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Spiritualità e Bibbia
Gianfranco Ravasi

Spiritualità e Bibbia

Prezzo di copertina: Euro 17,00 Prezzo scontato: Euro 16,15
Collana: Giornale di teologia 404
ISBN: 978-88-399-3404-8
Formato: 12,3 x 19,5 cm
Pagine: 264
© 2018

In breve

Un libro per avvicinare la Bibbia come fonte di autentica vita spirituale, per dare sostanza biblica all’attuale revival della spiritualità, evitando facili derive e parzialità.

Descrizione

L’itinerario qui proposto percorre sostanzialmente due traiettorie.
Dopo aver offerto la chiave simbolica per entrare nell’orizzonte spirituale delle sacre Scritture, ricco di iridescenze tematiche, Ravasi procede innanzitutto a uno spoglio integrale dei due Testamenti nel loro ordine canonico. Qui si rendono necessarie alcune soste specifiche affrontando testi capitali come i profeti, i salmi, Giobbe, il Cantico, le beatitudini – veri e propri sentieri d’altura della spiritualità biblica.
L’altro percorso seguito è più panoramico: Ravasi delinea una mappa sintetica della spiritualità delle Scritture, così da comporre un messaggio teologico unitario, basato sulla categoria di “conoscenza” nella sua vasta molteplicità semantica biblica.
Questi due movimenti, accompagnati da una costellazione di temi aggregati – come lo Spirito santo, la povertà, la lectio divina o la spiritualità della sofferenza – delineano alla fine non solo una guida alla mistica, ma anche un’essenziale sintesi della teologia biblica. Lì fin dall’origine lo spirituale è esperienza affettiva ma non irrazionale, interiore ma non astratta; è esperienza incorporea ma anche “carnale”, è mistero ma anche epifania; è silenzio ma non afasia.

Recensioni

Gianfranco Ravasi, come studioso della Bibbia, in particolare dell’Antico Testamento, e ora anche come uomo di chiesa impegnato a presentare la bellezza del messaggio cristiano soprattutto nei contesti della cultura laica, ci regala questo prezioso libretto Spiritualità e Bibbia in cui mi sembra sintetizzi la sua lunga esperienza di vita di docente e di pastore.

Spesso il termine spiritualità è sentito come sinonimo d’immaterialità, incorporeità, in antitesi alla carnalità e alla mondanità. Ravasi, per individuare un profilo più genuino di questa esperienza che nella sua autenticità è intimamente connessa alla fede, circoscrive la sua ricerca all’orizzonte spirituale del testo dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Naturalmente egli è costretto a fare una selezione della Bibbia, che oltre a essere «lampada per i passi» del cammino del credente è anche per tutti «il grande codice» della cultura di Occidente.

Per questo, prima di inoltrarsi nel suo lavoro, Ravasi nel primo capitolo dà voce in modo esemplificativo alla cultura anche agnostica che si è affacciata sul microcosmo della spiritualità secondo prospettive differenti e spesso sorprendenti; e nel secondo capitolo getta un’occhiata sulla mappa tematica generale della spiritualità biblica in attesa di visitarne, nei capitoli seguenti, le varie regioni e di seguirne direttamente le strade.

L’esperienza spirituale non è prima di tutto un’esperienza su Dio, ma di Dio: è un essere conosciuti-amati da lui. La risposta umana è l’agape: l’amore a Dio e al prossimo. Un’altra categoria significativa di questa esperienza è quella della comunione e del “rimanere” – “dimorare” in Dio e in Cristo –, una comunione che allude alla vita comune tra Dio e il fedele, tra Gesù Cristo morto e risorto e il cristiano.

Dopo queste premesse, Ravasi dedica la seconda parte alla simbologia spirituale biblica. Si tratta, come diceva Origene, di «affidarsi con un piccolo legno a un oceano di misteri»: una navigazione che dovrebbe idealmente seguire l’arco intero dei 73 libri biblici, partendo da quello che Ravasi chiama il primum teologico che è il “grammaticale” e lo “storico”. Esiste una via privilegiata attraverso la quale la Bibbia si presenta come un testo “spirituale”, generatore e guida di un’esperienza spirituale. È la via del simbolo, cioè dell’intuizione dell’“oltre” e dell’“Altro” attraverso il ricorso ad alcune realtà storico-cosmiche, sperimentabili e note, scelte come emblemi.

Ravasi richiama alcuni simboli “teologici” fondamentali: la parola di Dio seme, martello, luce, parola efficace perché animata dallo Spirito. Alcuni simboli teologici esaltano l’azione della grazia all’interno di ogni esperienza spirituale: nell’area familiare Dio come go’el, padre, madre, sposo, e anche amico, Kyrios, giudice, pastore. All’epifania di Dio risponde l’accoglienza dell’uomo. Tra la simbologia antropologica Ravasi esamina la simbologia del credere, delle opere e del culto. Una figura nella Bibbia incarna tutte le varie dimensioni teologiche e antropologiche: il povero.

Inizia quindi la terza parte del lavoro: la spiritualità dell’Antico Testamento. Nella sua struttura l’Antico Testamento si presenta come un testo anche di spiritualità, promotore di vita spirituale. Il Dio trascendente, pur restando Altro, si rivela nella variabilità del divenire storico. Nello sviluppo progressivo della vicenda umana si può scorgere il progetto unitario divino che dà origine alla «storia della salvezza».

