Il verbo presente nel titolo originale in tedesco (durchkreuzen) sembra alludere più a un preciso “attraversare” l’ansia (come si fa con un incrocio stradale), più che non a un semplice “vincer(la)”. L’intento del docente emerito di Teologia fondamentale a Münster non sta nel voler vincere la paura, debellandola, cancellandola, magari pensando di poterlo fare affidandosi alla fede cristiana – che non riesce farlo a livello esistenziale concreto nella vita quotidiana –, oppure, come oggi la maggioranza fa più frequentemente, a coloro che sfruttano l’ansia della gente, ne fanno un business e chiedono tranquillamente di affidarsi a loro, come nuove divinità del presente, quali soluzione del problema.
«La distinzione corrente fra il timore (Furcht) legato a un oggetto e l’angoscia (Angst) esistenziale di esserci contribuisce a “superare” in senso filosofico-teologico queste paure derivate dalle crisi ritenendole un semplice fenomeno di superficie»… «La promessa a cui si affida la fede, non promette di rendere meno importanti tali crisi… promette invece l’assistenza dello Spirito consolatore, affinché possiamo vivere nella fede assieme alle paure che ci colpiscono e ci opprimono» (p. 32).
L’intento di Werbick non è quello di cancellare la paura/ansia ma di assumerla, di attraversarla aiutati dalla fede cristiana che non la debella completamente, ma permette di rimanere soggetti e non oggetti di essa, a non essere vinti dalla paura della paura. La sua ricerca consiste nel trovare nella Bibbia e nella tradizione cristiana non delle risposte alle questioni suscitate dalla paura circa la comprensione di sé, del mondo e di Dio stesso, quanto di trovare delle testimonianze e di comprenderle – e quindi farle diventare vive – come delle forze che «mobilitano delle contro-esperienze di ciò che è promettente e incoraggiante – e quindi, in questo la questione se – ed eventualmente perché – possiamo assumerci la responsabilità di puntare, credendoci, su tali controesperienze». Le contro-esperienze che vengono dalla vita cristiana, compresa anche nella sua dimensione comunitaria, non liberano dalla paura e dall’ansia, ma incoraggiano nell’assumere le situazioni che suscitano questi sentimenti (spesso volutamente esacerbati da chi ha l’interesse a farlo), appoggiandosi su un fondamento assoluto, avvalendosi di una «fiducia teocentrica», e non affidandosi puramente alla propria razionalità (secondo la quale si ha vergogna di avere ansia e paura) o ad altri “dèi” di questo mondo. Un’«igiene religiosa» (Drewermann), che si avvale di una visione positiva di Dio che protegge e ama i suoi figli, di un amore esente dalla paura (cf. 1Gv 4,18).
Occorre assumere i volti della paura odierni, lasciandosi “toccare” da essi senza alcun senso di superiorità verso la gente comune o nei confronti di coloro che non vivono la fede cristiana, facendosi forza non alienante delle esperienze contrarie alla paura e che superano l’angoscia, le quali si esprimono nelle testimonianze bibliche e della tradizione cristiana. L’obiettivo di Werbick è quello di «attraversare in una certa misura deliberatamente l’angoscia e di tenere così a freno la paura della paura»… «Gli uomini che credono e che lottano per ottenere la fede lottano con essa, sperano che la paura venga redenta e graziata, che ci venga tolto l’incantesimo della paura. Così accolgono con gratitudine i segni e le testimonianze di speranza, che – da ovunque e da chiunque – vengono loro donate. La Bibbia e la storia della fede possono essere utili a questo fine» (p. 35, dove l’autore cita il passo di Rm 5,3-5 in cui Paolo si vanta anche nelle tribolazioni appoggiandosi sull’amore di Dio riversato nel cuore).
«Se è così – conclude Werbick il primo capitolo – se nella paura sarà liberata la forza di resistere, se in essa può nascere il coraggio di sperare e di amare, si deve dare una risposta decisa a quanti vogliono approfittare della nostra paura e sfruttarla: “Non avrete la mia angoscia! Non ve la cedo, perché mi serve proprio come forza per vivere: basta solo che sia redenta”» (pp. 35-36; nella nota 18 di p. 36 si citano i Dialoghi delle Carmelitane: «La Paura è comunque figlia di Dio, riscattata la notte del Venerdì Santo»).
