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Globalizzazione e teologia
Joerg Rieger

Globalizzazione e teologia

Prezzo di copertina: Euro 12,50 Prezzo scontato: Euro 11,85
Collana: Giornale di teologia 384
ISBN: 978-88-399-0884-1
Formato: 12,3 x 19,3 cm
Pagine: 128
Titolo originale: Globalization and Theology
© 2015

In breve

Editoriale di Rosino Gibellini

Il libro si focalizza su un confronto, non usuale, tra globalizzazione e teologia. La prima non impatta forse sulla seconda? Quali intrecci si costituiscono fra le due? L’analisi parte da lontano – dalla tensione tra l’Impero romano, nel suo costituirsi come “dominio totale”, e il cristianesimo, nella sua storia di diffusione nel mondo – per approdare infine ai giorni nostri. E delinea, in definitiva, due tipologie molto diverse di globalizzazione: quella del potere politico e quella di una fede religiosa.

Descrizione

Guardando alla storia di espansione di un potere politico, del costituirsi di un impero, si nota che esistono diversi modelli di globalizzazione, in competizione tra loro. Sulla base delle attuali discussioni politiche e culturali, l’Autore studia la logica dell’impero che esercita il suo potere dall’alto verso il basso – ed è una logica di conquista del mondo. A questa, Rieger contrappone la globalizzazione operata dalla religione cristiana, che avviene secondo la logica della “via di Gesù”: un potere salvifico inteso come contro-potere, come resistenza, che opera dal basso verso l’alto. La globalizzazione fa così scoprire al cristianesimo le sue formule globalizzanti, come il mandato missionario «fino agli estremi confini della terra» (Mt 28) e come «nuova cattolicità» (R. Schreiter), che accoglie e rende feconde le differenze nella missione cristiana.
Schematicamente, dunque, due globalizzazioni contrapposte nel divenire della storia: «Mentre la globalizzazione violenta dei conquistatori produce paure, risentimenti e morte, quella pacifica di Gesù produce fiducia, felicità e vita».
Un libro che interpreta la sfida della comprensione in modo sorprendente e provocatorio, alla scoperta di «forme alternative di globalizzazione» rispetto a un fenomeno planetario oggi dominante – e livellante – che si presume pervasivo sul piano economico, politico e culturale.

Recensioni

Joerg Rieger, docente di Teologia costruttiva alla Perkins School of Theology della Southern Methodist University di Dallas (Texas, USA), sviluppa una riflessione teologica in relazione alla tematica della nuova globalizzazione, nella quale sono coinvolti globalisti e antiglobalisti in un interessante dibattito: mentre per i globalisti le coordinate fondamentali del mondo globalizzato attuale, che sono principalmente l'emergenza del mercato comune, la crescita esponenziale delle comunicazioni e dell'informazione, la creazione e la produzione di nuove tecnologie, riguardano lo sviluppo di una economia mondiale a vantaggio di tutto il genere umano, per gli antiglobalisti, invece, tali coordinate risultano essere meramente a vantaggio di una ristretta élite di capitalisti.

Nel lavoro di Rieger, la globalizzazione viene analizzata a partire dalle sue radici storiche, di carattere politico e religioso. Su tale sfondo, la teologia cristiana già dai primi secoli del cristianesimo è stata implicata in una logica di globalizzazione, che ha affondato le sue radici nell'affermarsi dell'impero romano. Come, infatti, l'autore chiarisce nell'introduzione, «la teologia stessa è parte del processo di globalizzazione, nel bene e nel male [e, viceversa, i processi di globalizzazione sono stati] inestricabilmente connessi agli sviluppi teologici» (pp. 12-13). Il complesso processo della globalizzazione viene analizzato in chiave teologica, soprattutto in relazione alla comprensione del divino (cf. pp. 16-17).

