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Introduzione all’escatologia cristiana
Johanna Rahner

Introduzione all’escatologia cristiana

Prezzo di copertina: Euro 35,00 Prezzo scontato: Euro 33,25
Collana: Biblioteca di teologia contemporanea 192
ISBN: 978-88-399-0492-8
Formato: 16 x 23 cm
Pagine: 304
Titolo originale: Einführung in die christliche Eschatologie
© 2018

In breve

«Le classiche immagini del cielo e dell’inferno continuano ad assillarci, anche se la nostra epoca non ci crede più. C’è quindi bisogno di aiutare a comprendere e a chiarire ciò in cui si è creduto: occorre riflettervi e immaginarlo». Perché «dove si perde la capacità di sperare nel futuro, anche quello oltre la morte, alla fine si perde ciò che è più propriamente umano» (Johanna Rahner).

Descrizione

L’escatologia, cioè la dottrina cristiana delle cose ultime, si muove tra due estremi: da una parte c’è il pericolo di presumere di sapere troppo del cielo e dell’inferno, dall’altra c’è il rischio di restare senza parole.
Il manuale di Johanna Rahner supera brillantemente questa duplice sfida. Con un linguaggio facilmente comprensibile l’Autrice risponde sia alle questioni fondamentali sia a domande specifiche, come per esempio quelle che vertono sulla risurrezione dell’anima e del corpo, su un’appropriata concezione del giudizio finale, sull’idea (e quale) di un inferno eterno.
Per Rahner è di particolare rilevanza affrontare la sfida di come resti possibile, dinanzi alla morte reale e al problema irrinunciabile della giustizia, una speranza che alla fine tutto andrà bene. È questa, in fondo, a dispetto di ogni esperienza di questo mondo, la nostra brama insaziabile: il sogno che, alla fine, tutto possa trovare pienezza di compimento.

Recensioni

Dopo la svolta escatologica del XX secolo, scrivere un manuale sulle realtà ultime risulta un'operazione assai complessa: sia per il lavoro ermeneutico richiesto, sia per l'ampiezza della bibliografia da compulsare, sia per la difficoltà di inserire una materia così vasta entro una cornice sistematica soddisfacente. A fronte di queste sfide, Introduzione all'escatologia cristiana di Johanna Rahner, recentemente tradotto in italiano e ospitato tra i volumi della «Biblioteca di teologia contemporanea», risulta un'opera di grande pregio, sia per gli spunti che può offrire agli studiosi della disciplina, sia per il suo possibile impiego come manuale nei corsi di escatologia.

Il fiI rouge del volume balza agli occhi fin dalle prime righe della sua prefazione: fare in modo che l'imbarazzo linguistico che l'escatologia prova nel suo confronto col pensiero moderno non porti alla perdita dell'oggetto della speranza cristiana, una risorsa a cui il nostro tempo non può assolutamente rinunciare, dal momento che ogni affievolimento della speranza comporta inevitabilmente un impoverimento dell'umano. L'obiettivo che l'A. del manuale si prefigge non è, quindi, affatto marginale: salvare le metafore di cui l'escatologia cristiana si è servita per esprimere il contenuto della propria speranza, nella consapevolezza, però, che quest'ultima non possa essere identificata in tutto e per tutto con le immagini che l'hanno veicolata.

Proprio a dimostrazione di ciò, l'A. fa notare che, per quanto la maggior parte delle metafore di cui l'escatologia cristiana si è servita - si pensi, ad esempio, a «regno di Dio», «giorno del Signore», «parusia», «risurrezione»... - abbiano un'innegabile matrice apocalittica (e, proprio per questa ragione, oggi esercitano naturalmente un certo fascino su alcuni dei nostri contemporanei!), tuttavia, già nella loro ripresa neotestamentaria, esse sono state interpretate io modo nuovo, ovvero in senso cristologico. Nella pasqua di Gesù (presentata anch'essa dagli autori del Nuovo Testamento attraverso un vocabolario di tipo apocalittico), Dio ha manifestato in maniera concreta e definitiva la propria volontà di salvezza: «In Gesù Cristo è già personalmente presente il futuro di Dio; si realizza, è sperimentabile, senza però essere compiuto. Questo [...] non ridimensiona la speranza nel futuro, ma le conferisce piuttosto l'impulso decisivo» (p. 138).