Ravasi cerca quindi di seguire in modo sommario, e per sondaggi, il filo storico-letterario del Pentateuco in una sequenza di tappe successive e così farà anche per le altre sezioni in cui è articolata la Bibbia e la sua storia. Alla fine cercherà di identificare il progetto unitario d’insieme.

Della spiritualità della Torah esamina le tre grandi tradizioni del Pentateuco, l’alleanza e il tempio. Descrive quindi la spiritualità deuteronomica e deuteronomistica. Tratteggia in seguito la spiritualità profetica: il profeta “chiamato”, “uomo di Dio”, “visionario”, “veggente”; il profeta “portavoce di Dio”; uomo della storia e giudice che annuncia nel suo tempo un kerygma, una parola che può trasformare la storia e la vita del popolo.

La spiritualità sapienziale è attenta non più ai grandi eventi salvifici ma alle varie epifanie divine nel quotidiano e nella natura. Il protagonista è Adam, l’umanità, e la sapienza è un dono. Ravasi entra poi nella parte della Bibbia in cui è tra i massimi esperti: la spiritualità salmica. I temi trattati sono: il sapore e la freschezza di Dio; tu sei luce della mia lampada; ti amo, Signore, mia roccia; tempo e spazio alla presenza di Dio; la notte oscura; il vero volto di Dio. Descrive quindi a lungo il cammino spirituale di Giobbe e chiude la presentazione della spiritualità dell’Antico Testamento con il Cantico dei Cantici, richiamandone la lettura allegorica e spirituale.

La parte quarta del volume è dedicata alla spiritualità del Nuovo Testamento. Più che delineare un quadro completo della proposta spirituale avanzata da Gesù ed elaborata dai Sinottici alla luce della Pasqua, Ravasi cerca di mostrare le traiettorie originali che stanno alle radici della spiritualità cristologica. Vi è continuità con l’Antico Testamento ma anche discontinuità che si manifesta in alcune prospettive (radicalità, urgenza della decisione, l’esistenza quotidiana) e in alcuni temi (il regno di Dio, l’evento pasquale, la preghiera di Gesù).

Uno spazio privilegiato viene dedicato alle “Beatitudini”, come pagina spirituale fondamentale. Non sono un’utopia né un progetto etico, ma una buona notizia per tutti, una parola che può germogliare nel cuore e far crescere l’uomo nuovo nella dimensione di Gesù Cristo. Esse sono infatti la biografia interiore di Gesù Cristo povero, mite e umile, il puro di cuore, l’operatore di pace, colui che soffre per amore di Dio.

Quindi Ravasi presenta la spiritualità presente nelle altre parti del Nuovo Testamento: la spiritualità della comunità cristiana degli Atti degli apostoli, sostenuta dalle quattro colonne: didachè, koinonia, frazione del pane e preghiere; la spiritualità paolina, la cui originalità è interpretare l’esperienza mistica (la grazia, la fede, l’adozione a figli, la nuova creatura, i carismi dono dello Spirito) a partire dalla teologia della croce; la spiritualità giovannea, caratterizzata da una “concentrazione cristologica” testimoniata dalla trilogia verbale, vedere, amare, rimanere, nel cui ambito si annoda anche la dimensione pneumatologica. Lo Spirito promesso da Cristo è fuoco e respiro, insegna e ricorda, senza di lui Cristo resta nel passato l’evangelo lettera morta.

Nella quinta e ultima parte del lavoro: Una teologia biblica della spiritualità, Ravasi ritorna sul viaggio fatto all’interno della Bibbia cercando di estrarne un progetto secondo questo percorso: teofania della storia, teofania dello spazio, teofania della Parola, falsa spiritualità, imperfetta spiritualità, perfetta spiritualità dinamica, progressiva, esodica (cammino di Abramo, il percorso di Giobbe, l’itinerario di Qoèlet: la genuina spiritualità comprende anche il transito attraverso un orizzonte oscuro ove Dio tace, eppure non è assente), la spiritualità suprema (comunione mistica con Dio). Alla fine del lavoro sono inserite due utili appendici: La lectio divina e la spiritualità del malato.

In conclusione, ritengo che il merito di questo lavoro di Ravasi sia un sapiente contributo alla teologia spirituale biblica che indaga la risonanza della professione di fede nel vissuto, e si distingue dalla teologia biblica che sottolinea invece la dimensione veritativa del testo biblico.


T. Lorenzin, in Studia Patavina 2/2019, 336-338

Nel ricevere la laurea honoris causa in Filologia, Letteratura e Tradizione classica dalla prestigiosa Università di Bologna, il Cardinale G. Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, ha affermato di aver individuato nella Bibbia e nel sapere giudaico-cristiano il codice della letteratura e della cultura occidentale. Sappiamo che il sapere giudaico-cristiano si manifesta nutrito da una profonda dimensione «spirituale» che fa di esso un sapere non meramente intellettuale, ma più profondamente «sapienziale». Così, poiché quella particolare sapienza veicolata dai testi della Scrittura Sacra, e dalla tradizione giudeo-cristiana, concentra la totalità della persona attorno a quell’esperienza spirituale che per la Bibbia è esperienza di Dio, all’affermazione del Card. Ravasi si potrebbe aggiungere che anche la spiritualità giudeo-cristiana, meravigliosamente testimoniata dai testi della Bibbia, ha contribuito a fornire il codice dello spirito occidentale, penetrando in esso e informandolo per secoli e secoli.

