Mai come oggi la parola libertà, indeterminata, polisemica e quindi suscettibile di numerosi equivoci, corre sulla bocca di tutti, invocata solitamente come ideale civile celebrato, diritto inalienabile del soggetto da rivendicare con forza nello spazio pubblico e quale istanza di emancipazione del singolo dalla tutela della società, senza preoccuparsi di considerare l'effettiva capacità di disporne concretamente. Anche il pensiero occidentale, non diversamente da quanto occorso alla stessa teologia, nella sua lunga storia ha pensato soprattutto in questo modo la libertà, in termini "politici", cioè nella prospettiva della relazione del singolo con la società e la custodia non di rado oppressiva da essa su di lui esercitata, senza darsi pensiero di riferirla anche alla sua dimensione più naturale e vera, che è quella della relazione che intercorre fra il soggetto e i suoi propri atti, incurante dell'avvertenza di Nietzsche, secondo il quale la malattia più seria dell'uomo moderno consiste nella sua incapacità di volere, di "liberare" la libertà, e disattendendo di fatto anche la concezione biblica e cristiana che la prospetta come un dono, fatto all'uomo dal Creatore, che si traduce subito dopo in un compito, delineata soprattutto anche se non esclusivamente negli scritti paolini.
Nel presente saggio Giuseppe Angelini si propone di rispondere alla non facile domanda: cos'è la libertà?, come si può investigarne la natura, e lo fa mettendosi alla ricerca delle tracce che la cosa stessa ha lasciato nella nostra tradizione, occidentale e cristiana, dando così credito alla ferma convinzione di Hegel secondo cui la libertà è entrata nel mondo proprio a opera del cristianesimo. Ciò è ancor più necessario oggi che l'idea stessa di libertà sembra essere come impazzita, rivendicata a sostegno di ogni pretesa soggettiva arbitraria e di un esonero sempre più ampio da ogni munus, da ogni responsabilità nei confronti dell'altro, e priva ormai del supporto di un éthos diffuso e condiviso nella società odierna.
Il percorso seguito dall'A., accennato già nel sottotitolo dell'opera, si propone di illustrare il concorso che il cristianesimo ha offerto alla genesi dell'ideale attuale di libertà in auge in Occidente mostrandone, al contempo, la distanza via via crescente dal modello additato dalla fede cristiana. Di fatto questo si svolge attraverso due itinerari paralleli, ma profondamente intrecciati fra di loro: da un lato una lettura attuale dei testimoni, non solo autori e dottrine ma anche costumi, dell'idea di libertà nella tradizione latina che sta alla base della cultura occidentale, e dall'altro una ermeneutica rinnovata dei testi fondatori, appartenenti al Nuovo Testamento, sia dell'idea cristiana di libertà che del lessico che la esprime.
Nella lunga e complessa prima parte del lavoro l'A. espone la cornice storica e tematica in cui si situa la riflessione, sia filosofica che teologica, sul tema della libertà, che risulta tuttavia fin da subito incompiuta e pregiudicata, secondo Angelini, proprio dalla separazione di principio fra filosofia e teologia, approfonditasi vieppiù nell'epoca moderna e contemporanea, secondo la quale la prima si sviluppa appoggiandosi alla sola ragione laddove la seconda procede dal Libro, dalla verità rivelata. Vengono così lasciati in ombra due aspetti fondamentali: anzitutto il sapere della coscienza che prende atto dell'esperienza della libertà, del suo farsi storico, ancor prima della riflessione tematica, e poi il fatto che la rivelazione di Dio non dice altro rispetto all'esperienza umana universale, quasi un di più di conoscenza, bensì dice oltre,additando qualcosa che ne è al fondamento inconcusso.