Il volume si articola in due parti. Nella prima, l'A. affronta alcune «questioni fondamentali» per l'escatologia cristiana. Il modo in cui la teologia pensa la morte, il tempo, la speranza hanno ancora qualcosa da dire all'uomo d'oggi? Quali criteri seguire per interpretare gli asserti escatologici dell'Antico e del Nuovo Testamento? Come pensare il rapporto tra la storia umana e il suo compimento escatologico? Come si sono formate le idee e le immagini bibliche relative all'aldilà? Nella seconda parte, l'A. sviluppa i «temi specifici» dell'escatologia (la morte, il giudizio, il purgatorio, l’inferno e il paradiso), proponendo uno schema piuttosto classico, quello dei novissimi, presentati, però, in maniera davvero accattivante. Dopo il doveroso excursus biblico e tradizionale, l'A. si pone, infatti, rispetto ad ognuno dei novissimi, le domande che oggi il credente (e non solo...) si fa di fronte a ciò che la parola di Dio rivela in relazione alla morte, al giudizio, al purgatorio, all'inferno e al paradiso.

Cosa si deve intendere quando si parla dell'immortalità dell'anima? Come pensare insieme, in Dio, giustizia e misericordia? Il purgatorio non è forse un altro nome per dire il giudizio di Dio e la purificazione (o la maturazione, come spesso si legge nei manuali di escatologia di lingua italiana) che esso comporta? Quali punti di contatto e quali differenze tra questo processo di purificazione e l'idea di reincarnazione? Cosa rappresenta la dottrina dell'inferno all'interno dell'escatologia cristiana? Vi sono altri modi di concepire il paradiso, in modo tale che esso non appaia come una condizione individualistica estatica?

Il lettore, conquistato dalle pagine dell'A. e soprattutto dalle domande che esse lo invitano a porsi, si attenderebbe probabilmente, in alcuni casi, una trattazione più ampia delle sezioni bibliche, in cui, il più delle volte, i testi sono semplicemente evocati, mai veramente presi in esame. Lo stesso dicasi in riferimento a quanto riferito della teologia patristica e medievale. Non dobbiamo, però, dimenticare che siamo di fronte ad una «introduzione» all'escatologia cristiana e il numero contenuto delle pagine (meno di 300) costituisce uno dei punti di forza del volume! Più approfonditi appaiono, invece, i riferimenti ai filosofi e ai teologi contemporanei e allo studio comparato delle religioni, che suscitano nel lettore il desiderio di ulteriori approfondimenti.


F. Badiali, in Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione 1/2020, 261-263

Johanna Rahner è docente di teologia fondamentale, dogmatica, storia dei dogmi e teologia ecumenica alla Eberhard-Karls-Universität di Tubinga (Germania) e condirettore della serie Quaestiones disputatae dal 2019. Teologa dagli interessi di ricerca ad ampio raggio – dalla cristologia al rapporto tra teologia e credenza, dalla Scrittura al rapporto tra teologia e filosofia – pubblica con la Queriniana Introduzione all’escatologia cristiana nella quale, tenuto conto della confusione linguistica della tarda modernità, cerca di «aiutare a comprendere e chiarire ciò in cui si è creduto, di riflettere e di immaginarlo» (p. 9).

Il volume si presenta suddiviso in due parti: Questioni fondamentali (4 capitoli, pp. 11-143) e Temi specifici (5 capitoli, pp. 147-266). Nella prima parte il percorso di riflessione si snoda dal tema della morte e dagli interrogativi che essa pone a livello esistenziale, culturale e antropologico, questioni che interferiscono con l’ermeneutica delle cose ultime spesso rappresentate ricorrendo all’uso di immagini finalizzate a suscitare sentimenti di speranza o di paura, il cui contenuto suscita dei dubbi sul fondamento teologico degli asserti escatologici. Prova ne è il fatto che se da una parte si ammette la necessità di dover delimitare la forma linguistica di tali asserti teologici in modo da non scambiarli con una mera proiezione del desiderio umano, dall’altra occorre trovare il modo di renderne ragione e di spiegare la pertinenza dell’escatologia con la storia e con l’umano. Infatti, il pensiero rivolto al futuro e alle cose ultime non deve scivolare verso la dimenticanza del mondo né verso una certa consolazione che verrà data nell’aldilà. Si deve invece poter arrivare a dire che «la speranza cristiana nel futuro possiede anche e proprio una dimensione terreno-storica. Il sogno del cielo deve generare conseguenze nel qui e adesso, senza confluirvi o riuscire a trovare solo qui il suo compimento» (p. 88). Per questo è necessario attenersi alla «dialettica interna della dinamica escatologica e futura» in modo da conservare l’autentico senso della convinzione cristiana della risurrezione della “carne” in opposizione a chi invece fa leva sulla rottura con la storia pensando a una sua potenziale autotrascendenza verso il suo compimento.

