Gianfranco Ravasi, come studioso della Bibbia, in particolare dell’Antico Testamento, e ora anche come uomo di chiesa impegnato a presentare la bellezza del messaggio cristiano soprattutto nei contesti della cultura laica, ci regala questo prezioso libretto Spiritualità e Bibbia in cui mi sembra sintetizzi la sua lunga esperienza di vita di docente e di pastore.
Spesso il termine spiritualità è sentito come sinonimo d’immaterialità, incorporeità, in antitesi alla carnalità e alla mondanità. Ravasi, per individuare un profilo più genuino di questa esperienza che nella sua autenticità è intimamente connessa alla fede, circoscrive la sua ricerca all’orizzonte spirituale del testo dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Naturalmente egli è costretto a fare una selezione della Bibbia, che oltre a essere «lampada per i passi» del cammino del credente è anche per tutti «il grande codice» della cultura di Occidente.
Per questo, prima di inoltrarsi nel suo lavoro, Ravasi nel primo capitolo dà voce in modo esemplificativo alla cultura anche agnostica che si è affacciata sul microcosmo della spiritualità secondo prospettive differenti e spesso sorprendenti; e nel secondo capitolo getta un’occhiata sulla mappa tematica generale della spiritualità biblica in attesa di visitarne, nei capitoli seguenti, le varie regioni e di seguirne direttamente le strade.
L’esperienza spirituale non è prima di tutto un’esperienza su Dio, ma di Dio: è un essere conosciuti-amati da lui. La risposta umana è l’agape: l’amore a Dio e al prossimo. Un’altra categoria significativa di questa esperienza è quella della comunione e del “rimanere” – “dimorare” in Dio e in Cristo –, una comunione che allude alla vita comune tra Dio e il fedele, tra Gesù Cristo morto e risorto e il cristiano.
Dopo queste premesse, Ravasi dedica la seconda parte alla simbologia spirituale biblica. Si tratta, come diceva Origene, di «affidarsi con un piccolo legno a un oceano di misteri»: una navigazione che dovrebbe idealmente seguire l’arco intero dei 73 libri biblici, partendo da quello che Ravasi chiama il primum teologico che è il “grammaticale” e lo “storico”. Esiste una via privilegiata attraverso la quale la Bibbia si presenta come un testo “spirituale”, generatore e guida di un’esperienza spirituale. È la via del simbolo, cioè dell’intuizione dell’“oltre” e dell’“Altro” attraverso il ricorso ad alcune realtà storico-cosmiche, sperimentabili e note, scelte come emblemi.
Ravasi richiama alcuni simboli “teologici” fondamentali: la parola di Dio seme, martello, luce, parola efficace perché animata dallo Spirito. Alcuni simboli teologici esaltano l’azione della grazia all’interno di ogni esperienza spirituale: nell’area familiare Dio come go’el, padre, madre, sposo, e anche amico, Kyrios, giudice, pastore. All’epifania di Dio risponde l’accoglienza dell’uomo. Tra la simbologia antropologica Ravasi esamina la simbologia del credere, delle opere e del culto. Una figura nella Bibbia incarna tutte le varie dimensioni teologiche e antropologiche: il povero.
Inizia quindi la terza parte del lavoro: la spiritualità dell’Antico Testamento. Nella sua struttura l’Antico Testamento si presenta come un testo anche di spiritualità, promotore di vita spirituale. Il Dio trascendente, pur restando Altro, si rivela nella variabilità del divenire storico. Nello sviluppo progressivo della vicenda umana si può scorgere il progetto unitario divino che dà origine alla «storia della salvezza».
Ravasi cerca quindi di seguire in modo sommario, e per sondaggi, il filo storico-letterario del Pentateuco in una sequenza di tappe successive e così farà anche per le altre sezioni in cui è articolata la Bibbia e la sua storia. Alla fine cercherà di identificare il progetto unitario d’insieme.
