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La storia di Dio nella Bibbia
Xabier Pikaza

La storia di Dio nella Bibbia

Dio come Padre e come Madre

Prezzo di copertina: Euro 17,00 Prezzo scontato: Euro 16,15
Collana: Giornale di teologia 405
ISBN: 978-88-399-3405-5
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 160
Titolo originale: Abbá-Immá. Historia de Dios en la Biblia
© 2018

In breve

«L’esperienza di Dio come Padre-madre è inseparabile dal percorso di vita concreto e quotidiano di Gesù. Lui si è affidato a Dio Padre-madre: ha vissuto quella forma, in dialogo con la tradizione del suo popolo e il suo ambiente, ma soprattutto vivendo in modo trasparente davanti al Dio che è Padre-madre». Un approccio sintetico, estremamente innovativo e originale, al Dio rivelato nell’Antico Testamento e nella vicenda di Gesù.

Descrizione

Fra i tanti segni di Dio che ci sono nel mondo e nella storia, spiccano il padre e la madre: da loro l’essere umano riceve – insieme a fratelli, amici e compagni – non soltanto la vita, ma anche la parola, l’amore e una missione. I genitori sono il segno più profondo di Dio.
Dio è Jahvé per gli ebrei, che non osano pronunciarne il nome. Per i cristiani va invocato come Padre (abbà) – e anche Madre (immà) – perché Gesù stesso ha insegnato a pronunciare così il suo nome. Questo libro racconta allora la storia e il significato del Dio della Bibbia, dando particolare risalto ai nomi con cui è stato invocato: quale Padre del Signore nostro Gesù Cristo, certo, ma anche – rivoluzionando certi presupposti radicati nelle tradizioni religiose dell’umanità – con i suoi tratti, affettivi e materni, di tenerezza.

Recensioni

Il teologo basco Xabier Pikaza, in questo agile saggio tradotto da Laura Majocchi nella collana «Giornale di Teologia», racconta la storia e il significato dei nomi di Dio presenti nella Bibbia mostrando particolare attenzione agli aspetti paterni e materni di Jahvé e dei quali gli ebrei hanno fatto esperienza. Il libro si articola in sette capitoli, i primi quattro dedicati al Primo Testamento, gli altri al messaggio di Gesù e al pensiero di Paolo.

Pikaza parte dal presupposto che la realtà umana procede dall’incontro personale tra madre e padre e deve constatare, purtroppo, che nelle culture antiche il Padre ha preso il sopravvento sulla Madre dimenticando che lei è il primo segno della presenza di Dio, la primigenia esperienza nella quale la persona umana si radica. Il contesto biblico, pur inserito nelle società patriarcali, fa emergere, tuttavia, volti diversificati di Dio. Il Pentateuco, per esempio, ci parla di Jahvé sia come Signore trascendente, sia come potere infinito d’amore che agisce in modo personale (cap. 1. Jahvé, Dio di Israele. Pentateuco). Per gli israeliti Jahvé è invisibile, non ha sesso e non ha nome, ma, comunque, è presenza salvifica, fonte di amore liberatrice; creatore trascendente (sempre al di là) e nello stesso tempo mano potente che libera gli oppressi: «Non lo vediamo, ma ci parla; non ha un volto, ma ci accompagna» (p. 18). A Mosè non si presenta con un nome identitario, ma come «Colui che è» (Es 3,13-15), nome di un cammino, garanzia di una presenza che si fa immanente attraverso la storia del suo popolo.

L’immagine del Dio potente, legata alla tradizione regale e messianica, che pone in risalto il lato forte di Dio padre che genera e avalla il potere del re (cap. 2. Padre potente. Esperienza messianica), è affiancata e mitigata dal messaggio profetico che mette in luce l’aspetto più cordiale di Dio come «Padre-Materno degli oppressi» facendo emergere i suoi lati più teneri e misericordiosi (cap. 3. Padre-Madre. Un messaggio profetico). Dio non ricorre al potere per imporsi ma alla «forte debolezza dell’amore» (Os 11,1-4). È amico che offre amore (Os 2); è sposo/a che ama in maniera appassionata (Is 62,1-5); è padre-madre che soffre per i suoi figli (Ger 31,20); è Madre che ama il figlio delle sue viscere (Is 49,13-17): è Padre che si muove a tenerezza (Is 66,10-43), che trionfa con l’amore, ricco di misericordia, pieno di compassione che sgorga dal suo ventre materno. Infine, l’immagine di Dio che emerge durante il giudaismo (cap. 4. Creatore e Padre. Il Dio del giudaismo) è, invece, legata piuttosto a un’esigenza di giustizia che proietta in lui da una parte il timore del giudizio finale (il Dio apocalittico di Daniele) da un’altra la fiducia nella sua Sapienza che tutto dirige e accompagna.