Si tratta di una sfida posta alla teologia, proveniente da un duplice versante: interno ed esterno. Quello interno riguarda il rapporto tra compimento e storia, tra Dio garante del compimento e l’uomo che non vuole essere solo spettatore bensì soggetto attivo del suo futuro; quello esterno riguarda il rapporto con le filosofie secolari della storia che pongono in modo radicale la domanda se esiste un «futuro ultimo, completo, salvifico, e se questo possa nascere dal potenziale proprio del mondo e dell’uomo» (p. 89). Pertanto il passo successivo è quello di chiarire l’origine della fede in una vita dopo la morte (vedi cap. IV, I parte) valutando le rappresentazioni dell’aldilà elaborate nelle tradizioni extra bibliche (egiziana, mesopotamiche ed ellenistiche) e quelle che a esse hanno in parte attinto presenti nella Bibbia ebraica elaborate alla luce della teologia della storia, poi riprese nella tradizione cristiana alla luce dell’evento di Cristo e della venuta del Regno di Dio.

Dal momento che in Gesù Cristo viene riconosciuto personalmente presente il futuro di Dio, secondo J. Rahner si può affermare che la dimensione cristologica è fondamentale per tutta l’escatologia e che «la salvezza è data, ma non disponibile; è praticamente presente, ma ciò malgrado va sperata come realtà futura» (p. 138). Si può anche dire che la visione cristiana del futuro fondata sull’evento cristologico, a differenza di quella ‘mitica’ conservativa e dualista, apre il presente a un orizzonte di speranza e di salvezza. Nel Nuovo Testamento ciò viene espresso con un linguaggio apocalittico ma non in un pensiero apocalittico. L’intento della Scrittura non è infatti quello di proporre un ottimismo del futuro facendo leva su una lettura pessimistica e disastrosa del mondo presente, ma di indicare la presenza cristocentrica della salvezza come ‘orientamento’ del presente e come ‘prospettiva’ fondamentale del futuro. Se il linguaggio per gli asserti escatologici è sicuramente apocalittico, non lo è invece il contenuto. Per cui occorre porre molta attenzione alla «distinzione tra linguaggio e cosa!» (p. 142).

La seconda parte è dedicata alla rivisitazione dei temi specifici della escatologia: morte e risurrezione, purgatorio e inferno, cielo (paradiso). Ciascun tema dà l’occasione per presentare le recenti teologie che intendono riabilitare uno o l’altro degli aspetti connessi, e per porre delle questioni con le quali andare a rileggere la Scrittura, a conoscere il pensiero dei padri della chiesa e lo sviluppo storico-teologico. Segue l’esposizione dei modelli interpretativi presenti nelle diverse tradizioni culturali e religiose, riproposti con immagini popolari alle quali talvolta ha attinto lo stesso pensiero teologico. L’A. sempre ricorda al lettore la distinzione tra linguaggio e cosa, e si sofferma su alcuni punti focali per offrire una riflessione sistematica: qual è il fondamento dell’immortalità? Si può parlare di una relazione tra esistenza dell’uomo in corpo e anima e risurrezione futura, e in che senso? Esiste uno “stato intermedio” tra morte e risurrezione? In che modo il discorso sul giudizio universale può esprimere una speranza nel futuro? Se l’orizzonte estremo del discorso sulle cose ultime è la questione di Dio, come sostengono K. Rahner e H.U. von Balthasar, la possibilità di salvezza o di dannazione eterna deve necessariamente aprirsi alla riconciliazione? In questo caso, si deve avere “speranza per tutti”? Anche per coloro che non sono stati solamente cattivi ma semplicemente mostruosi? D’altro canto, se ci fosse un solo uomo non amato, Dio dovrebbe incolpare se stesso di non avere veramente amato (vedi von Balthasar, p. 195)? Che ne facciamo del purgatorio? Un mito arcaico di cui oggi possiamo fare a meno, sebbene lo si ritrovi espresso nella fede nella reincarnazione (vedi pp. 215-223)? Oppure una immagine per pensare l’incontro con Dio ‘nella’ morte, un’idea che può aiutare a tenere conto dell’aspetto comunitario del danno del peccato?

L’idea del purgatorio infatti, ha un duplice valore teologico perché «da una parte sottolinea l’idea di un’attesa, di un lavorare al compimento che considera anche le concrete conseguenze dei miei peccati; dall’altra sottolinea l’idea di una generale comunione solidale tra vivi e morti. L’idea del purgatorio evidenzia quindi l’aspetto dialogico-“comuniale” del giudizio. Qui al centro non c’è più il pensiero del castigo, bensì il pensiero della chiarificazione, dell’illuminazione, della purificazione e della compensazione di tutti e fra tutto» (p. 214).

