Il volume nasce da una ricerca dottorale discussa al Centre Sèvres (Parigi) nel 2014, con direttore M. Fedou, pubblicato in originale francese nel 2016 (Cerf). In secondo luogo, tale lavoro è già stato recensito più volte e presentato il 13 novembre 2018 presso la Pontificia Università Gregoriana, con interventi di P. Sequeri, S. Morra e F. Patsch, reperibili online. Infine, il gesuita parigino A. del libro, docente alla Gregoriana, e chi scrive queste righe, hanno avuto il dono di essere alunni di M.P. Gallagher (1939-2015), indimenticabile gentleman del pensiero e di stile. In seguito a una sua conferenza a Padova, Studia patavina pubblicò uno scritto di Gallagher che rivela chiaramente come il gesuita irlandese sia stato uno dei promotori del recupero dell’immaginazione (cf. M.P. Gallagher, Ricupero dell’immaginazione e guarigione delle ferite culturali, in Studia patavina 51 [2004] 613-630). Si vedano anche due ricerche dottorali dirette da Gallagher: F. Cosentino, Un Dio possibile. Cristianesimo, immaginazione e “morte di Dio”, Cittadella, Assisi 2009; M. Pozza, Ancilla fidei et revelationis: recupero e pertinenza dell’“immaginazione” in teologia, Estratto Dissertazione, Roma 2014.
Su questa scia, il contributo di Steeves è decisivo e spicca per ampiezza, articolazione e focalizzazione dei nodi teoretici in questione. Il saggio è suddiviso in tre parti. La parte prima presenta dei Prolegomeni. Il cap. 1 offre una rassegna storica sul ruolo dell’immaginazione nella riflessione filosofica, strutturata in tre tappe: “premoderna”, “moderna” e “postmoderna”. Le immagini dello «specchio, lampada e palazzo degli specchi» (p. 71), rendono in modo sintetico i tre momenti analizzati. Il cap. 2, invece, offre un affondo biblico a partire dal libro dell’Apocalisse e dall’analisi delle parabole evangeliche. La parte seconda, presenta Una teologia fondamentale che integra l’immaginazione – Rivelazione e atto di fede. La strutturazione dei due capitoli segue uno schema ternario (necessità, possibilità, verifica) affrontando, prima, il nodo Rivelazione e immaginazione. Salvare l’immaginazione da se stessa e attraverso se stessa (cap. 3) e poi La fede come immaginazione. “Senza confusione né separazione” (cap. 4). Infine la parte terza illustra quelli che l’A. considera Loci theologici fundamentales, cioè spiritualità, liturgia, etica. Emerge un’architettura imponente con parti autonome che dialogano al contempo.
Uno dei grandi pregi dell’opera è di invitare alla ‘tavola dell’immaginazione’ una nutrita schiera di commensali in ottemperanza a un «metodo dialogico» (p. 14) o «stile teologico dialogale» (ibid.), «metodo immaginativo» (p. 15), che consiste nel far «discutere amici e avversari dell’immaginazione» (p. 14). Gli autori interpellati offrono la possibilità di affacciarsi su mondi teologici variegati: R. Kearney per la rassegna storico-filosofica; G. Bachelard, M. Merleau-Ponty, P. Ricoeur come sostenitori “filosofici” dell’immaginazione “moderna”; G. Vattimo, J. Kristeva e J.F. Lyotard per quella “postmoderna”; insieme, per la teologia a J.L. Marion, J.H. Newman e H.U. von Balthasar. Gli affondi teologici sono costruiti in compagnia di J.H. Newman, W. Brueggeman e all’imprescindibile gesuita statunitense W. Linch (1908-1987); infine, per l’analysis fidei la ripresa del contributo di P. Rousselot è determinante (p. 251). Nella terza parte entrano in campo Ignazio di Loyola, in dialogo con F. Marty, F.G. MecLeod e Balthasar, per la spiritualità (cap. 5). Per la liturgia (cap. 6) l’intreccio è quello tra le lezioni di Cirillo di Gerusalemme, Efrem il Siro e Giovanni Damasceno e il liturgista J.Y. Hameline, con una ripresa anche di Amalario di Metz. Per l’ambito dell’etica (cap. 7), sono gli statunitensi W. Cavanaugh, W. Spohn e C. Pickstock gli attori interpellati. Non mancano poi le ‘finestre artistiche’, letterarie con F. O’Connor (pp. 141-148) e pittoriche con S. Hantaï (pp. 269-271), fino a citare J. Lennon e la canzone Imagine (pp. 119-120) e a inserire (su quattrocento pagine) almeno tre immagini (p. 23).
