Il volume ci offre un’ampia riflessione sulla verità cristiana del matrimonio confrontandola con le problematiche attuali inerenti all’instabilità dei legami amorosi e familiari. La sfida pastorale, che costringe la comunità credente a un supplemento di riflessione sui temi dell’amore cristiano, viene affrontata secondo una scansione tripartita con termini che rimandano al vocabolario fotografico: inquadratura, messa a fuoco e prospettive. Nel primo momento, le nuove situazioni di crisi vengono inserite nel contesto dell’impegno missionario di una chiesa «in uscita» (cf. Evangelii gaudium, n. 20), impegnata a meglio corrispondere all’annuncio evangelico sulla famiglia, partendo dal discernimento dell’azione dello Spirito nelle situazioni concrete. Ciò comporta di interpretare la tradizione ecclesiale in termini di sviluppo dinamico, in cui il progresso della riflessione corrisponda a una comprensione sempre piú profonda del mistero rivelato, senza illudersi di trovare soluzioni facendo ricorso agli strumenti del passato. È invece indispensabile assumere come «stella polare della riflessione teologica» la visione rinnovata del matrimonio cristiano cosí come è stata proposta dal Vaticano II e dai documenti magisteriali successivi, ovvero approfondire la relazione tra amore coniugale e amore specificamente cristiano, indagando in cosa consista per i coniugi il riferimento al «come Cristo ha amato la chiesa» (Ef 5,25; cf. Gv 15,12).
Nel secondo momento, l’A. mette a fuoco la verità cristiana del matrimonio sottolineando con forza come l’unione sacramentale sia propriamente donata da Cristo, si attui in lui e per mezzo di lui. L’accento sulla dimensione interpersonale – e non semplicemente legale – dell’indissolubilità del legame coniugale appare come elemento qualificante delle parole di Gesú sul matrimonio e comporta la necessità di un dono di grazia che investa positivamente – perfezionando, confermando e santificando (cf. DH 1799) – la libera disposizione di sé nell’amore. Ciò configura il matrimonio come autentica vocazione cristiana, sequela evangelica e ministero ecclesiale, ma lo rende ancor piú problematico a fronte del modo attuale di intendere i legami amorosi. Su tale questione la chiesa è chiamata a riflettere.
Proprio a ciò è dedicata la terza e piú estesa sezione del libro che illustra prospettive per affrontare le problematiche inerenti alla formazione dei nubendi e ai fallimenti coniugali. Alla comunità cristiana è riconosciuto il compito di una determinazione normativa delle condizioni perché il sacramento possa essere validamente celebrato e l’A. istruisce un interessante paragone con il battesimo degli adulti. Senza illudersi di poter misurare la fede soggettiva, ci si sofferma sulla possibile distanza esistente tra le dichiarazioni formali d’intenti e l’effettiva prassi di vita cristiana, senza la quale la fede battesimale si riduce a un incomprensibile «stato giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data dal battesimo» (CTI, p. 91). L’argomentazione vuole cosí raccogliere e approfondire i ripetuti inviti di Benedetto XVI a riflettere sul rapporto tra sacramento del matrimonio e fede degli sposi, mettendo in questione la presunzione che «tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento» (CIC, can. 1055, 2).
Proprio la diffusione dell’anomala situazione di «adulti battezzati non credenti» che fanno richiesta di celebrare il matrimonio cristiano suggerisce di istituire forme di accompagnamento graduali e prolungate nel tempo, strutturate come itinerari di fede ispirati al catecumenato, per permettere una solida maturazione di ciò che è solo sinceramente avvertito, aiutando «a distinguere, nell’attuale “Babele amorosa”, i tratti dell’autentico amore cristiano da altre abbaglianti forme di relazione di coppia» (p. 92). Ciò implica anche la possibilità di valorizzare positivamente nella pastorale l’esperienza della convivenza prematrimoniale, intesa come occasione di grazia, luogo di annuncio evangelico e di progressiva maturazione verso la scelta dell’amore coniugale cristiano.
L’A. si interroga, poi, sulla validità/nullità del matrimonio in rapporto alla fede, mettendo in luce come l’attuale normativa canonica risulti inadeguata a valorizzare appieno gli aspetti piú personalistici e soggettivi del matrimonio, insieme alla necessità di meglio precisare che cosa comporti il fatto che la fede – intesa non in senso astratto e formale, ma come prassi coerente di amore cristiano (caritas) – appartenga all’essenza del sacramento. Dando voce a una diffusa convinzione che molti siano oggi i matrimoni celebrati invalidamente per mancanza di consapevolezza, si riconosce la necessità che la competenza giuridico-canonica sui matrimoni falliti sia integrata da quella propriamente pastorale. L’A. propone però un’alternativa secca tra matrimoni sacramentali validi e matrimoni nulli per mancanza di fede, semplice ed elegante come soluzione del problema, ma non indaga la possibilità di un livello intermedio, ovvero la sussistenza di un matrimonio naturale validamente celebrato da persone battezzate non credenti, che cioè non escludano le proprietà essenziali del connubio, come voluto dal Creatore. Questa ipotesi, tutta da vagliare, avrebbe però il pregio di riconoscere la consistenza di un legame che per anni può aver funzionato bene, aver generato ed educato dei figli, e che successivamente può maturare verso la pienezza sacramentale. Nel caso in cui entrasse in crisi e fallisse, potrebbe forse essere oggetto di un’applicazione analogica del privilegio paolino, qualora le nuove nozze manifestassero un ritorno alla fede vissuta fruttuosamente nella chiesa, caso non raro nella vita delle comunità locali e dal quale proviene la richiesta sincera di poter accedere ai sacramenti, nonostante la nuova unione.
Sulla cura dei matrimoni feriti si sofferma l’ultimo capitolo, nel quale si auspica l’elaborazione di una «teologia del fallimento» che permetta un annuncio piú efficace della misericordia divina, insieme al superamento della soluzione attualmente in vigore che prevede la recezione della comunione eucaristica solo per chi interrompe l’intimità sessuale con il nuovo coniuge (cf. Familiaris consortio, n. 84). L’A. analizza con precisione e acume possibili analogie della prassi (dispensa dal celibato per i preti) e soluzioni prospettate da altri teologi (sembra dissentire da B. Petrà, senza citarlo), per approdare a una scelta di tolleranza pastorale verso i divorziati risposati praticanti, affidati alla misericordia del Signore, una volta che si sia riconosciuta la loro buona disposizione a corrispondere alla vocazione cristiana. Si sostiene che essi non debbano essere ammessi a nuove nozze, pena la perdita di significato e rilevanza dell’indissolubilità matrimoniale come è intesa nella chiesa latina, ma non si esclude la possibilità di un riconoscimento ecclesiale della nuova relazione (anche con un rito di benedizione), poiché in essa possono essere presenti alcuni tratti dell’autentico amore cristiano. Inoltre, si prevede la piena ammissione ai sacramenti e all’assunzione di ministeri ecclesiali, dopo un opportuno itinerario penitenziale.
Anche se bisognosa di chiarimenti sul piano dottrinale e nella modalità attuative, si tratta di una proposta degna di attenzione per le risorse pastorali che intende promuovere e le indubbie ricadute positive che potrebbe avere sulla vita di tante famiglie che attendono dalla chiesa l’opportunità di un nuovo inizio.
G. Del Missier, in
Studia Patavina 63 (1/2016) 232-235