Proprio alla dimensione della spiritualità, così come viene intesa nella Bibbia, lo stesso Card. Ravasi ha dedicato uno studio pubblicato nell’anno corrente. Il testo, dal titolo Spiritualità e Bibbia, costituisce un percorso attraverso l’analisi dell’atteggiamento spirituale dell’uomo che nella fede risponde alla grazia di Dio, il Quale per primo si mette alla ricerca dell’uomo per offrire a lui la possibilità di instaurare un rapporto di conoscenza profondo ed intimo, appunto «spirituale».

Il testo si suddivide in sei parti. Nella prima, l’Autore fornisce due brevi premesse: una dedicata alla relazione tra spiritualità, cultura e mistica, e l’altra intenta a tracciare una mappa sommaria della spiritualità biblica. Nella seconda parte viene delineata la simbolica mediante la quale la Scrittura cerca di esprimere, in linguaggio e concetti umani, l’esperienza spirituale dell’uomo biblico, la quale presenta diverse caratteristiche, che — annota l’Autore — si vedono integralmente inglobate nella figura del «povero». Proprio in questa, infatti, si ritrova incarnata la caratteristica più essenziale e costante dell’uomo spirituale, a cui sono ricondotti anche i grandi personaggi della fede come Abramo, Giobbe fino ad arrivare a Cristo stesso.

Nella terza e quarta parte, il Card. Ravasi s’impegna nella delineazione della spiritualità dei libri, rispettivamente dell’Antico e del Nuovo Testamento, seguendo l’ordine canonico. Particolare interesse viene riservata all’esperienza di Giobbe, per l’A.T., e alla narrazione del messaggio delle Beatitudini, per quanto invece concerne il N.T., definita una pagina spirituale fondamentale, soprattutto perché in esse si ritrova tracciata una particolare biografia interiore dello stesso Gesù.

La parte quinta costituisce il nucleo centrale del testo, in quanto in essa l’Autore ha inteso presentare in maniera organica e sistematica le coordinate della dimensione spirituale dell’uomo secondo la Scrittura. Il Card. Ravasi sottolinea giustamente il primato assoluto di Dio nell’esperienza spirituale dell’uomo, la quale si configura, secondo la Scrittura, come una libera risposta nella fede alla grazia divina che per prima si manifesta a lui, nel tempo, nello spazio e soprattutto nella parola. Ora, l’esperienza di Dio da parte dell’uomo può essere riassunta dal verbo simbolico «conoscere» che garantisce una comunione piena con Dio. L’Autore rintraccia tre possibili e diversi modi di conoscere Dio che esprimono altrettante tre possibili e diverse forme di spiritualità. Alla conoscenza noetica di Dio, cioè alla conoscenza naturale che procede per via analogica a partire dall’esperienza del creato, corrisponde una spiritualità imperfetta. Invece, alla conoscenza perfetta di Dio corrisponde una spiritualità perfetta. Tale conoscenza nella Scrittura si dà nella forma del pellegrinare in avanti verso l’infinito di Dio, di luce in luce, superando anche l’opposizione del silenzio e del vuoto propria dell’esperienza di Abramo, Giobbe e Qoèlet, e dello stesso Gesù crocifisso. Esiste, tuttavia, anche una conoscenza «suprema» di Dio a cui corrisponderà una spiritualità suprema. Tale tipo di conoscenza si dà nell’esperienza dell’abbraccio amoroso di Dio che implica un’unione mistica con Lui. Si tratta dell’esperienza della comunione con il divino in cui l’uomo avverte che nulla al mondo, né morte, né vita, né principati, né angeli, né alcun’altra creatura potrà separarlo dall’amore di Dio, in Cristo Gesù (cf. Rm 8,38-39).

Nella sesta ed ultima parte del volume l’Autore offre due appendici. La prima è dedicata alla pratica della lettura orante della Bibbia, ossia alla Lectio divina, che già nella Scrittura trova esempi paradigmatici, come nel caso di Ne 8, in cui viene descritto come la parola di Dio provochi il culto, alimenti la preghiera e sostenga la liturgia. La seconda, invece, viene riservata alla descrizione della «spiritualità del malato»: anche la sofferenza e la malattia sono «luoghi» della manifestazione della grazia di Dio, che nell’associazione del discepolo alla croce di Cristo trova la sua più piena sublimazione, sfociando nella speranza certa di essere già uniti al Risorto.

Con questo testo il Card. Ravasi delinea il cuore (lo «spirito») dell’intero messaggio biblico in un modo agile e lineare, così che il suo scritto si presenti di facile accesso anche al lettore non esperto di studi biblici. Ciò viene compiuto dall’Autore senza essere costretto a rinunciare al rigore scientifico, garantito dalla sua vasta conoscenza della materia, testimoniata dall’ampia bibliografia offerta all’inizio di ogni capitolo, e dalla sua capacità di entrare dentro al significato più profondo dei termini e dei concetti biblici. Il Cardinale ha voluto offrire al lettore un servizio pregevole dandogli la possibilità di penetrare facilmente nel cuore dell’esperienza spirituale dell’uomo biblico e, perciò, entrare nel cuore stesso della Rivelazione di quel Dio che ha voluto esprimere se stesso attraverso parole umane e che ha voluto manifestare il suo Spirito mediante lo spirito umano.


