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Tolleranza e libertà religiosa
Karl Lehmann

Tolleranza e libertà religiosa

Storia e presente in Europa

Prezzo di copertina: Euro 16,00 Prezzo scontato: Euro 15,20
Collana: Giornale di teologia 392
ISBN: 978-88-399-0892-6
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 176
Titolo originale: Toleranz und Religionsfreiheit. Geschichte und Gegenwart in Europa
© 2016

In breve

Cosa significa oggi, per la convivenza civile, essere tolleranti? Come si pone, nelle nostre società, il discorso sulla libertà di religione sul piano della vita pubblica? «Parlando di tolleranza e di libertà religiosa è importante per me adottare un approccio filosofico, ma anche uno storico e sociale. Non si dimentichi, poi, che per oltre vent’anni sono stato presidente della Conferenza episcopale tedesca: sull’argomento, mi sono potuto confrontare con tantissime esperienze concrete» (K. Lehmann).

Descrizione

Essere tolleranti significa che niente e nessuno può pretendere di possedere la verità? E, diametralmente all’opposto di questo relativismo, esistono soltanto il fanatismo e il fondamentalismo religioso? In questo senso, il discorso sulla libertà religiosa come si pone sul terreno della vita pubblica, della convivenza civile?
La tolleranza, specialmente se si parla di religione, ha dovuto – e deve tuttora – essere conquistata superando aspre resistenze, dispute e conflitti. Ancora oggi, non è ovunque un fatto scontato. Il cardinale tedesco descrive questa lotta in prospettiva interdisciplinare: egli intende delineare una concezione profonda della tolleranza – come atteggiamento di virile resistenza, come esercizio di coraggio civile, mantenendo sempre una irriducibile tensione fra verità e libertà – in grado di confrontarsi con l’attuale autocomprensione della chiesa e con i cambiamenti radicali avvenuti di recente nella società.

Commento

Due idee-guida della modernità, niente affatto scontate, qui ripensate autorevolmente in un’epoca di globalizzazione

Recensioni

Dal novembre 2012 al gennaio 2013 il cardinale Karl Lehmann, vescovo emerito di Magonza e presidente della Conferenza episcopale tedesca dal 1987 al 2008, tenne una serie di lezioni presso l’università Heinrich Heine di Düsseldorf. Ora quei testi sono raccolti in Tolleranza e libertà religiosa.

A scanso di equivoci, il libro chiarisce subito i due estremi da cui guardarsi: «Tolleranza non può voler dire che si rinuncia alla propria opinione e che l’ideale sia una generale assenza di pareri. L’irrinunciabilità della questione della verità non può neanche avere per conseguenza il perseverare in maniera assolutista e autoritaria solamente nella propria posizione» (pp. 11-12). Insomma bisogna evitare «la falsa sicurezza del fondamentalismo, da un lato, e il dubbio incessante del relativismo dall’altro» (p. 139).

Ripercorrendo rapidamente la storia del concetto di tolleranza, il volume rileva le ambiguità del termine nello scorrere dei secoli, con la fatica di accettare talvolta la stessa esistenza dell’altro con le sue idee. Così accadde per le confessioni cristiane, da tutte le parti: anche a Lutero «era estranea un’idea di tolleranza in senso moderno. Non riusciva a concepire una pluralità della verità religiosa» (p. 40), afferma il testo, facendo proprio il giudizio dello storico Heinz Schilling.

D’altro canto, il cardinale ritiene necessaria «un’ammissione amara e dolorosa: la libertà religiosa, che oggi appare ampiamente scontata anche per i cristiani, per la sua origine e la sua configurazione moderna è debitrice non alle chiese e neanche alla teologia, bensì allo stato moderno, ai giuristi e al diritto laico razional-secolare» (p. 63). Non a caso san Giovanni Paolo II, nel corso della celebre serie di mea culpa durante il grande giubileo del 2000, chiese perdono precisamente per la violazione della libertà religiosa, anche se mossa da un autentico impegno di difesa della verità.

