L'ultima opera di Aristide Fumagalli, teologo morale ben conosciuto dal lettore italiano (e non), è un saggio corposo, per l'abbondante materiale, e interessante per lo stile e la tessitura della logica del discorso. Spirito e libertà è il titolo del volume.
Si può subito notare il medesimo titolo in due opere francesi del Novecento: un famoso teologo (De Lubac), nel 1979, raccoglieva alcuni scritti sulla relazione tra libertà (natura) e grazia (soprannaturale) sotto il medesimo titolo e, prima ancora, N. Berdiaev (1927) aveva siglato la sua filosofia cristiana (russa) con lo stesso titolo: Esprit et liberté (tr. fr. 1933), che si chiudeva con queste parole: «Le profezie cristiane non sono ottimiste, e non giustificano alcuna teoria del progresso, condannano aspramente il male che deve venire nel mondo. Ma non sono nemmeno pessimiste, sono al di sopra dell'ottimismo e del pessimismo umani, perché le profezie cristiane sono orientate verso il ritorno di Cristo in tutta la sua forza e in tutta la sua gloria» (Esprit et liberté, JeSers, Paris 1933, p. 378).
Fumagalli non fa alcun riferimento ai due precedenti saggi dallo stesso titolo, ma la "terna" è interessante e di un certo spessore. De Lubac aveva suscitato un tema ampio e storicamente vivace fin dopo il Vaticano II: l'antropologia cristiana, in una visione cristiana - banalmente riassunta - dell'uomo non distrutto dalla grazia e non impotente per natura. Berdiaev, più complicato da sintetizzare (illuminante per la teologia russa),è un assertore del libero profetismo del cristiano, che non abbandona il mondo per la salvezza della propria anima, ma desidera la perfezione dell'umanità e non solo la propria.
Fumagalli si inserisce in questo ambito, non citando né De Lubac né Berdiaev, ma riferendosi a una icona pittorica tra le più conosciute: la scena della creazione di Adamo, affrescata da Michelangelo nella volta della Cappella Sistina (1508-1512), con la messa a fuoco del dito di Dio (Spiritus digitus Dei del Veni Creator)e del dito di Adamo in un "quasi contatto", con una distanza che lascia a ciascuno dei due la libertà di incontrarsi. Ecco le «due variabili essenziali della teologia morale» (p. 9). Oramai ben assestato il percorso di una cristologia morale, per Fumagalli è tempo di una pneumatologia morale.
L'originalità principale del saggio sta qui. Ma non si tratta di un libro che avvia la questione, perché l' A. in realtà raccoglie una sintesi: Spirito e libertà è la raccolta trentennale di saggi elaborati in relativa autonomia (questo spiega l'eterogeneità e la specificità dei temi stessi), in grado di tracciare un "sentiero" o una pista per la teologia morale.
Il sentiero è, pertanto, l'inter-azione tra lo Spirito (l'agire di Dio) e la libertà (l'agire dell'uomo). Quando il teologo morale dichiara il proprio campo di indagine, si occupa di morale e di teologia. Molte opere di teologia morale, fin dal titolo delle pubblicazioni, pongono subito al centro la morale: Morale teologica, Etica teologica. È chiaro (almeno nelle intenzioni) che si riserva alla "morale" la direzione e il vero interesse del pensiero, "aggettivato" poi teologicamente, ma lasciando comunque intatta l'idea che la morale può essere considerata anche non teologicamente. Ed è corretto tutto questo.
L'originalità di Fumagalli la si apprezza a partire dal sottotitolo del saggio: Fondamenti della teologia morale, non si tratta di una morale "verniciata" di teologico, ma di una teologia "fondamentale" sul fatto etico. Cos'è "l'etico" per un cristiano? È il rapporto tra lo Spirito e la libertà. Mi sembra qui il peso che Fumagalli attribuisce allo Spirito: la "risorsa" che alimenta l'agire morale del credente. Non una "verniciatura" teologica di una riflessione (morale) già conclusa, o solo allargata con supplementi ornamentali. Tuttavia, la "risorsa" umana (la libertà) non viene soppiantata dall'agire esterno ed estraneo dello Spirito, come se la teologia potesse occupare tutto lo spazio dell'etico.