E. Rotundo, in Gregorianum 2/2019, 447-448

Ancien prof. d’exégèse de l’Écriture Sainte, surtout de l’AT, et ancien membre de la Commission biblique pontificale, de 1989 à 2007 préfet de la Bibliothèque ambrosienne, l’A., né en 1942, chargé depuis 2007 de nombreuses tâches dans la curie romaine, entre autres la présidence du Conseil pontifical de la culture, et cardinal depuis 2010, trouve encore du temps, malgré son agenda sans doute très occupé, pour écrire des livrets et des livres, souvent de type vulgarisant mais à la hauteur de l’exégèse et de la théologie scientifiques et d’une profondeur spirituelle remarquable. À ce genre appartient le livre que voici, dont le noyau consiste en un exposé de la spiritualité de l’AT et du NT (p. 51-112 et 113-173, successivement) et une « théologie biblique de la spiritualité » (p. 175-217). La spiritualité de l’AT et du NT est présentée par une description de la relation avec Dieu telle qu’elle apparaît dans les différents livres et traditions bibliques, souvent de façon symbolique et par une terminologie imagée tout en articulant la réalité telle qu’elle est. La « théologie biblique de la spiritualité » est une sorte de synthèse théologique de l’exposé exégétique précédent.

Le livre, fort recommandable, souligne que dans la spiritualité biblique tout dépend de l’initiative de Dieu. C’est lui qui se révèle à l’homme, de la sorte lui permettant de se confier à lui. L’homme n’a pas de prise sur Lui. Précisément là où l’homme se heurte à ses limites, Dieu se laisse trouver par lui. La révélation culmine dans la révélation de l’amour de Dieu dans le Christ, qui incite l’homme à l’accueil de cet amour par l’amour pour Dieu et pour le prochain.


R. Jahae, in Nouvelle Revue Théologique 141/2 (2019) 340-341

Un libro sulla spiritualità della Bibbia, sulla “mistica” della Scrittura, offerto a diversi tipi di destinatari: a quei «personaggi a prima vista urticanti nei confronti della religione» (9) ma attratti dal realismo della «grammatica mobile della spiritualità», e anche a coloro che sono avvezzi all’uso delle Scritture. L’ennesimo scritto del cardinal Gianfranco Ravasi è quindi un invito che richiama sia l’antropologia di base, a partire dal vedere, gustare e ascoltare, sia, a un livello più profondo, l’arte della contemplazione, donando, come in un compendio, gli strumenti per poter attingere proficuamente al tesoro delle Scritture.

Paradigma dei primi, al di là del ricco corredo di dotte e suggestive citazioni che intessono il volume, secondo lo stile inconfondibile del Cardinale, può essere l’immagine della copertina del libro, il Sonnenbaum di Egon Schiele. Un paesaggio, opera di un Autore tormentato, che esprime la bellezza e la fragilità della natura, la sua capacità di parlare all’uomo, interpretando i suoi diversi stati d’animo, dall’introspezione psicologica alla ricerca dell’interiorità. E questo può accadere perché nella spiritualità «si aggregano significati e valori diversi, perfino estranei ed eterogenei» (5). Paradigma dei secondi può essere invece l’icona di Mosè, assunta in una dimensione ottativa, come pare fare l’Autore. Perché la terra che egli vide solo da lontano, può oggi essere attraversata dal credente.

Bisogna tuttavia chiarire cosa s’intende per spiritualità. Con Ireneo di Lione affermiamo che con essa si vuol significare la partecipazione dello Spirito Santo (cf. Adv. Haer., V,6,1) alla vita dell’uomo, del mondo, della storia. La spiritualità rinvia alla visione, è una questione di sguardi, come precisa anche l’Autore. Vedere come attraverso uno squarcio, per intercettare la connessione tra cultura, mistica e spiritualità, oppure dall’alto, per mappare la spiritualità biblica, o dal di dentro, per percorrere le pagine bibliche «secondo il taglio specifico dell’interiorità spirituale» (10). Tuttavia per vedere è necessario saper ascoltare, e la stessa “mistica”, come ricorda Ravasi, richiede di «chiudere le labbra e gli occhi» (11). Poiché è tacendo che si ascolta, si “vede” e ci si apre al mistero. Per chi si accosta alle Scritture ciò può accadere, secondo l’Autore, assumendo innanzitutto la via del simbolo.

Potenzialità del “vedere” che il Cardinale, nella seconda parte del volume (23-48), sviluppa in una prospettiva teologica e antropologica per rintracciare i «fili conduttori della spiritualità biblica» (26): primato della grazia e imprescindibilità della grammatica (della lettera), sul versante teologico della via pulchritudinis, e l’atto del credere, le opere e la liturgia, come risposta antropologica.

