se del mondo futuro dell’uomo si ha bisogno di avere e di gestire delle immagini, non si deve dare loro l’importanza ultima, ma esplicitare al contrario la presenzialità e la decisività del rapporto con Cristo quale evento decisivo/escatologico/definitivo/ultimo per la realizzazione iniziale già qui e ora di quella realizzazione umana piena che sta a cuore a Cristo Gesù stesso per primo, pur nella consapevolezza che il suo pieno compimento sarà possibile solo nel futuro del singolo, della storia e del mondo intero, quale dono del Dio amante e non dell’inflessibile Dio giudicante.
R. Mela, in
SettimanaNews.it 28 gennaio 2019