Per secoli i miracoli narrati nei vangeli sono stati visti come prova della verità della religione cristiana – basti pensare ai Pensieri di Pascal – oppure, al contrario, come segno di superstizione e di credulità popolare – pensiamo ad esempio al Dizionario filosofico di Voltaire. L’esegesi contemporanea si sforza invece di affrontare la questione in modo libero da pregiudizi, usando le armi della filologia, della storia, di tutte le cosiddette scienze umane, cercando nel testo tutto quello che dal testo stesso si può ricavare. È questo il caso della ampia opera che qui presentiamo, curata da un docente di Nuovo Testamento all’Università di Mainz, affiancato da una nutrita schiera di collaboratori, tutti afferenti alle università tedesche, in prevalenza protestanti.
Il volume esamina in dettaglio il racconto dei singoli miracoli, analizzandone la forma linguistica, la struttura narrativa, il contesto storico e sociale, lo sfondo religioso e teologico, l’intenzione comunicativa originale. Ne risulta una comprensione davvero illuminante, lontana tanto dall’apologetica quanto da un razionalismo negazionista. Ad esempio, la resurrezione di Lazzaro, narrata dal solo Giovanni, acquista “verità” se dai testi si può ricavare la quasi certezza che Lazzaro fosse stato lebbroso, e che nella tradizione biblica i lebbrosi venivano chiamati “morti” (cfr. Nm 12, 12). Oppure, lo strano suicidio collettivo di duemila porci che si gettano nel mare di Galilea, essendo l’incarnazione del demone “legione”, che aveva supplicato Gesù di non mandarlo fuori dalla regione (cfr. Mc 5, 1-13), è chiarito dal fatto che nella zona era di stanza la legione romana X, il cui stemma era un cinghiale (maiale selvatico, in diverse lingue, antiche e moderne), e che aveva anche simboli di pronunciato carattere marittimo (Nettuno, delfino, nave da guerra), e come soprannome quello di Fretensis, da una battaglia vinta nel braccio di mare che noi chiamiamo stretto (fretum) di Messina. Se aggiungiamo la notizia, desunta da Flavio Giuseppe (Bell. Iud., 2, 499-506), che all’inizio della sollevazione giudaica furono uccisi nella zona “circa duemila” romani, tra cui soldati della legio X Fretensis, allora tutto l’episodio, intriso tra l’altro di linguaggio militaresco, riceve luce nuova. Non si deve pensare però che l’orientamento del libro sia quello di salvare la narrazione dei miracoli attraverso spiegazioni razionalistiche – una tentazione, questa, particolarmente forte, in quanto il miracolo consiste spesso nella guarigione da una malattia, per la quale possono essere invocate oggi spiegazioni diverse, di tipo psicosomatico, neurologico, ecc. A proposito delle guarigioni miracolose, sono particolarmente interessanti alcuni saggi iniziali, detti “tematici”, su Immagine del mondo, miracoli e storiografia con segni premonitori e prodigi di Dio/divinità (D. Dormeyer), Scienza medica antica e forme arcaiche di terapia (E.E. Popkes), Quadri clinici e conseguenze sociali: cecità, paralisi, lebbra, sordità o sordomutismo (B. Kollmann), Demoni – Ossessioni – Rituali di esorcismo (U. Poplutz), Il Gesù cronistorico come taumaturgo nell’ambito degli antichi taumaturghi (A. Merz) [l’aggettivo “cronistorico” nel libro viene usato nel senso di storico, storicamente reale], I miracoli di Gesù alla luce della magia e dello sciamanismo (B. Kollmann).
Con ampia documentazione, questi saggi mostrano come i miracoli fossero all’epoca quasi quotidiani (von Harnack), le guarigioni “miracolose” non fossero avvertite in contrasto con la pratica medica consueta, neppure da personaggi di chiara inclinazione “scientifica”, come ad esempio Aristotele. Esisteva inoltre un contemporaneo genere letterario ellenistico, e precisamente il racconto di miracolo – cui, tra l’altro, è molto vicina la narrazione dei miracoli di Gesù nel vangelo di Marco (quello dei vangeli che dedica maggior spazio ai miracoli). Anche Giustino Martire, alla metà del secondo secolo, non può fare a meno di notare che: «Quando diciamo che Gesù ha guarito zoppi, paralitici e infermi fin dalla nascita, e che ha resuscitato morti, sembra che anche queste siano azioni simili a quelle che vengono attribuite ad Asclepio». In effetti la documentazione sulle guarigioni miracolose avvenute nel tempio di Asclepio ad Epidauro, che risale al IV secolo a.C., costituisce la più antica raccolta di racconti di miracoli.
Accanto alla prossimità con le guarigioni miracolose che si verificavano nel tempio di Epidauro, o negli altri numerosi santuari dedicati al semidio guaritore – realtà questa già nota alla scienza biblica – un particolare rilievo ha lo studio del rapporto tra i miracoli di Gesù e la magia a lui contemporanea.