Dopo la via del simbolo, l’Autore, nelle parti terza, quarta e quinta del volume, suggerisce un approccio biblico teologico alle Scritture, un esercizio di collaborazione tra esegesi e teologia biblica. Questione che interpella la riflessione sul metodo: «L’esperienza spirituale suggerita dalla Bibbia – scrive il Cardinale – può essere genuinamente districata solo attraverso il processo esegetico e la teologia biblica, che sono la comprensione analitica e sistematica, critica e metodica della rivelazione e della fede biblica» (24). L’obiettivo è quello di «delineare la dottrina spirituale dei due testamenti», un compito non facile, a motivo della «polarità dialettica tra unità e diversità» (54), tra «diacronia storica e sincronia teologica», tra «lo sviluppo progressivo della vicenda umana e il progetto unitario divino che dà origine alla storia della salvezza» (54).

Giustamente l’autore rileva che i principali studi sulla spiritualità biblica si sono mossi solo sul piano diacronico. Forse perché la teologia biblica, come segnalava già vent’anni fa il teologo biblico don Giuseppe Bellia, ha sempre faticato a uscire dalle paludi di un incerto statuto epistemologico. Ravasi a riguardo ritiene che essa debba tornare a interrogarsi sul proprio metodo e sulla «possibilità di esistere come disciplina scientifica» (54, nota 1). È allora possibile una collaborazione tra esegesi e teologia biblica? Il Cardinale sceglie di adottare il metodo della diacronia storica nelle parti terza (51-112) e quarta del volume (115-173), dedicate rispettivamente alla spiritualità dell’Antico e del Nuovo Testamento, mentre quello della sincronia teologica per la parte V (177-217), sulla teologia biblica della spiritualità. Il testo procede quasi sempre secondo un approccio di tipo semantico, lessicografico e lessicologico, per cercare di rintracciare il passaggio dell’epifania divina che liberamente si autocomunica nel testo sacro. Poi, mediante una tessitura infrabiblica, si propone un tentativo di sistematizzazione per temi.

La teologia biblica, secondo quanto pare suggerire l’Autore, deve fare sintesi e riepilogare, tessere e riannodare, raccogliendo gli esiti del viaggio diacronico storico letterario compiuto attraverso il canone scritturistico. Muovendosi, rispetto all’Antico Testamento, dalla spiritualità dialogica del tetrateuco, con la preminenza della categoria di alleanza, all’invito alla conversione interiore professato dal Dt; dalla «fedeltà alla rivelazione intrastorica di Dio» (71), condensata nel kerigma profetico di Os 6,6, alle nuove direttrici della spiritualità sapienziale (106). Non assecondando però il solo percorso lineare e progressivo delle Scritture, ma inserendo dei caratteri di “discontinuità” nella continuità, cioè una lettura cristologica. Scelta pertinente perché un’autentica teologia biblica presenta i testi della Scrittura in ordine a Cristo. Rispetto alla spiritualità del Nuovo Testamento, riconoscendo che non è possibile «delineare un quadro completo e sistematico della proposta spirituale avanzata dal Gesù storico» (115), Ravasi s’impegna a mostrare «le traiettorie originali che stanno alle radici della spiritualità cristologica». Si tratta di alcuni atteggiamenti suggeriti da Gesù ai discepoli: radicalità, urgenza, attenzione alla vita quotidiana, ricerca del regno di Dio e preghiera. Ma anche le beatitudini, che il Cardinale vede come «una nascosta biografia interiore di Gesù» (141).

Una teologia biblica della spiritualità, in ultima analisi, secondo l’Autore, trova il suo principio sorgivo e unificante nella libera iniziativa divina che si attua in una triplice teofania: nella storia, nello spazio e nella Parola. Così «per ricomporre una spiritualità» unitaria (184), dovrà poter guardare a quel cammino di reciproca conoscenza tra Dio e l’uomo, dalla ricerca divina all’incontro, fino ad arrivare alla «conoscenza perfetta», «tappa ultima» che è la «comunione mistica, orante e esistenziale», che l’uomo può percepire e a suo modo oggettivare attraverso la via di «una ricca simbologia paterna, materna e nuziale» (216).

L’interessante e preziosa lettura di questo volume è un’utile occasione per riflettere sul compito della teologia biblica. Come ogni libro della Bibbia esprime una sua teologia, che chiamiamo teologia della Bibbia e non teologia biblica, allo stesso modo manifesta una particolare spiritualità. Ritengo che la teologia biblica potrà “dare” unità solo se essa assumerà come coordinate imprescindibili Cristo e la Chiesa. Non si addice ad essa uno statuto epistemologico che enfatizzi eccessivamente l’esclusivismo razionalistico o un rasserenante e rappacificante appiattimento sociologico, poiché potrebbe procurare un’estensività orizzontale capace di mettere in ombra l’invito alla conversione che promana sempre dalle Scritture. È vero che in questi anni il paradigma della complessità, come ha rilevato ultimamente Bellia, va stimolando la teologia biblica a praticare un metodo che cerchi di riconoscere e interpretare «il pluralismo di fede delle prime comunità credenti», e che essa è così educata a considerare il testo sacro come «una coralità polifonica di testi relazionati tra loro» («La teologia biblica e le culture. L’esempio di p. Gabriele Maria Allegra traduttore della Bibbia in cinese», in G. Benzi (a cura), Il libro aperto e divorato. Bibbia: traduzione e tradizione, cultura e arte, Eurilink University Press, Nepi (VT) 2018, 163). Tale unità si realizza in Cristo. Secondo questa centralità cristologica va interpretato lo “statuto dialogico della teologia biblica”, di cui si è occupato a lungo il teologo Massimo Grilli. Ritengo che il punto unificante tra i due testamenti non sia dunque solo una teologia, ma una cristologia che rilegge la teologia. Non si dà infatti uno sviluppo in sé completo in ogni singola parte, né una comprensione progressiva, assumendo la trama narrativa e lineare delle Scritture. Ma è in Cristo e nello Spirito che si rilegge e comprende il senso pieno delle Scritture. Compito di una teologia biblica che sa governare l’osmosi tra unità delle Scritture, canone e ispirazione.