Come il purgatorio, anche il tema dell’inferno ha bisogno di essere ripensato ed è uno dei più difficili nel quadro dell’escatologia perché gravato da problematiche del passato. Dinanzi a una fissazione sulle pene dell’inferno che ha portato a screditare l’escatologia cristiana si è passati all’estremo opposto che ha rimosso il tema anche dalla predicazione. Tuttavia, in tal caso, occorre che la teologia elabori un pensiero che tenga conto sia della «incondizionata, illimitata e universale promessa di salvezza che Dio ha fatto e fa all’uomo» sia delle conseguenze del dire di no a Dio dell’uomo, prendendo «sul serio l’uomo e la sua libera decisione» (p. 226). L’idea di un «inferno sperato vuoto» o dell’inferno come «possibilità impossibile» (p. 243) apre il discorso alla speranza che «la “serietà del subabbraccio divino” alla fine non capitolerà dinanzi alla “serietà dell’umano autorifiuto”» (p. 244) poiché «il potere vero non si mostra nell’incarcerazione e nell’annientamento dell’avversario, ma nella sua libera conquista» (Johannes Brantschen, p. 244).

Con tale prospettiva sulla speranza l’A. conclude la sua opera riservando all’ultimo capitolo sul cielo (paradiso) un titolo particolare “All will be well …. – Tutto andrà bene”. Il manuale di Johanna Rahner è pregevole per diversi motivi: affronta le questioni delle cose ultime mettendo in dialogo diverse visioni sia filosofiche sia teologiche; fa una disamina critica delle rappresentazioni culturali dei tempi specifici dell’escatologia e delle immagini popolari che hanno disancorato la prospettiva escatologica dal suo fondamento cristologico; parla con linguaggio accessibile senza mai ridurre la portata delle questioni, anzi mostrandone tutta la complessità e l’urgenza di una ripresa oggi. La prospettiva teologica di trattazione dell’escatologia è fondamentalmente cristologica ma sarebbe stato opportuno completarla con quella pneumatologica.


G. Zambon, in Studia Patavina 1/2020, 146-148

«Il più temibile dei mali, la morte, è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, ma quando c’è la morte non ci siamo più noi». Per quanto possa sembrare logico quello che dice Epicuro, la sua espressione non rispetta la logica della vita umana. A distanza di 2500 anni, la sua espressione mostra la sua lacunosità. La morte – per Heidegger – esprime la struttura fondamentale dell’esistenza umana. La vita è impastata con la morte. Essa è una costante antropologica e non solo un epilogo. «Quest’esperienza – scrive Johanna Rahner –, e soprattutto questa certezza che la propria vita va incontro inarrestabilmente al non(più)-essere, impronta – in modo consapevole o inconsapevole – tutti gli atti della vita umana». La morte ferisce l’orgoglio della civilizzazione e dello sviluppo tecnologico e scientifico ed espone l’uomo allo «shock della finitezza» che è permanentemente presente nella nostra vita e non solo al momento del passaggio.

In breve, la morte non è legata soltanto al morire, ma anche al vivere. E un trattato come quello di Johanna Rahner, tradotto da Queriniana per la Collana «Biblioteca di teologia contemporanea» con il titolo Introduzione all’escatologia cristiana mostra, con sensibilità e abbondanti riferimenti bibliografici di varia derivazione, quanto il tema escatologico sia pertinente per ogni persona.

Il saggio, che si divide in due grandi parti, presenta nella prima parte le questioni fondamentali dell’escatologia mostrando la crescente pregnanza del trattato escatologico sulla base dell’esistenzialità delle domande che si pone: la morte, l’aspirazione all’eterno, il desiderio di salvezza, ecc.

Ed è proprio in questa radicalizzazione esistenziale che si manifesta la maturazione recente del trattato escatologico. In passato, la risposta data dalla dottrina escatologica era «riferita all’aldilà che aveva poco a che fare con la storia com’è vissuta qui e adesso; anzi, questo mondo era ridotto a un luogo di prova per l’aldilà. Una simile prospettiva è segnata da un profondo dualismo aldiquà-aldilà, che esclude un’interiore finalità dell’aldiquà, anzi elimina tutto ciò che in qualche modo ha a che fare con una speranza interna alla storia. La speranza cristiana diviene sempre più priva di mondo e di concretezza».

Al contrario, oggi si nota un positivo cambio di prospettiva. L’escatologia è la fine, nel senso di compimento. Scrive Johanna Rahner: «Non abbiamo dunque a che fare con delle prognosi di futuro o addirittura con arti divinatorie, ma si tratta di qualcosa di diverso, si tratta dell’origine del mondo, del venire all’esistenza dell’uomo e dell’inizio della storia. L’escatologia guarda al tutto e al suo senso e questa questione del senso è ciò che struttura lo sguardo sul tutto. La prospettiva del futuro, cioè della speranza, era già per Kant la più importante, perché deve dare un fondamento adeguato alla mia speranza».

