Il piacere sessuale avvicina l'uomo a Dio. È la rivoluzionaria tesi del libro Il risus paschalis e il fondamento teologico del piacere sessuale dell'antropologa cattolica Maria Caterina Jacobelli, tesi destinata, inevitabilmente, a far discutere, specialmente all'interno della Chiesa, dove i settori più tradizionalisti hanno parlato di sesso e di piacere sessuale sempre in termini di peccato.
Il libro, frutto di oltre dieci anni di ricerche storico-bibliografiche svolte in tutta Europa, risulta ancora più rivoluzionario perché Maria Caterina Jacobelli, 62 anni, sposata con figli, è anche teologa moralista laureata all'accademia Alfonsiana della Pontificia università Lateranense ed è membro dell'Ati, l'Associazione teologi italiani.
Per la prima volta, il tema del rapporto uomo-donna viene affrontato dalla teologa cattolica in maniera del tutto differente rispetto alla tradizione ufficiale della chiesa, e con una argomentazione storico-teologica completamente liberata dal plurisecolare senso del peccato: il sesso, e il piacere che esso comporta, per Maria Caterina Jacobelli sono una realtà buona e significativa, benedetta dal Dio della creazione e valorizzata al massimo da Gesù Cristo, celibe e casto, ma anche uomo di carne e sentimenti. Punto centrale del libro è la riscoperta storica del Risus paschalis, un'antica tradizione, in auge fino al 1500-1600 in molti paesi europei, specialmente in Germania, dove i fedeli durante il giorno di Pasqua erano soliti compiere non poche stranezze per sottolineare l'allegria per la resurrezione di Gesù. Per meglio suscitare riso e allegria, i sacerdoti del tempo durante le messe pasquali (da qui il Risus paschalis) non esitavano ad abbandonarsi perfino a gesti osceni sull'altare prima e dopo le celebrazioni, o nelle prediche, mimando persino masturbazioni e rapporti sessuali. È possibile, si chiede nel libro l'autrice, che il Risus paschalis fosse segno di una realtà sacra? Una realtà sopravvissuta ai secoli nella cultura popolare anche se contraffatta e segnata dai condizionamenti e dalla fragilità umana?
Le risposte di Maria Caterina Jacobelli sono affermative. Quei gesti erotici sopravvissuti nel Risus paschalis, sono i segni di una realtà sopravvissuta che, ignorata nella gerarchia della Chiesa colta e ufficiale, trovava spazio, invece, nel popolo di Dio, tra la gente semplice, che amava gioire alla sua maniera in attesa della resurrezione di Cristo. All'atto sessuale, si legge nel libro, è legato il piacere più intenso che sia dato (da Dio) all'uomo. Anche in questo piacere c' è l'orma di Dio nella creatura umana. Anche Dio gode, scrive l'autrice, in Lui, purissimo spirito, non ci può essere un godimento fisico, ma questa profonda esplosione di gioia quando ricade nell'uomo ha evidentemente una ridondanza fisica; per cui si può a buon diritto dire che la sessualità, con il piacere che comporta, ha la sua radice ultima in Dio.
Se questo è vero, perché allora Gesù, uomo perfetto anche nella carne è rimasto celibe, si è precluso il piacere sessuale? A questa domanda Maria Caterina Jacobelli risponde, partendo dalla sua esperienza di donna e di madre. Tra amanti, è il suo ragionamento, si sente il bisogno di farsi cibo l'uno dell'altro come via dell'assorbimento totale dell'amato: Se Gesù si fosse sposato, si sarebbe donato ad una sola donna, per un numero limitato di anni, in un luogo circoscritto di questo mondo e in un'epoca determinata; tutto il resto sarebbe rimasto fuori. Ma la forza prorompente dell'amore divino dell'uomo-Gesù non avrebbe potuto accontentarsi: doveva darsi completamente a tutti, in ogni epoca. Prendete e mangiate, questo è il mio corpo per voi, per tutti. Si è fatto cibo. Come ogni amante vorrebbe poter fare.
O. La Rocca, in
Repubblica.it 19 gennaio 1991