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Il ‘piccolo resto’ nella Bibbia
Walter Vogels

Il ‘piccolo resto’ nella Bibbia

E per la Chiesa oggi?

Prezzo di copertina: Euro 16,00 Prezzo scontato: Euro 15,20
Collana: Itinerari biblici
ISBN: 978-88-399-2918-1
Formato: 13 x 21 cm
Pagine: 144
Titolo originale: Le petit reste. Dans la Bible et l’Église aujourd’hui
© 2020

In breve

Una chiara e puntuale monografia sul biblico «resto di Israele», intelligentemente applicata all’attualità ecclesiale: puntare sulla quantità o sulla qualità dei cristiani?

Descrizione

Le chiese cristiane si svuotano e di anno in anno aumenta l’emorragia di praticanti. C’è chi dice che il peggio deve ancora venire; altri, più ottimisti, sostengono che la Chiesa ne ha passate tante e che anche questa volta, da un “piccolo resto”, rinascerà la speranza.
Il biblista Walter Vogels è andato alla ricerca di questo “resto” nelle Scritture. Più volte il popolo di Dio viene messo alla prova da un disastro collettivo: il diluvio, la distruzione assira del Regno del Nord, la deportazione a Babilonia… Ma ogni volta, per quanto grande e traumatica sia la catastrofe, rimane qualche sopravvissuto. E dallo sparuto residuo di superstiti può sorgere la speranza: l’alleanza con Dio viene rinnovata, una comunità santa rifiorisce.
Ritornando all’attuale situazione di declino per la Chiesa, Vogels si chiede: «E se la manciata di fedeli pronti a mantenere viva la fede in Cristo svolgesse oggi la stessa missione dei superstiti dell’Antico Testamento?». Fervore, coraggio e speranza costituiscono le condizioni del rinnovamento cristiano a cui questo libro ci chiama.

Recensioni

Di fronte ai vari problemi che la real­tà attuale presenta, i credenti spesso si rivolgono alla Bibbia per individuare delle risposte o delle soluzioni. L’interro­gativo che costituisce il punto di parten­za di questo libro è il rapido declino della chiesa nei paesi occidentali. Si tratta di un dato di fatto che può essere interpretato in modi diversi; c’è chi ricorda che il numero complessivo dei cristiani sta aumentando nel mondo, soprattutto in Africa e in parte anche in Asia; altri, invece, ritengono che il declino della chiesa in Occidente favo­rirà la nascita di un’esperienza nuova, per il momento ancora inedita; ci sono infine persone che interpretano questo fatto in modo positivo, ritenendo che esso segni la fine di un cristianesimo di tipo sociolo­gico, favorendo, invece, un’appartenenza ecclesiale, magari minoritaria o addirittura elitaria, ma basata su una scelta personale e non su un dato tradizionale o culturale.

L’autore del presente libro, un biblista molto importante, intende chiarire quello che sta succedendo all’interno della chiesautilizzando la categoria biblica del «resto», che compare in numerosi testi dell’Anti­co Testamento. Il tema del «resto» viene presentato seguendo l’ordine canonico dei libri e adottando una prospettiva di tipo sincronico. L’autore presenta, prima di tutto, il vocabolario usato per parlare di questo argomento, e in seguito si doman­da qual è l’origine della nozione. Infine segue l’evoluzione di questa categoria teo­logica attraverso i vari periodi della storia di Israele. Vogels analizza una serie di testi in cui il resto sopravvive dopo un disastro (il racconto del diluvio, la distruzione del regno del nord e poi di quella del sud) per mostrare poi come gli stessi testi possa­no anche infondere speranza. Il tema del «resto», da un lato, presuppone inevitabil­mente un disastro: dall’altro, siccome un resto rimane, vuol dire che forse c’è ancora una speranza.

Questa analisi biblica è utile per inter­pretare l’attuale situazione ecclesiale ed è condotta in maniera mirabile da un esper­to che sa presentare i dati biblici in maniera semplice e competente.


D. Scaiola, in Parole di Vita 3/2021, 56-57

L’espressione ‘Europa cristiana’ è solo un modo di dire, non più un modo di essere nella realtà.
Le strutture esterne dicono una struttura interna che va verso il poco, il piccolo e, per dirla con l’Autore, il resto. Quale resto, dunque, per la Chiesa oggi?
Walter Vogels ha insegnato per tanti anni Antico Testamento, ora emerito, ad Ottawa (Canada).
Con Queriniana ha dato alle stampe questo particolare testo, partendo dalla categoria biblica de “il resto” e cercando di offrire chiavi di lettura per il tempo attuale.
«Un resto presuppone inevitabilmente un disastro – afferma il biblista – che è costato caro alla comunità: c’è stata una distruzione che ha comportato la scomparsa o la morte di un gran numero di persone: pensiamo 1) alla fine del mondo con il diluvio, 2) alla fine del regno del nord causata dagli Assiri e 3) la fine del regno del sud causata dai Babilonesi».
Particolarmente interessante è la rilettura di questi 3 disastri che l’Autore fa in chiave di speranza e ricostruzione. «Un resto permette la speranza anche di un nuovo inizio – evidenzia il biblista canadese – finché c’è un resto non tutto è perduto. Lo stato d’animo nelle tre situazioni di disastro è unanimemente quello del pianto. Ciò muta completamente nel momento della restaurazione, quando la comunità si riunisce».
Un punto, questo, alquanto utile per le parrocchie di oggi come criterio di rigenerazione.