G. Chifari, in Teresianum 69 (2018/2) 459-462

Si diffonde «un vago misticismo religioso», disse nel 2005 il cardinale decano Joseph Ratzinger il giorno prima di essere eletto Papa. Spesso anche i cattolici vanno alla ricerca di afflati orientali, ignorando quanto profonda sia la ricerca spirituale del cristianesimo. Forte della sua competenza di biblista, il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, analizza come questo tema sia abbondantemente presente nella Sacra Scrittura in Spiritualità e Bibbia (Queriniana, pp. 260, euro 17). Privilegiando non la definizione teorica ma la descrizione esperienziale la Parola di Dio utilizza spesso il simbolo, che permette di tenere insieme le diverse sfaccettature del reale nella sua complessità. Così Dio viene raccontato come padre, madre, sposo, parente e tutore, amico, signore, giudice, pastore. In questo modo l’imperscrutabile vita divina viene spiegata agli esseri umani. Ma non ci si limita alla comprensione intellettuale: infatti «la Bibbia nella sua struttura profonda è un testo anche di spiritualità che si presenta come promotore di vita spirituale» (p. 53).

Ma la vita spirituale non va sognata come un’atarassia ineffabile, un crogiolarsi in un mondo avulso da quello storico, una proiezione consolatoria in un mondo fantastico: «Il vero Dio a cui ci si rivolge e che ci sconvolge, ci avvolge, ci coinvolge e talora anche ci travolge» (p. 196). Quando il credente è toccato dalla tentazione di una spiritualità intimistica, che lo estrania dalla vita concreta con le sue fatiche, le sue complessità e le sue contraddizioni, la Bibbia lo riporta al posto giusto. Ecco perché una spiritualità autentica non può prescindere dal confronto con essa, soprattutto grazie al metodo della lectio divina con i suoi quattro momenti (lettura, meditazione, orazione, contemplazione), senza saltare il faticoso passaggio del capire il senso del testo in sé, per non correre il rischio di fantasticare e strumentalizzare la pagina facendole dire quello che vogliamo noi, silenziando così la voce stessa dello Spirito che quella pagina ha ispirato.

Questo libro del cardinale Ravasi, attraverso l’analisi dell’Antico e del Nuovo Testamento, ci consegna il messaggio che non un vago misticismo riempie il cuore ma la parola di colui che si è fatto per noi Parola/Lógos.


F. Casazza, in La Voce Alessandrina 38 (2 novembre 2018) 14

«Per individuare un profilo più genuino di questa esperienza che nella sua autenticità è intimamente connessa alla fede, circoscriveremo la nostra ricerca a quell'orizzonte testuale, per altro molto ampio, che sono le 305.441 parole dell’Antico Testamento», oltre i sette libri deuterocanonici e il Nuovo Testamento.
Il cardinale Gianfranco Ravasi ci introduce alla simbologia spirituale biblica (prima parte), ne analizza i testi sacri (seconda) e fornisce una sorta di mappa della spiritualità delle Scritture, fondata sull'esperienza affettiva.
In Jesus 7/2018, 92

L'itinerario proposto percorre sostanzialmente due traiettorie. Dopo aver offerto la chiave simbolica per entrare nell'orizzonte spirituale delle sacre Scritture, ricco di iridescenze tematiche, Ravasi procede innanzitutto a uno spoglio integrale dei due Testamenti nel loro ordine canonico. Qui si rendono necessarie alcune soste specifiche affrontando testi capitali come i profeti, i salmi, Giobbe, il Cantico, le beatitudini – veri e propri sentieri d’altura della spiritualità biblica.

L'altro percorso seguito è più panoramico: Ravasi delinea una mappa sintetica della spiritualità delle Scritture, così da comporre un messaggio teologico unitario, basato sulla categoria di “conoscenza" nella sua vasta molteplicità semantica biblica. Questi due movimenti, accompagnati da una costellazione di temi aggregati – come lo Spirito santo, la povertà, la lectio divina o la spiritualità della sofferenza – delineano alla fine non solo una guida alla mistica, ma anche un'essenziale sintesi della teologia biblica. Lì fin dall'origine lo spirituale è esperienza affettiva ma non irrazionale, interiore ma non astratta; è esperienza incorporea ma anche "carnale", è mistero ma anche epifania; è silenzio ma non afasia.


