Il libro è nato dalla rielaborazione di alcune conferenze tenute dall’A. all’Accademia cattolica di Monaco di Baviera, all’Università di Vienna, alla Scuola superiore di teologia Sankt Georgen di Francoforte sul Meno, al Centro Pro Unione di Roma e presso la Catholic University of America a Washington D.C. Pubblicato in occasione del secondo anniversario del pontificato di papa Francesco, il libro si compone di una breve premessa, di 12 capitoletti e, a modo di conclusione, di « uno sguardo al futuro » animato dalla gioia e dalla speranza del vangelo.
Lo scopo della pubblicazione è quello avvicinare il lettore «al fenomeno Francesco dal punto di vista teologico e di illuminare un poco lo sfondo e il contenuto teologico del pontificato, evidenziandone le nuove prospettive che si aprono» (p. 16).
In tale direzione vanno letti i primi capitoli dove viene presentata la figura carismatica di papa Francesco. Il pensiero e i gesti che caratterizzano il suo ministero di vescovo di Roma sono assai espressivi e riconducibili ad alcuni principi fondamentali.
In primo luogo, la riforma della chiesa, che deve avvenire secondo il criterio di una «ermeneutica della continuità» e non secondo quello della rottura. Papa Francesco vuole «riforme nella chiesa (EG 26)» (p. 24), non intendendo assolutamente essere un sovversivo, bensí colui che conserva la tradizione della chiesa con la consapevolezza che essa va riattualizzata nella forza dello Spirito Santo presente nella chiesa stessa. Utilizzando un’immagine di Tommaso Moro, cara a Giovanni XXIII, si può dire che papa Francesco non intende tramandare la cenere, ma la brace nascosta sotto di essa. Se si desidera che torni nuovamente a brillare il nucleo ardente del vangelo, occorre rimuovere la cenere accumulata lungo i secoli.
In secondo luogo, il vangelo come origine, fondamento e fonte della gioia. Con «vangelo» non bisogna intendere uno scritto o un libro, bensí la consegna di un messaggio buono e liberante, di cui la chiesa è discepola. Papa Francesco – in linea con i primi padri del deserto e fino a Tommaso d’Aquino – considera l’autoreferenzialità «il peccato radicale e la tentazione originaria dell’essere umano: l’acedia, l’inerzia del cuore, la forza di gravità che attira in basso, la pesantezza, la nausea delle cose spirituali, che porta alla tristezza di questo mondo (2Cor 7,10; cf. EG 1s; 81)» (p. 38). Questa è la tesi di fondo della Evangelii gaudium che affronta alla radice il problema della chiesa e del mondo attuale.
In terzo luogo, la misericordia, tema assunto come parola-chiave del suo pontificato. Se la teologia di scuola lo ha sempre considerato una semplice declinazione della giustizia, papa Francesco invece considera la misericordia come la qualità fondamentale di Dio, tanto che porre la questione della misericordia significa interrogarsi su Dio. Essa è anche il principio ermeneutico per comprendere e realizzare i comandamenti nel modo giusto ossia secondo il vangelo, con conseguenze riguardanti la comprensione e la prassi della chiesa.
In quarto luogo, la chiesa come «popolo messianico» (LG 9-12), chiamata concretamente a una «pastorale in conversione» ovvero a una «conversione pastorale» (EG 25). Papa Francesco parlando ai vescovi del Brasile riuniti a Rio de Janeiro il 27 luglio 2013, ha ribadito molto chiaramente che «pastorale» significa «esercizio della maternità della chiesa», la quale genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta e conduce per mano. Pertanto, se da una parte occorre riconoscere il valore soggettivo di ogni battezzato che in diverso modo, ciascuno secondo la propria vocazione, contribuisce all’attuazione dell’unica missione della chiesa, dall’altra il magistero deve essere capace di ascoltare tutti e di decidere valorizzando le diverse voci. Accompagnando da vicino il cammino delle persone, secondo lo stile evangelico del buon samaritano, si può giungere ad avere un grande consenso (cf. pp. 65. 76).
Questo cambiamento metodologico di paradigma, proposto da papa Francesco, viene definito dall’A. come la «dimensione mistica» della sua ecclesiologia. Essa consiste nell’«incontrare Cristo, anzi toccare Cristo, nei poveri (EG 270). La chiesa è il corpo di Cristo; cosí nelle ferite degli altri tocchiamo le ferite di Cristo» (p. 67). È un «modo di vedere mistico» che ricorda la vocazione di Francesco d’Assisi che abbracciò il lebbroso e anche quella di madre Teresa di Calcutta che iniziò la sua missione fra i poveri portando un moribondo nel suo convento. È la mistica del vivere insieme, dell’incontrarsi, del prendersi cura gli uni degli altri, degli occhi aperti, delle mani che afferrano e che aiutano.
Da questi quattro principi fondamentali nascono le due traiettorie del rinnovamento ecclesiale che necessitano di «una fondamentale riforma della mentalità» (p. 71).