Seppure in tappe e capitoli diversi, Rieger distingue tra processo di globalizzazione dall'alto al basso, in cui si impone su ogni cultura un sistema totalizzante - e questo, o come potere duro, mediante l'uso della forza, o come potere morbido, mediante istanze di tipo prevalentemente sociale, religioso, economico -, e processo di globalizzazione dal basso all'alto, in cui si diffonde un sistema di graduale avvicinamento fra le diverse culture, fondato sulla tolleranza e sulla valorizzazione delle diversità locali.

Fin dalle origini del cristianesimo, la teologia ha dovuto fare i conti con la globalizzazione come potere duro, che si è espresso soprattutto nel dispiegamento di forze militari: «questa sorta di globalizzazione può essere definita in termini di espansione del potere dall'alto al basso a tutti i livelli della vita, di produzione di differenze di potere, di soppressione delle alternative a tutti i livelli, e di cancellazione delle differenze locali» (p. 20). Similmente, si è verificato un fenomeno di globalizzazione dall'alto al basso come potere duro, durante il colonialismo spagnolo, potere che è stato esercitato mediante la conquista militare di svariati territori dell'America Latina; tale fenomeno, tuttavia, si è sviluppato anche come potere morbido esercitato dal cristianesimo, mediante l'evangelizzazione. L'analisi di Rieger permette di comprendere che anche i processi di globalizzazione dall'alto al basso con l'esercizio di potere morbido, come, ad esempio, l'esercizio di un potere educativo o quello realizzato nel processo di inculturazione della fede, contribuiscono ad aumentare la concentrazione di potere e di ricchezza nelle mani di pochi, a detrimento di tutti gli altri, con il pericolo, fra l'altro, di perdere le differenze culturali locali.

Di fronte a processi di globalizzazione dall'alto, sia con potere duro che con potere morbido, Rieger fa emergere l'importanza di un processo parallelo di globalizzazione dal basso, che parte, in ambito cristiano, soprattutto dalla fede in Gesù Cristo, in quanto venuto a portare il lieto annunzio ai poveri. Infatti, la teologia, soprattutto nel Novecento, ha reagito proponendo approcci, legati ai peculiari contesti socio-culturali e geografici, che sostengono lo sviluppo di processi di globalizzazione dal basso all'alto. Si pensi, ad esempio, alle cosiddette teologie del genitivo e, in particolare, alla teologia della liberazione e a quella del Terzo Mondo (cf. pp. 90-91). Ulteriori sviluppi teologici, «che si muovono sulla scia della teologia della liberazione» approfondiscono anche tematiche specifiche, come, ad esempio, «la democrazia, la soggettività e la trascendenza» (p. 99). Inoltre, secondo l'autore, contro la spinta di un processo di globalizzazione dall'alto, che azzera le differenze culturali e locali, è necessario recuperare in teologia la dimensione della croce di Cristo, capace di tenere insieme espressioni culturali e politiche diverse alla luce delle comuni sofferenze e lotte della vita (cf. pp. 111-112).

Come esempi di riflessioni teologiche, che sostengono un processo di globalizzazione dal basso all'alto, vengono citate quella di Karl Barth su Dio come "Totalmente altro", «fondata non su un'idea astratta ma sulla storia di Gesù Cristo [e in cui] l'alterità di Dio ha a che fare con il percorso di Gesù Cristo dentro le lotte, le sofferenze e le tensioni dell'umanità e del mondo» (pp. 50-51), e quella di Dietrich Bonhoeffer, che invita a guardare ai grandi eventi della storia a partire dalla prospettiva degli ultimi e degli oppressi, dall'esperienza umana di povertà, come «luogo in cui Dio è all'opera e dove anche la teologia necessita di trovare la sua collocazione» (p. 53).

Rieger, alla fine della sua riflessione, sottolinea la rilevanza di «modelli alternativi alla globalizzazione dall'alto [...] radicati in alcune tradizione religiose, passate e presenti» (p. 113) e delle «differenze locali [che] non sono cancellate, ma ritenute come contributi necessari al tutto, capaci di stimolare nuove forme di potere dal basso» (p. 115). Per una comprensione più approfondita delle interrelazioni tra globalizzazione e teologia, la lettura di quest'opera risulta molto stimolante.