Questi due rilievi dell'autore milanese diventano pienamente comprensibili se rapportati alla tesi dell'intero lavoro, già da lui anticipata nelle prime pagine introduttive, secondo la quale l'agire umano è possibile solo come risposta a una vocazione che interpella il soggetto fin dall'origine. Filosofia e teologia dovrebbero, secondo questa prospettiva, cooperare e contribuire insieme a illustrare la condizione antropologica concreta, andando oltre la tradizionale separazione tra ragione e fede, tra natura e sopra-natura. Non potendo soffermarci sui dettagli, ci limitiamo a segnalare al lettore come questo quadro si configuri come un dittico, ricco nei dettagli e ben articolato, in cui la prima tavola è costituita dal pensiero antico e medioevale, ove compaiono i nomi ben noti di Origene, Agostino, Tommaso e altri, maggiormente influenzato dal cristianesimo, mentre la seconda presenta la visione della libertà dei moderni che fa riferimento ad altri maestri, fra i quali si citano Kant, Weber, Heidegger e Habermas.
Pienamente coerente con la tesi generale del saggio è l'inserimento a questo punto del percorso, come una breve ma efficace seconda parte propedeutica alla successiva, della prospettiva antropologica delineata dall'Antico Testamento che corregge l'ingenua visuale naturalistica del pensiero antico, quella di una libertà pensata come facoltà naturale dell'uomo, mettendo invece in luce il nesso originario e storico fra vocazione e risposta, elezione e libertà.
Viene poi, è la terza parte, la lunga porzione del saggio, assai meditata e vasta, rivolta a investigare il Nuovo Testamento come vangelo e lessico della libertà. L'idea di libertà, osserva Angelini, si iscrive nella tradizione della cultura assai più che nella riflessione teoretica grazie alla ripresa, operata dall'annuncio e dalla catechesi cristiana, dell'idea già propria dell'ambiente classico ed ellenistico e ivi diventata familiare grazie all'opera dei filosofi del tempo che si mostrano più come maestri di vita che maestri in senso accademico. Il perché dell'interesse dei cristiani al tema appare chiaro qualora si pensi alla possibilità di esprimere sinteticamente tutto l'evento cristiano come una scelta e quindi un passaggio dalla schiavitù alla libertà.
L'approfondimento offerto dal Nuovo Testamento sulla libertà cristiana viene esaminato dall'A. in tre passaggi: anzitutto uno sguardo molto ampio sull'epistolario paolino, poi la legge della libertà, la condizione per il suo esercizio, secondo la lettera di Giacomo e infine il tema correlato, dal vangelo di Giovanni, della verità come condizione di possibilità e di attivazione della libertà umana. Ovviamente, non possiamo qui soffermarci sulla notevole ricchezza esegetica e teologica profuse da Angelini in queste pagine, ma ci limitiamo a sottolineare al lettore l'invito, ivi contenuto, ad andare oltre il paolinismo che deriva, anche all'esegesi cattolica recente, dal seguire pedissequamente la lettura agostiniana di san Paolo attraverso l'ulteriore mediazione delle "lenti" di Lutero. L'A. propone qui, pur con la necessaria vigilanza critica, anche altre prospettive abbastanza recenti, provenienti dall'area anglo-americana, che consentono approcci convincenti all'autentico pensiero paolino; le raccomandiamo all'attenzione del lettore.
Infine l'ultimo passo, la parte quarta con il "ritorno al presente" come scrive l'A., che si sofferma sulle numerose contraddizioni del discorso moderno sulla libertà, attuato in un contesto di separazione marcata tra spazio pubblico e vita privata, caratterizzato soprattutto dalla rivendicazione velleitaria e, all'opposto, dalla debolezza del volere e da una pronunciata incapacità di promettere un impegno duraturo in un quadro di autonomia morale del soggetto e di concomitante rimozione del senso del dovere. La Rivelazione e il pensiero giudeo-cristiano propongono, invece, una identità drammatica e storica dell'uomo in cui la libertà corrisponde alla possibilità effettiva che questi ha di realizzare il congiungimento fra la decisione attuale, cosciente e volontaria, e la sua identità "fin da principio".
Concludiamo raccomandando all'attenzione del lettore il bel lavoro di Giuseppe Angelini che si rende assai utile per riflettere a fondo su questo tema, che è di grande attualità, offrendo al contempo numerosi spunti di approfondimento, anche tramite le note e l'ampia bibliografia finale.
A. Ricupero, in
Studia Patavina 1/2019, 153-156