La novità di Gesù (cap. 5. Il messaggio di Gesù: Abbà, Padre) è per Pizaka quella di parlare di Dio Padre — secondo la linea della tradizione israelitica — ma con una modalità inclusiva: «Il Padre di Gesù non si oppone alla Madre, ma, anzi, ha le caratteristiche di una madre» (p. 79). Dunque le due parole, abbà (papà) e immà (mamma), vanno prese nella loro indissolubile relazione. «Solo quando l’immà insegna al bambino a dire abbà (papà) possiamo dire che il bambino sa di essere educato nel cammino divino della vita entrando nella relazione reciproca del padre e della madre» (p. 82). Gesù ci presenta un Dio Padre materno che dà i suoi doni perché ci ama al di là dei nostri meriti. La parabola del padre misericordioso — che Pikaza chiama efficacemente «La parabola del padre che ama i suoi due figli» (Lc 15,25-32) — sottolinea questa immagine di un Dio, fonte di amore, guidato dal suo «utero misericordioso».

Anche la preghiera del Padre Nostro mostra Dio non come un giudice severo ma, piuttosto, come un padre che perdona; non il Signore che sottomette ma la «Madre-Padre» che accoglie i figli ai quali è chiesto di perdonarsi tra di loro. In questa prospettiva si supera radicalmente l’immagine sacrale della religione perché «i seguaci di Gesù non hanno bisogno di un santuario o di un sacerdozio legale, in quanto possono dialogare direttamente con Dio con totale fiducia» (p. 93). Dio è datore di vita e di libertà, la cui presenza non si manifesta attraverso un potere superiore maschile (i sacerdoti, i rabbini, i capi), bensì mediante l’amore di una comunità di figli e figlie di un unico Dio Padre-Materno.

Gli ultimi due capitoli (cap. 6. Morire per Dio, nascere dal Padre e cap. 7. Padre di nostro Signore Gesù Cristo) ampliano queste considerazioni sull’essere comunità a immagine di un Dio «Madre-Padre». Gesù stesso appare l’incarnazione della Sapienza femminile di Dio (Pr 9,4-6; Sir 24,18-20); portatore del «giogo soave» della Sapienza materna di Dio (Mt 11,28-29). Lui, che non può fare affidamento sul tempio né sui suoi sacrifici, mette la propria vita nelle mani di questo Padre-Materno, cosicché la morte non risulta un fallimento, ma la Rivelazione dell’amore di Dio. Sarà soprattutto Paolo a superare la schiavitù dei falsi padri per scoprire e invocare il vero Padre che ci rende liberi e fratelli, che soffre i dolori del parto, che genera e dona il Figlio. Gesù è il figlio unigenito — non in quanto maschio, ma in quanto essere umano — che abita, come dice Giovanni, nel seno-utero del padre, seno d’amore intimo (Gv 13,25). Di fronte al Dio della Legge, al Signore risentito o al giudice lontano, Paolo ha definito Dio «Padre della consolazione» i cui attributi sono più legati alla simbologia materna che paterna. E ci presenta un Dio che apre ai credenti un cammino di libertà all’interno di una comunità-chiesa che deve avere come principio l’unità d’amore.

Il testo di Pikaza è piacevole nella lettura, chiaro nell’esposizione, efficace nei contenuti. Manca forse un aspetto critico nei confronti della rappresentazione del Dio «maschio» che tanta incidenza ha avuto nella nostra teologia e nelle nostre chiese. Dovendo presentare un volto materno del Padre, l’autore, infatti, ha necessariamente ridimensionato e sfumato le immagini del Dio unico e onnipotente, che esercita il dominio sugli esseri umani che devono a Lui sottomissione e timore: un Dio guerriero, monarca assoluto, descritto e narrato in molti passi della Scrittura con i caratteri del potere maschile tipico delle culture patriarcali. Ha preferito recuperare, attraverso il messaggio di Gesù, quel volto dimenticato del femminile presente nel Trascendente, sede della vita, dell’accoglienza e della compassione, e reso visibile non nel «potere dei nostri santuari», ma nelle azioni compiute per la liberazione degli oppressi, lasciando all’umanità la responsabilità etica delle proprie azioni.