E. Cibelli, in Asprenas n. 1-4/2016, vol. 63, 245-247

Globalizzazione è un termine ormai da tempo sulla bocca di tutti. Il breve saggio in oggetto ne investiga la natura, i metodi e le finalità mettendone in evidenza la storia e le relazioni, talora insospettabili, che intrattiene con la fede e la teologia cristiana. In questo sta l’interesse e l’originalità dell’opera.

Sotto il profilo storico, l’apparente relativa novità del tema viene invece ricondotta all’identico dinamismo degli imperi apparsi fin dall’antichità, tutti accomunati nello sforzo di allargare il proprio predominio e l’area di influenza. L’A. si sofferma su tre esempi: l’impero di Roma, la conquista coloniale spagnola dei secoli XVI e XVII e infine, in tempi a noi piú vicini, il nazismo in Germania. Questi consentono a J. Rieger di mostrare lo stile di coercizione e di imposizione «dall’alto al basso» di queste globalizzazioni, e il metodo impiegato, sovente la forza brutale ma anche, talvolta, forme «persuasive» e, almeno apparentemente, non violente di «potere morbido», indicate nel saggio, rispettivamente, come hard power e soft power. Il secondo è il caso, soprattutto, del postcolonialismo, che contraddistingue tuttora, secondo l’A., lo stile delle relazioni che i paesi ricchi intrattengono con quelli del Terzo mondo, al quale vengono dedicate le pp. 57-66. Non di rado in questi casi, annota Rieger, la teologia ha svolto una funzione «ideologica», cosí l’avrebbe definita il pensiero marxista qualche decennio fa, a legittimazione e supporto delle forme non violente e piú «illuminate» di potere dall’alto (per la discussione degli esempi addotti si vedano le pp. 67-84).

Alternativa a questa prima forma di globalizzazione, anche laddove essa si avvalga del solo soft power, si presenta la «via di Gesú», proposta dal NuovoTestamento e dalla piú autentica tradizione cristiana, che opera «dal basso verso l’alto» promuovendo la soggettività e la partecipazione di tutti, senza emarginare ed escludere alcuno anche nella divisione degli eventuali «frutti». Esempi di un approccio teologico conseguente sono, a dire dell’A., la chiesa confessante tedesca, che si oppose al nazismo, e le varie forme di teologia della liberazione, di teologia nera e del femminismo.

Segnaliamo, inoltre, come Rieger, teologo protestante preoccupato della precoce «ellenizzazione» del cristianesimo che egli legge come segno evidente della sua adesione al potere dell’impero, faccia riferimento soprattutto alla teologia delle chiese riformate e al mondo anglo-sassone, come si evince anche dalle indicazioni bibliografiche fornite, e metta in evidenza la necessità di integrare, nello studio della relazione fra fede/teologia e cultura, anche la variabile «potere».

Infine, anche se il testo non ne fa cenno, il saggio suggerisce implicitamente un ripensamento, nel contesto di un mondo «globalizzato», dei temi della teologia della speranza e della teologia politica assai dibattuti nella seconda metà del ’900, del carattere «sovversivo e critico» della fede in Gesú Cristo, e dell’impegno per una ripresa di interesse per l’ecumenismo, anzitutto tra le chiese cristiane ma ampliabile fino a coinvolgere le altre fedi dell’umanità, in vista della realizzazione di quella unità cattolica che costituisce la vera alternativa alle diverse globalizzazioni dall’alto.