Pratiche magiche erano presenti nel mondo giudaico intorno a Gesù e i suoi miracoli furono spesso collegati con la magia già nell’antichità, ed è perciò stupefacente che il tema del Gesù mago sia stato preso in considerazione dalla scienza biblica solo negli ultimi decenni – ove per magia, ovviamente, va qui intesa una tecnica apprendibile, fatta sostanzialmente di ipnosi, artifici e farmacologia. L’attività di Gesù come mago, indirettamente descritta nei vangeli, corrisponde ampiamente all’immagine che si poteva desumere dalle fonti antiche, come Celso o il Talmud. In particolare, la controversia su Beelzebul (Mc 3, 22 ss.; Lc 11, 15 ss.) mostra che anche nella sua vita terrena Gesù fu considerato dagli avversari come un mago. In realtà il nome di Gesù godette di enorme stima nella cerchia degli antichi maghi, ed esorcisti ebrei cercarono il suo aiuto per cacciare demoni (Mc 9, 38; At 19, 13). Come Pitagora ed Apollonio di Tiana, anche Gesù fu inserito, con alto apprezzamento, nei Papiri magici greci provenienti dall’Egitto. Per contro, nel giudaismo rabbinico Gesù fu considerato come un incantatore, che si serviva di pratiche magiche provenienti dall’Egitto, ove sarebbe andato a scuola di magia – cosa storicamente assai discutibile, ma che si riallaccia alla leggenda del soggiorno della sacra famiglia in Egitto – e questa valutazione negativa è la stessa che ne dà Celso nel suo Discorso vero. Non possiamo dilungarci nel riassunto di questi interessantissimi saggi; ci limitiamo a segnalare soltanto anche il rapporto tra sciamanesimo e miracoli di Gesù, particolarmente evidente ove questi miracoli sono nei confronti della natura.
Nella storia marciana della tentazione, si afferma che nel deserto Gesù veniva a contatto con animali feroci e che gli angeli lo servivano. In un ambiente ellenizzato ciò poteva indicare che si trattava di uno sciamano, che, come Pitagora o Apollonio di Tiana comunicava con gli animali e disponeva di angeli come spiriti ausiliatori. Nel racconto della sedazione della tempesta (Mc 4, 35-41) Gesù appare disporre della capacità sciamanica di influenzare il tempo atmosferico. Secondo la mentalità antica, il vento e le onde erano pilotate da demoni, e così si riteneva anche nel giudaismo. Inoltre il racconto della sedazione della tempesta presenta tratti che sono noti dalle cacciate dei demoni. Gesù minaccia il vento e comanda alle onde di tacere, agendo in virtù della propria autorità, come è documentato a proposito dei maghi greci. Pitagora avrebbe calmato venti pericolosi e le onde di fiumi e mari per attraversarli senza pericolo. Maghi persiani placano una tempesta marina mediante sacrifici e scongiuri rivolti al vento. Anche il camminare di Gesù sulle acque (Mc 6, 45-52) ha tratti simili: la capacità di camminare sull’acqua fu attribuita anche a un mago iperboreo. Persino racconti delle apparizioni post mortem si trovano nella tradizione magica antica: Erodoto, ad esempio, narra quelle del mago Aristea di Proconneso.
Bernd Kollmann, autore del saggio da cui abbiamo ripreso queste righe, conclude che: «Ovviamente i racconti neotestamentari di miracoli non sono protocolli cronistorici. Nel loro caso bisogna tener conto del fatto che i narratori dipinsero per molti versi l’attività del taumaturgo Gesù con i colori della magia antica. Tuttavia per quanto riguarda esorcismi e singole guarigioni di malati non ci può essere alcun dubbio sul fatto che Gesù si servì di tali tecniche tipiche dei maghi».
Se da un lato, come scrive J.P. Meier, «il fatto storico che Gesù abbia compiuto gesti straordinari, ritenuti miracoli da lui stesso o da altri, è comprovato decisamente dal criterio dell’attestazione molteplice delle fonti e delle forme e dal criterio della coerenza», dall’altro lato sul valore “cronistorico” dei miracoli di Gesù, i ricercatori del Jesus Seminar del Westar Institute of California hanno concordato, sulla base dei criteri là in vigore, sull’autenticità probabile soltanto di sei guarigioni miracolose. Cronistoricamente credibile non è stato considerato neppure un miracolo nei confronti della natura.
L’impostazione del volume che presentiamo è però diversa, e per niente affatto rivolta a decidere cosa sia storicamente vero e cosa no nei racconti dei miracoli di Gesù. Come si è detto, si punta qui ad un esame dei testi, nella convinzione che il carattere essenziale della narrazione fosse quello di stupire e che perciò si debba mantenere vivo proprio il carattere “stupefacente” del miracolo. Un modo minimale per dare un qualche valore al miracolo, in un tempo in cui la credenza nel miracolo, «figlio prediletto della fede», come lo definiva Goethe, è venuta meno, proprio perché è venuta meno la fede – o, per meglio dire, quel tipo di fede. Ma questo è un problema filosofico, non di esegesi scritturistica.
M. Vannini, in
Mistica e Filosofia 2/2019, 140-144