Nel contesto del Giubileo straordinario della Misericordia indetto da Papa Francesco in questo Anno Santo, l’agile volume Le Sette Opere di Misericordia. Perché il mondo sia trasformato del teologo e monaco benedettino Anselm Grün – scritto nel 2008 e riedito nel 2015 dalla casa editrice Queriniana per l’anno giubilare – diventa un ottimo strumento per la riflessione personale o comunitaria, che accompagna in un cammino di formazione e di crescita. Il filo rosso che lega le pagine di questo scritto è il tema della misericordia, nel quale è possibile intravedere l’atteggiamento di Gesù verso i poveri.
Il testo, articolato in 2 capitoli e preceduto da una ricca e dettagliata introduzione storica sulle opere di misericordia, spaziando dalla Sacra Scrittura al pensiero di filosofi e teologi, presenta una per una le Sette Opere di Misericordia Corporali (cap. I) e Spirituali (cap. II) con puntuali riferimenti che permettono di cogliere la portata e la valenza che hanno per la vita del cristiano.
L’autore, con dovizia di particolari, descrive le singole opere di misericordia presentandole come un sacramento dell’agire: «attraverso il nostro operato misericordioso questo mondo anela a essere trasformato. L’opera di Gesù vuole proseguire benefica in questo mondo tramite il nostro agire» (p. 27). Grün invita i lettori ad essere sempre pronti ai bisogni del fratello e ad essere misericordiosi come Dio lo è con noi; questa dimensione del servizio può far sperimentare una particolare forma di ricompensa interiore: infatti – scrive l’autore – le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi (p. 19).
Pagina dopo pagina vengono passate in rassegna le singole opere corporali e spirituali; l’autore non si ferma semplicemente a descriverle ma cerca di attualizzarle per poterle sperimentare nel mondo di oggi.
L’opera dar da mangiare agli affamati, così come le successive Dar da bere agli assetati e vestire gli ignudi, non è presentata come un semplice comando per soddisfare il bisogno di qualcuno che ha necessità di cibo, di acqua o di vestiario: piuttosto è un monito alla continua condivisione della nostra stessa vita; è un «aprirci gli occhi per le situazioni in cui possiamo condividere la nostra esistenza» (p. 35). Sono opere che fanno scoprire una particolare carità e una straordinaria capacità del dono di sé.
Allo stesso modo, la trattazione delle opere alloggiare i pellegrini e Visitare gli infermi scuote la nostra sensibilità e riveste ognuno di una responsabilità non indifferente. Ogni cristiano è chiamato a difendere la causa dei “pellegrini”, ovvero degli emarginati, degli stranieri, a «rispettarne la dignità e tutelarla quando questa non è garantita dagli altri» (p. 55). Il cristiano è chiamato anche a prestare attenzione all’infermo, che spesso viene emarginato dalla società. Fare visita a un malato in senso cristiano non vuol dire soltanto dimostrare la propria preoccupazione e il proprio legame con il malato (p. 63). Far visita a qualcuno vuol dire «cercare intensamente l’altro, voler individuare il posto dove si trova. Nel significato più profondo, quindi, visitare significa avere interesse per l’altro: mi metto alla ricerca per trovarlo e conoscerlo davvero» (p. 63).
Visitare i carcerati assume un significato particolare; non è solo un invito a visitare qualcuno detenuto nel carcere pubblico. Esistono – si legge nel testo – anche altri tipi di prigionia: «una persona può essere rinchiusa nel carcere della propria paura, in attesa che qualcuno vada a trovarla» (p. 61). Seppellire i morti, infine, è da intendersi come opera di misericordia nella misura in cui con la sepoltura si rende onore al defunto, così come Giuseppe di Arimatea e le donne hanno fatto con Gesù. Così facendo, chi seppellisce dignitosamente un defunto opererà nei confronti di Cristo stesso (p. 78).
Il capitolo II è dedicato alle Opere di misericordia spirituale. Anche qui la descrizione è intensa, con numerosi rimandi alla Sacra Scrittura e molteplici rifacimenti alla vita. Ammonire chi cade in errore desta in noi il compito di far notare a chi sbaglia che è nella direzione errata: non è una condanna, piuttosto un aiuto. Insegnare agli ignoranti non consiste in una trasmissione nozionistica di concetti, ma si traduce «nell’aiutare le persone nella loro fede, a vivere la loro esistenza in base alla fede» (p. 88), e di seguito le altre Consigliare i dubbiosi, consolare gli afflitti, sopportare pazientemente le persone moleste, perdonare volentieri coloro che ci offendono, fino all’ultima, pregare per i vivi e per i morti, mediante la quale è possibile esprimere l’amore verso gli altri non solo in questa vita, ma anche nel processo della morte (p. 128).
«Otteniamo la salvezza per mezzo della fede – scrive Grün – e non per mezzo delle opere. Ma soltanto se la nostra fede si esprime anche nelle opere di misericordia saremo beati. Essere beati non significa ottenere la salvezza, ma essere felici, essere in armonia con se stessi» (p. 132).
S. Casalunga, in
Quaderni Biblioteca Balestrieri 1/2016, 148-150