Il teologo basco Xabier Pikaza, in questo agile saggio tradotto da Laura Majocchi nella collana «Giornale di Teologia», racconta la storia e il significato dei nomi di Dio presenti nella Bibbia mostrando particolare attenzione agli aspetti paterni e materni di Jahvé e dei quali gli ebrei hanno fatto esperienza. Il libro si articola in sette capitoli, i primi quattro dedicati al Primo Testamento, gli altri al messaggio di Gesù e al pensiero di Paolo.
Pikaza parte dal presupposto che la realtà umana procede dall’incontro personale tra madre e padre e deve constatare, purtroppo, che nelle culture antiche il Padre ha preso il sopravvento sulla Madre dimenticando che lei è il primo segno della presenza di Dio, la primigenia esperienza nella quale la persona umana si radica. Il contesto biblico, pur inserito nelle società patriarcali, fa emergere, tuttavia, volti diversificati di Dio. Il Pentateuco, per esempio, ci parla di Jahvé sia come Signore trascendente, sia come potere infinito d’amore che agisce in modo personale (cap. 1. Jahvé, Dio di Israele. Pentateuco). Per gli israeliti Jahvé è invisibile, non ha sesso e non ha nome, ma, comunque, è presenza salvifica, fonte di amore liberatrice; creatore trascendente (sempre al di là) e nello stesso tempo mano potente che libera gli oppressi: «Non lo vediamo, ma ci parla; non ha un volto, ma ci accompagna» (p. 18). A Mosè non si presenta con un nome identitario, ma come «Colui che è» (Es 3,13-15), nome di un cammino, garanzia di una presenza che si fa immanente attraverso la storia del suo popolo.
L’immagine del Dio potente, legata alla tradizione regale e messianica, che pone in risalto il lato forte di Dio padre che genera e avalla il potere del re (cap. 2. Padre potente. Esperienza messianica), è affiancata e mitigata dal messaggio profetico che mette in luce l’aspetto più cordiale di Dio come «Padre-Materno degli oppressi» facendo emergere i suoi lati più teneri e misericordiosi (cap. 3. Padre-Madre. Un messaggio profetico). Dio non ricorre al potere per imporsi ma alla «forte debolezza dell’amore» (Os 11,1-4). È amico che offre amore (Os 2); è sposo/a che ama in maniera appassionata (Is 62,1-5); è padre-madre che soffre per i suoi figli (Ger 31,20); è Madre che ama il figlio delle sue viscere (Is 49,13-17): è Padre che si muove a tenerezza (Is 66,10-43), che trionfa con l’amore, ricco di misericordia, pieno di compassione che sgorga dal suo ventre materno. Infine, l’immagine di Dio che emerge durante il giudaismo (cap. 4. Creatore e Padre. Il Dio del giudaismo) è, invece, legata piuttosto a un’esigenza di giustizia che proietta in lui da una parte il timore del giudizio finale (il Dio apocalittico di Daniele) da un’altra la fiducia nella sua Sapienza che tutto dirige e accompagna.
La novità di Gesù (cap. 5. Il messaggio di Gesù: Abbà, Padre) è per Pizaka quella di parlare di Dio Padre — secondo la linea della tradizione israelitica — ma con una modalità inclusiva: «Il Padre di Gesù non si oppone alla Madre, ma, anzi, ha le caratteristiche di una madre» (p. 79). Dunque le due parole, abbà (papà) e immà (mamma), vanno prese nella loro indissolubile relazione. «Solo quando l’immà insegna al bambino a dire abbà (papà) possiamo dire che il bambino sa di essere educato nel cammino divino della vita entrando nella relazione reciproca del padre e della madre» (p. 82). Gesù ci presenta un Dio Padre materno che dà i suoi doni perché ci ama al di là dei nostri meriti. La parabola del padre misericordioso — che Pikaza chiama efficacemente «La parabola del padre che ama i suoi due figli» (Lc 15,25-32) — sottolinea questa immagine di un Dio, fonte di amore, guidato dal suo «utero misericordioso».
Anche la preghiera del Padre Nostro mostra Dio non come un giudice severo ma, piuttosto, come un padre che perdona; non il Signore che sottomette ma la «Madre-Padre» che accoglie i figli ai quali è chiesto di perdonarsi tra di loro. In questa prospettiva si supera radicalmente l’immagine sacrale della religione perché «i seguaci di Gesù non hanno bisogno di un santuario o di un sacerdozio legale, in quanto possono dialogare direttamente con Dio con totale fiducia» (p. 93). Dio è datore di vita e di libertà, la cui presenza non si manifesta attraverso un potere superiore maschile (i sacerdoti, i rabbini, i capi), bensì mediante l’amore di una comunità di figli e figlie di un unico Dio Padre-Materno.
Gli ultimi due capitoli (cap. 6. Morire per Dio, nascere dal Padre e cap. 7. Padre di nostro Signore Gesù Cristo) ampliano queste considerazioni sull’essere comunità a immagine di un Dio «Madre-Padre». Gesù stesso appare l’incarnazione della Sapienza femminile di Dio (Pr 9,4-6; Sir 24,18-20); portatore del «giogo soave» della Sapienza materna di Dio (Mt 11,28-29). Lui, che non può fare affidamento sul tempio né sui suoi sacrifici, mette la propria vita nelle mani di questo Padre-Materno, cosicché la morte non risulta un fallimento, ma la Rivelazione dell’amore di Dio. Sarà soprattutto Paolo a superare la schiavitù dei falsi padri per scoprire e invocare il vero Padre che ci rende liberi e fratelli, che soffre i dolori del parto, che genera e dona il Figlio. Gesù è il figlio unigenito — non in quanto maschio, ma in quanto essere umano — che abita, come dice Giovanni, nel seno-utero del padre, seno d’amore intimo (Gv 13,25). Di fronte al Dio della Legge, al Signore risentito o al giudice lontano, Paolo ha definito Dio «Padre della consolazione» i cui attributi sono più legati alla simbologia materna che paterna. E ci presenta un Dio che apre ai credenti un cammino di libertà all’interno di una comunità-chiesa che deve avere come principio l’unità d’amore.
Il testo di Pikaza è piacevole nella lettura, chiaro nell’esposizione, efficace nei contenuti. Manca forse un aspetto critico nei confronti della rappresentazione del Dio «maschio» che tanta incidenza ha avuto nella nostra teologia e nelle nostre chiese. Dovendo presentare un volto materno del Padre, l’autore, infatti, ha necessariamente ridimensionato e sfumato le immagini del Dio unico e onnipotente, che esercita il dominio sugli esseri umani che devono a Lui sottomissione e timore: un Dio guerriero, monarca assoluto, descritto e narrato in molti passi della Scrittura con i caratteri del potere maschile tipico delle culture patriarcali. Ha preferito recuperare, attraverso il messaggio di Gesù, quel volto dimenticato del femminile presente nel Trascendente, sede della vita, dell’accoglienza e della compassione, e reso visibile non nel «potere dei nostri santuari», ma nelle azioni compiute per la liberazione degli oppressi, lasciando all’umanità la responsabilità etica delle proprie azioni.
A. Valerio, in
Gregorianum 1/2020, 180-181