Non poteva essere più chiaro Karl Rahner quando chiariva la fondamentale dimensione antropologica degli asserti escatologici quando scriveva: «La conoscenza del futuro è conoscenza della futurità del presente, la conoscenza escatologica è la conoscenza del presente escatologico. L’asserzione escatologica non è un’asserzione additiva, complementare, che venga aggiunta all’asserzione circa il presente e il passato dell’uomo, ma è un fatto intrinseco dell’autocomprensione dell’uomo». È alla luce di questi accorgimenti che la seconda parte del libro guarda i temi classici dell’escatologia: morte, giudizio, purgatorio, inferno e paradiso.


R. Cheaib, in Theologia.com 15 aprile 2019

Affrontare il tema delle cose ultime è essenzialmente una sfida che comporta o la grottesca situazione di saperne troppo del cielo e dell’inferno, senza averne tutto sommato cognizione oppure, all’opposto, di restare chiusi nel proprio silenzio per l’impossibilità di proferire qualcosa di sensato. L’a., docente cattolica di Teologia fondamentale all’Università di Tubinga, si sottrae a questa impasse con un lavoro umile ma al contempo serrato, muovendo la propria indagine da ciò che per qualsiasi essere vivente è inevitabile: la relazione con la morte. Questione fondamentale è come sia possibile, di fronte a quest’ultima e al correlato problema della giustizia, la speranza coltivata dal desiderio umano che alla fine tutto rientri nella pienezza del compimento.
D. Segna, in Il Regno Attualità 8/2019

In una società così secolarizzata la Quaresima è una parola ignorata e forse ignota, se non nello stereotipo «faccia da quaresima». Nella storia della cultura occidentale è stato, però, un tempo ricco di simbolismi e di pratiche spirituali: si pensi solo al digiuno, un segno carico di significati anche caritativi, tipico pure di altre fedi (ad esempio, il Kippur ebraico e il Ramadan musulmano), da non equivocare con la dieta che ne è solo una scimmiottatura "laica".

Ma il cuore di questo arco temporale di quaranta giorni che è iniziato mercoledì scorso col rito delle Ceneri - vero e proprio schiaffo alla superficialità vana e vacua contemporanea - è la tensione verso la Pasqua. Abbiamo, così, voluto infilare una collana di testi - tra i tanti apparsi in questo periodo - che si proiettano idealmente verso una meta "pasquale". È la meta suprema della storia, configurata nella risurrezione di Cristo, che è l'irruzione dell'eterno nel tempo, del divino nel creaturale, dell'infinito nel relativo. […]

Lo sguardo su quell'''oltre'' può essere ben più acuto e capace di perforare la trama globale della storia alla ricerca di un filo dinamico segreto in tensione verso un Oltre trascendente. È ciò che ha fatto una teologa tedesca dell'Eberhard-Karls-Universität di Tubinga, Johanna Rahner, classe 1962, che porta il cognome di uno dei maggiori teologi del secolo scorso, Karl Rahner. La sua opera s'intitola esplicitamente Introduzione all'escatologia cristiana: eppure non esita a varcare le frontiere minate dei territori misteriosi fatti balenare da questa disciplina teologica.

Intendiamo alludere a quelle domande che spesso si archiviano perché generano vertigini o rigetti: che cos'è la risurrezione del corpo e dell'anima? Che valore ha la scenografia del giudizio finale? Che senso ha per l'uomo contemporaneo smaliziato far balenare immagini paradisiache o infernali? L'idea di una stasi purgatoriale oltre la morte è una mitologia arcaica o può essere ricondotta a una prospettiva concettuale coerente? La reincarnazione è compatibile con un'escatologia cristiana? E più brutalmente: esiste una legittima ermeneutica dell'immaginario cristiano sull'oltrevita così da riconoscerne o negarne l'esistenza? Queste e tante altre questioni affiorano in pagine terse e vivaci che non esitano a citare, accanto ai teologi e filosofi paludati, anche la Arendt e Benjamin, Brecht e Camus, Darwin e Foucault, Klee e Keplero-Copernico-Newton-Galilei e così via. Rimane, comunque, una certezza: quegli orizzonti estremi, sempre rimossi, ritornano a galla e ci assillano, credenti e no, perché «dove si perde la capacità di sperare nel futuro, anche quello oltre la morte, alla fine si perde ciò che è propriamente umano».