La prima è quella di una chiesa che si autocomprende come communio. Ed è proprio secondo questa sua specifica struttura costitutiva che dev’essere articolato il rapporto tra chiesa locale e chiesa universale, tra collegialità o sinodalità e primato. A tale proposito, piú che in altri tempi, è urgente porre mano al rinnovamento del principio sinodale (inteso come «processo sinodale») che apre sia alla dimensione della unità nella molteplicità delle chiese locali, sia a una visione ecumenica della unità in quanto «unità in tensione», realizzata attraverso la diversità. Volendo utilizzare un’immagine per esprimere il modello di unità, bisognerebbe preferire a quella della sfera, quella del poliedro costituito da piú angoli e piú superfici, ciascuna delle quali riflette la luce in modo meraviglioso con una sua propria bellezza.
La seconda traiettoria è quella di una «chiesa povera per i poveri», motivata cristologicamente. L’opzione preferenziale per i poveri non deve essere ritenuta una specialità latino-americana, ma deve essere invece considerata l’opzione con la quale la chiesa intera pone la sfida al mondo di oggi. Questo è un programma ecclesiale, pastorale e spirituale, utile anche per mettere allo scoperto atteggiamenti fondamentali sbagliati che portano a una economia sbagliata che pone al centro non l’uomo ma il denaro. Su questa strada, la «stanca» Europa e la chiesa europea possono tornare a essere giovani. In particolare la chiesa può ringiovanirsi nel momento in cui torna a essere presenza cristiana che desta interesse per il bene delle persone, per i loro diritti, per il tema della pace e della fraternità universale. A tale scopo, papa Francesco ritiene che si debba acquisire una «mentalità di tipo processuale. [...] Per conquistare il bene della pace non si deve partire da un ordinamento che emargina coloro che pensano e vivono diversamente, ma si deve lavorare a un ordinamento di pace che cerca di coinvolgerli» (p. 121). Con una mentalità di tipo processuale si possono affrontare le due sfide fondamentali (la multiculturalità e la trasversalità) del pluralismo odierno, nel quale il cristianesimo può ritrovare nuovamente il suo posto, e la chiesa può essere un importante – ma non piú l’unico – punto di riferimento culturale. In tal modo si ha «non solo la fine dell’antico modo eurocentrico ma anche la fine della correlazione e della simbiosi costantiniana tra chiesa e potere secolare, senza imboccare la strada del dualismo ostile di entrambi nel secolarismo e nel laicismo» (p. 123).
A conclusione del suo libro, scrive l’A.: «Papa Francesco è uomo dell’incontro. Egli possiede il carisma di saper parlare a chiunque, ai grandi di questo mondo come ai molti piccoli [...]. Egli trasmette il suo messaggio benevolente ma non a buon mercato, invitante ma non accattivante, che considera ognuno come benvenuto e addirittura abbraccia ognuno, ma che spesso scuote e risulta scomodo» (p. 125). E si chiede: «Saprà dunque papa Francesco dare realmente impulso a una grande riforma? Oppure il suo pontificato deluderà le aspettative?» (p. 127). A queste domande non si può umanamente rispondere. E la risposta non dipende neppure solo dal papa. «Essa dipende anche da questo: se e in che misura i collaboratori della curia romana, le chiese locali, le comunità religiose, i movimenti, le associazioni, le scuole e le facoltà teologiche e molti singoli cristiani accoglieranno i suoi impulsi» (p. 127). La proposta di papa Francesco è quella di rispondere al messaggio del vangelo con l’impegno della fede. La conversione e la fede di molti singoli, in una comunità senza confini che penetra nella profondità della storia, possono suscitare molte sorprese. E allora la riforma diventa «rivoluzione della tenerezza e dell’amore».
L’intenzione dell’A. di riunire in un unico volume contributi offerti in diversi luoghi e circostanze, ha dato vita a un libro ben riuscito. Vengono tenuti insieme diversi obiettivi: indicare il carisma profetico di papa Francesco senza contrapporlo a quello dei suoi predecessori; illuminare la strada fino a ora percorsa svelandone le radici lontane e profonde (in particolare la teologia della liberazione di tipo argentino); proporre ragioni di «riforme nella chiesa» in modo che tutti se ne sentano responsabili e protagonisti. Il quadro finale risulta unitario, raccolto nella prospettiva della «rivoluzione della tenerezza e dell’amore». Si può affermare che l’A. non scrive «su» papa Francesco ma racconta con empatia personale la storia di uno che è venuto dalla «fine del mondo» ed è entrato nella scena della chiesa in modo inaspettato (non era nella lista dei papabili), portando «un vento fresco, il vento della fiducia, della gioia e della libertà» (p. 14). Il racconto è puntuale, ricco di informazioni e di piacevole lettura.
G. Zambon, in
Studia Patavina 63 (1/2016) 229-232