Sintetizza il libro: «Noi stessi abbiamo riflettuto troppo poco sul fatto che la libertà poggia sulla verità ed è legata a essa, ma anche che la verità presuppone la libertà, poiché ciò può avvenire solo nel rispetto della persona» (p. 86).

Ampliando il discorso dalla sfera meramente spirituale a quella sociale, è bene chiarire che esistono comunque dei limiti anche per la tolleranza: essa «finisce là dove sono violate la libertà e la dignità» (p. 124). In riferimento alle violenze nei Paesi islamici, il cardinale spiega che esiste «una tolleranza che conduce al suicidio, nel caso cioè in cui viene praticata con persone che a loro volta non la praticano affatto» (p. 137). Ecco perché «i problemi dell’ecumenismo non possono essere risolti rifacendosi solo al principio di tolleranza, anche se il dialogo ecumenico deve essere ovviamente caratterizzato da uno spirito di tolleranza» (p. 138).

Il saggio del cardinale Lehmann ricostruisce una storia, analizza il presente e offre interessanti indicazioni per il futuro, ovviamente senza ricette predefinite, che in questo campo sarebbero davvero fuori posto.


F. Casazza, in Archivio Teologico Torinese 2/2018, 459-460

«Chi non desidera essere tollerante?» è l’interrogativo con quale K. Lehmann introduce il volume che raccoglie le sue tre lezioni tenute all’Università “Heinrich Heine” di Düsseldorf (Germania) nel semestre invernale del 2012-2013. Subito dopo l’A. aggiunge: «Quanto più il mondo diventa piccolo e quanto più gli uomini comunicano tra loro, tanto maggiore è l’importanza assunta dalla tolleranza come atteggiamento e virtù. Tuttavia, ogni giorno sperimentiamo pure quanto ciò sia difficile: questo allora significa che tutto ha lo stesso valore e che in questa indifferenza non si può avere nessuna pretesa di verità?» (p. 7). A questi interrogativi egli risponde nei capitoli intitolati La lotta per la libertà religiosa fino all’Illuminismo (pp. 15-47), La lotta per la tolleranza nel XIX secolo e l’apertura alla libertà religiosa nel concilio Vaticano II (pp. 49-90) e Tentativo di una sintesi normativa (pp. 91-143) presentando, infine, i testi del seminario sui cambiamenti nella dottrina sulla libertà religiosa nella chiesa cattolica con particolare attenzione al XX secolo (pp. 145-153).

Lehmann sviluppa il percorso con il proposito di evidenziare il «balzo innanzi» (Giovanni XXIII, Gaudet mater ecclesia) compiuto dal concilio Vaticano II con la dichiarazione Dignitatis humanae (DH) annoverata tra «i più importanti progressi teologici e giuridici del concilio Vaticano II» (p. 74) e densa di conseguenze per la storia della chiesa. La prima parte del libro presenta la sequenza storica delle teorie e delle realizzazioni pratiche della tolleranza, e quanto sia stato difficile giungere a un concetto vincolante di tolleranza sia per motivi legati all’ambito semantico del termine, col suo ampio e ambivalente spettro di significati («virtù fondamentale della moderna democrazia pluralista» e anche «pratica repressiva, perché tollera anche gli oppressori», p. 15) sia a causa delle modifiche determinate dal contesto sociale e culturale, scaturite da fondamenti teoretici di diversa impostazione. Emblematico è stato il modo di intendere il rapporto tra tolleranza e la libertà religiosa, elaborato sulla falsariga di quello tra politica e religione. Per secoli si è pensato che l’unità politica dovesse essere realizzata grazie a un orientamento spirituale e religioso omogeneo; ciò ha reso difficile comprendere come la libertà religiosa potesse essere garantita da una autentica tolleranza nello stato e nelle strutture statali. Ci provò, per esempio, l’Illuminismo privilegiando le ragioni della libertà di religione e di coscienza. Ma tale idea di tolleranza portò all’inasprimento dei rapporti con la chiesa che, sentendosi defraudata della sua autorità spirituale, morale e istituzionale, si ritenne autorizzata a denunciare l’“intolleranza implicita” del liberalismo che pretendeva di monopolizzare la ragione e la cultura. In questo contesto di “lotta per la tolleranza” maturò l’idea di libertà religiosa. Non perciò in ambito ecclesiale e teologico bensì in seno allo stato moderno e al diritto laico razional-secolare. La DH ne assunse gli elementi essenziali portando il Concilio a discostarsi dal passato e operando una specie di rivoluzione copernicana: il diritto alla libertà religiosa non più stabilito sul principio di verità ma fondato sulla persona umana, che può praticare personalmente e pubblicamente la religione secondo gli orientamenti della propria coscienza (cf. DH 2).