Anche in questo caso, a lato dell'architettura ideale sontuosa della Rahner, poniamo un mini-testo, scritto da un teologo raffinato come Rosino Gibellini che in poche pagine riesce a raccogliere il succo di un'insonne ricerca di molti, rubricandolo sotto il titolo modesto ma accattivante di Meditazione sulle realtà ultime. In realtà si tratta di una sintesi della ricerca sul tema dell'escatologia nella riflessione teologica del secolo scorso, che è simile a un delta molto ramificato di questioni e che ha coinvolto i maggiori pensatori. Essi si sono confrontati sulla dialettica tra morte e vita in Dio, sull'immortalità dell'anima e la risurrezione dei morti (categorie apparentemente alternative), sulla preghiera per i defunti, una prassi tradizionale nella cristianità e così via. Certo è che affacciarsi sull'eterno e sull'infinito con la nostra attrezzatura gnoseologica ancorata a linguaggi e strutture spazio-temporali è un'impresa ardua. […]

Concludiamo questa nostra carrellata libraria stando sulla porta della Quaresima, tempo "pasquale" germinale, con una testimonianza del fisico Giuliano Toraldo di Francia rilasciata anni fa durante un congresso su Teilhard de Chardin: «Sono un agnostico, ma leggendo le opere di questo gesuita scienziato capisco il suo tentativo di trovare un senso all'avventura del mondo e alla nostra vita. Se Dio è il nome di questo senso, anch'io posso pregare: In te, Domine, speravi».


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 10 marzo 2019, 28

È un dato di fatto avvertito da tutti la crisi profonda della dottrina cristiana circa le realtà escatologiche – ultime e quindi decisive –, ormai praticamente sparite dalla predicazione e assenti nel vissuto spirituale delle persone, anche di molti credenti e praticanti. Il guaio dell’escatologia cristiana è stato quello di essersi appoggiata per duemila anni sul pensiero e sul linguaggio espositivo, fatto di parole e di immagini, tipiche dell’apocalittica, che è un’altra cosa rispetto all’escatologia.

L’autrice di Introduzione all’escatologia cristiana, Johanna Rahner (1962), cattolica, docente di teologia fondamentale, dogmatica, storia dei dogmi e teologia ecumenica alla Eberhard Karls-Univesität di Tubinga, rivede e attualizza la prima edizione del suo lavoro (Freiburg i.Br. 2010), suddividendo la sua monografia in due parti: le questioni fondamentali (pp. 11-146) e i temi specifici (pp. 147-266). Concludono l’opera l’indice dei nomi (pp. 267-270) e la bibliografia (pp. 271-285).

Nella prima parte, la studiosa si sofferma a sottolineare come i temi della morte e dell’esito finale della propria esistenza eventualmente anche in una vita futura siano stati accusati di essere una pura proiezione di bisogni personali di rassicurazione. Gli enunciati escatologici sono stati espressi quasi totalmente in fredde asserzioni teologico-catechistiche, ma non sono stati sottoposti adeguatamente a un’ermeneutica esistenziale, di modo che le persone possano sentirsi interpellate personalmente, mentre ancora vivono, dal contenuto del pensiero cristiano circa le realtà ultime, e quindi definitive e decisive, della propria vita.

Rahner analizza il rapporto instaurato nei vari tempi fra la storia e una sua possibile teologia-teleologia, in rapporto anche con le varie utopie, più o meno secolarizzate, che emergevano via via nel cammino del pensiero umano. Secondo la studiosa, occorre recuperare la fondamentale dimensione antropologica dell’escatologia, facendo percepire che il desiderio di pienezza e di realizzazione di sé nella storia trova nell’escatologia un’alleata, in quanto interessata a un’integralità della vita umana fin da adesso nella storia, e non rimandata solamente a un secondo momento in un aldilà che, alla fin fine, non interessa più a nessuno. Le immagini escatologiche sono sensate perché sono espressione del rapporto umano con Dio. La fede ha bisogno di immagini per esprimersi, compresa la speranza nel futuro.

Le immagini escatologiche, per esempio, paradiso e inferno, sono quindi rappresentative di una relazione umana con Dio qui e adesso […], esse raffigurano come l’uomo si comprende dinanzi alla verità di Dio: come uomo amato e custodito da Dio o come separato da Dio. Le immagini escatologiche di paradiso e inferno non sono quindi visioni del futuro, ma un momento interiore della comprensione umana di sé qui e adesso» (p. 63, corsivo mio).