G. Ruggeri, in Recensionedilibri.it 14 aprile 2021

Resto. Oggi viene da pensare al popolo dell’Artsakh, violentemente aggredito da turchi e azeri e costretto a rifugiarsi in Armenia, abbandonando case e campi, oltre che chiese e monasteri testimonianze di una civiltà millenaria. Nelle culture precristiane, il concetto di "resto" fu applicato a quel che rimaneva di una popolazione dopo una guerra o un disastro naturale e, come noto, la Bibbia abbonda di citazioni relative al popolo di Israele. In particolare, dopo la serie di crudeli invasioni e deportazioni da parte di Assiri e Babilonesi. Nell’Antichità infatti, al termine di un conflitto, i vincitori si abbandonavano alla distruzione quasi totale degli avversari, a cominciare dai loro leader, ma anche delle fonti di vita, dei villaggi e delle vigne. Un’esperienza verificatasi più volte, dai Sumeri agli Ittiti, dagli Assiri agli Egizi. Eppure, nonostante questa sistematica opera di annientamento dei vinti, qualche sopravvissuto rimaneva sempre. E in alcune circostanze, dopo anni o decenni la vita poteva riprendere. È il caso appunto di Israele, che riuscì a risorgere dopo periodi di cattività a Babilonia. «Racimolate, racimolate come una vigna il resto d’Israele», scrive Geremia dopo l’invasione babilonese che portò, nel 586 a.C., alla distruzione di Gerusalemme. In realtà, il primo a parlare di "resto" era stato Amos, considerato anche il primo profeta-scrittore. Molto severo verso gli israeliti che avevano abbandonato il Signore, egli preannuncia la distruzione del regno del Nord da parte degli Assiri, che si verificherà nel 721 a.C., ma esprime pure la speranza che «forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe».

La nozione di "resto" si affaccia la prima volta dunque, come accennato, in un contesto di guerra. È noto che gli Assiri erano particolarmente feroci, puntavano a schiacciare completamente i popoli conquistati e, nei loro rapporti ufficiali, i re rimarcavano come "il resto" fosse stato catturato, ucciso o deportato, in modo che i vinti non potessero ribellarsi in futuro. Però, v’era sempre un "resto" che era riuscito a fuggire nel deserto. Gli Assiri dovettero accontentarsi di prendere la Samaria ma non giunsero sino a Gerusalemme, cosa che si verificò invece anni dopo con Nabucodonor, prima nel 597 e poi nel 586, quando il tempio venne distrutto dalla foga dei Babilonesi, e infine in un’ultima deportazione voluta da Nabuzaradan, nel 582. In queste circostanze, vari profeti, da Isaia a Sofonia e Geremia, lamentarono la sorte del resto d’Israele. Dice Isaia: «Da Gerusalemme uscirà un resto, dal monte di Sion un residuo». E Geremia auspica che il suo popolo si lasci sottomettere dai Babilonesi per sopravvivere. Così Ezechiele, che vede una speranza e un futuro possibile per il popolo di Dio anche nell’esilio. Sarà Ciro, re di Persia, nel 538 a.C., a ridare la possibilità al resto d’Israele di tornare nella sua patria. Così finì il periodo di castigo e purificazione.

Nella Bibbia il riferimento al resto è legato anche a circostanze diverse, come il diluvio di Noè o l’incendio di Sodoma (probabilmente conseguenza di un terremoto), ma tutti questi disastri sono dovuti al peccato d’Israele, cui Dio dà però sempre la possibilità di risollevarsi. È a partire dall’esame accurato di questo tema biblico che attraversa tutte le Scritture che il biblista e teologo Walter Vogels, docente emerito di Antico Testamento all’Università Saint-Paul di Ottawa, nel suo libro Il piccolo resto nella Bibbia (Queriniana) finisce per applicarlo al declino attuale della Chiesa: «E se la manciata di fedeli pronti a mantenere viva la fede in Cristo svolgesse oggi la stessa missione dei superstiti dell’Antico Testamento».

