L'A., già arcivescovo di Canterbury e professore presso le Università di Cambridge e Oxford, è noto tanto per le sue opere teologiche, quanto per quelle di carattere spirituale e divulgativo. Nonostante il titolo accattivante, quest'opera appartiene senz'altro al numero delle opere tecniche, dedicate a specialisti del settore, in questo caso la cristologia.
L'opera nasce dalle lezioni tenute alla Facoltà di Teologia dell'Università di Cambridge nel 2016, ma raccoglie evidentemente molti anni di studi e ricerche. Presenta una selezione di autori che coprono i venti secoli del cristianesimo, eppure non si tratta di un testo di storia della teologia, in quanto l'insieme degli autori e delle prospettive è convocato per sostenere un percorso e una tesi di fondo, ovvero che «l'azione di Dio non è mai in competizione con un'attività particolare nell'universo» (p. 8). Questa tesi riguarda il cuore della cristologia, ovvero il modo in cui le nature divina e umana sono presenti nella persona di Gesù, ma più in generale riguarda la relazione di Dio con l'intera creazione. L'A. ritrova e riprende questa posizione di "non competizione", "non sostituzione", "non parallelismo o simmetria" lungo tutta l'opera: a partire da Farrer (p. 14), a Tommaso (p. 23), Calcedonia (p. 91), Calvino (p. 165), Bonhoeffer (169), Przywara (p. 244).
Il percorso proposto segue una linea cronologica, ma con un'eccezione: nell'introduzione - Partire dal mezzo (Medioevo): la visione cristologica di Tommaso d'Aquino - vengono premesse le figure di Austin Ferrer e Tommaso d'Aquino. Il primo rappresenta lo spunto e l'ispirazione dell'intero percorso, il secondo ne propone l'apice e la sintesi. Tommaso è quindi presentato come il vertice di quel percorso che a partire dalla vicenda di Gesù porta a pensare l'unicità della persona di Gesù quale realizzazione dell'agire di Dio. A differenza di quanto farà Scoto, sempre a rischio di fare di Cristo due soggetti paralleli in competizione fra loro, Tommaso salvaguarda nell'unico atto d'essere l'unità della persona di Cristo così cara alla linea patristico-alessandrina che si rifà a Cirillo.
Dopo questa introduzione, che chiarisce senza possibilità di incomprensione i punti di partenza, arrivo e passaggio dell'A., il testo si svolge attraverso una serie di affondi storici, funzionali a sostenerne la visione di fondo. Si possono dividere in due parti: una prima che porta fino al modello di Tommaso e una seconda, dopo di lui, che vede la contestazione e la ripresa del modello.
Il primo capitolo (1. Formulare la domanda: da Paolo ad Agostino)si fa carico di giustificare un percorso così gravato di complessità metafisiche: è davvero necessario e conseguente per rendere conto di Gesù? La risposta è sì perché senza approfondimento teoretico e senza lo sviluppo di un linguaggio possibile, il rapporto fra creatore e creatura che si pretende in Gesù finisce inevitabilmente in quelli che sono gli scogli che le varie correnti patristiche vogliono evitare: un Dio che si intromette semplicemente nelle vicende umane sostituendosi alle sue creature; un Dio che viene travolto dalla sofferenza e dalla passività umana; un Dio che in Cristo non riesce a fare di meglio che mettersi in parallelo all'umanità.
Agostino è qui convocato con un ruolo particolare: fungere da ponte ideale fra Paolo e la teologia seguente, quanto a uno specifico aspetto, che diventa chiave in tutta l'opera dell'A, ovvero quello che dalla cristologia porta all'ecclesiologia. Se il modello dell'azione di Dio nel mondo è il Cristo, il suo svolgimento è la chiesa, nel senso che il Cristo totale (totus Christus)di Agostino comprende, senza confusione, la chiesa nella complessità del suo sviluppo storico.
Nel secondo capitolo (2. Il lessico si perfeziona: il contributo della prima teologia bizantina)vengono analizzati gli autori che contribuiscono alla formazione del modello che porterà a Tommaso, contro le spinte dualiste («preoccupate soprattutto di non esporre la divinità alla sofferenza, e questa è una preoccupazione teologicamente dubbia», p. 95). In quest'ottica si capisce la presenza dei due Leonzi (di Bisanzio e di Gerusalemme) come perfezionatori di un linguaggio e di un modello, e di Giovanni Damasceno come colui che lo sintetizza. Potrebbe stupire invece la presenza di Massimo il Confessore, che a prima vista potrebbe sembrare spostato su posizioni più dualiste. Risulta invece fondamentale per l'A. per due motivi: da una parte rìbadisce l'apertura ecclesiale e cosmica della cristologia, e dall'altra può essere coinvolto nella prospettiva unitaria attraverso la sua dottrina del tropos: l'unico tropos/modo filiale di vita del Verbo diventa il modo di vita di Gesù e in prospettiva si estende a trasformare e divinizzare la forma di tutta la chiesa e di tutto il cosmo. Il modello che si va a consolidare in Tommaso è dunque coerente con un percorso millenario e radicato nel Nuovo Testamento e nel suo annuncio di un rapporto non competitivo fra Dio e la sua creazione.