Nei salmi e negli scritti di Buber si invoca il bisogno di respirare nelle tribolazioni, e dall’angoscia/angustia/distretta (sar in ebraico) si chiede a Dio di ampliare lo spazio del tribolato. Ester prega in questo senso, e Gesù conferma che a chi bussa sarà aperto. La preghiera non è autoillusione, ma trovare rifugio e riparo, come una fortezza. La paura/angoscia («sensazione restringente», Martha Nussbaum) chiude le porte, Dio invece allarga la mia ristrettezza. Alle visioni apocalittiche/catastrofiche odierne si deve reagire con la meditazione delle realtà ultime quali ultime certezze. L’apocalittica cristiana insegna la liberazione che passa attraverso l’annientamento, ma senza una «distruzione della creazione». A finire sono le potenze che dominano il mondo.
Fin d’ora Dio «giudica» nel senso che «rende vera» la mia vita nell’amore. Anche se Dio mi dice la verità brutta. Timore e paura non appariranno più nell’amore «perfetto», perché la verità che si fa nell’amore finalmente non minaccia più e non è più minacciata insieme ad esso (cf. 1Gv 4,18). «Anche per le “realtà ultime” vale l’inequivocabile volontà di bene di Dio… Là Dio ci farà bene come può e solo lui può» (p. 91). Nei paesi democratici la violenza e il terrore creano paura e angoscia e possono dare adito a chi ha il potere a promuovere disposizioni di emergenza che giustificano la violenza, il dispotismo e lo spavento.
La violenza viene tutta da Dio? Dio non è uguale al destino. Non ci si può più aggrappare a un Dio del destino potente e violento. In Cristo Gesù il sì di Dio si è fatto realtà e da allora si conferma ancora di più che il terrore isola, la fede lega. Non bisogna aver paura di non contare più nulla perché non posso dare tutto e per il fatto che non sono riconosciuto. Ansia da prestazione ovunque. Non per questo mi devo costruire un’identità negativa, per significare comunque qualcosa. Chi è costretto a disprezzare se stesso, penserà di fuggire a questo solo estrinsecando il proprio disprezzo a sua volta, facendolo diventare potente nella paura degli altri. Qualcuno soffia su questo: «Oderint dum, metuant» – nutrano odio, purché nutrano timore (Svetonio, Caligula 30,1).
Al motto diabolico: The winner takes it all! (e tutti gli altri tornano a mani vuote), si può contrapporre la contro-esperienza data da Dag Hammarskjöld: un’umiltà che non fa paragoni, umile consapevolezza di sé che viene da lontano, dalla fede.
È possibile vivere la giustificazione come dono: dono di essere giustificato nella mia origine, di essere reso degno della comunione con Dio, di coltivare una cultura del benvenuto. Contro i populismi disfattisti di destra e di sinistra («non potrà andare più meglio»), il cristiano ha a disposizione la contro-esperienza del fatto che il suo Dio si gratifica di questo nome: «Io sono colui che, a modo suo, sarà sempre presente per voi» (Es 3,14), qualsiasi cosa venga. Occorre una conversione, un autotrascendersi, un «andare al di là delle sicurezze e delle cose scontate di una vita nella quale ci si è definiti» (p. 165). Il cristiano propone di accettare la sfida di Dio, di accogliere ciò che mi viene incontro e di non dare per persa neanche la vita corporea. Alla fine, e anche adesso, a dominare e ad aspettarci non c’è il volto spaventoso della Medusa, il volto della de-speratio. Il cristiano non di-spera delle possibilità dell’uomo e di Dio. Disperare della sua volontà di bene è il peccato. La disperazione va assunta, espressa, comunicata ad altri, ma non va lasciata vincere. Se ne parla per evitarla, lottare e non lasciarsi inondare da essa.
Le religioni possono stimolare le persone a uscire da sé per elaborare rapporti di risonanza positiva quale carattere fondamentale dell’esistenza, che rimanda a Dio stesso. Contro le culture identitarie occorre partecipare e far partecipare contro l’essere esclusi. Nessuno va escluso, alla kenosi di Dio deve corrispondere una Chiesa kenotica.
Il bel libro di Werbick, denso, impegnativo ma stimolante, ricco di riflessioni tratte dalla vita quotidiana del mondo odierno (in specie europeo) e dal pensiero filosofico e teologico di tanti autori, si conclude riportando i testi della predicazione tenuta dall’autore nella Settimana santa e nella Pasqua del 2017 (Lunedì di Pasqua incluso) nella chiesa dei Domenicani a Münster, sul tema “Attraversare la paura. Come può diventare la Pasqua” (pp. 261-280).
R. Mela, in
SettimanaNews.it 4 marzo 2019