Nonostante ciò, secondo Lehmann, la lotta per la libertà religiosa rimane un calvario per la chiesa in quanto sembra privare la fede della convinzione della verità assoluta. In effetti, la linea radicalmente nuova e coerente tracciata dal Concilio se da una parte espone la chiesa alle critiche di indifferentismo dei circoli tradizionalisti, dall’altra promuove una prospettiva aperta sulla libertà religiosa che consente di applicare i principi della DH anche in molti ambiti esemplari (vedi i temi dei messaggi per la giornata mondiale della pace). Nella terza parte, l’A. offre una riflessione conclusiva nella quale vengono indicati i punti essenziali per una sintesi normativa attorno al tema “tolleranza e libertà religiosa”.

Il libro è un contributo importante e prezioso a sostegno della tolleranza nell’attuale contesto multiculturale e multireligioso, a partire dal “balzo innanzi” compiuto dalla DH. Una specie di roadmap per la tutela dei diritti umani e per un dialogo tra chiesa e mondo che sappia porre al centro di tutto la realizzazione della dignità dell’uomo.


G. Zambon, in Studia Patavina 65 (1/2018), 188-189

Dal novembre 2012 al gennaio 2013 il cardinale Karl Lehmann, ve­scovo emerito di Magonza e presidente della Conferenza episcopale tedesca dal 1987 al 2008, tenne una serie di lezioni presso l’università “Heinrich Heine” di Düsseldorf. Ora quei testi sono raccolti in Tolle­ranza e libertà religiosa (Queriniana, pp 171, euro 16).

 A scanso di equivoci il libro chiari­sce subito i due estremi da cui guar­darsi: «Tolleranza non può voler dire che si rinuncia alla propria opi­nione e che l’ideale sia una generale assenza di pareri. L’irrinunciabilità della questione della verità non può neanche avere per conseguenza il perseverare in maniera assolutista e autoritaria solamente nella pro­pria posizione» (11-12). Insomma bisogna evitare «la falsa sicurezza del fondamentalismo, da un lato, e il dubbio incessante del relativismo dall’altro» (139).

Ripercorrendo rapidamente la storia del concetto di tolleranza il volume rileva le ambiguità del termine nello scorrere dei secoli, con la fatica di accettare talvolta la stessa esistenza dell’altro con le sue idee. Così accadde per le confessio­ni cristiane, da tutte le parti: anche a «Lutero era estranea un’idea di tolleranza in senso moderno. Non riusciva a concepire una pluralità della verità religiosa» (40), afferma il testo facendo proprio il giudizio dello storico Heinz Schilling.

D’altro canto il cardinale ritiene necessaria «un’ammissione amara e dolorosa: la libertà religiosa, che oggi appare ampiamente scontata anche per i cristiani, per la sua origine e la sua configurazione moderna è debitrice non alle chiese e neanche alla teologia, bensì allo stato moderno, ai giuristi e al di­ritto laico razional-secolare» (63). Non a caso san Giovanni Paolo II, nel corso della celebre serie di mea cupla durante il Grande Giubileo del 2000, chiese perdono precisamente per la violazione della libertà religiosa, anche se mossa da un autentico impegno di difesa della verità. Sintetizza il libro: «Noi stessi abbiamo riflettuto troppo poco sul fatto che la libertà poggia sulla verità ed è legata a essa, ma anche che la verità presuppone la libertà, poiché ciò può avvenire solo nel rispetto della persona» (86). ­

Ampliando il discorso dalla sfera meramente spirituale a quella so­ciale è bene chiarire che esistono comunque dei limiti anche per la tolleranza: essa «finisce là dove sono violate la libertà e la dignità» (124). In riferimento alle violenze nei Paesi islamici il cardinale spie­ga che esiste «una tolleranza che conduce al suicidio, nel caso cioè in cui viene praticata con persone che a loro volta non la praticano affatto» (137). Ecco perché «i proble­mi dell’ecumenismo non possono essere risolti rifacendosi solo al principio di tolleranza, anche se il dialogo ecumenico deve essere ovviamente caratterizzato da uno spirito di tolleranza» (138).