L'icona da cui parte Fumagalli (il dito di Dio e il dito di Adamo nel "quasi contatto"), può essere ulteriormente integrata da un altro particolare della scena della creazione michelangiolesca: il pittore non attira l'attenzione solo sulle dita a distanza, ma anche sulla specie di "nuvola" che contiene la figura del Creatore, una sagoma rappresentata secondo la forma del cervello umano. Per cui non si tratta solo di un quasi-contatto tra due esseri autonomi, visto che Michelangelo dà al Creatore quasi una forma ragionevole, intelligente, alludendo così alla libertà umana "immagine di Dio", perché la libertà non è immaginabile a partire dal peccato ma risorsa della creatura stessa, pronta alla inter-azione senza che lo Spirito annulli la libertà e senza che la libertà si annienti nello Spirito.
Uno sguardo generale sul saggio di Fumagalli il lettore lo trova nel testo stesso, in quanto l'A. introduce e schematizza più volte l'andatura del suo percorso, articolato in quattro parti corredate da un breve schema di orientamento che precede la lettura. La linearità nel metodo, oltre che la fluida chiarezza di linguaggio e di rinvii interni al testo stesso, è ben conosciuta ai lettori di Fumagalli.
La prima parte del saggio (pp. 15-47) delinea - forse troppo velocemente - l'ingresso della pneumatologia in teologia morale, e il carattere misterioso dell'unione e della distanza tra lo Spirito e la libertà. L'avvio alla integr-azione (nel senso di azione intera e di azione di relazione)tra Spirito e libertà procede nella seconda parte (pp. 51-141), sulla "risorsa" dello Spirito. Qui, portanti elementi teologici (legge dello Spirito, sequela di Cristo, figli e fratelli, la comunione ecclesiale, la Parola e la liturgia) diventano "di casa" in teologia morale, perché lo Spirito inabita la libertà (e la libertà ospita lo Spirito). Fumagalli sintetizza in una cinquantina di pagine molti elementi, con il pregio di condensare molte questioni precedenti della teologia morale (il cristocentrismo, ad esempio), aprendone di nuove (la legge naturale accreditata in chiave amorosa alla p. 72). Alla inabitazione seguono dense pagine sulla irradiazione dello Spirito: la vita cristiana è accessibilità - in ogni epoca che gli uomini vivono - del mistero dell'amore di Dio (parola e liturgia), ma vi è in gioco anche il carattere comunicabile, comunicante e comunicativo della dottrina morale insegnata dal magistero. Si trova qui un raro "tracciato" del rapporto tra morale e chiesa, e tra chiesa e morale. In questa prima e seconda parte, il teologo si rivela "pensatore che crede" e "credente che pensa".
La parte più abbondante di Spirito e libertà (pp. 143--355, praticamente la metà del saggio) è la terza, che analizza il dinamismo "soggettivo-oggettivo" dell'agire morale responsabile dell'amore donato dallo Spirito: l'attuazione della libertà - una limpida teologia dell'azione - nella quale vanno segnalate le pp. 174-205 (simbolica e processualità dell'azione) e il dinamismo opposto "oggettivo-soggettivo" della resistenza e resa allo Spirito (unificate sotto il tema della configurazione della libertà), in cui vengono ripresi il tema del peccato/vizi e della carità/virtù (da segnalare l'invito a «concepire la materia [del peccato] come grandezza interpersonale», p. 250).
L'ultima parte, la quarta (pp. 357-438), rilegge in chiave pneumatologica il discernimento, la coscienza, la conversione e il compimento. Il «dinamismo etico» presentato da Fumagalli è una pregevole traduzione ermeneutica della tradizione, rispetto alla quale non basta «esprimere nuovamente o aggiornare» la ricchezza del passato, viste le «interferenze dell'eco coscienziale [che] invadono lo spirito dell'uomo assordandolo, oppure lo distraggono sottraendolo ali' ascolto» (p. 389), condizione per cui «il suono dello Spirito» diventa uno dei «rumori», oppure diventa «voce» di dissenso tra l'appropriazione dello Spirito da parte della coscienza o da parte del magistero (pp. 392-397). Conversione ed escatologia chiudono il cerchio del percorso, tra il sempre possibile (conversione) e il non-ancora realizzato (la speranza).
Il Vaticano II parlò di un rinnovamento della teologia morale capace di illustrare l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo, ma Cristo è presente (per ogni credente) non nella soggettività della propria relazione immediata con lui, Cristo – per usare la felice espressione di Bonhoeffer – è «esistente come comunità». Dunque, non è chiuso il cantiere della teologia morale, che diventa luogo sensibile di una prospettiva non più solo cristo-centrica, ma pneumato-orientata.
M. Pasinato, in
Studia Patavina 1/2024, 151-154