In Consacrazione e Servizio 3/2018, 132-133

Il card. Ravasi offre ai lettori una guida alla comprensione delle Sacre Scritture, rilevando la ricchezza spirituale dei suoi molteplici significati e avvertendo i rischi di una lettura integralista. Avvalendosi dell’apparato critico offerto dai maggiori biblisti, fa emergere aspetti dell’Antico e Nuovo Testamento di interesse sia per i credenti che per i non credenti. Da questa esegesi si ricava che la teologia retributiva – delitto-castigo, giustizia-premio – presenta una concezione riduttiva, e sostanzialmente falsa, del volto di Dio. Il simbolo del pastore che custodisce il gregge, presente spesso nelle Scritture, rappresenta invece efficacemente il rapporto fra Dio e uomo. Il puntiglioso e costante richiamo ai testi sacri è di aiuto per chi intenda approfondire il senso delle sue diverse parti e i loro tanti legami.
G. Azzano, in Il Regno Attualità 8/2018, 222

Cos'è la spiritualità? Essa è forse la profondità dell'anima di cui già Eraclito di Efeso faceva presagire gli abissi scrivendo nel V secolo prima di Cristo: «Per quanto tu possa camminare, neppure percorrendo intera la via, non riusciresti mai a trovare i confini dell'anima, tanto profondo è il logos che essa porta con sé»? Oggigiorno si parla molto di spiritualità e se si va a indagare il significato sottostante a tale termine, ci si trova dinanzi a realtà variegate, a volte contraddittorie tra di loro. Cosa si intende allora quando si parla di spiritualità biblica?

A questa domanda si dedica il libro di Gianfranco Ravasi, Spiritualità e Bibbia. Nella prima delle cinque parti del volume, l'a. analizza il bisogno di uno spiraglio spirituale e mistico anche in scienziati e studiosi che non si riconoscevano in una tradizione religiosa o in una particolare forma di pratica spirituale. Già l'agnostico Bertrand Russell confessa: «I più grandi filosofi hanno sentito il bisogno sia della scienza sia della mistica». La mistica per lui è «poco più di una certa intensità e profondità di sentimento nei riguardi di ciò che si pensa a proposito dell'universo». La mistica non nasce dalla conoscenza teorica, ma dall'esperienza concreta. Per questo Giovanni Gerson, cancelliere dell'Università di Parigi nel XIV secolo, asseriva che «coloro che non abbiano mai fatto l'esperienza interiore di Dio, non potranno mai sapere intimamente che cosa sia la teologia mistica». Inoltre, «la mistica non è un decollo dalla terra verso cieli remoti, ma un tendere all'eterno e all'infinito tenendo i piedi ben piantati nella polvere della storia».

L’esperienza spirituale biblica non è, prima di tutto, un'esperienza su Dio ma di Dio. C'è un a priori assoluto di Dio rispetto a ogni desiderio dell'uomo, perché prima ancora che l'uomo s'interessi di Dio, è Dio che si prende cura di lui (cf.ls 40,27; 49,14-16).

In principio all'esperienza biblica c'è la teofania, ossia un'epifania di Dio, c'è la sua eudokia o "buona volontà" che precede quella umana (cf. Lc 2,14). La Bibbia annunzia costantemente il primato della rivelazione divina sulla ricerca umana, della grazia sul merito, del regno di Dio che cresce da solo come il seme nella terra, sia che il contadino dorma sia che vegli (cf. Mc 4,26-29).

I luoghi della rivelazione biblica sono la storia, lo spazio e la parola, ed è lì che si gioca l'avventura della spiritualità nella concretezza dell'esperienza quotidiana. Da qui parte la presentazione dell'a., con la concisione e chiarezza che la contraddistinguono, per declinare la spiritualità con i vari libri dell'Antico e del Nuovo Testamento.


R. Cheaib, in Theologhia.com 3 marzo 2018

La collana «Giornale di teologia» si arricchisce del libro di Gianfranco Ravasi Spiritualità e Bibbia (Queriniana, pag. 264, euro, euro 17). Se è inutile parlare dell’autore, esperto biblista ed ebraista, attuale presidente del Pontificio consiglio della cultura e di quello di archeologia sacra, vale la pena parlare del libro, pensato per avvicinare la Bibbia come fonte di autentica vita spirituale, per dare sostanza biblica all’attuale ricerca di spiritualità, evitando piuttosto derive e parzialità.

Il volume presenta al lettore una duplice traiettoria di approfondimento. Dopo aver offerto la chiave simbolica per entrare nell’orizzonte spirituale delle sacre Scritture, l’autore procede innanzitutto a uno spoglio integrale dei due Testamenti nel loro ordine di tempo. I Profeti, i Salmi, Giobbe, il Cantico dei cantici, il Vangelo delle beatitudini sono presentati come vette della spiritualità biblica. Nell’altro percorso Ravasi delinea una mappa sintetica della spiritualità delle Scritture, così da comporre un messaggio teologico unitario, basato sulla categoria di “conoscenza” nella sua vasta molteplicità semantica biblica.


