Joerg Rieger, docente di Teologia costruttiva alla Perkins School of Theology della Southern Methodist University di Dallas (Texas, USA), sviluppa una riflessione teologica in relazione alla tematica della nuova globalizzazione, nella quale sono coinvolti globalisti e antiglobalisti in un interessante dibattito: mentre per i globalisti le coordinate fondamentali del mondo globalizzato attuale, che sono principalmente l'emergenza del mercato comune, la crescita esponenziale delle comunicazioni e dell'informazione, la creazione e la produzione di nuove tecnologie, riguardano lo sviluppo di una economia mondiale a vantaggio di tutto il genere umano, per gli antiglobalisti, invece, tali coordinate risultano essere meramente a vantaggio di una ristretta élite di capitalisti.
Nel lavoro di Rieger, la globalizzazione viene analizzata a partire dalle sue radici storiche, di carattere politico e religioso. Su tale sfondo, la teologia cristiana già dai primi secoli del cristianesimo è stata implicata in una logica di globalizzazione, che ha affondato le sue radici nell'affermarsi dell'impero romano. Come, infatti, l'autore chiarisce nell'introduzione, «la teologia stessa è parte del processo di globalizzazione, nel bene e nel male [e, viceversa, i processi di globalizzazione sono stati] inestricabilmente connessi agli sviluppi teologici» (pp. 12-13). Il complesso processo della globalizzazione viene analizzato in chiave teologica, soprattutto in relazione alla comprensione del divino (cf. pp. 16-17).
Seppure in tappe e capitoli diversi, Rieger distingue tra processo di globalizzazione dall'alto al basso, in cui si impone su ogni cultura un sistema totalizzante - e questo, o come potere duro, mediante l'uso della forza, o come potere morbido, mediante istanze di tipo prevalentemente sociale, religioso, economico -, e processo di globalizzazione dal basso all'alto, in cui si diffonde un sistema di graduale avvicinamento fra le diverse culture, fondato sulla tolleranza e sulla valorizzazione delle diversità locali.
Fin dalle origini del cristianesimo, la teologia ha dovuto fare i conti con la globalizzazione come potere duro, che si è espresso soprattutto nel dispiegamento di forze militari: «questa sorta di globalizzazione può essere definita in termini di espansione del potere dall'alto al basso a tutti i livelli della vita, di produzione di differenze di potere, di soppressione delle alternative a tutti i livelli, e di cancellazione delle differenze locali» (p. 20). Similmente, si è verificato un fenomeno di globalizzazione dall'alto al basso come potere duro, durante il colonialismo spagnolo, potere che è stato esercitato mediante la conquista militare di svariati territori dell'America Latina; tale fenomeno, tuttavia, si è sviluppato anche come potere morbido esercitato dal cristianesimo, mediante l'evangelizzazione. L'analisi di Rieger permette di comprendere che anche i processi di globalizzazione dall'alto al basso con l'esercizio di potere morbido, come, ad esempio, l'esercizio di un potere educativo o quello realizzato nel processo di inculturazione della fede, contribuiscono ad aumentare la concentrazione di potere e di ricchezza nelle mani di pochi, a detrimento di tutti gli altri, con il pericolo, fra l'altro, di perdere le differenze culturali locali.
Di fronte a processi di globalizzazione dall'alto, sia con potere duro che con potere morbido, Rieger fa emergere l'importanza di un processo parallelo di globalizzazione dal basso, che parte, in ambito cristiano, soprattutto dalla fede in Gesù Cristo, in quanto venuto a portare il lieto annunzio ai poveri. Infatti, la teologia, soprattutto nel Novecento, ha reagito proponendo approcci, legati ai peculiari contesti socio-culturali e geografici, che sostengono lo sviluppo di processi di globalizzazione dal basso all'alto. Si pensi, ad esempio, alle cosiddette teologie del genitivo e, in particolare, alla teologia della liberazione e a quella del Terzo Mondo (cf. pp. 90-91). Ulteriori sviluppi teologici, «che si muovono sulla scia della teologia della liberazione» approfondiscono anche tematiche specifiche, come, ad esempio, «la democrazia, la soggettività e la trascendenza» (p. 99). Inoltre, secondo l'autore, contro la spinta di un processo di globalizzazione dall'alto, che azzera le differenze culturali e locali, è necessario recuperare in teologia la dimensione della croce di Cristo, capace di tenere insieme espressioni culturali e politiche diverse alla luce delle comuni sofferenze e lotte della vita (cf. pp. 111-112).
Come esempi di riflessioni teologiche, che sostengono un processo di globalizzazione dal basso all'alto, vengono citate quella di Karl Barth su Dio come "Totalmente altro", «fondata non su un'idea astratta ma sulla storia di Gesù Cristo [e in cui] l'alterità di Dio ha a che fare con il percorso di Gesù Cristo dentro le lotte, le sofferenze e le tensioni dell'umanità e del mondo» (pp. 50-51), e quella di Dietrich Bonhoeffer, che invita a guardare ai grandi eventi della storia a partire dalla prospettiva degli ultimi e degli oppressi, dall'esperienza umana di povertà, come «luogo in cui Dio è all'opera e dove anche la teologia necessita di trovare la sua collocazione» (p. 53).
Rieger, alla fine della sua riflessione, sottolinea la rilevanza di «modelli alternativi alla globalizzazione dall'alto [...] radicati in alcune tradizione religiose, passate e presenti» (p. 113) e delle «differenze locali [che] non sono cancellate, ma ritenute come contributi necessari al tutto, capaci di stimolare nuove forme di potere dal basso» (p. 115). Per una comprensione più approfondita delle interrelazioni tra globalizzazione e teologia, la lettura di quest'opera risulta molto stimolante.
E. Cibelli, in
Asprenas n. 1-4/2016, vol. 63, 245-247