La lettura di Cristologia del teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer (1906-1945) richiede, a nostro avviso, alcune prccisazioni introduttive. Almeno quattro. Si tratta di un “corso scolastico”, tenuto da Bonhoeffer nell'estate del 1933 all'Università di Berlino, non pensato in vista della pubblicazione e non rivisto dall'A. Ciò spiega la sua sinteticità (circa 60 pagine in tutto) e la densità del linguaggio (quasi degli schemi per l'insegnamento). In secondo luogo il testo è stato ricostruito non a partire dal manoscritto originario di Bonhoeffer, andato irrimediabilmente perduto, ma dagli "appunti" di alcuni dei suoi studenti. Questa è la ragione del carattere frammentario e, in qualche punto, incerto di alcuni passaggi di Cristologia, che l'edizione italiana segnala opportunamente in nota, offrendo le possibili varianti interpretative. Il volume è poi una "traduzione" e ogni traduzione richiede un supplemento di vigilanza. Va comunque riconosciuto a Carlo Danna, traduttore, e ad Alberto Conci, curatore, il merito di aver indicato negli snodi più delicati i vocaboli tedeschi, così da ricondurre il lettore all'originale. Infine - ed è la quarta precisazione - Cristologia va contestualizzata sia da un punto di vista storico (la nomina di Hitler a cancelliere del Reich è proprio del 1933), sia da un punto di vista biografico (lo scritto è considerato uno "spartiacque" tra la fase accademica di Bonhoeffer e quella più impegnata nella pastorale e coinvolta negli eventi del mondo).
Queste precisazioni introduttive, oltre all'opportunità della Postfazione di E. Bethge e O. Dudzus (pp. 129-140), già pubblicata nell'edizione italiana di Cristologia del 1984, spiegano il senso dell'ampio Saggio introduttivo di Alberto Conci (pp. 7-59), che ha il merito di inquadrare l'opera all’interno della riflessione teologica di Bonhoeffer. Il titolo - Esserci per altri. Uno sguardo sulla cristologia di Dietrich Bonhoeffer - indica la categoria di "relazione" come la chiave di lettura per comprendere adeguatamente il percorso cristologico di Bonhoeffer: un cammino che Conci vede, sì, come sviluppo ma nella continuità, anziché - come per altri autori - in una logica di forte rottura e discontinuità (Barth, soprattutto).
La lettura del testo bonhoefferiano è foriera di sorprese e di guadagni non piccoli anche per il lettore di oggi. Il primo aspetto cbe si coglie immediatamente è la lucida affermazione del "carattere centrale della cristologia" (p. 64): riflettendo sul "luogo di Cristo", Bonhoeffer arriva a dire in modo cristallino che "questa è l'essenza della persona di Cristo: essere nel centro" (p. 88). Ripercorrendo la struttura di Cristologia, questa consapevolezza conduce Bonhoeffer alla revisione critica di alcune posizioni della teologia di fine '800 e inizi '900 (soprattutto nell'Introduzione alle pp. 64-74) e poi all'appassionata ricerca del Risorto che oggi si fa presente come appello e relazione: nella parola, nel sacramento e nella comunità (II Cristo presente: il pro me, pp. 74-92). Nella seconda parte dell'opera - Il Cristo storico (pp. 92-118) - Bonhoeffer si mette in ascolto della cristologia del cristianesimo antico e della Riforma (Lutero in particolare) e formula una "cristologia positiva", che si fonda sulla verità della resurrezione e sullo scandalo del sepolcro vuoto: «Se il sepolcro non fosse vuoto, non ci sarebbe la nostra fede» (p. 125).