Il saggio del cardinale Lehmann ricostruisce una storia, analizza il presente e offre interessanti indi­cazioni per il futuro, ovviamente senza ricette predefinite, che in questo campo sarebbero davvero fuori posto.


F. Casazza, in La Voce Alessandrina 39 (9 novembre 2017)

[…] Vorremmo segnalare un saggio molto intenso su un soggetto delicato e rovente, quello della tolleranza e della libertà religiosa. A scriverlo è un noto teologo e cardinale tedesco, Karl Lehmann, vescovo emerito di Magonza. In realtà si tratta di tre lezioni tenute alla cattedra “Heinrich Heine” di Düsseldorf: il famoso scrittore ottocentesco tedesco, imbevuto di Illuminismo, non aveva esitato ad affrontare temi politico-sociali (famosa è la satira in versi Germania, fiaba d’inverno) e il suo spirito anti-cattolico aveva, però, sussulti di fronte al servizio dei religiosi per i poveri, come ricorda lo stesso Lehmann citando un passo sorprendente delle Impressioni di viaggio. Il punto di partenza della riflessione – che sviluppa anche un ampio affresco storico soprattutto dal XIX secolo al Concilio Vaticano II – registra l’ambiguità della categoria “tolleranza”.

Certo, in positivo il “tollerare” rivela rispetto e benevolenza nei confronti dell’altro, ma può anche diventare sopportazione, condiscendenza dall’alto, accettazione rassegnata della diversità e persino comprendere un giudizio etico negativo (la “casa di tolleranza”). È, perciò, rilevante assegnare a questa categoria una dimensione positiva di liberalità e di apertura mentale, di assenza di pregiudizio, di confronto senza prevenzioni.

È in questa linea che si comprende un altro detto delle Massime e riflessioni di Goethe: «La tolleranza dovrebbe essere solo un sentimento provvisorio: essa deve portare al riconoscimento. Tollerare significa offendere». Per questo, Kant giungeva al punto di classificare la tolleranza come «un nome superbo», qualora si arroccasse in una pura e semplice superiorità. Detto questo, però, non si deve ridurla a «una foglia di fico dietro cui celare indifferenza morale e debolezza intellettuale, priva di punti di vista».

È ciò che accade spesso nel soggettivismo relativistico contemporaneo, ed è per questo che Lehmann si batte per una tolleranza “autentica”, più faticosa ma fruttuosa che comprende la passione per la ricerca della verità, il riconoscimento della dignità e delle ragioni dell’altro, la dialettica tra verità e libertà, la tutela delle concezioni personali e sociali ma anche dei loro limiti di affermazione. Un crinale, quindi, molto delicato da percorrere, soprattutto quando è di scena la libertà religiosa alla quale il cardinale riserva considerazioni molto acute, rifacendosi anche al famoso asserto di Böckenförde secondo cui lo stato deve farsi carico della libertà religiosa e dell’ethos concreto dei suoi cittadini, senza però determinarne il contenuto, di cui però ha bisogno per una corretta vita sociale (cfr. anche T.-M. Courau – M. Babic – J. Vila-Chã (eds.), Concilium 4/2016. La libertà religiosa).


G. Ravasi, in Il Sole 24 Ore 14 maggio 2017

Per tanti, tolleranza è sinonimo di esilio della verità a favore di un’amichevole e pacifica convivenza. Un tale atteggiamento relativista ha meritato l'aspra e acuta critica di Chesterton il quale diceva che «la tolleranza è la virtù di chi non ha convinzioni». Ma sarà questa l'unica accezione della tolleranza? Non c'è una via di mezzo tra relativismo e fanatismo?

