Alberto Conci, nella Postfazione all'edizione italiana paperback del volume più atteso epiù noto di uno dei maggiori teologi del Novecento, scrive: «Ciò che colpisce maggiormente, ripercorrendone le pagine, è l’inalterata capacità di tenere aperti i grandi interrogativi che le attraversano, riproponendoli immutati a chiunque le avvicini».
Sulle diverse traduzioni edizioni italiane di Resistenza e resa del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), martire nella lotta contro il nazismo, mi sono già soffermato su Rocca n. 22 del 15 novembre 2023.
Il 'catalogo' delle tematiche affrontate è vasto, per citarne alcune: la tensione mai risolta, soprattutto in tempi di guerra, tra sicurezza e pacifismo; e poi la riconsiderazione dell'Antico Testamento, la fedeltà alla terra per una fede che sapientemente apprezza la dimensione qualificata delle cose penultime e quindi un fare religioso che non pretenda di essere zelante e addirittura oltre Dio. Bonhoeffer non ha potuto che abbozzare questioni, un fascino del suo pensiero, di certo non ricercato, è anche in questa sua elasticità interpretativa dinamica sempre attuale, aperta ad un ventaglio di possibilità anche inedite.
Bonhoeffer, nella Lettera a Eberhard Bethge,9 marzo 1944, definisce i musulmani 'maomettani', errore condiviso dal lessico dell'epoca (ed ancora dopo). Invece stessa lettera, più avanti, molto significativamente Bonhoeffer scrivendo della sofferenza: «Qualche volta a suo tempo mi sono meravigliato di come i cattolici passino in silenzio sopra casi come questi. Che si tratti forse davvero di maggior forza? Forse per la loro storia essi conoscono meglio che cosa sia veramente la sofferenza e il martirio tacciono sui disagi e sulle difficoltà di poco conto». La terminologia era inevitabilmente criptica, Bonhoeffer, infatti, scriveva dal carcere, recluso dai nazisti, di certo non poteva mettere ulteriormente a repentaglio la vita sua e delle persone a lui care, perciò scriveva: 'cattolici', ma è da leggere: 'ebrei'. (E. Bethge). Un esempio di quanto ci sia da scavare ancora nel suo lascito.
Di assoluto rilievo e intrigante è anche la 'profezia' dell'annuncio evangelico con un «linguaggio nuovo, forse completamente non-religioso, ma capace di liberare e redimere, come il linguaggio di Gesù». Forse una sorta di 'esperanto' di sensi e di significati, che risulti finalmente comprensibile laicamente ai non teologi? La domanda resta aperta. Intanto propongo in gioiosa ed estetica provvisorietà: il linguaggio dell'arte. Con affreschi, dipinti, sculture, musica, poesia, letterature, cinema, teatro, danza, e tutta l'arte nella sua inclusiva iridescenza con vitale discernimento. Bonhoeffer grande teologo e valente musicista lo ritroveremmo ancora là, anzi proprio qui, puntualmente, ad aspettarci.
Nel linguaggio dell’arte che può aiutarci a comprendere la vita anche con l’arcobaleno di colori della fede.
M. Abbà, in
Rocca 1 giugno 2024, 61