Della spiritualità della Torah esamina le tre grandi tradizioni del Pentateuco, l’alleanza e il tempio. Descrive quindi la spiritualità deuteronomica e deuteronomistica. Tratteggia in seguito la spiritualità profetica: il profeta “chiamato”, “uomo di Dio”, “visionario”, “veggente”; il profeta “portavoce di Dio”; uomo della storia e giudice che annuncia nel suo tempo un kerygma, una parola che può trasformare la storia e la vita del popolo.
La spiritualità sapienziale è attenta non più ai grandi eventi salvifici ma alle varie epifanie divine nel quotidiano e nella natura. Il protagonista è Adam, l’umanità, e la sapienza è un dono. Ravasi entra poi nella parte della Bibbia in cui è tra i massimi esperti: la spiritualità salmica. I temi trattati sono: il sapore e la freschezza di Dio; tu sei luce della mia lampada; ti amo, Signore, mia roccia; tempo e spazio alla presenza di Dio; la notte oscura; il vero volto di Dio. Descrive quindi a lungo il cammino spirituale di Giobbe e chiude la presentazione della spiritualità dell’Antico Testamento con il Cantico dei Cantici, richiamandone la lettura allegorica e spirituale.
La parte quarta del volume è dedicata alla spiritualità del Nuovo Testamento. Più che delineare un quadro completo della proposta spirituale avanzata da Gesù ed elaborata dai Sinottici alla luce della Pasqua, Ravasi cerca di mostrare le traiettorie originali che stanno alle radici della spiritualità cristologica. Vi è continuità con l’Antico Testamento ma anche discontinuità che si manifesta in alcune prospettive (radicalità, urgenza della decisione, l’esistenza quotidiana) e in alcuni temi (il regno di Dio, l’evento pasquale, la preghiera di Gesù).
Uno spazio privilegiato viene dedicato alle “Beatitudini”, come pagina spirituale fondamentale. Non sono un’utopia né un progetto etico, ma una buona notizia per tutti, una parola che può germogliare nel cuore e far crescere l’uomo nuovo nella dimensione di Gesù Cristo. Esse sono infatti la biografia interiore di Gesù Cristo povero, mite e umile, il puro di cuore, l’operatore di pace, colui che soffre per amore di Dio.
Quindi Ravasi presenta la spiritualità presente nelle altre parti del Nuovo Testamento: la spiritualità della comunità cristiana degli Atti degli apostoli, sostenuta dalle quattro colonne: didachè, koinonia, frazione del pane e preghiere; la spiritualità paolina, la cui originalità è interpretare l’esperienza mistica (la grazia, la fede, l’adozione a figli, la nuova creatura, i carismi dono dello Spirito) a partire dalla teologia della croce; la spiritualità giovannea, caratterizzata da una “concentrazione cristologica” testimoniata dalla trilogia verbale, vedere, amare, rimanere, nel cui ambito si annoda anche la dimensione pneumatologica. Lo Spirito promesso da Cristo è fuoco e respiro, insegna e ricorda, senza di lui Cristo resta nel passato l’evangelo lettera morta.
Nella quinta e ultima parte del lavoro: Una teologia biblica della spiritualità, Ravasi ritorna sul viaggio fatto all’interno della Bibbia cercando di estrarne un progetto secondo questo percorso: teofania della storia, teofania dello spazio, teofania della Parola, falsa spiritualità, imperfetta spiritualità, perfetta spiritualità dinamica, progressiva, esodica (cammino di Abramo, il percorso di Giobbe, l’itinerario di Qoèlet: la genuina spiritualità comprende anche il transito attraverso un orizzonte oscuro ove Dio tace, eppure non è assente), la spiritualità suprema (comunione mistica con Dio). Alla fine del lavoro sono inserite due utili appendici: La lectio divina e la spiritualità del malato.
In conclusione, ritengo che il merito di questo lavoro di Ravasi sia un sapiente contributo alla teologia spirituale biblica che indaga la risonanza della professione di fede nel vissuto, e si distingue dalla teologia biblica che sottolinea invece la dimensione veritativa del testo biblico.
T. Lorenzin, in
Studia Patavina 2/2019, 336-338