A. Ricupero, in Studia Patavina 63 (2016) 2, 527, 528

Rosino Gibellini, en una breve Nota Editorial, nos ofrece una acertada visión del contenido e imponancia de esta obra. Joerg Rieger trata un tema muy apropiado para nuestro tiempo. Estudia las posibles relaciones entre la globalización y la teologia, un aspecto no examinado hasta el presente. La globalización, a la que se refiere la obra, tiene una larga historia de expansión, dominio politico y de sometimiento de otras naciones y culturas.
El autor, profesor estadaunidense de teologia en diversas universidades, al estudiar el tema de las relaciones de globalización y teologia, se fija en la historia y torna como ejemplo muy significativo al Imperio romano con su afan de dominio y su expansión para formar un gran imperio. Lo relaciona con la fe cristiana, el unico elemento que surgió en contra de esta tendencia imperial.
Se trata, por tanto, de una historia de globalización del poder politico y de una fe religiosa enfrentados, de dos magnitudes, humanamente poderosa una, el Imperio, humilde y aparentemente insignificante la otra, la fe cristiana. La lógica del Imperio consistía en ejercer el poder "de arriba abajo". La globalización, a que tiende la fe cristiana, se rige "por una lógica totalmente contraria: de abajo arriba, es la lógica del 'camino de Jesus', un poder salvífico como contrapoder, como resistencia, que opera desde abajo hacia arriba".
Así pues, el autor constata que hay dos globalizaciones contrapuestas en el decurso de la historia: la globalización violenta de los conquistadores, que suscita miedo, sufrimiento y muerte, opresión en el fondo, y la globalización pacífica del "camino de Cristo", que produce confianza, seguridad y vida, liberación. La teologia constata la radical oposición del "camino de Jesus" con la globalización política, económica, cultural, con sus tendencias con frecuencia despóticas. Hay otras teologias que no se oponen tan radicalmente al poder imperial del capitalismo, pero favorecen mas bien su lógica, aunque en verdad atenuan su dureza, como por ejemplo la "teologia del desarrollo" y la "teología del progreso". Otras teologías, en cambio, como la teología de la liberación, siguen fielmente el "camino de Jesus" y se oponen a toda clase de globalización despótica, que pasa por alto la dignidad y los derechos de la persona. Enfrente al Imperio Romano y su tendencia politica a la expansión-globalización, la teologia cristiana ha tenido su propia historia de globalización, muy contraria a la globalización imperial. Teología cristiana y globalización no son dos sujetos separados.
Uno de los problemas que aborda el libro es el porqué la teologia no ha conseguido nunca comprender las conexiones que la ligan a la globalización, no se ha dado cuenta del problema. Piensa el autor que el proceso de globalización ha influido en la teología desde sus mismos inicios. El NT, por ejemplo, fue escrito en el griego de la koiné, lengua que se iba convirtiendo en la lengua del Imperio, no en la lengua aramea que era la lengua que hablaba Jesus y sus primeros discipulos. El cristianismo primitivo se fue extendiendo, superando las fronteras y particularidades de los diversos pueblos, también de la religión puramente judaica, llevando adelante su propia globalización, que se hacía realidad en la progresiva unión de los diversos pueblos y culturas en la misma fe cristiana.
Globalización y teologia, como afirma el autor, no son dos sujetos separados, aislados. La catolicidad apostólica y misionera de la fe cristiana es un claro elemento de globalización cristiana. Tiene razón el autor cuando afirma que no podemos reducir la globalización a un puro fenómeno politico, economico o tecnológico. Es alga bastante mas profundo, que llega hasta las mismas entrañas del ser humano en lo que atañe a su dimensión trascendental.
Con mucho acierto contrapone el autor dos globalizaciones, segun se manifiestan en la historia. La primera la llama "globalización del poder duro", la que parte de "lo alto a lo bajo", imponiendo despóticamente su propia voluntad, saltandose los derechos humanos fundamentales. En el capítulo cuarto desarrolla el concepto de "poder suave relacionado con la globalización", un poder del todo opuesto al "poder duro". Esta fundado en la praxis de Jesus, una praxis de liberación, no de opresión. La proclamación de Jesus es un anuncio de la misericordia, de la bondad, de la salvación. En Jesus, segun el autor, "emerge una nueva forma de globalización que se contrapone desde sus mismos inicios a aquella de 'lo alto a lo bajo' del Imperio romano; es una globalización que une a aquellos que estan oprimidos y les infunde esperanza." (p.40).
Concluye el autor su interesante estudio con una breve conclusión titulada: "En un mundo que se globaliza la via de en medio conduce a la muerte". Afirma Rieger que "en una situación como la presente con importantes diferencias de poder, el problema esta en que no hay espacio para la neutralidad y la vía intermedia" (p. 114). Una obra que merece una atenta lectura por lo mucho que aporta a la comprensión de la globalización, fenomeno muy importante de nuestro tiempo, también desde la perspectiva de la teologia, como bien lo demuestra el autor.