A. Valerio, in Gregorianum 1/2020, 180-181

Fra tutti i segni di Dio che costellano il mondo e la storia, l’A. ha scelto di illustrare i più profondi, il padre e la madre dai quali ogni uomo riceve la vita e anche gli strumenti essenziali per orientarsi in essa, ripercorrendo sinteticamente l’intera narrazione biblica, dando speciale risalto, oltre al nome di Jahvé, anche a quelli di Padre e Madre e mettendo in luce al contempo come vengano superati nella sacra Scrittura i limiti ideologici, sia culturali che religiosi, associati alla paternità e alla maternità come queste erano concepite nell’ambiente in cui essa è nata.

Nel suo breve saggio X. Pikaza ripercorre a volo d’uccello i libri sacri mettendo di volta in volta in evidenza i tratti salienti dell’immagine di Dio offerti dalla Bibbia, cominciando dal Pentateuco che mostra all’opera un Dio personale potente, non assimilabile ai tratti di alcuna divinità dei popoli del mondo biblico, non raffigurabile in alcun modo, ma sensibile al grido degli oppressi che lo possono invocare con il nome di Jahvé. Accanto a questa importante tradizione l’A. ne menziona altre, quali quella regale-messianica, quella dei profeti e il giudaismo degli ultimi secoli che precedono e conducono all’evento Cristo e all’era cristiana, le quali mettono in luce altri aspetti di Dio e della relazione che egli intrattiene con il suo popolo, rispettivamente la paternità regale, la tenerezza familiare e materna che mostra quasi sentimenti “umani”, l’onnipotenza creatrice che con somma sapienza governa il cosmo e la vita degli uomini e infine il ruolo di giudice apocalittico dei tempi escatologici.

Nel Nuovo Testamento Dio viene descritto, con molta accuratezza e intensità, come Padre e Madre attraverso quattro passaggi, l’annuncio del Regno da parte di Gesù, la sua morte e resurrezione, l’espressione “Padre del nostro Signore Gesù Cristo” dell’epistolario paolino e, quasi come una conclusione-ricapitolazione, la testimonianza più alta, che ci è offerta dal Vangelo di Giovanni, sulla paternità e la filiazione in Dio. L’insistenza di Gesù nel presentare Dio come Padre buono e la prospettiva del Regno da lui rivelata sono vissute e testimoniate a vantaggio della chiesa tutta nella comunità giovannea come amore del Padre e del Figlio grazie all’azione dello Spirito di Dio, il Paraclito che introduce i credenti nell’intimità della famiglia trinitaria.

Segnaliamo infine come questo originale itinerario, tramite le immagini di padre e madre, che l’A. basco compie nel saggio attraverso tutta la Scrittura, pur necessariamente sintetico, sia allo stesso tempo ben documentato, convincente e chiaro.


A. Ricupero, in Studia Patavina 2/2019, 376-377

Il teologo basco Xabier Pikaza offre in questo libro, con uno stile sciolto e colloquiale, un saggio di teologia narrativa che, a partire dai testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, cerca di presentare l’immagine di Dio che risalta dalla narrazione biblica. In particolare, dopo un capitolo teologico che presenta il Dio di Israele quale emerge dal Pentateuco, l’autore si sofferma sul binomio padre/madre applicato all’identità di Dio sia dagli scritti profetici sia dal messaggio di Gesù. Ne esce una lettura intrigante e a tratti sorprendente, spesso suscettibile di approfondimenti. Peccato solo che il testo presenti un apparato critico e una bibliografia minimali.

Una lettura comunque assai utile e feconda (nonché scorrevole), tanto per gli studiosi, quanto per le persone interessate all’argomento.


G. Benzi, in Parole di Vita 4/2019, 56

All'inizio, la madre per un bambino è tutto. È lei che lo genera, lo accoglie, lo accudisce, gli dà il proprio corpo e gli offre la presenza e la parola. Questa presenza avvolgente, soprattutto quando il bambino è in grembo, a un certo momento deve lasciare andare il figlio per non rischiare di essere oltre al suo inizio, la sua fine. Qui entrano gli altri, soprattutto la figura paterna, per costituire l'ambiente vitale del bambino. Giustamente, osserva Xabier Pikaza che «la realtà umana non procede (non si esprime né si espande) a partire da un unico principio (solo materno o paterno), bensì attraverso il dialogo o l'incontro personale fra madre e padre, tra femmina e maschio». Questo ci è di grande aiuto per comprendere Dio. La riflessione di Pikaza viene delineata nel testo La storia di Dio nella Bibbia. Dio come Padre e come Madre edito dalla Queriniana per la collana Giornale di Teologia.