Il cardinale Karl Lehmann riflette su questa tematica della tolleranza e della libertà religiosa in una prospettiva interdisciplinare e storica nel volume intitolato Tolleranza e libertà religiosa. Storia e presente in Europa.

La tolleranza è una virtù ambita ai nostri giorni. Ma quando la si va a verificare sul metro di altri valori importanti, quali l'identità, la verità, il dialogo autentico fatto di parti non omogenee, ecc., ci si scontra non di rado con un concetto non raffinato e spesso impraticabile. È importante scoprire che la lotta per la tolleranza non è un'acquisizione di tempi recenti; la tolleranza ha avuto sempre la sua storia e le sue interpretazioni. Alcuni vi vedono una categoria fondamentale della moderna democrazia pluralista. Per altri, la tolleranza è una pratica repressiva, perché tollera anche gli oppressori, anzi, proteggerebbe persino gli omicidi tra le proprie fila. Alcuni, come Kant, ritengono che quello della tolleranza sia un «nome superbo». Altri, come Nietzsche, la considerano come «l'incapacità di dire sì o no».

Come concepire la tolleranza per poterne parlare, allora? È interessante che il termine latino tolerantia indicasse nelle traduzioni latine della Bibbia il senso di pazienza, costanza e perseveranza. In Cicerone, risalta il significato del tutto stoico di sopportare il destino. La tolleranza descrive il rapporto con se stessi e rientra nell'etica del dominio di sé. In sant'Agostino, la tolleranza è un comportamento determinato da motivi di caritas cristiana. Essa vale nei confronti di eretici e scismatici. Ma la tolleranza non è un valore assoluto. Essa ha il suo limite. Agostino giustifica addirittura l'impiego della violenza di stato, rifacendosi per questo alla frase contenuta nella parabola biblica del grande banchetto, in cui dei bisognosi vengono costretti ad andare al convito (compelle intrare: Lc 14,23). Tommaso d'Aquino condividerà questa idea di intolleranza verso l'incredulità degli eretici e degli apostati. Ma è lo stesso Tommaso a rifiutare il battesimo forzato ai bambini degli ebrei perché tale atto offenderebbe la giustizia naturale. In tal modo, e in nome del diritto naturale, Tommaso si schiera contro un’attuazione rigorosa della missione della Chiesa, in quanto offensiva della libertà.

Un contributo famoso alla questione della tolleranza viene sviluppato nel De pace fidei di Niccolò Cusano. Cusano mostra una comprensione approfondita della pluralità religiosa e propone una concordanza su di una unica vera religione, volendo mostrare che le guerre di religione sono evitabili. Cusano però non insegna una tolleranza di principio, come è stato mal interpretato successivamente. Con la sua conferenza tra filosofi, Cusano riteneva di poter mostrare a tutti i saggi che le loro religioni, pur sembrando certamente differenti, rimandavano a un autentico cristianesimo neoplatonizzante.

L'analisi di Lehmann attraversa anche il periodo della Riforma, dell'Illuminismo per approdare al XIX secolo e l'apertura alla libertà religiosa nel Concilio Vaticano II.

La dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, del 7 dicembre 1965, cambia registro linguistico e parla, piuttosto di tolleranza, di diritto alla libertà religiosa, intendendolo come un diritto esterno irrinunciabile della persona umana alla pratica personale e pubblica della religione secondo gli orientamenti della propria coscienza. Il documento dichiara che il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa.

Il terzo capitolo del volume di Lehmann offre il tentativo di una sintesi normativa. La prima riflessione che il cardinale presenta riguarda la vaghezza dell'idea di tolleranza, la quale continua ad essere carica di significati diversi e divergenti. Lehmann spiega che tale divergenza e indeterminatezza dipende molto dal cambio di registro di riferimento della tolleranza, che è passata dall'ambito confessionale religioso all'ambito sociale e politico.