J. Boada, in Actualidad Bibliografica 1/2016, 60-62

Il libro di Rieger, teologo ed attivista statunitense docente presso la Southern Methodist University a Dallas (Texas/Usa), mette a confronto l'antico e complesso fenomeno della globalizzazione – intimamente connesso all'emergenza di una varietà di imperi nella storia umana – con la teologia cristiana. La globalizzazione, infatti, nelle sue varie forme, ha goduto sempre di un approccio teologico: a) ora funzionale alla logica del potere duro dall'alto (come la teologia del Gott mit uns, denunciata da Karl Barth nella Dichiarazione di Barmen); b) ora a favore del potere morbido, sempre dall'alto (come le teologie dello sviluppo e della prosperità, che non sono resistenti al potere duro imperiale del capitalismo, ma ne attenuano solo la durezza); c) oppure organiche alla logica della "via di Gesù", che incontra il divino in basso, in quelli che sono in difficoltà (come la teologia della liberazione, nelle sue varie forme, che innescano processi alternativi di globalizzazione solidale).

L’A. studia gli intrecci fra globalizzazione e teologia e giunge alla conclusione che, in un mondo globalizzante come il nostro, la teologia non può restare nelle "torri d'avorio accademiche" ma deve scendere in campo, scegliere, altrimenti rischia di ridursi ad appendice innocua (e complice) di processi di globalizzazione che non sono all'altezza della "comprensione del divino come incarnato nella persona e nell'opera di Gesù Cristo" (p. 17).

Nella tradizione cristiana – scrive Rieger – né Gesù, né Paolo, né Bartolome de Las Casas possono essere compresi, se non si considera la lotta che hanno condotto con i poteri della globalizzazione dall'alto del loro tempo, "una lotta che essi hanno svolto collegandosi a forme alternative di globalizzazione e di potere e proponendo essi stessi forme realmente in alternativa". Senza questa coscienza – continua l'A."non saremo capaci di identificare il loro contributo nel mezzo delle lotte contemporanee" (pp. 105-106). In altre parole, la teologia o insegue il modello abituale di globalizzazione dall'alto, oppure persegue la dinamica indicata dalla nascita, dalla vita, dal ministero, dalla morte e risurrezione di Gesù. "Purtroppo – afferma Rieger –, per molti cristiani la vita e il ministero di Gesù hanno avuto soltanto un significato provvisorio e il Cristo risorto, che 'siede alla destra del Dio’, si è unito a forze che hanno un potere diverso da quello manifestatosi nella sua vita. In questo modo le componenti sovversive delle tradizioni ebraico-cristiane sono state addomesticate, comprese le tradizioni su Gesù. Questa impostazione tradisce l'idea paolina dello scandalo della croce e il paradosso del potere che è reso perfetto nella debolezza, testimoniato dallo stesso Paolo" (p. 110).