La seconda parte si concentra sulla contestazione del modello di Tommaso (Scoto, Ockham, Lutero) e sulla sua ripresa sia pure non dichiarata da parte di Calvino (3. Perdita e ripresa: Calvino e la Riforma della cristologia).Proprio il «Calvino cattolico» (p. 144) si rivela un ponte fondamentale per traghettare il modello alla modernità. La sua dottrina dell'extra (ovvero la possibilità di una presenza di Cristo anche oltre la sua presenza fìsica) che permette di pensare la presenza eucaristica (ed ecclesiale) senza doverla immaginare fisicamente, così come la forte apertura pneumatologica (ed ecclesiologica), permettono di presentarlo come modello alternativo a Lutero: «Lutero sembra intravedere un Cristo incarnato il cui stato glorificato "si espande" per riempire l'universo [...]. Calvino parte da un lógos universalmente presente e attivo» (p. 159) che si relaziona con l'individualità umana di Gesù. Calvino è molto più chiaro di Lutero sul fatto che divinità e umanità non stanno mai fianco a fianco [...] non c'è relazione spaziale per cui l'umanità in qualche modo contenga e limiti la divinità» (p. 165). La tensione fra questi due modelli attraversa la storia della teologia riformata anche recente (teologia liberale, teologia della sofferenza di Dio, Jenson, Barth, Bonhoeffer).
È però in particolare sulla cristologia di Bonhoeffer che l'A. si sofferma, in quanto in lui l'articolazione della relazione fra Dio e il mondo si fa anche biograficamente tragica (4. Cristo, creazione e comunità: la cristologia all'ombra dell'Anticristo). Bonhoeffer è presentato come il tentativo di una sintesi fra l'istanza calvinista di non travolgere Dio nelle vicende del mondo (Dio è Dio) e l'istanza luterana di vederlo però completamente presente e coinvolto. Il Cristo di Bonhoeffer non interrompe l'uomo e non compete con lui, ma si rende presente nella forma complessa della comunità. Ancora una volta è nella chiesa che la rappresentanza (Stellvertretung) di Cristo si rende presente come solidarietà incondizionata alla creazione.
L'intero percorso è infine ripreso da due ultimi testimoni inaspettati. Il primo è il cattolico Przywara (Conclusione: Cristo cuore della creazione: la tensione in metafisica e in teologia)il quale, nella sua formulazione in e oltre (non accanto), propone una presenza di Dio che non si sostituisce al mondo, ma si manifesta nella vita del mondo. Questo autore permette di aprire lo sguardo alla grammatica stessa sottesa all'impostazione del libro.
A fronte di una presenza non competitiva di Dio in e oltre la creazione, la metafisica stessa si presenterà come discorso non competitivo. Il discorso teologico-metafisico non è un discorso accanto agli altri ma si fa presente in due modi: da una parte come metodo, come orizzonte di ogni pensare e discorrere; dall'altra come vita, realizzazione concreta (la prospettiva è sempre ecclesiale).
Ancora più inaspettato il secondo testimone, ovvero Wittgenstein (come interprete di Kierkegaard): anche per lui il discorso metafisico e religioso non è linguaggio storico, informativo, discorso accanto ad altri discorsi, ma piuttosto un fatto estetico, un metodo di lettura globale della realtà, che non propone singole interpretazioni concorrenti dei singoli eventi, ma offre piuttosto un orizzonte generale di possibilità e senso.
Si tratta pertanto di un'opera tecnica e affascinante, molto colta, che sostiene una prospettiva e una tesi. Sembra astratta, ma riguarda invece qualcosa di molto concreto per il credente, ovvero il modo in cui percepisce la presenza e l'azione di Dio, che non può e non deve essere immaginata come giustapposta alla presenza e all'azione delle creature.
Dal punto di vista teologico si tratta di un'impostazione molto classica e corretta. Tuttavia, proprio sul versante spirituale rischia di non essere sempre sufficientemente attenta alla posizione avversa. Le impostazioni che tendono a presentare Dio come attore di-fronte-e-accanto e quindi l'umanità di Gesù come giustapposta o parallela alla presenza divina (da Lutero a Scoto agli antiocheni), presentano certamente delle fragilità teologiche, e tuttavia non sono semplicemente momenti di debolezza teorica, ma cercano di rendere un'esperienza spirituale che può forse essere meglio onorata, proprio nel momento in cui la si vuole contestare.
L. Paris, in
Studia Patavina 1/2023, 167-170