Il Dio biblico è creatore. In questo senso non è generatore. Egli non ha generato il popolo a livello biologico. Non è né maschio né femmina. Non è né padre né madre. Solo successivamente può assumere i tratti simbolici della madre e del padre. Questo Dio che non si identifica con alcuna figura umana, è un Dio che prende iniziativa. Si fa vicino al popolo oppresso e opera salvezza (Cf. Es 3). È il Dio che si fa vicino, Emmanuele, facendo della vicinanza un suo segno (cf. Is 7,14).

Nonostante il divieto di fabbricare raffigurazioni maschili o femminili di Dio, i profeti ricorrono di fatto a varie immagini maschili e femminili, materne e paterne, per parlare di Dio. Pikaza evidenzia questi tratti, non solo quando vengono usati esplicitamente i simboli maschili o femminili, ma anche quando la gestualità di Dio esprime tratti maschili e/o femminili. Così, «l'esodo si presenta come il momento del concepimento e dell'infanzia di Israele, fra le mani - sotto le ali - di un Dio femminile» (48). Mentre «le numerose leggi del Pentateuco vanno intese come espressione e conseguenza delle cure materno-paterne di Dio, poiché derivano dalla sua presenza creatrice» (50).

Il cammino di questa teologia arriva fino a Gesù «che era ebreo, [e] non ha dovuto inventare una teologia nuova, dato che in linea di principio accetta la tradizione del suo popolo, per ricrearla - non negarla - in maniera personale» (75). La novità di Gesù consisterà nell'insistenza sulla paternità di Dio e nel collegarla all'avvento del Regno. Il Dio del Regno, per Gesù, «è legato ai bambini, ed essi sono i suoi rappresentanti» (81). È in questo senso che va intesa l'invocazione filiale Abbà, la quale, pur non essendo un'esclusiva dei bambini, trova in essi il suo senso pieno.  «Abbà non è una parola tecnica, propria dei discorsi eruditi, bensì la più semplice fra tutte le parole, quasi onomatopeica, che il bambino pronuncia e comprende all'inizio stesso della propria vita quando si rivolge affettuosamente al padre, in unione con la madre (e a partire da lei) come prima fra tutte le esperienze che sono, nel contempo, sacre e profane» (82). Non è quindi una parola isolata, ma fa parte di una duplice relazione: immà-abbà, madre-padre.


R. Cheaib, in Theologhia.com giugno 2018

Xabier Pìkaza ha scritto La storia di Dio nella Bibbia (Queriniana, pag. 158, euro 17). Il sottotitolo – Dio come Padre e come Madre – orienta il percorso. Fra i tanti segni di Dio che ci sono nel mondo e nella storia, spiccano il padre e la madre: da loro l’essere umano riceve – insieme a fratelli, amici e compagni – non soltanto la vita, ma anche la parola, l’amore e una missione. I genitori sono il segno più profondo di Dio. Di Dio, gli ebrei non osano pronunciarne il nome. Per i cristiani va invocato come Padre (abbà) – e anche Madre (immà) – perché Gesù stesso ha insegnato a pronunciare così il suo nome.

Questo libro racconta la storia e il significato del Dio della Bibbia, dando particolare risalto ai nomi con cui è stato invocato: Padre del Signore nostro Gesù Cristo, certo, ma anche – rivoluzionando certi presupposti radicati nelle tradizioni religiose – con i suoi tratti, affettivi e materni, di tenerezza.


F. Mariucci, in La Voce 17 (11 maggio 2018)

Fino al 2003 il settantasettenne filosofo, teologo e biblista basco ha insegnato teologia, esegesi e fenomenologia delle religioni alla Pontificia Università di Salamanca. La sua pluriforme specializzazione emerge nel suo volume dedicato alla progressiva rivelazione di Dio nella storia con il suo popolo Israele, attestata nella Bibbia.

A diversità di altri scritti di culture coeve, i testi sacri di Israele e della comunità cristiana non sacralizzano la divinità vista nella sua potenza sessuale maschile e femminile, creatrice e feconda. Il Divino (’Elōhîm) si rivela come il Dio di Israele (YHWH). Un Dio padre del popolo, che entra con potenza liberatrice nella storia. Considerato nei libri storici perlopiù nella sua potenza che sostiene il regime davidico, figura del futuro Messia, nelle pagine che la Genesi dedica alla creazione è visto come Dio che crea e cura con amore l’umanità, con amore paterno e materno.

L’aspetto “femminile” di Dio, il suo amore materno e paterno insieme, è espresso in vari passi dei libri profetici (specialmente Osea, Geremia, II e III Isaia). Il suo amore viscerale è eterno, immutabile, che non dimentica il suo popolo – a differenza di una possibile madre snaturata che potrebbe dimenticarsi del proprio bambino. YHWH si china sul suo popolo per attirarlo alla sua guancia, nutrirlo e insegnargli a camminare.