"Gesù – scrive l'A. – è stato condannato a morte da un’alleanza fra le elite. Questa condanna non è stata la fine, bensì l'inizio di una lotta permanente tra il cristianesimo e l'impero romano che sarebbe durata a lungo". La stessa lotta che Paolo denuncia attraverso l'uso del termine "Signore" applicato a Gesù, che avrebbe un'intenzione "esplicitamente sovversiva". Siamo di fronte a due visioni opposte e confliggenti di globalizzazione: "Appropriandosi e rovesciando un'antica immagine imperiale della società come corpo, Paolo richiama l'attenzione su due punti importanti (1Cor 12): la Chiesa in quanto corpo di Cristo crea una situazione in cui il potere non richiede la distruzione delle differenze, come invece la globalizzazione dall'alto" (p. 43). La globalizzazione fa così scoprire al cristianesimo la sua missione "fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) come globalizzazione alternativa, dal basso, capace di accogliere e apprezzare le differenze nella "differenza cristiana” (cfr. E. Bianchi) e in una "nuova cattolicità" (cfr. R. Schreiter).

Anche oggi siamo di fronte a modelli di globalizzazione contrapposti: "Mentre la globalizzazione violenta dei conquistatori produce paure, risentimenti e morte, quella pacifica di Gesù produce fiducia, felicità e vita" (p. 48). Il libro di Rieger è un invito alle Chiese – e ai teologi – affinché riscoprano, grazie anche ad uno studio "storico-autocritico" della Bibbia e della tradizione cristiana, "forme alternative di globalizzazione" rispetto a un fenomeno planetario oggi dominante che spinge ai margini la maggioranza dell'umanità. I teologi – e le Chiese – sono chiamati a fare un'opzione, a prendere posizione.


M. Menin, in Missione Oggi 3/2016, 62

Parliamo di globalizzazione come se fosse una realtà senza precedenti. Uno sguardo più attento alla storia ci ricorda che la globalizzazione è un fenomeno antico e legato alla voglia espansiva dell’uomo di tutti i tempi. La globalizzazione dei nostri tempi si distingue per i modi e i contenuti, non per l’essenza.

Nel suo libro Globalizzazione e teologia Joerg Rieger dedica l’attenzione al fenomeno della globalizzazione da una prospettiva particolare: quella del confronto con la teologia. Giacché la stessa teologia cristiana ha avuto una propria storia di globalizzazione e di universalizzazione, capiamo che globalizzazione e teologia «non sono due soggetti separati». L’autore mostra che la connessione fra i due non è semplicemente artificiale. Già la scelta di scrivere e diffondere il Nuovo Testamento nella Koiné greca, la lingua globale allora, anziché quella aramaica parlata dai discepoli è una scelta di globalizzazione. La “cattolicità” apostolica e missionaria della fede è un altro elemento di essenziale globalizzazione del cristianesimo.

Considerare la teologia all’interno del processo stesso di globalizzazione mostra la complessità – di fatto e necessaria – del fenomeno. Ridurre la globalizzazione, infatti, a meri fatti economici e tecnologici è fuorviante perché ignora altri elementi costitutivi del processo di mondializzazione.

Il libro mette a confronto due modi contrapposti di globalizzazione:

1) la globalizzazione del potere duro che parte dall’alto verso il basso imponendo la diffusione della sua visione e del suo dominio. Rieger mostra come tale globalizzazione ha trovato spesso un supporto religioso. Questa forma di poter che si esercitava solitamente con la forza delle armi, continua ad essere esercitata oggi in forme più sottili: «Oggi il potere appare in forme più morbide, spesso sotto la veste di relazioni economiche e culturali, dove a prima vista la linea di divisione tra oppressori e oppressi sembra essere diventa poco chiara. Eppure le differenze di potere non sono sparite e anzi, se possibile, sono divenute ancora più nette» (62).

2) la globalizzazione costruttiva e benevolente, fondata sulla prassi del Nazareno. Una prassi non di oppressione, ma di liberazione. L’annuncio di Gesù è un annuncio di globalizzazione della misericordia e della salvezza di Dio. Gesù è unto per «portare la buona notizia ai poveri» proclamando «la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Con Gesù «Emerge una nuova forma di globalizzazione che si contrappone fin dall’inizio a quella dall’alto al basso dell’impero romano: è una globalizzazione che unisce quelli che sono oppressi e dà loro speranza» (40). In Gesù, Dio si schiera sempre e in modo incondizionato e appassionato dalla parte degli oppressi, contro i superbi e a difesa dei disprezzati (Karl Barth).