La secolarizzazione del concetto di tolleranza ha giocato a favore della sua assolutizzazione a discapito del contenuto di verità. Lehmann riprende la critica nietzscheana della tolleranza, che evidenzia la mancanza di fiducia nel proprio ideale e la propria debolezza. La tolleranza, per Nietzsche, è fiacchezza e arrendevolezza. La tolleranza autentica, invece, comprende la passione per la verità. Fondare la tolleranza è anche lavorare a creare le condizioni perché essa torni a essere una forza di liberazione e di umanizzazione. La tolleranza non consiste in una semplice sopportazione che si comporta in modo accondiscendente e arbitrario verso l'altro. La tolleranza si deve sviluppare nella dialettica tra libertà, stima, giustizia e verità. Si deve escludere ogni falsa tolleranza, che ammette violazioni morali, che non possono essere accettate.

La comprensione della tolleranza non puoi ignorare la questione del potere, esulando dalla realtà, ma deve analizzare criticamente, in modo obiettivo e scevro da giudizi e pregiudizi, la realtà politico-sociale, e smascherare i tabù, eventualmente anche infrangendoli. La tolleranza non deve favorire il relativismo e la remissività con la mancanza di una posizione precisa e con l'indifferenza. La tolleranza autentica non esclude la passione per la verità. La tolleranza, infine, ha un limite quando e dove non viene osservata intenzionalmente e sostanzialmente dall'altra parte.


R. Cheaib, in www.theologhia.com 23 marzo 2017

Parlare di tolleranza significa guardare la storia presente senza mai dimenticare gli atroci e ricorrenti fatti di cronaca dalle persecuzioni dei cristiani agli attentati, dalle stragi fondamentaliste alle "pulizie etniche", alla negazione delle identità. Il concetto di tolleranza è ampio, spesso si accompagna alla tematica religiosa nella specifica associazione «Tolleranza e libertà religiosa». Questione diventata cruciale nel mondo globale che, sulla spinta delle migrazioni di massa, accelera condizioni e contesti di multiculturalità, meticciato, società plurali dove le fedi si moltiplicano, le numerose tradizioni non occidentali si radicano nelle metropoli come nei piccoli centri. Tutto in tempi rapidi e drammatici da non lasciare spazio alla riflessione e alla metabolizzazione dei cambiamenti. L'Occidente viene messo alla prova nella sua millenaria storia di pensiero e di radici giudaico cristiane.

L'Europa esprime il luogo dell'emergenza e la frontiera di un passaggio epocale. Difficile ipotizzare l'esito, certamente si possono (e si devono) stabilire criteri per guidare le trasformazioni. Prioritario è l'orizzonte culturale con un Occidente che riprenda in mano le proprie origini e il grande patrimonio di idee e religiosità sviluppatosi nei secoli. Karl Lehrnann – tra i maggiori teologi europei contemporanei, allievo e assistente di Karl Rahner – sollecita a riaprire la riflessione sulla tolleranza. Lo fa perché si tratta di un punto cruciale dalla cui interpretazione si delinea o un futuro di debolezza e rassegnazione o un nuovo ordine sociale.

Il libro, da poco edito da Queriniana, è articolato in tre approfondimenti: la lotta per la libertà religiosa fino all'Illuminismo; la lotta per la tolleranza nel XIX secolo e l'apertura alla libertà religiosa nel Concilio Vaticano II; il tentativo di una sintesi normativa. Le prime due sezioni offrono un'ampia e documentata disamina del formarsi dell'identità culturale, etica, politica europea dove ragione e fede non cessano mai di misurarsi, compenetrarsi, distinguersi con il risultato di delinerare l'ethos del Continente. Il concetto di tolleranza viene presentato nel suo nascere e definirsi in un serrato confronto con i grandi della filosofia, della teologia, del diritto (molto ricca la bibliografia). L'ultimo capitolo interloquisce con gli eventi di questi anni mettendo in luce le critiche indirizzate alla tolleranza (concetto indeterminato, arbitrarietà senza limiti paragonabile al mercato di una società del superfluo, dove tutto è sempre possibile se lo si compra) per affermare che la tolleranza autentica comprende la passione per la verità, non favorisce il relativismo né la remissività. Su tali presupposti sviluppa le sue argomentazioni a partire dalla riscoperta del concetto di riconoscimento come relazione reciproca che si fa fenomeno sociale. Nella disamina dei tanti problemi aperti oggi (compreso il "limite della tolleranza") Lehmann sottolinea il doppio aspetto della tolleranza – la sua dimensione di virtù e quella di principio dello Stato od obbligo giuridico – ricordando che essa «rappresenta il criterio determinante per la realizzazione della dignità dell'uomo». Quanto più la tolleranza arriva a stringersi ai valori di verità e libertà tanto più essa non sarà sinonimo di rinuncia alla propria opinione per assecondare una generale assenza di pareri; così pure, all'opposto, l'irrinunciabilità sul tema della verità si sottrarrà alla tentazione di tradursi in una imposizione della propria posizione. Un lavoro di convergenza e di stretto dialogo potrà avvicinare mondi e culture distanti superando i conflitti.