Sia le immagini positive che quelle negative sono provocazioni a chiarire la propria relazione con Dio. Le immagini dell’escatologia sono, in definitiva, un’espressione figurata del rapporto umano con Dio, quello salvifico o quello distrutto dal peccato e dalla colpa. Sono immagini dell’umana comprensione di sé dinanzi alla verità di Dio. «Le immagini escatologiche assumono il modus di messe in scena oggettivate di come un essere umano comprende se stesso dinanzi a Dio, alla sua verità, amore, giustizia, misericordia ecc.» (ivi). Esse hanno una determinata forma linguistica, sono paragonabili alla forma della promessa e hanno un carattere performativo. «Non sono affermazioni in sé e per sé, ma hanno sempre anche un carattere di azione, si riferiscono cioè a posizioni e a comportamenti» (ivi).

L’escatologia deve prendere sul serio il linguaggio figurato. Va colto il suo carattere di promessa come chiave teologica di interpretazione. L’escatologia «non è un’informazione aggiuntiva rispetto alle altre affermazioni teologiche o antropologiche della dogmatica cristiana, ma è la traduzione, nel modus del compimento, di ciò che è «“affare” teologico, antropologico e cristologico. Quello che qui conta è descritto sotto la prospettiva del commento, della meta definitiva, del senso del tutto» (ivi).

L’escatologia del passato era suddivisa tra la fine dell’individuo (i temi della morte, immortalità dell’anima, visione beatifica di Dio, giudizio, stato intermedio, purgatorio) e la fine di tutto il mondo (temi del giudizio universale, il ritorno di Cristo, fine del mondo, e tutti i motivi cosmologici collegati). L’orientamento era rivolto strettamente al “poi” e non aveva nulla a che fare con la storia qui e adesso. Questo entrava in tensione con l’avvertita rilevanza per l’aldilà della nostra vita terrena qui e adesso e in tensione anche con l’idea del compimento, del senso del tutto, che deve di fatto determinare l’escatologia. «Ciò vale per la prospettiva individuale che per quella cosmologica. Si tratta della rilevanza di principio della storia, del mondo, della relazione, della prospettiva dell’io ecc. per i temi escatologici. La prospettiva del qui e adesso deve quindi essere riportata in primo piano anche nei singoli temi escatologici» (p. 64).

L’escatologia ha anche fare con la teologia della storia, cioè con la storia e il suo compimento. Johanna Rahner tratteggia le posizioni di Agostino, di Gioacchino da Fiore e delle utopie sociali al di fuori del cristianesimo. Studia, inoltre, l’origine della fede in una vita dopo la morte a partire dall’Egitto passando alla Mesopotamia, a Canaan, all’epoca ellenistica, alla tradizione ebraica e a quella neotestamentaria. Quest’ultima si incentra sulla figura di Gesù, la decisività della sua morte e risurrezione, che informa di una connotazione cristologico-pasquale tutta l’escatologia cristiana.

Per studiare l’escatologia occorre tenere presente i suoi stretti rapporti con l’apocalittica, quale genere letterario e forma di pensiero interpretativo della realtà (cf. Daniele, 1Enoch, Apocalisse, 4Esdra ecc.). Essa giudica negativamente il mondo attuale e vede nell’aldilà l’instaurazione di un mondo nuovo che non ha nulla a che fare con il presente. Un tono di pessimismo e di dualismo la stria dal principio alla fine. Letteratura di resistenza e di consolazione in tempi di persecuzione, l’apocalittica e le sue immagini di ribaltamento del presente, di un giudizio implacabile di condanna per i malvagi e di una ricompensa per i buoni e i fedeli, hanno finito per caratterizzare totalmente anche l’escatologia cristiana che, di per sé, è un’altra cosa. Molto interessante la tabella riportata alle pp. 120-121, nella quale si comparano le idee contenute nelle promesse preapocalittico-profetiche e in quelle delle promesse apocalittiche. Nel NT le illustrazioni delle realtà escatologiche hanno molte sfaccettature e non arrivano a una sintesi equilibrata. Insieme alla sottolineatura della decisiva componente cristologico-pasquale, si ha una forte connotazione apocalittica, tipica ad esempio dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia. Sarà questo taglio di pensiero (proprio di Daniele, Apocalisse, 1Enoch e 4Esdra) a prevalere di fatto nello sviluppo della riflessione teologica sull’escatologia, con le sue ricadute distorsive esiziali – seppur comprensibili nei vari contesti storici in cui si sono realizzate – nel vissuto catechistico e di fede dei cristiani.