È sotto gli occhi di tutti il calo enorme non solo nella frequenza alle cerimonie religiose, ancor più evidente in questo periodo di pandemia, tanto che risulta ben difficile parlare ancora di "Europa cristiana". Anche secondo le indagini recenti, meno della metà delle persone che vivono nel Vecchio Continente si dice credente o religiosa e i cristiani si collocano ormai fra il 20 e il 30 per cento. Diversa la situazione nel resto del mondo, in particolare in America, Asia e Africa, dove semmai il cristianesimo è messo in pericolo non dall’abbandono dovuto dalla secolarizzazione ma dalla persecuzione. Vogels enumera il Medio Oriente, che ha visto i seguaci dell’Isis assassinare centinaia di cristiani, o la Nigeria, il Pakistan e l’India, ove molti subiscono angherie, se non conversioni forzate all’islam o uccisioni, solo perché cristiani. «Non è sorprendente – commenta l’autore – che papa Francesco parli della nostra epoca come quella dei martiri. In Occidente, una cultura umana e cristiana è del pari in via di estinzione, e chi si preoccupa?».

Le persone che si collocano dentro la Chiesa hanno tre diverse reazioni. Ci sono i profeti di sventura, che rimpiangono i bei tempi andati e mettono sotto accusa tutta la cultura moderna. Poi ci sono quelli che guardano alla differente e più positiva situazione della Chiesa nel resto del mondo e perciò non si preoccupano più di tanto. Infine vi sono coloro che vedono in questa situazione di crisi un’opportunità, quella di tornare alle origini, «un’umile, piccola Chiesa, lievito nell’impasto, granello di senape, luce per il mondo». Si apre insomma la possibilità di ritrovare la natura vera ed essenziale della Chiesa, che si deve purificare abbandonando ogni compromissione col potere.

Qui il tema del "resto" non appare affatto ingiustificato. Come ha detto Gesù, «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?», una domanda che non ha una risposta scontata e che deve far riflettere, perché la perdita di fede in Europa potrebbe non aver raggiunto il culmine. Anche il popolo d’Israele subì una terza deportazione e «rimase il resto di un resto di un resto»: accadrà così anche ai cristiani d’Occidente?

Per Vogels non si tratta di consolarsi sostenendo che ora va a Messa solo chi ci crede davvero e che la Chiesa è più pura. Se in questo c’è del vero, non ci si può illudere che il futuro delle comunità cristiane sia costituito solo da pochi eletti, che magari si ritengono perfetti. Anche coloro che in passato frequentavano in massa la parrocchia e che magari non erano acculturati, vivevano però una fede sincera e profonda. E trasmettevano la fede ai loro figli.

Il volume esamina anche le possibili cause del declino, fra cui le stesse colpe della Chiesa dovute per esempio agli scandali e agli abusi, ma pone pure alcuni segni di speranza. «Quanto durerà questo esodo?», si chiede Vogels, e aggiunge: «Dopo tutte le apologie degli ultimi papi per le colpe della Chiesa, la chiamata costante e fervida di papa Francesco alla misericordia di Dio sarebbe una profezia che questo tempo della misericordia, che darà il cambio a quello dell’ira, è vicino?». Si tratta di ripartire proprio dal "resto", da coloro che rimangono legati alla Chiesa e continuano ad impegnarsi e a trasmettere la fede alle nuove generazioni. Sarà capace questo "resto", grazie a un processo di riforma autentica e una nuova evangelizzazione, di recuperare almeno una parte di coloro che se ne sono andati? «La rimpatriata non sarà facile. Ma non abbiamo il diritto di lasciare i feriti della vita da soli, in esilio, lontani o esclusi dalla comunità». E ancora: «Spalanchiamo le porte della misericordia, della comprensione e della tolleranza. Ci deve essere posto per molti nella casa del Padre, per coloro che sono chiamati liberali o conservatori, tradizionalisti o rivoluzionari, di sinistra o di destra. Ci sarà del vecchio e del nuovo. Nessuna comunità è perfetta».

Ma si può ricostruire rispettando due condizioni: che sia salvaguardato il patto fra la Chiesa e i diritti dell’uomo, nel rifiuto di ogni violenza, e che si testimoni il primato dell’agape, segno vero della presenza dei cristiani nel mondo.


R. Righetto, in Avvenire 19 febbraio 2021

Un dato di fatto è ormai sotto gli occhi di tutti: le chiese cristiane, specie quelle cattoliche e protestanti, stanno subendo un’emorragia di fedeli che sembra non arrestarsi. Cosa significa allora interrogarsi circa quel «piccolo resto» dal quale potrà rinascere la speranza di una nuova più robusta e partecipata presenza evangelica? A questa domanda l’a. risponde interrogando e facendosi interrogare dalle Scritture dell’Antico Testamento, laddove il popolo di Dio viene messo alla prova a seguito di una traumatica catastrofe collettiva. Il declino delle Chiese prelude, pertanto, all’azione di una manciata di fedeli che manterranno viva la fede in Cristo esattamente come i superstiti dell’antico patto? Nel testo la risposta è improntata su tre snodi: fervore, coraggio, speranza.


D. Segna, in Il Regno Attualità 22/2020