Con l’insegnamento del Cristo, la globalizzazione acquisisce una nuova idea di leadership, non fatta di centralizzazione, ma di effusione e condivisione, ossia, di comunione. Scrive Dietrich Bonhoeffer: «Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi – in una parola, dei sofferenti».


R. Cheaib, in www.theologhia.com 04/2016

Assumendo come punto di partenza la tensione fra l'Impero romano, nel suo costituirsi come “dominio totale", e il cristianesimo in espansione per arrivare con lo sguardo fino ai giorni nostri, l'autore mette a confronto gobalizzazione e teologia, distinguendo le vie della globalizzazione politica (dall'alto verso il basso, secondo una logica imperiale) da quelle della religione cristiana (dal basso, secondo una logica di contro-potere). Il libro racconta gli aspetti globalizzanti del cristianesimo e, allo stesso tempo, le sfide della globalizzazione sul modo di vivere la fede. Anche la teologia si interroga sulla strada da seguire in epoca di globalizzazione:
assecondare il potere politico ed economico aprendo senza resistenza la strada al dominio globale, come awiene nelle teologie della prosperità e dello sviluppo, oppure seguire la via di Gesù (dal basso verso l'alto) mettendo in pratica, come avviene per le teologie della liberazione, quella "globalizzazione solidale" che è nella dottrina sociale della Chiesa? Joerg Rieger, dottore in Teologia, è docente di Teologia costruttiva presso la Perkins School of Theology della Southern Methodist University, a Dallas (Texas).


In Adista 3/2016

Il gruppo che si aggruma attorno alle dirompenti parole di Gesù, che ne segue e incarna il messaggio, costituì un pericolo per il potere allora dominante, quello imperiale di Roma? Esso rappresentava una sfida, portava una minaccia all’autorità e alla ideologia che la supportava, una delle prime forme di globalizzazione – è la tesi sostenuta dal teologo Joerg Rieger –, come testimonia la volontà di Roma di sottomettere tutto il globo alla sua potenza («totum sub leges mittere orbem»)? Era il messaggio che i discepoli presero a diffondere eversivo, rispetto alla sfera del potere? La morte di Gesù – attraverso un supplizio che Roma riservava ai fomentatori di rivolte “politiche” – costituisce la prova incontrovertibile che il conflitto ci fu, e che fu violento. Il teologo non ha dubbi: il messaggio gesuanico entrò in un un urto frontale con la globalizzazione di cui era portatore l’impero romano. Ma qual era il cuore dell’impresa romana? Per Rieger essa tollerava l’alterità dei popoli che sottometteva – sociale e religiosa – fino a quando questa non era percepita come “pericolosa”: tendeva invece a cancellarla – violentemente – non appena questa rappresentasse una differenza insopprimibile. Con il cristianesimo, scrive lo studioso, «emerge una nuova forma di globalizzazione che si contrappone fin dall’inizio a quella dall’alto al basso dell’impero romano: è una globalizzazione che unisce quelli che sono oppressi e dà loro speranza. Non c’è dubbio: le due forme di globalizzazione, l’una dall’alto al basso e l’altra dal basso all’alto, non stanno assieme e non è un caso che Gesù rigetti l’offerta del diavolo di dominare “su tutti i regni del mondo con il loro splendore” (Mt 4,8-10)». Quella che ne scaturì – secondo la lettura dell’autore – fu uno scontro tra la teologia affermata, che sacralizzava il potere imperiale, e la nascente teologia cristiana, che spogliava il potere dei nessi sacrali su cui esso poggiava. Il risultato fu «una lotta culturale fino all’ultimo sangue in cui il potere duro dall’alto al basso usa ogni strumento disponibile per assimilare le immagini culturali e religiose e per cancellare le alternative reali». Se l’impero romano salda la dimensione religiosa e quella del potere in un nesso inestricabile, «il fondamentale dato cristiano» sta tutto, come ha notato Giorgio Campanini, nella «intrinseca laicità della politica, per effetto della distinzione fra Dio e Cesare e della strutturale finalizzazione della politica alla sfera mondana». «Gesù – scrive ancora Rieger – è stato condannato a morte da un’alleanza fra le élite. Questa condanna non è stata la fine, bensì l’inizio di una lotta permanente tra il cristianesimo e l’impero romano che sarebbe durata a lungo». Nell’uso che Paolo fa del termine “Signore” il teologo legge «un’intenzione esplicitamente sovversiva». Siamo di fronte a due visioni diametralmente opposte. E confliggenti. «Appropriandosi e rovesciando un’antica immagine imperiale della società come corpo, Paolo richiama l’attenzione su due punti importanti (1 Cor 12): la chiesa in quanto corpo di Cristo crea una situazione in cui il potere non richiede la distruzione delle differenze, come invece la globalizzazione dall’alto».


