La data di nascita dell’A. (1929), insieme agli incarichi che ha ricoperto come gesuita – prima come direttore de La Civiltà cattolica, poi del mensile internazionale Popoli e della rivista Aggiornamenti sociali – e alle sue innumerevoli pubblicazioni, lo qualificano come uno dei piú attenti e autorevoli esperti della dottrina sociale della chiesa (Dsc).
Questo ultimo lavoro è un distillato prezioso di un lungo cammino che da quasi sessant’anni l’A. percorre con passione e competenza sulle strade dell’insegnamento sociale della chiesa. È lui stesso a sintetizzare ciò a cui mira con queste dieci brevi lezioni: «Esso potrebbe servire come testo di larga diffusione, soprattutto tra i movimenti e le associazioni di giovani, che mostrano oggi un nuovo interesse per la dottrina sociale della chiesa; potrebbe servire a organizzare nelle parrocchie, o nei numerosi circoli di studio e di cultura, un “corso breve di dottrina sociale” per un primo approccio all’insegnamento della chiesa sui principali temi di cui si discute ai nostri giorni » (p. 6).
Nel 2016, a opera dello stesso A., è uscita la terza edizione del corposo volume: Introduzione alla dottrina sociale della chiesa, un’opera questa che ha avuto la sua prima edizione nel 2006 e poi via via aggiornata fino agli ultimi interventi di papa Francesco, diventando un poderoso volume di 516 pagine. Le dieci lezioni sono una edizione minor dell’Introduzione, anche se non vogliono essere un semplice compendio, ma piuttosto uno strumento di lavoro per addentrarsi nel mondo della Dsc, per poi continuare l’approfondimento attraverso l’edizione maior.
I dieci capitoli in cui si divide il testo analizzano alcuni temi che l’A. ritiene essenziali per comprendere l’attuale contesto socio-politico alla luce della Dsc. La prima lezione fa una breve, ma interessante riflessione sulla legittimità che la chiesa ha di intervenire su temi sociali. In un secondo passaggio, ripercorre a grandi linee le tappe fondamentali dello sviluppo della Dsc. Il merito di questa sintesi è quello di andare subito al nocciolo delle questioni piú significative dei diversi periodi: il tempo dell’ideologia cattolica (1891-1958); quello del dialogo (1958-1978); del nuovo umanesimo (1978-2014); conclude questa prima lezione con la rivoluzione di papa Francesco.
Nelle successive lezioni, l’A. prende in esame tre dei sei tradizionali principi della Dsc, gli altri – sussidiarietà, partecipazione, destinazione universale dei beni – saranno indirettamente analizzati nelle altre lezioni. Il primo, la persona, fondamento e fine dell’agire politico; soggetto in relazione con Dio, con la famiglia e con la società. Il secondo principio, la solidarietà che potrebbe, a detta del gesuita, aiutarci a uscire dalla crisi economica, politica e sociale che stiamo attraversando. La quarta lezione tratta dell’obiettivo che dovrebbe perseguire ogni azione politica: il bene comune. L’A. declina questo principio in due passaggi: la legalità, cioè accettare le regole di comportamento e l’etica, trasmettere valori condivisibili e comprensibili.
Dalla quinta all’ottava lezione vengono presentati alcuni criteri con cui analizzare temi come la democrazia, il sistema economico, il rapporto tra stato e chiesa, la cellula primaria della società che è la famiglia. La democrazia, stretta oggi tra l’antipolitica e il populismo, può recuperare la sua alta vocazione solo se raggiunge un certo livello di maturità; questo significa accostare alla dimensione tecnica, di cui la politica è portatrice, anche una riserva di valori che la chiesa ha il dovere e il compito di proporre. Riguardo all’economica, l’A. ritorna ai motivi che hanno scatenato la crisi che stiamo lentamente lasciandoci alle spalle. Questa infatti ha avuto e continua ad avere radici profonde che si innestano sul terreno dell’individualismo, del consumismo e del profitto. L’economia deve ritornare a essere uno strumento in funzione della persona, vista sempre come fine e mai come un mezzo.
Dopo la caduta della prima repubblica e la diaspora dei cattolici italiani in politica, per l’A. rimane ancora irrisolta la questione del rapporto tra la comunità ecclesiale e quella politica. La settima lezione approfondisce questo tema insistendo sull’importanza di laici formati, mettendo in luce come la gerarchia ecclesiale ha il compito di illuminare le coscienze dei fedeli e non di sostituirsi a esse, come è accaduto in passato. Questa parte del testo si conclude con l’ottava lezione che riflette sulla famiglia alla luce dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, facendone una precisa e sintetica analisi.
Le ultime due lezioni cercano di dare delle indicazioni operative su due temi che l’A. ritiene urgenti: l’impegno per una buona politica e il rapporto tra giustizia e misericordia. Riguardo al primo tema: una buona politica si può costruire solamente quando la stessa mantiene una tensione etica e non si piega a scelte di corto respiro. Il vero discernimento va attuato cercando di tenere insieme programmi coraggiosi di riforma e i bisogni impellenti dei cittadini.
Riguardo al rapporto tra giustizia e misericordia, l’A. sottolinea come queste due realtà non sono in contrapposizione tra di loro, ma complementari. La giustizia è il primo gradino della carità, ma non è sufficiente per costruire una civiltà dell’amore, per questa si rende necessaria anche la misericordia. Questa ultima non va confusa però con il buonismo o una sanatoria a basso prezzo; è piuttosto un sentimento che non solo perdona il male commesso, ma spinge a prevenirlo e a evitarlo.
Il volume si conclude con un’appendice sulla situazione della chiesa italiana dal Concilio a oggi. Il periodo che va dalla morte di Paolo VI a papa Francesco è per l’A. un periodo di “normalizzazione”, intendendo con questo termine il tentativo della chiesa italiana di riportare a una «mentalità clericale, che considerava i fedeli laici come esecutori passivi delle direttive dei vescovi o come cristiani di serie B» (p. 202) e la «negazione di ogni spirito sinodale» (p. 205). Ci sembra troppo affrettato etichettare come un periodo di “normalizzazione” i 35 anni di pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Inoltre, c’è una certa confusione nel definire questo periodo: si sta parlando della chiesa italiana o della chiesa universale? Forse questo è un giudizio troppo sbrigativo su un periodo lungo e complesso, analizzato, per altro, senza usare un valido criterio storico critico.
G. Bozza, in
Studia Patavina 65 (2018/2) 397-399