L'apologia a favore dei cosiddelti "divorziati risposati" posta in atto dall'autore, a suo tempo avvocato, poi religioso domenicano, attualmente vescovo di Orano, si propone quale ulteriore contributo alla maturazione della questione di matrimonio e famiglia nell'intertempo fra i due sinodi. Nel panoroma del dibattito si iscrive di fatto nel filone 'kasperiano' della "seconda tavola di salvezza". Le conclusioni cui giunge non sono dissimili da quelle già avanzate su questo versante: possibilità di accesso al perdono sacramentale, previo un cammino penitenziale e a dimensione ecclesiale e quindi in certo modo pubblico, accoglienza all'eucaristia. Singolare e capace di catturare l'attenzione è, invece, la strumentazione argomentativa posta in campo.
Il testo è preceduto da un 'editoliale' entusiasta di A. Grillo, che si preoccupa di fornirne gli estremi, o, meglio, di sensibilizzare il lettore alla sua "matematica argomentativa'' (7): l'architettura testuale distribuita su otto questioni, giusta la “grande tradizione scolastica” (7) dell'argomentare; la tesi portante, giocata sul duplice fronte della rimodulazione teologica del concetto di 'indissolubilità' e di una ermeneutica giuridicamente raffinata del concetto di "persistenza ostinata nello stato di peccato grave"; le aporie delle soluzioni attualmente disponibili; le prospettive aperte. Il tutto gratificato di equilibrio ammirevole fra teologia classica ed istanze contemporanee.
In effetti l'intervento dell'A. punta direttamente al bersaglio grosso, rappresentato dalla ricaduta sulle situazioni di fallimento matrimoniale della dottrina cattolica del matrimonio, qual è, da ultimo, sinteticamente enunciata in Familiaris consortio 83 e 84. Nei confronti del dispositivo lì riproposto è eccepita una pregiudiziale e, a seguire, è attivata una operazione. La pregiudiziale opposta è quella della sua non-ricezione in larghi strati di persone pure credenti: incomprensione per la quale è insinuata, sia pure problematicamente, la valenza di “espressione di un sensus fidei” (22). Al che è da far notare che solo un velo sottile distingue sensus fidei da Geistzeit, "spirito dell'epoca", 'mode', nei cui confronti operare un discemimento: che nel testo si perde sullo sfondo.
L'operazione posta in essere sviluppa uno spacchettamento del dispositivo di FC, discutendone in successione i singoli elementi. Interessa, in particolare, FC 84. Si incomincia dallo statuto ecclesiale dei "divorziati risposati". Sulla bilancia è gettato da un lato il peso effettivamente riconosciuto ai motivi oggettivi di rottura del patto matrimoniale e dall'altro la loro irrilevanza in ordine alla conclusione di una seconda alleanza matrimoniale. Fra i due ordini di situazioni è da riconoscere, invece, un nesso di “causa ed effetto” (31), che è “evidente” (75). Assunta nella sua perentorietà, l'affermazione suona eccessiva: suppone obiettivamente un determinismo, che non è dato sul piano della ragion pratica e dell'agire umano, dove, invece, trova posto una "causalità da libertà", di cui eventualmente rendere conto in modo adeguato.
Un passaggio intermedio discute la dizione "divorziati risposati", prendendone le distanze. Nonostante l’uso generalizzato, l'enunciato appare effettivamente inappropriato per dire la situazione umana in oggetto. Meglio parlare, come suggerisce l'A., di "persone impegnate in una seconda alleanza matrimoniale fedele e stabile, non necessariamente formalizzata con un matrimonio civile” (36). Ma, a questo punto, parlare di "seconda unione" rischia di essere limitante e di non rendere conto della situazione umana attuale in tutta la sua ampiezza: perché lasciare fuori considerazione le situazioni di terza e quarta unione, e anche più, di cui pure ormai si ha esperienza?
Viene, poi, il supporto scritturistico normalmente frequentato in tema di matrimonio e allusivamente richiamato in FC. Sul tappeto stanno le parole di Gesù e più precisamente il loro utilizzo per qualificare come adultere indistintamente le persone impegnate in una seconda alleanza matrimoniale. Tale uso è contestato facendo leva sulla incomparabilità delle situazioni: quella, giuridica e formalistica, cui Gesù è messo di fronte, e quella, esistenziale, delle persone del tempo attuale. Con l'aggiunta che con la seconda unione non è messa in questione l'idea di matrimonio quale è difesa da Gesù: essa rimane ideale che ci si sforza di vivere nonostante il fallimento. Quanto alla letteratura paolina, i passi in cui è evocata la tematica matrimoniale sono liquidati come irrilevanti in ordine al chiarimento della questione in oggetto. Il disinnesco del pronunciamento scritturistico è senza mezzi termini: qualche interrogativo continua peraltro a serpeggiare quanto alla pertinenza teologico-biblica della sua istruzione.