In appendice il volume riporta una selezione di testi che documentano i cambiamenti nella dottrina sulla libertà religiosa da parte della chiesa cattolica. Si va dal Codice civile prussiano (1794) alla Dignitatis humanae (1965), fino alla Centesimus annus (1991).


G. Santambrogio, in Il Sole 24 Ore 12 febbraio 2017

Invitato dal rettore dell’università di Düsseldorf nel 2012/13 il cardinale Karl Lehmann, teologo di fama internazionale, vescovo emerito di Magonza e già presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, tenne un corso di tre lezioni intitolato “La tolleranza nella storia e nel presente dell’Europa. La lotta moderna per la libertà religiosa”. I testi di quelle lezioni, rielaborati, rivisti e aggiornati, sono stati dati alle stampe e costituiscono ora un volume molto interessante suddiviso in tre parti.

Nelle prime due l’autore traccia le linee essenziali del cammino compiuto dal concetto di libertà religiosa a partire dalla sua formazione nell’antichità fino a giungere agli sviluppi da esso fatti registrare in epoca moderna – soprattutto nel secolo dei Lumi – e contemporanea, quando il concilio Vaticano II ha scritto una pagina assai rilevante al riguardo. Nella terza, Lehmann propone una sintesi normativa che possa rivelarsi utile per affrontare la difficile questione della tolleranza e della libertà come si palesa nel tempo presente.

L’autore non esita a definire la tolleranza una virtù necessaria, chiarendo però subito che essa non può trasformarsi in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della verità. Egli scrive a tale proposito: «Certamente questo conflitto assume toni particolarmente aspri nell’ambito della religione e della fede. Il fanatismo e il fondamentalismo sono risposte deformate a questo problema, ma neanche il relativismo e il lassismo sono una soluzione». La via di uscita da questa situazione assai complessa e tutt’altro che facile e, dunque, non dovremo meravigliarci se essa si manterrà sempre viva: «Per questo nella vita spirituale è necessario che verità e libertà siano sempre in tensione tra loro».

Due termini possono aiutarci a fare chiarezza. Il primo, molto amato da Jacques Maritain, è «convivenza». La seconda parola è «riconoscimento». La tolleranza, la libertà e la verità di cui ci parla Lehmann simul stabunt vel simul cadent, insieme staranno oppure insieme cadranno.


M. Schoepflin, in Avvenire 24 gennaio 2017

Frutto di un corso tenuto presso la cattedra di Heinrich Heine di Düsseldorf, l’a. – uno dei più importanti teologi europei viventi – offre un’occasione per riflettere sullo spinoso tema della tolleranza. In distinti cc. si affrontano le questioni riguardanti la lotta per la libertà religiosa che contraddistinse la storia europea dal XVI al XVII sec., la battaglia per la tolleranza nell’800 e la successiva apertura dovuta al concilio Vaticano II, infine il tentativo di coagulare una sintesi normativa. Filo conduttore è l’irriducibile tensione fra verità e libertà, binomio dell’autocomprensione attualmente vissuta dalla Chiesa cattolica in un’epoca di profondi cambiamenti sociali e culturali.
D. Segna, in Il Regno 2/2017