L’immaginazione viene assunta come dimensione trascendentale del credere (p. 246), sulla scia del dettato kantiano (pp. 48-52, 388) e viene qualificata in modi innumerevoli, che ritornano lungo il libro (pp. 13, 15, 26, 61-64, 72, 250). L’immaginazione è infatti: noetica, euristica (p. 219), ermeneutica (p. 72), poetica (p. 63), cognitiva (p. 212), etica (p. 63), didattica, apologetica, profetica (p. 80), addirittura frattale (p. 115), riproduttiva e produttiva, dinamica e viva (pp. 152, 154), transoggettiva (pp. 56, 219), intersoggettiva (p. 170), dialettica (pp. 59, 366), simbolica (pp. 61-62), realizzante (p. 129), fenomeno saturo (pp. 149-152), sacramentale (p. 336), analogica (p. 365), eucaristica (p. 376), liminale (p. 394); si parla anche di una “contro-immaginazione” (p. 347). L’immaginazione attira la totalità delle dimensioni del credere tra le quali emerge la centralità della categoria di mediazione (pp. 30, 36, 40, 46) che risulta il nodo teoretico più fondante nel suo radicamento cristologico (p. 138) e nella sua portata epistemologica (p. 402). Solo «una rivelazione il cui cuore è l’immagine del Cristo può toccare l’immaginazione» (p. 157).
«Cristo “immagine delle immagini”» (p. 232) è il nucleo generatore di tutta l’indagine, punto di riferimento per ripensare la rivelazione e la fede e, ugualmente la preghiera (cap. 5), la corporeità del credere nella liturgia (cap. 6) e l’agire nella storia (cap. 7). «Mediazione immaginale e mediazione cristica si illuminano reciprocamente», (p. 400). Tra le mille sfumature dell’immaginazione, l’A. sceglie come ultimo movimento dell’imponente sinfonia, quella ironica (pp. 226, 239, 361), soprattutto ludica (pp. 70, 388-393). L’immaginazione come reconciliatio oppositorum (pp. 13, 46, 156, 237, 394), invece, viene evocata e annunciata, ma mai approfondita con rigore. Il nocciolo teoretico è analogo a quello della mediazione (p. 394), ma si sarebbe potuto investigare maggiormente il carattere paradossale di tale reconciliatio.
Gli apporti del saggio sono veramente numerosi, sovrabbondanti. Si può, dunque, elaborare un modello immaginale di rivelazione (pp. 184-196) che permette di rileggere le dimensioni della profezia e dell’ispirazione (pp. 158-170), «l’ispirazione è davvero una modalità in cui la rivelazione divina tocca effettivamente l’immaginazione umana, dal profeta al redattore finale» (p. 166). È la dinamica dell’intersoggettività da recuperare (p. 170), tanto che «l’immaginazione produce il dogma; il dogma regola l’immaginazione: fra di loro c’è un circolo ermeneutico» (p. 178). Particolarmente dense sono le pp. 207-228 che articolano la dialettica fede-immaginazione.
La fede come immaginazione recupera l’integralità del credere in una dialettica costante (p. 214) dove l’immaginazione aiuta la fede nella persuasione, nella testimonianza e nella scoperta del reale (pp. 216-222). La fede, invece, salva l’immaginazione dalle sue storture lasciandola sempre in stato di conversione permanente, poiché «la fede immaginante centrata in Cristo è dinamica e iconoclasta: le immagini sensibili sono sempre superate da altre immagini sensibili o sovrasensibili» (p. 235). L’immaginazione consente cosí di elaborare un’analysis fidei sintetica ed equilibrata (pp. 248-259).
Di fronte all’articolazione complessiva emerge un interrogativo sul ruolo della sacra Scrittura. Perché viene collocata tra i prolegomeni? L’attestazione biblica è normativa ed è pertinente alla dinamica rivelativa e, infatti, essa viene ripresa, nei temi della profezia e dell’ispirazione, poi nel cap. 6 con l’attenzione alla Liturgia della Parola (pp. 307-314) e nel cap. 7 sull’etica, con il riferimento alla Prima lettera ai Corinzi (pp. 372-375). Infine, dispiace che, come nell’originale francese, sia assente una bibliografia finale che avrebbe offerto una mappa utilissima. Grazie all’immaginazione, comunque, possiamo attenderci ancora molto dal giovane autore di tale prezioso contributo.
G. Osto, in
Studia Patavina 1/2020, 164-167