Bonhoeffer intreccia anche un vivace dialogo con alcune delle principali figure della temperie culturale e teologica dell'area tedesca di inizio '900. È impossibile non cogliere la serrata critica all'idealismo hegeliano che, secondo Bonhoeffer, pretende di inserire il Logos (trascendente) nell'ordinamento del logos (immanente) e considera l'incarnazione come una necessità: «Il fatto che il Logos è diventato uomo è un presupposto e non un qualcosa che si può dimostrare [...] il trascendente è sempre e solo un presupposto del nostro pensiero, non una dimostrazione» (p. 65). Parimenti Bonhoeffer manifesta il desiderio di una cristologia che si svincoli dalla domanda sul "come è Cristo" (Wie-Frage), che affligge gran parte della teologia antica e di quella scolastica, e si confronti con la domanda del "chi è Cristo" (Wer-Frage): «Questa è la domanda [...] della fede: chi sei, sei Dio stesso? Unicamente di questa domanda si tratta nella cristologia» (p. 66). Da questo approccio emerge la volontà di uscire dalle secche di una dogmatica astratta, vittima - per dirla con Heidegger - dell'ontoteologia, e indirizzare il discorso teologico su una prospettiva più esistenziale in cui il Cristo non è più "oggetto" di studio ma "soggetto" che interpella: «La domanda: 'Chi sei tu?', che [l'uomo] rivolgeva alla persona di Cristo, rimpalla su di lui: chi sei dunque tu da domandare così? Sei nella verità tanto da permetterti di porre così la domanda? Chi sei tu che puoi rivolgermi delle domande solo perché sei il giustificato e il graziato per mezzo mio? Soltanto dove si ode questa domanda, soltanto lì la questione cristologica è definitivamente formulata» (p. 68). Netta è la presa di distanze da Schleiermacher, che interpreta Cristo in base alla sua opera e non in base alla sua persona (p. 72), mentre per Bonhoeffer si può comprendere Cristo solo se egli si rivela attraverso la sua Parola: «Solo attraverso la rivelazione di Cristo mi si dischiudono la sua persona e la sua opera» (p. 74). In questo modo viene riaffermato il carattere indeducibile e fondante della Scrittura, che rivelando toglie all'opera – anche a quella di Cristo – la sua costitutiva ambivalenza, soggetta alla molteplicità delle interpretazioni. Nell'affermazione perentoria dell'alterità di Dio che si manifesta pienamente attraverso la sua Parola – e non attraverso altre vie – è difficile non riconoscere, come in filigrana, l'influsso della teologia dialettica e del pensiero dell'amico Karl Barth.
Sulla questione della distinzione tra Gesù della storia e Cristo della fede, che ha segnato il Novecento e anche oggi è al centro di un intenso dibattito, Bonhoeffer è deciso: alla luce dai risultati di quella che noi oggi chiamiamo la Prima ricerca, egli arriva ad affermare che «non è possibile separare Gesù da Cristo» (p. 93), pertanto «il Cristo presente è il Cristo storico. E questi è il Gesù della cronaca storica. Se così non fosse, dovremmo dire con Paolo che la nostra fede è vana» (p. 92). E liquida il tentativo della teologia liberale di «distinguere unGesù sinottico da un Gesù paolino» come «dogmaticamente e storicamente impossibile» (p. 92). Nell'estesa sezione dedicata alla rilettura della cristologia antica, non passa inosservato - ed è l'ultimo aspetto su cui vogliamo portare l'attenzione - l'affondo nei confronti del docetismo (ove si possono cogliere delle assonanze con la lettera Placuit Deo di papa Francesco). L’eresia docetista per Bonhoeffer non è un episodio del passato ma una tentazione persistente nella chiesa: anche il dogma di Calcedonia, secondo lui, non ne sarebbe del tutto immune. Più recentemente il docetismo è riverberato nella teologia liberale: «Tutta la teologia liberale va concepita nel contesto di una cristologia docetista. La teologia liberale non ha voluto vedere in Gesù nient'altro che colui che personifica una determinata dottrina [...] in fondo non prende sul serio l'umanità di Gesù» (p. 101).
In conclusione, Cristologia di Bonhoeffer è un testo inaspettatamente attuale, da accostare per certi versi a Essenza del cristianesimo di Romano Guardini, se non altro per la strenua lotta contro la teologia liberale e contro tutte le forme di pensiero che intendono "ridurre" il carattere misterico, scandaloso e reale dell'incarnazione di Dio nell'uomo Gesù. Il testo di Bonhoeffer è tutt'altro che espressione – come affermano alcuni critici – di una "cristologia dal basso": esso ci appare piuttosto come una "cristologia dall'alto", che concepisce la chiesa come l'unico alveo in cui conoscere adeguatamente il mistero di Cristo. Al tempo stesso, per Bonhoeffer la fede nel Dio-uomo diventa, grazie alla dinamica relazionale che egli riconosce in Cristo (il suo essere pro me, cioè vita che interpella e che si dona), appello alla conversione, alla sequela, alla condanna dell'eresia, all'impegno nella storia, alla testimonianza... È questa fede "alta" in Cristo a motivare la sua adesione alla "chiesa confessante" e, passo dopo passo, il suo impegno nel mondo fino alla decisione di agire concretamente contro il Nazismo, una volta compresa la sua totale incompatibilità con il cristianesimo.
A. Magoga, in
Studia Patavina 2/2021, 357-360