L. Miele, in Avvenire 18 dicembre 2015

Questo volume ha anzitutto il merito di veicolare in Italia le riflessioni di un autore ancora poco noto. Joerg Rieger, teologo ed attivista statunitense, si colloca infatti in posizione originalissima nel dibattito teologico più recente attorno ai temi della globalizzazione, del capitalismo e specialmente del controverso rapporto tra religione cristiana e potere, che egli declina nell'affascinante chiave di lettura del tema dell'«impero». Mescolando elementi dei cultural studies, della critical theory e della teologia sistematica (studiata sui banchi e nelle biblioteche di Reutlingen e Tubinga) il pensiero di Rieger affronta la questione del complicato intreccio tra discorso teologico e vita pubblica, indagando le contraddizioni e gli abusi del potere civile ed economico e spingendosi a considerare, in altri studi recenti, l'importanza teologica della critica al capitalismo di Marx oppure il confronto tra religione e i movimenti di contestazione, come quello di Occupy. In Globalizzazione e teologia l’analisi scaturisce da una profonda ed attenta riconsiderazione della tensione tra l'ideologia imperiale dell'antica Roma, nel suo dominio sui popoli europei, e l'espansione primigenia e prodigiosa del Cristianesimo, che tra quegli stessi popoli si radicò con una visione totalmente nuova del mondo e della vita. A partire da allora, la «globalizzazione» è stata una parola sempre presente nel vocabolario della teologia, anche quando la si è sembrata ignorare, perché la logica politica conquistatrice dell'impero e la fede liberante della religione non hanno più smesso di intrecciarsi, di competere, di opporsi. Alla visione del potere dall'alto verso il basso, fornite di paure, violenze e risentimenti, la «via di Gesù» ha infatti contrapposto un'alternativa che dal basso muove verso l'alto in modo pacifico, mite, fiducioso e perciò rivoluzionario. Oggi che la globalizzazione è un fenomeno planetario, cogliere questa tensione fondamentale – con tutto quello che essa significa e genera nella vita del credente – e cercare di capire in che modo la teologia, lungi dall'accodarvisi, possa formulare risposte inedite ed originali ai drammi dell'emarginazione e del sopruso del mercato e degli «imperi» politici odierni è la sfida principale proposta da Rieger. Con un sintetico ma efficace commento delle principali posizioni in campo, in quella «dimensione teologica» della globalizzazione della quale già parlava Benedetto XVI in Caritas in Veritate n. 42, egli indica perciò altrettante piste inedite di riflessione e di impegno per orientare la vicenda cristiana contemporanea verso l'unità della famiglia umana e il suo sviluppo nel bene.


T. Torresi, in Rocca 24 (15.12.2015) 56