Gesù e gli autori ispirati del NT, con le loro diverse teologie non riconducibili a unità compatta, hanno certamente tenuto presente l’apocalittica di Daniele e dei testi intertestamentari (o, meglio detto, paratestamentari), ma l’hanno rivisitata riesprimendo e arricchendo la fede ebraica nella fedeltà e nella misericordia di YHWH verso il suo popolo contemplando e annunciando la sua escatologica/definitiva/decisiva pienezza nella vita, morte e risurrezione di Gesù suo Figlio inviato a riscattare gli uomini e il mondo dal loro male mortale. La decisività del rapporto con Cristo fin da ora esprime il pensiero maturo del NT, anticipando di fatto nel qui e ora il destino finale che l’uomo “si crea” a seconda del rapporto che intrattiene nel presente con Cristo.

Nella seconda parte dell’opera Johanna Rahner affronta i temi specifici della morte e risurrezione, del giudizio, della risurrezione sotto condizione o inferno a tempo, e il purgatorio, l’inferno (con l’inferno?) quale possibilità reale e una veloce riflessione sul cielo, la sua riscoperta, la redenzione nel cielo, il rapporto col pensiero del «All will be well…» «Tutto andrà bene» e «Tutto è bene quel che finisce bene».

È necessaria un’ermeneutica esistenziale dell’escatologia cristiana. Bisogna tornare a predicare e a vivere l’escatologia anticipata cristologicopasquale e non l’apocalittica dualistica e dispregiativa del mondo attuale. L’escatologia va rapportata strettamente all’antropologia e alla figura amante di Dio in Cristo Gesù.

Se del mondo futuro dell’uomo si ha bisogno di avere e di gestire delle immagini, non si deve dare loro l’importanza ultima, ma esplicitare al contrario la presenzialità e la decisività del rapporto con Cristo quale evento decisivo/escatologico/definitivo/ultimo per la realizzazione iniziale già qui e ora di quella realizzazione umana piena che sta a cuore a Cristo Gesù stesso per primo, pur nella consapevolezza che il suo pieno compimento sarà possibile solo nel futuro del singolo, della storia e del mondo intero, quale dono del Dio amante e non dell’inflessibile Dio giudicante.


R. Mela, in SettimanaNews.it 28 gennaio 2019

Libro ambizioso, l'Introduzione all'escatologia cristiana di Johanna Rahner, il cui titolo riecheggia la celebre Introduzione al Cristianesimo, testo fondamentale di Benedetto XVI, pubblicato nel 1968, quando il futuro papa ancora non era neppure vescovo. L'escatologia è uno dei temi fondamentali della riflessione teologica, si occupa nelle cose ultime, definitive. Del giudizio e della vita dopo la morte fisica, dell'inferno e del paradiso. Dibatte dell’esistenza del purgatorio. Il libro della Rahner è ricco di stimoli e di informazioni, di riferimenti e citazioni. Tutta l'opera è attraversata da un filone di pensiero che ha accompagnato la storia della cristianità, da Origene a Hans Urs von Balthasar: la domanda su come un Dio che è amore possa condannare qualcuno alla dannazione eterna, o anche solo ammettere che per colpa propria manchi l'obbiettivo, lo scopo per cui è stato creato. Non sarebbe allora il purgatorio a non esistere, ma invece l’inferno. La "punizione" incontrata dopo la morte avrebbe funzione riabilitativa e conoscerebbe un termine. Come impone anche la, disattesa, costituzione italiana.
S. Valzania, in Radio InBlu – La Biblioteca di Gerusalemme 26 gennaio 2019

Forse non del tutto a torto, da varie parti si sostiene che negli ultimi tempi la predicazione cristiana ha perso di vista l’importanza delle grandi verità che riguardano quelli che con termine colto vengono chiamati i novissimi, ovvero morte, giudizio, inferno e paradiso. La questione meriterebbe approfondimenti che in questa sede non è possibile neppure accennare.

A ogni buon conto, accogliamo con favore due interessanti libri, editi recentemente dalla Queriniana, che trattano questi temi che occupano un posto centrale nella dottrina della Chiesa cattolica.

Il primo è opera della teologa tedesca Johanna Rahner e si intitola Introduzione all’escatologia cristiana (pp. 293, euro 35,00); in esso, l’autrice affronta, con un linguaggio accessibile, gli argomenti più rilevanti che riguardano il destino finale degli uomini: la salvezza, la dannazione, la resurrezione e la giustizia divina.

Il secondo volume è stato scritto dal noto studioso Rosino Gibellini ed è eloquentemente intitolato Meditazione sulle realtà ultime (pp. 69, euro 5,00). Si tratta di un agile volumetto suddiviso in sette brevi capitoli che fa luce su quanto, nell’ultimo secolo, i teologi hanno scritto in tema di escatologia e propone alcune indicazioni utili per cogliere e accogliere la verità cristiana sull’aldilà.


M. Schoepflin, in Toscana Oggi 16 dicembre 2018