Per tanti, tolleranza è sinonimo di esilio della verità a favore di un’amichevole e pacifica convivenza. Un tale atteggiamento relativista ha meritato l'aspra e acuta critica di Chesterton il quale diceva che «la tolleranza è la virtù di chi non ha convinzioni». Ma sarà questa l'unica accezione della tolleranza? Non c'è una via di mezzo tra relativismo e fanatismo?
Il cardinale Karl Lehmann riflette su questa tematica della tolleranza e della libertà religiosa in una prospettiva interdisciplinare e storica nel volume intitolato Tolleranza e libertà religiosa. Storia e presente in Europa.
La tolleranza è una virtù ambita ai nostri giorni. Ma quando la si va a verificare sul metro di altri valori importanti, quali l'identità, la verità, il dialogo autentico fatto di parti non omogenee, ecc., ci si scontra non di rado con un concetto non raffinato e spesso impraticabile. È importante scoprire che la lotta per la tolleranza non è un'acquisizione di tempi recenti; la tolleranza ha avuto sempre la sua storia e le sue interpretazioni. Alcuni vi vedono una categoria fondamentale della moderna democrazia pluralista. Per altri, la tolleranza è una pratica repressiva, perché tollera anche gli oppressori, anzi, proteggerebbe persino gli omicidi tra le proprie fila. Alcuni, come Kant, ritengono che quello della tolleranza sia un «nome superbo». Altri, come Nietzsche, la considerano come «l'incapacità di dire sì o no».
Come concepire la tolleranza per poterne parlare, allora? È interessante che il termine latino tolerantia indicasse nelle traduzioni latine della Bibbia il senso di pazienza, costanza e perseveranza. In Cicerone, risalta il significato del tutto stoico di sopportare il destino. La tolleranza descrive il rapporto con se stessi e rientra nell'etica del dominio di sé. In sant'Agostino, la tolleranza è un comportamento determinato da motivi di caritas cristiana. Essa vale nei confronti di eretici e scismatici. Ma la tolleranza non è un valore assoluto. Essa ha il suo limite. Agostino giustifica addirittura l'impiego della violenza di stato, rifacendosi per questo alla frase contenuta nella parabola biblica del grande banchetto, in cui dei bisognosi vengono costretti ad andare al convito (compelle intrare: Lc 14,23). Tommaso d'Aquino condividerà questa idea di intolleranza verso l'incredulità degli eretici e degli apostati. Ma è lo stesso Tommaso a rifiutare il battesimo forzato ai bambini degli ebrei perché tale atto offenderebbe la giustizia naturale. In tal modo, e in nome del diritto naturale, Tommaso si schiera contro un’attuazione rigorosa della missione della Chiesa, in quanto offensiva della libertà.
Un contributo famoso alla questione della tolleranza viene sviluppato nel De pace fidei di Niccolò Cusano. Cusano mostra una comprensione approfondita della pluralità religiosa e propone una concordanza su di una unica vera religione, volendo mostrare che le guerre di religione sono evitabili. Cusano però non insegna una tolleranza di principio, come è stato mal interpretato successivamente. Con la sua conferenza tra filosofi, Cusano riteneva di poter mostrare a tutti i saggi che le loro religioni, pur sembrando certamente differenti, rimandavano a un autentico cristianesimo neoplatonizzante.
L'analisi di Lehmann attraversa anche il periodo della Riforma, dell'Illuminismo per approdare al XIX secolo e l'apertura alla libertà religiosa nel Concilio Vaticano II.
La dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, del 7 dicembre 1965, cambia registro linguistico e parla, piuttosto di tolleranza, di diritto alla libertà religiosa, intendendolo come un diritto esterno irrinunciabile della persona umana alla pratica personale e pubblica della religione secondo gli orientamenti della propria coscienza. Il documento dichiara che il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa.
Il terzo capitolo del volume di Lehmann offre il tentativo di una sintesi normativa. La prima riflessione che il cardinale presenta riguarda la vaghezza dell'idea di tolleranza, la quale continua ad essere carica di significati diversi e divergenti. Lehmann spiega che tale divergenza e indeterminatezza dipende molto dal cambio di registro di riferimento della tolleranza, che è passata dall'ambito confessionale religioso all'ambito sociale e politico.
La secolarizzazione del concetto di tolleranza ha giocato a favore della sua assolutizzazione a discapito del contenuto di verità. Lehmann riprende la critica nietzscheana della tolleranza, che evidenzia la mancanza di fiducia nel proprio ideale e la propria debolezza. La tolleranza, per Nietzsche, è fiacchezza e arrendevolezza. La tolleranza autentica, invece, comprende la passione per la verità. Fondare la tolleranza è anche lavorare a creare le condizioni perché essa torni a essere una forza di liberazione e di umanizzazione. La tolleranza non consiste in una semplice sopportazione che si comporta in modo accondiscendente e arbitrario verso l'altro. La tolleranza si deve sviluppare nella dialettica tra libertà, stima, giustizia e verità. Si deve escludere ogni falsa tolleranza, che ammette violazioni morali, che non possono essere accettate.
La comprensione della tolleranza non puoi ignorare la questione del potere, esulando dalla realtà, ma deve analizzare criticamente, in modo obiettivo e scevro da giudizi e pregiudizi, la realtà politico-sociale, e smascherare i tabù, eventualmente anche infrangendoli. La tolleranza non deve favorire il relativismo e la remissività con la mancanza di una posizione precisa e con l'indifferenza. La tolleranza autentica non esclude la passione per la verità. La tolleranza, infine, ha un limite quando e dove non viene osservata intenzionalmente e sostanzialmente dall'altra parte.
R. Cheaib, in
www.theologhia.com 23 marzo 2017