«Lapidaria nella sua enunciazione, la formula extra ecclesiam nulla salus incombe minacciosa nei dialoghi col pubblico, oltre che nelle accademie teologiche (recentemente ne ha parlato Vito Mancuso su Repubblica). Ne sa qualcosa chi pratica le varie discipline religiose ed è spesso sulle tribune degli oratori. Dobbiamo, perciò, oggi, essere grati al teologo bresciano Giacomo Canobbio che ricostruisce "storia e senso di un controverso principio teologico", naturalmente risalendo ai suoi antecedenti egiziologici all'interno delle stesse Scritture sacre cristiane, ove si bilanciavano l'elezione d'Israele e l'apparire della Chiesa con l'universalità della salvezza. [...]
Come osserva Canobbio, l'evento Cristo segna una svolta nella storia: "Non viene meno la dimensione universale della salvezza, ma questa passa ormai attraverso la Chiesa" che è la casa/città di rifugio, è l'arca che sottrae al diluvio, è la madre matrice di vita. Da allora ha avvio il processo interpretativo della formula, soprattutto per quanto riguarda i confini di quello spazio che va sotto il nome di "Chiesa". La perentorietà dell'asserto in senso esclusivista sarà proclamata in modo rigido e radicale da Fulgenzio, vescovo di Ruspe in Africa nel VI secolo, e sarà ribadita nel magistero ecclesiale medievale. Ma l'allargarsi della mappa geografica planetaria con nuovi popoli non poteva non scuotere tale categoricità tassativa. Si apre così l'orizzonte dell'epoca moderna che proprio nello stesso concilio di Firenze (1442) ha i suoi primi fermenti che segnano una svolta nell'ermeneutica dell'assioma.
Sono queste le pagine più interessanti del saggio di Canobbio, anche perché si fanno carico delle molteplici interpellanze della cultura pluralista moderna. Il suo percorso giunge fino all’attuale "teologia delle religioni" e al fremito che – a partire dal Vaticano II – ha scosso la comunità dei teologi cristiani, ma anche l’assemblea dei fedeli. [...]
L'ultimo concilio ha certamente inserito la Chiesa nel piano salvifico di Dio come suo segno e strumento. Altri, però, hanno tentato successivamente di andare oltre, relativizzando la stessa funzione di Cristo, [...] sollecitando così le puntualizzazioni della dichiarazione vaticana Dominus Iesus (2000) sull’unicità e l’universalità della salvezza in Cristo. L’enciclica Redemptoris missio di Giovanni Paolo II (1990), da un lato, ha ribadito l’asserto tradizionale, spogliandolo, però, di ogni connotazione esclusivista: "La Chiesa è la via ordinaria della salvezza e solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza". Ma, d’altro canto, afferma che per coloro che sono stati educati in altre tradizioni religiose "la salvezza in Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale". Pur non precisando quale sia questa "misteriosa relazione", si suggeriva dunque la presenza di un percorso "straordinario" connesso a quello primario della Chiesa. Volendo ricorrere al commento di Canobbio, la Chiesa ha il compito di "certificare che Dio vuole condurre tutti alla comunione con sé" e di essere "il simbolo efficace di tale comunione"».
G. Ravasi, in
Il Sole 24 Ore del 3 maggio 2009, 42