Nei libri sapienziali Dio appare come Padre e creatore, un Dio Sapienza, Padre universale. Negli scritti apocalittici compare come collegato al giudizio finale, mentre negli scritti rabbinici è frequente la sua invocazione come “Padre nostro (’ābînû)” e “Re nostro (malkēnû)”, padre e re della comunità di Israele.

Il messaggio di Gesù è incentrato sulla venuta del regno di Dio, che inizia a contagiare fin d’ora, con la sua potenza liberatrice e risanante, il mondo dei poveri, degli oppressi e degli emarginati. I vangeli conservano con venerazione l’espressione aramaica’Abbà’ (Babbo, Papà), usata non solo dai bambini, con la quale Gesù esprime tutta la sua fiducia e confidenza nell’opera e nella vicinanza del Padre alla sua persona, alla sua missione e specialmente al momento del dono supremo al Calvario, in una morte solidale, redentrice, espressione massima dell’amore del Padre e del Figlio.

Dio è Padre e Madre insieme, perché l’uomo non può arrivare ad avere l’esperienza del padre se non con l’azione educatrice della madre. Il Padre-Madre di Gesù è provvidente e può essere invocato con fiducia con la Preghiera del Pater che Gesù insegna ai suoi discepoli. Nella notte della lotta sul Monte degli Ulivi e nel buio della morte al Calvario, Gesù, pur avvolto psicologicamente dall’angoscia della solitudine, si abbandona nella preghiera al Padre. Questi si mostra Padre accogliendo – in modo paradossale, certamente – la sua preghiera. Il Padre si mostra tale amandolo, sorreggendolo nel dono di sé, ma non intervenendo con una potenza “mondana” a salvarlo dalla croce, pena la situazione irredimibile dei peccatori, dei lontani da Dio, di coloro che sentono la loro preghiera inascoltata, del dolore degli innocenti.

Gli scritti della comunità primitiva confluiti negli Atti degli Apostoli, nelle lettere paoline e negli scritti giovannei testimoniano il fatto che la comunità cristiana avverte la risurrezione (e non solo l’incarnazione) come il momento in cui Dio Padre esercita la sua paternità, generando il Figlio alla sua condizione di Figlio di Dio con potenza. Paolo esprime in tutti i suoi scritti la coscienza credente del fatto che Dio è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Il Cristo “Signore, Kyrios”, condivide parte delle caratteristiche di YHWH e in 2Cor 8,6 Paolo, servendosi della ricchezza espressiva della lingua greca, sottolinea come Dio Padre sia Theos, “Dio” e Gesù Cristo, il Messia, sia il Kyrios, “il Signore”.

Ciò che lega il Padre e il Figlio nel reciproco amore, che essi espandono sui credenti, è lo Spirito d’amore e di Verità, Spirito Paraclito che difende e conforta i credenti nelle prove. Dio Padre mostra tutto il suo amore donando il suo Figlio agli uomini, non tenendolo per sé (Rm 8,32). Chi accoglie il Figlio, il suo amore, può vivere la stessa vita filiale di Gesù nell’amore. Secondo Giovanni, il credente nel nome del Signore Gesù Cristo può gustare fino d’ora, in una escatologia “realizzata”, la “vita eterna”.

Scritto con chiarezza invidiabile, con accorgimenti grafici (il corsivo) e strutturazione contenutistiche che evidenziano l’articolazione del tema affrontato, Pikaza offre ai lettori una piccola summa che attraversa al galoppo l’intera biblioteca biblica, mostrando la molteplicità e la ricchezza del volto di Dio, Padre e Madre insieme, rivelataci in pienezza dal suo Figlio incarnato, morto e risorto, Gesù di Nazaret.


R. Mela, in SettimanaNews.it 8 maggio 2018

Padre e madre: Dio racchiude entrambi i «segni» che si riflettono sull’essere umano, il quale riceve da essi la vita, la parola, l’amore e una precisa missione. L’a., noto teologo e conferenziere, indaga il significato dell’Eterno nelle Scritture enfatizzando come egli sia invocato, in particolare modo nella preghiera. Se, per l’Antico Testamento, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe è il tetragramma che non può e non deve essere pronunciato, per il Nuovo Testamento il medesimo Dio è padre (abbà) e madre (immà) come Gesù ha insegnato ai suoi discepoli e seguaci. Una rivoluzione che sconvolge i presupposti radicati nelle tradizioni religiose dell’umanità: una rivoluzione affettiva e paterna, teneramente forte e materna.
D. Segna, in Il Regno Attualità 10/2018