Segue il nucleo centrale, il cuore, dell’impianto argomentativo, costituito, rispettivamente, dalla risemantizzazione di 'indissolubilità' e dalla rifigurazione di "persistenza ostinata nel peccato". I due profili sono obiettivamente interconnessi e mettono a fuoco due momenti dell'esperienza delle persone impegnate in una seconda unione coniugale: rispettivamente, lo spessore esistenziale della seconda unione e la sua valutazione in rapporto alla prima unione fallita. La riscrittura del campo semantico di 'indissolubilità' muove su tre direttrici: scorporo di 'indissolubilità' dal matrimonio sacramentale e sua attribuzione alla unione coniugale in quanto realtà antropologica; disconnessione di 'indissolubilità' e 'unità': rilevazione empirica della consistenza antropologica della seconda alleanza coniugale. L'operazione abilita la predicazione di 'indissolubilità' per la seconda unione coniugale. Lo spostamento di 'indissolubilità' da connotazione del sacramento del matrimonio a connotazione della realtà antropologica di “ogni amore coniugale vero” (53) è qualificato come “ribaltamento importante” del “discorso abituale” sul matrimonio (53): in realtà, sfonda una porta aperta, poiché la stessa teologia più tradizionale parla di indissolubilità come di proprietà già del matrimonio 'naturale'. Quanto alla richiesta di non confondere le due proprietà del matrimonio, si fa avanti almeno una duplice annotazione: nella teologia tradizionale l'unità è propria già del matrimonio 'naturale' e non sopraggiunge solo con il matrimonio sacramentale; essa non rimane sospesa sul piano ideale ma chiede di essere assunta nella sua ricaduta storica. A meno che non ci si ponga sulla lunghezza d'onda della "relazione pura" a suo tempo teorizzata da A. Giddens. Rimangono la portata antropologica e lo spessore esistenziale della seconda unione, e anche la sua risonanza nella congiuntura culturale, che la accreditano, “con l'andar del tempo” (61), della consistenza del definitivo: è “fatto umano indiscutibile” (56) e contro il fatto non tiene argomento di sorta. Ma, di nuovo, non si capisce perché limitarsi alla seconda unione e non estendere, certo paradossalmente, le considerazioni alla n-esima unione, sempre in rigorosa successione temporale.
La rivisitazione del concetto di "persistenza ostinata nel peccato" sposta l'argomentazione sul registro giuridico e la discussione verte sulla fattispecie della "continuazione del reato". Al riguardo è fatta intervenire la distinzione di “reato istantaneo” e “reato permanente” (66ss) sulla base della possibilità o, rispettivamente, della impossibilità per il soggetto attore di ripristinare la situazione antecedente l'atto stesso. Nel caso di ogni "alleanza vera (anche non sacramentale) tra due persone” (69) si è in presenza di un definitivo, con caratteristiche di 'indissolubilità', che non permette, in concreto ma anche in linea di principio, il suo azzeramento. Questo impedisce di classificare la sua messa in atto come "reato permanente" ma induce a iscriverla, eventualmente fra i "reati istantanei": fuori, in ogni caso, dalla fattispecie della "persistenza ostinata in una situazione di peccato" e pertanto passibile di perdono nella chiesa. Di nuovo, il punto di forza dell'argomentazione è collocato nella valenza specifica della seconda unione, ricapitolata nella nota della 'indissolubilità'; il dato di fatto chiede una rideterminazione del quadro di diritto. Come sottolinea lo stesso editoriale, non si può che ammirare il virtuosismo dell'argomentare. Al punto che ogni sua ripresa è esposta al rischio della semplificazione. Riporta, peraltro, alla serietà delle cose il riconoscimento che “fare la verità sui motivi di una seconda alleanza richiede di fare la verità anche e in primo luogo sul doloroso evento della rottura del matrimonio sacramentale” (76) e che “l'offesa fondamentale, sul piano umano e su quello spirituale, avviene prima e soprattutto nel momento della rottura del primo legame” (79).
B. Seveso, in
Teologia 3/2015, 520-522