È possibile «ascoltare» Dietrich Bonhoeffer mentre tiene un corso sull’essenza della chiesa nel semestre estivo del 1932 dinanzi a pochi studenti presso la prestigiosa Università di Berlino? In un certo senso sì. Con questo volume edito da Queriniana il lettore può immaginare di sedersi in quell’aula dove il giovane docente e pastore luterano tenne le sue dieci lezioni con uno stile – secondo la testimonianza di Wolf-Dieter Zimmermann, studente del corso – molto concentrato, capace di esprimersi con fredda razionalità, ma al tempo stesso di trasmettere all’uditorio la propria fede adamantina. Lezioni così coinvolgenti che si sarebbe potuto sentire anche il ronzio di una mosca tanto alta era l’attenzione su quanto quel teologo, di appena ventisei anni, andava riflettendo riguardo a un tema che gli stava particolarmente a cuore, vale a dire se la chiesa fosse attrezzata per sopravvivere a un’altra catastrofe o se, viceversa, la sua fine era oramai segnata.
Indubbiamente, come evidenziato da Alberto Conci nella sua introduzione, significativamente intitolata «Il luogo concreto della chiesa», ciò che ossessionava quel docente destinato a essere martirizzato a Flossenbürg pochi giorni prima della fine della Seconda guerra mondiale su esplicito ordine di Adolf Hitler, era l’aver constatato che la chiesa a lui contemporanea non era più in grado di pronunciare il comandamento concreto, ossia «la comunione fondata con Dio attraverso la parola concreta rivolta a me, e non lontananza di Dio da me attraverso il principio» (p. 22).
Tale comandamento acquista maggiore consistenza, sino a diventare un vero e proprio banco di prova per la chiesa stessa, se viene storicamente contestualizzato: quando Bonhoeffer tiene il corso siamo nell’estate del 1932, le elezioni che porteranno il «caporale Adolfo» al potere si svolgeranno pochi mesi dopo, un periodo, dunque, estremamente delicato per la chiesa tedesca, declinata nelle sue diverse confessioni, in quanto doveva definire il proprio compito avendo sotto gli occhi l’ascesa del nazionalsocialismo. Un compito che non poteva non significare una meditazione su cosa potesse significare la coerenza dell’ubbidienza, dell’efficacia, del contenuto della parola che la chiesa stessa è doverosamente chiamata a pronunciare, specie dinanzi all’avanzata del male assoluto plasticamente incarnato nella bestiale violenza quotidiana delle camicie brune naziste.
Leggere queste lezioni significa, pertanto, avere la possibilità di vedere, sebbene inevitabilmente ancora in nuce, una serie di traiettorie che saranno sviluppate da Bonhoeffer negli anni a seguire.
La prima di esse è il ruolo della cristologia: il Cristo esistente come comunità costituisce una robusta diade con il Cristo Signore della comunità. Ciò comporta, come sua ricaduta pratica, liberarsi da ogni tentazione di operare una semplicistica equazione tra Cristo medesimo e la chiesa. Muovendo da questa considerazione si abbozzano temi che saranno ripresi, con ben altra profondità, sia in Resistenza e resa che nel periodo vissuto a Finkenwalde:
«1) lo strutturale l’essere-con-l’altro dei membri,
2) lo strutturale l’essere-per-l’altro dei membri» (p.78),
in modo tale che la comunità sia vista come un’unica vita e che sia impossibile pensare i suoi membri separati gli uni dagli altri. Questa prospettiva per Bonhoeffer significa condurre un ciclo di lezioni che sia aperto al mondo: la chiesa, infatti, è divenuta totalmente mondana. Essa può, in questa mondanità, rinunciare a tutto tranne che alla Parola vivente di nostro Signore. Solo così – altra traiettoria foriera di conseguenze per l’intera teologia al di là degli steccati ecclesiali – può porsi al centro del mondo: la sua «centralità», tuttavia, rispetto alle tradizionali logiche di potere che da sempre caratterizzano coloro che, a vario titolo, lo esercitano, coincide esattamente con la periferia.
Al riguardo, afferma Bonhoeffer davanti ai pochi discenti del corso: «Rinuncia alla purezza e ritorno alla solidarietà con il mondo peccatore! Chiesa in quanto chiesa divenuta completamente mondana, confessando coraggiosamente il suo essere-mondo, la chiesa diviene libera dal mondo! Allora, di fronte [agli] idoli del mondo, la chiesa non arretra più intimorita. Allora essa è libera nei confronti dei “paria” e dei “nobili”. [Il suo] posto non è soltanto presso i poveri, e non disprezzerà i ricchi, i pii e i nobili. Entrambi i gruppi sono “mondo”. La chiesa sarà priva di imbarazzi da entrambi i versanti. La fede ha vinto il mondo per i paria e per i ricchi. È soltanto la rinuncia alla purezza che rende libera la chiesa!» (p. 88).
Come acutamente sottolineò a suo tempo Alberto Gallas nella sua maggiore opera, Anthropos teleios, in questo corso Bonhoeffer apporta una radicale novità rispetto alle proprie precedenti riflessioni ecclesiologiche: il suo tentativo di individuare l’«essenza» della chiesa non mira, in primo luogo, a definire la «natura» di quest’ultima quanto, piuttosto, si concentra sui compiti, sulle funzioni, sulla rete di relazioni in cui essa si trova costituzionalmente inserita e che, anzi, essa stessa concorre a costituire. C’è, dunque, una distanza con la dimensione ontologica tipica della teologia cattolica in favore della dimensione dialogica della chiesa: il carattere di parola interpellante proprio dell’annuncio di cui è messaggera la chiesa comporta necessariamente – e queste lezioni ne sono una viva testimonianza – l’accentuazione della prospettiva storica e, quindi, anche quella potenzialmente politica.
Scriverà Bonhoeffer l’anno seguente al corso nell’articolo Che cos’è la chiesa: «La chiesa non è un santuario consacrato, ma mondo chiamato a sé da Dio; perciò c’è solo una chiesa in tutto il mondo […]. La chiesa è l’infrazione del mondo mediante il miracolo, mediante la presenza del Dio vivificante che chiama dalla morte alla vita» (pp. 95-96). Era in 1933, l’anno dell’ascesa al potere del nazismo.
D. Segna, in
Protestantesimo 2-3/2024, 313-315