«Dio mi aveva parlato tramite la Scrittura e io, in modo spontaneo, cercavo di rispondergli attraverso la preghiera». Con queste scarne ma essenziali parole Luigi Gioia descrive l’origine della sua esperienza spirituale. Un’esperienza nata da un lungo cammino cominciato nelle terre di un ateismo militante nutrito dalle tesi di Bertrand Russell che confutano l’esistenza di Dio. Con le «armi» concettuali di Russell il giovanissimo Gioia decide di contestare il cristianesimo partendo dalle sue radici, i Vangeli, e vi si immerge in una lettura personale, intensa e prolungata. «Fu una decisione fatale», ammette, perché scopre la capacità delle Scritture di parlare al cuore. Quella capacità che nel XII secolo il monaco Guigo il Certosino – uno dei più geniali uomini spirituali di tutti i tempi eppure ancora sconosciuto – così descrive: «Parla, Signore, al cuore del tuo servo, e il mio cuore parlerà di te».
La Parola di Dio contenuta nella Scrittura e la Preghiera è il binomio indivisibile che regge il saggio, tanto piccolo quanto prezioso, Sentire Dio, Una via per la preghiera contemplativa di Luigi Gioia, che oltre ad essere un riconosciuto autore spirituale è anche uno stimato docente di teologia sistematica e un ricercatore presso l’Università di Cambridge.
Sentire Dio è il frutto di un cammino personale alla ricerca di «modi di pregare più contemplativi», ossia di quella preghiera che nasce non dallo sforzo della volontà o da sofisticate tecniche, ma dalla contemplazione che è «sentire» la presenza di Dio nella propria vita attraverso l’ascolto della Parola di Dio. Gioia inizia non a caso dai Salmi che tra i libri della Bibbia contengono il vortice dei sentimenti umani, che sono i luoghi dove l’umano incontra Dio: il desiderio, l’inquietudine, il compiacimento, la frustrazione, l’amore, ma anche l’assenza e il silenzio. «Veniamo così introdotti nella preghiera contemplativa – scrive Gioia – proprio negli stessi modi in cui un giorno, inaspettatamente, scopriamo che ci piace passare del tempo in silenzio con il nostro migliore amico e che quei momenti saldano ancora di più l’amicizia».
L’autore interroga poi gli scritti dell’evangelista Giovanni, «il principale modello di contemplazione del Nuovo Testamento», e anche lì scopre come la relazione dei personaggi del quarto vangelo con Gesù, i loro incontri e soprattutto i dialoghi e le lunghe conversazioni, sono la rivelazione di come Dio è verbo, cioè «desideroso di parlare con noi», è carne, ossia «desideroso di toccarci».
Queste pagine del saggio mostrano come Luigi Gioia non ha mai cessato di leggere e rileggere i Vangeli, offrendone una rara intelligenza spirituale capace di mostrare come attraverso le pagine del quarto Vangelo e degli scritti giovannei, oggi come ieri si possa essere raggiunti dalla Parola di Dio e «toccati» nella propria carne. Nella preghiera accade per ogni persona ciò che il Vangelo di Giovanni racconta.
Spesso la contemplazione è confusa con il quietismo, quella dottrina contemplativa che predica l’abbandono mistico, la tranquillità cristiana, alla quale Gioia oppone risolutamente l’immagine tratta da Angels in America, il lavoro teatrale di Tony Kushner che mette in scena il dovere di combattere le false visioni dell’agire di Dio. La contemplazione è quell’azione dello spirito che crea libertà interiore e non inattività e passività; più ancora è un campo di battaglia contro le false immagini di Dio: «Fare causa a Dio, sfidarlo, combattere contro di lui, dà a Dio la possibilità di risponderci».
Ormai anziano e dopo aver molto meditato e scritto sulla preghiera, ma anche sulla base della mia povera esperienza di preghiera, avverto una particolare sintonia tra la comprensione della preghiera che da sempre espongo e quella che Luigi Gioia offre in questo libro che è una guida autorevole e credibile per chi oggi, in modo serio ma disincantato, vuole accostarsi all’esperienza della preghiera.
Sì, se la preghiera è autenticamente cristiana, se sgorga dall’ascolto della parola di Dio, se si apre alla presenza di Dio e diventa comunione, allora il suo frutto è la carità, è l’amore per Dio, per gli umani e per l’intera creazione. La preghiera tende così a farsi vita, permea tutta l’esistenza di chi vi si immerge. L’orante non fa più preghiere ma diventa preghiera, come si è potuto scrivere di Francesco d’Assisi: «Non tam orans, quam oratio factus», non pregava più, era ormai divenuto preghiera.
E. Bianchi, in
La Stampa. Tutto Libri 20 novembre 2021