F. Mariucci, in La Voce 7 (22 febbraio 2018)

La spiritualità per la Bibbia non è tanto esperienza su Dio, quanto esperienza di Dio. All’origine della spiritualità non vi sta lo sforzo ascetico del credente che si isola dal mondo in vista di un contatto con il divino che lo distacchi dalla storia e dalla pesantezza della corporeità. Nella Bibbia l’esperienza spirituale è olistica e abbraccia la corporeità e l’intimo della persona, fatto di amore, di volontà e di decisione. All’inizio di tutto vi è l’autorivelazione gratuita di Dio che si manifesta nel mondo attraverso teofanie e parole. Alla teofania il credente risponde con la fede e l’amore, in un abbraccio vitale col proprio Dio. Nella Bibbia esiste una simbologia teologica fondamentale, dai tratti antropomorfici di necessità. Essa si presenta con i tratti della parola, del soffio-spirito-respiro e del regno di Dio. A livello antropomorfico in senso stretto, la simbologia teologica fondamentale biblica è quella che presenta Dio come ricattatore, padre, madre, sposo, amico, signore, giudice, pastore. La simbologia antropologica della risposta del credente è espressa con la terminologia del credere, della sicurezza e della fiducia che si dinamicizza nella speranza, nel “cercare il volto di Dio”. «La spiritualità, generata dalla grazia e dalla fede, si apre alla morale, alla legge, alle opere» (p. 38). Di qui la lode della Torah (cf. Sal 119) portata a compimento da Gesù nel NT, la centralità del culto e della preghiera. Il ritratto del credente che fa esperienza di Dio è rappresentato nell’AT dal “povero” che si inchina con umiltà e fiducia a Dio, da cui attende tutto. Il “povero” è colui che mette tutto nelle mani di Dio, con fede e speranza.

Dopo questa prima parte dedicata alla simbologia spirituale biblica (pp. 23-52), Ravasi dedica un’altra parte del suo volume (pp. 53-114) a una survey veloce diacronica su come la spiritualità si presenta nei vari blocchi letterario-teologici che compongono la Bibbia. C’è la spiritualità della Torah, strutturata attorno alle tre grandi tradizioni del Pentateuco incentrate sull’alleanza e sul tempio. La spiritualità deuteronomica e deuteronomistica insiste sul dovere dell’ascolto della parola e sul compimento dei comandi dati da YHWH. I re di Giuda e di Israele vengono giudicati secondo questo criterio. La spiritualità profetica vede nel profeta, nel veggente, l’uomo di Dio, che parla a nome di Dio e davanti al popolo. Egli è un uomo profondamente inserito nella storia, di cui diventa giudice e interprete a favore del popolo. La spiritualità sapienziale è fondata sul “timore del Signore” e sul seguire la sapienza che Dio ha partecipato all’uomo e al creato intero. I salmi esprimono con tutta la variegata possibilità di temi la fiducia, la supplica, il ringraziamento, il dolore, la gioia del credente che vuole vedere il volto di Dio e riceverne pace per continuare il proprio cammino nella lotta contro i vari tipi di avversari. Giobbe scopre una fede in Dio totalmente gratuita, svincolata totalmente da ogni aspettativa di ricompensa a una vita di fede e di pietà. Il Cantico loda l’amore umano sacramento di quello divino. La spiritualità del NT vede in Gesù colui che chiama alla sequela con radicalità, nell’annuncio del Regno. Le Beatitudini sono il ritratto spirituale di Gesù e il dono-impegno (Gabe-Aufgabe) offerto ai discepoli ma aperto a tutte le categorie del popolo di Dio. Quattro sono le colonne della spiritualità della comunità cristiana, ben illustrate da At 2,42. Paolo insiste, da parte sua, sulla grazia, la fede e l’adozione a figli. Lo Spirito rende nuove creature e dona la pienezza dei carismi per il bene personale e l’edificazione del corpo ecclesiale. Giovanni si serve di verbi spirituali propri – vedere, amare, rimanere – per esprimere la vita spirituale del credente. Le cinque promesse dello Spirito identificano in lui l’operatore dell’attualizzazione nel presente della storia della parola di Gesù pronunciata in un tempo puntuale del passato.

Nell’ultima parte della sua opera (pp. 177-220), Ravasi tenta una presentazione sincronica dei dati raccolti dapprima diacronicamente. Dio ha il primato e si manifesta per grazia nella storia, nello spazio cosmico, nel tempio di Sion e, infine, nella parola profetica e cosmica che invita ad un cammino impegnativo di risposta etico-teologica. Occorre guardarsi da una falsa spiritualità, basata su un’errata “conoscenza” di Dio. Una spiritualità nobile ma imperfetta è quella della via “naturale” cosmica. La spiritualità perfetta è quella della dialettica tra il credente e il suo Dio, che implica anche lotta, scoraggiamento, realismo, protesta, abbandono credente (Abramo, Giobbe, Qoèlet). La spiritualità biblica è esperienza di Dio. La spiritualità suprema è gustare Dio, esperimentarlo con tutto se stessi (il “conoscere” biblico), in una comunione “mistica” (non “spiritualistica e disincarnata”). Paolo, con le sue formule mistiche di inabitazione “in Cristo/in lui” può essere un’ottima guida per una spiritualità biblica equilibrata e incarnata nella storia. Prima di una sintetica bibliografia (pp. 251-253), chiudono il volume due Appendici, riguardanti la Lectio divina (pp. 221-230) e un’intensa e importante trattazione della spiritualità del malato e del dolore (pp. 231-250). «Le mie vie non sono le vostre vie», dice il Dio della Bibbia. Spiritualità è far propri “corporalmente” la vita e il sentire di Dio, per portare un lievito nuovo e “sovversivo” alla vita dei nostri giorni.


R. Mela, in SettimanaNews.it 7 febbraio 2018